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Utilizzo di Internet: La ricerca

La Ricerca: Strumento

I dati della ricerca sono stati raccolti attraverso un questionario online (“Online- OFFline survey”) in lingua italiana distribuito, dopo l’approvazione del Comitato Etico dell’Università degli Studi di Bologna, su diversi Social Network Sites (Facebook, Google+, YouTube, LinkedIn, Twitter, Blogger). Il questionario è composto da 161 affermazioni (item) a cui gli intervistati potevano rispondere scegliendo il loro grado di accordo/disaccordo su una scala di misura. Tra i vantaggi del questionario c’è sicuramente la non intrusività e la modalità di compilazione che non richiede più di quindici-venti minuti. Lo strumento di misura si divide in due parti principali: la prima rileva informazioni generali sulla vita della persona, la seconda ricava informazioni sulla vita online dell’individuo. Inizialmente l’intervistato è tenuto a fornire alcune informazioni personali quali il genere, l’età, la nazione, la regione e la provincia di residenza, il titolo di studio, l’attività professionale e la situazione sentimentale.

 

Scale di misura dello strumento

Lo strumento si avvale di scale di misura per valutare costrutti differenti quali l’autostima, la soddisfazione di vita, l’autocontrollo, l’autoconsapevolezza, l’autodirezionalità, il supporto sociale, l’assorbimento cognitivo, il capitale sociale e l’uso problematico di Internet. Il seguente lavoro ha utilizzato:

1 La scala dell’autostima di Rosenberg (1989)

Gli studi sull’autostima generale si basano sul lavoro pionieristico di Rosenberg (1989). La scala di Rosenberg è stata tradotta e convalidata in molte lingue (anche in italiano). La modalità di risposta è su scala likert a 4 punti e presenta in tutto 10 items con item come “sono portato a pensare di essere un vero fallimento” o “complessivamente sono soddisfatta/o di me stessa/o”.

  1. La scala del coinvolgimento cognitivo

Il coinvolgimento cognitivo è stato misurato utilizzando la scala dell’assorbimento cognitivo (Agarwal e Karahanna 2000), che consente l’analisi separata delle due sottoscale dissociazione temporale (TD) e immersione focalizzata (FI). Essa è progettata esplicitamente per il web, ha una modalità di risposta Likert a 7 punti e presenta in tutto 20 items. Al fine di evitare l’ambiguità, la sottoscala TD è stata ridotta a quattro elementi e quella FI a tre elementi. Tra gli item presenti nel questionario ci sono ad esempio “mentre sono connessa/o, resto concentrata/o su ciò che faccio” e “quando sono connessa/o, finisco per perdere più tempo di quanto programmato”.

  1. Scala Problematic Internet Use (PIU)

Il PIU è stato misurato utilizzando la “scala PIU generalizzata” creata da Caplan (2010) e recentemente convalidata in italiano (Fioravanti, Primi e Casale 2013). La scala è composta da 15 items con modalità di risposta Likert a 5 punti e distingue quattro sottodimensioni, ma in questo studio era considerato solo il punteggio globale, in quanto l’obiettivo era quello di ottenere un punteggio generale relativo ai problemi con Internet. Tra gli Item ricordiamo ad esempio “ho mancato appuntamenti o attività sociali a causa del mio uso di Internet” e “quando non mi sono connessa/o per un po’ di tempo, sono stato assorbito/preso dal pensiero di andare online”.

  1. Scala del supporto sociale

Lo strumento di misura in questione è stato costruito da Wang & Wang (2013), il quale presenta 38 items con modalità di risposta su scala Likert a sette punti, a partire dal punteggio 1 (fortemente in disaccordo) al punteggio 7 (fortemente d’accordo). Sia il supporto sociale online che quello offline vengono misurati attraverso 4 scale, le prima 2 da 4 items ciascuna, prodotte da Chiu et al. (2006) e le altre, da 11 item ciascuna prodotte da Leung & Lee (2005). Tra gli item di riferimento vi sono “ho usato Internet per sentirmi meglio quando ero giù di morale” e “ho usato Internet per parlare con gli altri quando mi sono sentita/o isolato”, per valutare il supporto sociale online. Viceversa per il supporto sociale offline alcuni item sono “quanto spesso hai a disposizione nella tua vita offline qualcuno il cui parere per te è importante” o “qualcuno che ti dimostra amore e affetto”.

 

Items e dati dei rispondenti

Al soggetto viene chiesto quali sono i dispositivi (smartphone, computer, tablet, console, smartTV) e le piattaforme (Youtube, Facebook, Twitter, giochi online, Whatsapp, Skype ecc.) che utilizza maggiormente riferendo in media quante ore al giorno dedica al loro uso. Infine viene richiesto al partecipante di quantificare le proprie amicizie e conoscenze online e offline. La procedura si conclude chiedendo all’intervistato se gradisce lasciare il suo indirizzo mail per ricevere più avanti i risultati della ricerca, sempre nel rispetto della privacy. Non è stato proposto alcun incentivo ai partecipanti per la compilazione. 807 persone hanno compilato il questionario, di cui 500 femmine (62 %) e 307 maschi (38 %). L’età dei partecipanti andava dal valore minimo di 18 anni al valore massimo di 29 con un età media complessiva di 21,39 anni (SD= 3,05). Tra di essi 666 (82,5%) erano studenti, 116 lavoratori/tirocinanti (14,4 %) e i restanti 25 (3,1 %) disoccupati. La popolazione su cui si basa la ricerca è la fascia d’età degli emerging adults, divisi in due categorie:

-Earlier? 18-24 anni

-Older? 25-30 anni

Gli earlier emerging adults che hanno partecipato alla ricerca sono stati 671, con una media d’età di 20,33 e una deviazione standard di 2,02. Nel caso degli older emerging adults i partecipanti sono stati 136 con una media d’età di 26,64 e una deviazione standard di 1,42. Lo studio ha raggruppato in totale 807 emerging adults con una media d’età di 21,39 e una deviazione standard di 3,05.


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti


 

Burnout: Discussione dei risultati e conclusioni

Discussione dei risultati e conclusioni

La correlazione positiva tra esaurimento emotivo e depersonalizzazione assieme alla correlazione negativa tra esaurimento e realizzazione lavorativa, sono coerenti con gli studi di Maslach e Jasckson (1982), per i quali sebbene interrelate, sono concettualmente diverse e correlate distintamente ad altre variabili come l’autorità decisionale, skill discretion, task controll indagate nella seguente ricerca.

Secondo il modello Job Demands-Resources model” (JD-R), il carico di lavoro (“job demand”) può portare a un deterioramento della salute con esiti di burnout in conseguenza dello “stress-lavoro correlato”, mentre le risorse (“job resources”) ad una incentivazione dell’impegno del lavoratore, “work engagement”, grazie ad un processo di tipo motivazionale.

In relazione a ciò, i risultati sono altalenanti: per certi versi se ne distaccano perché ad un maggior controllo delle attività si avrebbe un minor grado di discrezionalità; per altri, ne danno una conferma: così come si riporta con la Job demand (Demerouti et al.,2001) è emerso che all’aumentare dello sforzo fisico si riduce realizzazione lavorativa, così come si è riscontrato che ad un aumento dello sforzo fisico si abbia un aumento della pressione lavorativa.

Coerentemente con le Job-Resources (Bakker e Demerouti, 2007), è emerso che con una maggiore supervisione aumenti la skill discretion. Tuttavia ad aumento della supervisione si avrebbe anche un aumento dell’insicurezza, ciò potrebbe essere ricondotta al costrutto della supervisione violenta o abusante (abusive supervision), che per definizione corrisponde alla percezione dei sottoposti rispetto a comportamenti verbali e non verbali ostili (con esclusione del contatto fisico) emessi dai superiori; una situazione del genere si ha quando un superiore giudica come insensate le sensazioni o le idee dei suoi sottoposti o umilia un soggetto davanti ad altri (Mawritz et al., 2012)

La COR Theory (Innstrand et al., 2002; Hakanen et al., 2005) prende in considerazione il proactive coping process, cioè la capacità del lavoratore di ricercare e rafforzare le proprie risorse in modo da poter influenzare e gestire l’ambiente in cui opera. Questa teoria si basa sulla convinzione che l’individuo si adoperi attivamente per ottenere e mantenere ciò che per lui è più rilevante (ad es supporto dei colleghi). In effetti, su questo prospettiva è emersa una correlazione positiva tra il supporto dei colleghi e la skill discretion. Tuttavia, appaiono anomale la correlazione tra il supporto dei colleghi e l’insicurezza lavorativa e tra il supporto dei colleghi e la supervisione sociale.

Dalla ricerca emerge che un lavoro che richiede un alto grado di sforzo fisico sia predittore di una bassa realizzazione lavorativa, probabilmente perché, secondo la Job-Demand, un continuo sforzo fisico comporta specifici costi psicologici (Demerouti et al., 2001).Per quanto riguarda la depersonalizzazione e la skill discretion predicono l’esaurimento emotivo.

Alla luce di ciò tra i fattori di rischio vi sono lo sforzo fisico, la depersonalizzazione ad esempio, mentre tra i fattori di protezione figura il supporto dei colleghi.Rispetto all’ipotesi

“verificare quanto le esperienze di lavoro positive e negative contribuiscano alla qualità della vita lavorativa”, si deduce che le richieste caratterizzate da uno sforzo fisico ed una supervisione abusante non contribuiscano ad una buona qualità di vita lavorativa. D’altro canto, il supporto dei colleghi, la skill discretion permettono invece di avere una qualità di vita lavorativa migliore.

In conclusione la ricerca ha soddisfatto in parte le ipotesi iniziali, ma è bene far presente alcune limitazioni. In primo luogo, la generalizzazione dei nostri risultati è molto limitata perché lo studio era basato su una selezione di insegnanti di una sola località Siciliana, quindi i risultati non sono rappresentativi della Sicilia in quanto tale. In secondo luogo, si tratta di uno studio su piccola scala, pertanto sarebbe auspicabile replicare lo studio estendendo il campione della popolazione di riferimento. Sarebbe opportuo prendere in esame inoltre variabili come gli anni di insegnamento. Nonostante ciò, la ricerca offre una possibilità di dibattito. Ad ogni modo, in vista di ricerche future, sarebbe auspicabile ed interessante indagare altre variabili ed estendere la somministrazione dei questionari ad un campione più ampio, che possa essere numericamente significativo della popolazione di riferimento.

 

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Utilizzo di Internet: ipotesi di ricerca

Ipotesi di ricerca

 

Sulla base di quanto espresso fino ad ora, l’intento di questo studio è rispondere al quesito secondo cui determinati fattori personali generano specifiche situazioni in grado di mediare l’utilizzo di Internet dell’utente. In base a ciò la Rete può essere utilizzata come organo funzionale ai propri scopi o essere soggetta ad un processo di strumentalità inversa. In questo secondo caso l’individuo diviene metaforicamente lo strumento di Internet. L’utente passa da un ruolo attivo e consapevole ad un approccio passivo e incontrollato. Per rispondere alla domanda di ricerca verranno testate le seguenti ipotesi.

Si è visto come il supporto sociale abbia la capacità di tamponare gli eventi stressanti offrendo un supporto emotivo fondamentale in periodi critici come l’emerging adulthood. E’ stato dimostrato che il supporto sociale può essere veicolato attraverso i mezzi digitali. Dunque la prima ipotesi che verificheremo è che un basso supporto sociale offline influisca sulla ricerca di supporto sociale online.

H1. Basso supporto sociale offline influisce sul supporto sociale online

L’analisi della letteratura ci ha permesso di vedere come la ricerca di supporto sociale online, dovuta ad un carente supporto sociale offline, conduce l’individuo a fare un uso sempre più intensivo della Rete. Questo rappresenta un forte rischio per l’utente di sviluppare un uso problematico di Internet (PIU). In ragione di ciò vogliamo dimostrare la seguente ipotesi:

H1a. Il supporto sociale online predice l’uso problematico di Internet (PIU)

L’uso dei Social Network Sites può avere un importante ruolo funzionale. Abbiamo visto come attraverso l’uso dei SNS l’individuo entra in possesso di un insieme di risorse reali o potenziali utili ai propri scopi (capitale sociale). Nel caso del capitale sociale bridging abbiamo visto come l’individuo riesce a raccogliere un insieme di informazioni utili attraverso l’attivazione di contatti virtuali con persone che non rientrano nella sua cerchia di affetti. Al contrario il capitale sociale bonding si riferisce ai contatti familiari in grado di fornire supporto emotivo. Ci proponiamo di dimostrare che:

H2. L’uso di Facebook è correlato allo sviluppo di capitale sociale

Numerosi studi sostengono che le persone con alta autostima utilizzino i Social Network Sites per la valorizzazione sociale e al contrario quelli con bassa autostima per realizzare una compensazione sociale. Questo tipo di persone presenta una debole rete di contatti offline e un’immagine sociale negativa che cercano di colmare attraverso i SNS. Ci poniamo, quindi, l’obbiettivo di dimostrare che:

H3. Un frequente utilizzo dei Social network Sites (SNS) è correlato ad una bassa autostima

Un frequente utilizzo di Internet può appagare le persone permettendogli di costruire legami mai avuti nella vita offline. Questo li può portare a preferire le interazioni online piuttosto che quelle faccia a faccia, invertendo quella che è la normalità delle dinamiche nei rapporti interpersonali. L’ipotesi di riferimento è la seguente:

H4. Preferire l’interazione online a quella faccia a faccia è correlato ad un PIU

Per ultimo ci colleghiamo al concetto di mindfulness e autodirezionalità le quali regolano l’utilizzo di Internet. Persone in possesso di una scarsa mindfulness sono altamente a rischio di sviluppare un uso problematico di Internet non riuscendo ad avere pieno controllo sul loro comportamento. L’ipotesi che si vuole dimostrare è la seguente:

H5. La mindfulness è correlata ad un PIU

 


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti


 

Burnout: analisi dei dati

Analisi dei dati

 

L’analisi correlazione di Pearson ha messo in evidenza le correlazioni delle variabili considerate nel presente studio, permettendo di valutare se le relazioni identificate riproducono quelle predette a livello teorico. In questa prospettiva, la considerevole correlazione positiva tra depersonalizzazione ed esaurimento emotivo (r= .503, p < .001) conferma le aspettative, così come la correlazione negativa con la realizzazione lavorativa (r =  – .241; p < .05 ).

Anche nel caso dell’autorità decisionale le correlazioni di entità modesta con la discrezione (r= .371; p < .01 ) e con l’esaurimento emotivo (r= – .263;p < .05) restituiscono lo schema teorico generale, dove una maggiore autorità decisionale è associata ad una maggiore discrezionalità ed a un minore esaurimento emotivo.

Contrariamente rispetto a quanto riportato nelle evidenze teoriche di Margot van der Doef e Stan Maes (1999), il controllo delle attività ha una correlazione negativa con la discrezione (r= – .374; p < .01), sembrerebbe quindi che il controllo delle attività si leghi ad un minor grado di discrezione.

Per quanto concerne lo sforzo fisico, dai dati emerge che ad un aumento di quest’ultimo si abbia una minore la realizzazione lavorativa (r= . – 256; p< .05); ciò è in linea con la JobDemand, per la quale: aspetti che richiedendo uno sforzo continuo sono associati a costi psicologici, in questo caso ad una ridotta realizzazione lavorativa (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001); Inoltre, la correlazione positiva tra sforzo fisico e pressione lavorativa (r= .315; p < .01 ) suffraga le ipotesi attese.

In linea con le Job-Resources (Bakker, Demerouti, & Euwema, 2005), si ha una correlazione positiva tra supervisione sociale e discrezione (r= .330; p < .01 ): un aumento della supervisione si legherebbe ad un aumento della skill discretion. Su questo versante la supervisione sociale correla positivamente con l’insicurezza lavorativa (r= . 739; p < .001), ciò potrebbe significare che la modalità della supervisione sociale adottata invece di conferire accoglienza e supporto, genererebbe confusione ed insicurezza.

E’ stata messo in evidenza che il supporto dei colleghi correli positivamente con la skill discretion (r= .265; p< .05): sembrerebbe confermare le considerazioni teoriche secondo cui il supporto dei colleghi permetta l’aumento delle possibilità di imparare cose nuove, dall’opportunità di valorizzare le proprie competenze. Invece, si discosta da ciò correlazione tra il supporto dei colleghi e l’insicurezza lavorativa: un aumento del supporto dei colleghi si lega ad un aumento dell’insicurezza lavorativa (r= .401; p < .001 ). Emerge infine anche una correlazione positiva tra il supporto dei colleghi e la supervisione sociale (r=.622; p < .001).

La prima regressione lineare multipla[1] mette in evidenza come tra le variabili prese in considerazione (Genere, Età, Anni_SERV, ZDeperson, ZRealiz_Lav, ZSK_Discretion, ZDecision_Authority, ZTask_Control, ZWT_Pressure, ZPhysical_Exertion, ZJob_Insecurity, ZSocialS_Superv, ZSocialS_CoWork, ZJOB_Satisfaction) il miglior modello statisticamente significativo (F(2,68)= 15.70 p < .001, R² = .32 ) identifichi due predittori statisticamente significativi: l’esaurimento emotivo aumenta in presenza di una maggiore depersonalizzazione, e diminuisce in presenza di una maggiore Skill_Discretion. Il primo predittore (depersonalizzazione) si ben collega alla considerevole correlazione positiva tra depersonalizzazione ed esaurimento emotivo (r= .503, p < .001) confermandone ulteriormente le ipotesi attese. Il secondo predittore dell’esaurimento emotivo, ovvero la skill discretion avvalora la precedente correlazione positiva tra supporto dei colleghi e skill discretion (r= .265; p< .05), perché alte possibilità di imparare cose nuove e valorizzare le proprie competenze permette di ridurre il livello di esaurimento emotivo.

Dalla seconda regressione lineare multipla[2] si evince che tra le variabili prese in considerazione (Genere, Età, Anni_SERV, ZDeperson, ZEusar_EM, ZSK_Discretion,

ZDecision_Authority, ZTask_Control, ZWT_Pressure, ZPhysical_Exertion, ZJob_Insecurity, ZSocialS_Superv, ZSocialS_CoWork, ZJOB_Satisfaction) il migliormodello statisticamente significativo (F(2,68)= 4.761  p 0.033, R² = .65 ) introduca un predittore statisticamente significativo: la realizzazione lavorativa diminuisce in presenza di un maggior sforzo fisico. Anche nelle correlazioni, all’aumento dello sforzo fisico si aveva una minore la realizzazione lavorativa (r= .– 256; p< .05). Ancora una volta subentra la Job-Demand, per la quale: aspetti che richiedendo uno sforzo continuo sono associati a costi psicologici, in questo caso ad una ridotta realizzazione lavorativa (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001).


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza


 

 

[1] Il metodo scelto è stato quello della forward selection che determina ilmodello ottimale partendo da zero, inserendo una alla volta le varie variabili esplicative da considerare, validate secondo il loro “contributo” predittivo. Il processo di inclusione\esclusione si blocca soddisfatti i criteri di arresto, nel nostro caso p-value minore di 0.05. Regole poco restrittive rischiano di creare un modello troppo complesso e poco efficace\efficiente (Tosato, 2009).

[2] Il metodo scelto è stato quello della forward selection che determina ilmodello ottimale partendo da zero, inserendo una alla volta le varie variabili esplicative da considerare, validate secondo il loro “contributo” predittivo. Il processo di inclusione\esclusione si blocca soddisfatti i criteri di arresto, nel nostro caso p-value minore di 0.05. Regole poco restrittive rischiano di creare un modello troppo complesso e poco efficace\efficiente (Tosato, 2009).

ECM su COVID-19

ECM SU COVID-19, FORMAZIONE A DISTANZA PER LA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEL PERSONALE SANITARIO E DEGLI UTENTI

 

Foto di Tumisu da Pixabay

 

Oggi più che mai il sistema sanitario è chiamato a rispondere a numerose e rapide richieste d’assistenza di svariato ordine e grado. E’ inevitabile mantenere adeguati standard nella pratica clinica ed assistenziale mediante la formazione, intesa dal Ministero della salute come fattore strategico necessario.

Su INAIL infatti è stato posto in evidenza l’art. 20 del D.Lgs 81/2008 e s.m.i.  per il quale:  “ […] ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti su luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni […]”, perché, applicato al settore sanitario, evoca la riflessione sulla stretta relazione tra la tutela della salute e sicurezza sul lavoro e la gestione del rischio clinico, ancora più pregnante e critica in situazioni di gestione di epidemie. (Gagliardi et al., 2020).

A questo proposito, se in merito all’Educazione Continua in Medicina (ECM) gli eventi formativi residenziali (RES) e di formazione sul campo (FSC) in programma per il corrente anno sono stati momentaneamente sospesi, la FAD (formazione a distanza) rimane la modalità formativa di cui ci si può avvalere in un momento come questo.

Difatti sono molti i providers che hanno usufruito di tale modalità: è il caso della Federazione nazionale dei medici (Fnomceo) che dal 22 febbraio fino a fine anno ha reso disponibile sulla piattaforma Fadinmed un ciclo di lezioni su Covid-19 con il riconoscimento di crediti Ecm, i cui contenuti sono aggiornati ogni quindici giorni e sono raccolti in un e-book scaricabile gratuitamente dal portale Fnomceo.

Tra i temi affrontati: i numeri dell’epidemia, la valutazione del rischio, le modalità di contagio, i sintomi più comuni, la prevenzione con  misure di sicurezza e tutela della salute rivolte alla popolazione e per finire è stata inserita una sezione dedicata alla corretta comunicazione ai cittadini.

Ma anche  il Servizio Formazione della Presidenza dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha ideato un corso online accreditato ECM rivolto a medici, infermieri e a tutti gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) mediante la divulgazione delle attuali evidenze scientifiche, accessibile dalla piattaforma FAD 24 ore su 24 nel periodo compreso tra il 28 febbraio e il 10 luglio 2020.

L’obiettivo di questo breve framework consta nel fornire e mantenere aggiornato il core competence dei professionisti così da poter  vagliare le prestazioni di assistenza sanitaria collettiva e individuale, i bisogni della popolazione, i gap con la pratica corrente e utilizzare perfezionate pratiche cliniche atte a migliorare l’assistenza sanitaria.

 


© © Ecm su covid-19, formazione a distanza per la tutela della salute e della sicurezza del personale sanitario e degli utenti – Dott.ssa Federica Sapienza


 

BIBLIOGRAFIA

Diana Gagliardi, Benedetta Persechino, Marta Petyx, Paola Tomao, Nicoletta Vonesch, Sergio Iavicoli COVID-19 E PROTEZIONE DEGLI OPERATORI SANITARI – 2020 INAIL.

La paura del dopo

La paura del dopo

La paura

Dopo il Coronavirus

La paura del dopo, “coronavirus”, una parola che leggiamo sulle notizie dei mass media mondiali e che ci fa sempre paura.

“Presto passerà tutto” è la frase che più sentiamo dirci, per cercare di tenere a bada la paura, la rabbia e lo sconforto. E anche nel momento in cui avremo la possibilità di tornare alla vita di tutti i giorni, ci saranno delle ripercussioni psicologiche.
Il Covid-19 ci ha costretto alla pazienza, umiltà, rispetto per gli altri, e alla solitudine. Ha messo allo scoperto il nostro lato più fragile e vulnerabile, facendo crollare le certezze che avevamo.

Questo può comportare un vero e proprio shock psicologico, le cui conseguenze si riverseranno anche quando questa emergenza finirà. La paura del contagio ed essere spinti all’isolamento sociale sarà sicuramente una delle prime conseguenze a prolungarsi dopo la quarantena. Tutto ciò potrebbe scaturire in fobia sociale, evitando tutte le situazioni in cui si entra a contatto con altre persone.

La depressione che consegue al lutto e alla solitudine provata durante la quarantena può essere un altro mostro da dover sconfiggere con l’aiuto di un professionista.

Il disturbo post traumatico da stress, derivato dalle diverse situazioni e condizioni stressanti che si sono protratte per mesi a causa del Virus. Tutto ciò influisce sulla qualità della vita post-quarantena e di certo non sarà facile ripristinare le vecchie abitudini.

La rabbia per aver perso il proprio lavoro, la stanchezza nel dover mandare avanti la famiglia e doversi ricostruire da solo sono emozioni che dovremmo affrontare per mesi, per cercare di sopravvivere in questo mondo che corre e che ora si è improvvisamente fermato.

Questi effetti possono essere rilevati ancora dopo mesi o anni e ciò desta preoccupazione per gli psicologi e indica che durante la quarantena dovrebbero essere messe in atto misure per minimizzare questi impatti psicologici.

Sicuramente la resilienza è l’elemento principale per superare questo momento, oltre che attivare subito la rete sociale per far ritrovare le certezze grazie al supporto e all’affiancamento di figure professionali che permettano di rendere immune anche la mente da questo virus.

 


© La paura del dopo – Dott.ssa Chiara Cosanzi


 

Uso problematico di internet o internet addiction?

Uso problematico di internet o internet addiction? ?

Foto di fancycrave1 da Pixabay

 

Come sottolineato in precedenza, l’utente nell’utilizzo di Internet può sviluppare un uso problematico. A lungo andare, però, la situazione può tramutarsi in una vera e propria dipendenza, un insieme di comportamenti inusuali che presenta le seguenti caratteristiche:

  • Fallimento ricorrente di resistere agli impulsi di impegnarsi in un comportamento specifico
  • Crescente senso di tensione immediatamente prima di iniziare il comportamento
  • Piacere o sollievo nel momento in cui ci si impegna nel comportamento
  • Sensazione di mancanza di controllo mentre si realizza il comportamento (Goodman A., 1990).

Risulta importante definire la differenza tra uso problematico di Internet e dipendenza, specificando che con il termine Internet si fa riferimento a tutti i tipi di attività on-line (Young, 1998). Il primo a parlare di dipendenza da Internet fu lo psichiatra americano Goldberg nel 1996 presentando l’esistenza di un disturbo da lui chiamato IAD, Internet Addiction Disorder indicando i criteri diagnostici utili al riconoscimento di tale disturbo sulla base di quelli riportati dal DSM per la dipendenza da sostanze. Nel concreto ciò che differenzia l’uso problematico dalla dipendenza da Internet sono i sintomi; quest’ultima presenta sei sintomi tradizionalmente associati con la dipendenza da sostanze quali la salienza, vista come la preoccupazione intensa per il comportamento, la modificazione dell’umore, la tolleranza, intesa come l’impegno crescente nel raggiungere lo stato iniziale del comportamento, il ritiro, ovvero provare disagio psicofisico quando il comportamento è ridotto o proibito, il conflitto, che può essere ricreativo, al lavoro, di istruzione, in casa e infine, la ricaduta (Andreassen, 2014). I sintomi devono essere presenti per almeno un anno e tra di essi vi sono anche quelli di natura psicosomatica come agitazione psicomotoria e ansia. Gli utenti continuano a navigare online nonostante l’evidente compromissione di aspetti psicologici individuali e relazionali della loro vita (Ferraro et al., 2006). Un altro importantissimo contributo sulla dipendenza da Internet è stato fornito dalla psicologa americana Kimberly Young (1998), secondo la quale le persone diventano dipendenti da Internet nello stesso modo in cui gli alcolisti diventano dipendenti dall’alcool e i tossicodipendenti dalla droga creando problemi nella vita di tutti i giorni. Essi sono classificati in cinque categorie: problemi accademici, relazionali, economici, lavorativi e fisici. Young (1998) analizzando un campione di studenti esprimeva come per loro diventasse complicato portare a termini i vari compiti a causa di una grande mole di tempo spesa su siti irrilevanti, chat room e giochi online. La loro dipendenza li portava a passare sempre meno tempo con amici e familiari preferendo rimanere in casa “trascinati” passivamente in attività online. Questo aspetto li portava ad arrabbiarsi con chi cercava di fare chiarezza sulla loro situazione rispondendo loro di non aver alcun problema, in ragione di una mancanza di consapevolezza dello stato di dipendenza. Riguardo alla sfera sentimentale, le relazioni si impoverivano anche a causa della costruzione di nuove amicizie online degli utenti, viste da loro come eccitanti e che, in casi estremi, sfociavano nella consumazione di Cyber Sex. Si tratta del sesso virtuale il quale comprende tutte quelle attività che si possono svolgere in Rete e che provocano un’eccitazione sessuale (Zanardi, 2013).  Le ripercussioni si esprimevano anche dal punto di vista finanziario con gli utenti che arrivavano a spendere ingenti somme di denaro per l’acquisizione di servizi online. La Young (1998), inoltre, nei risultati del suo esperimento metteva in luce la differenza del tempo passato online tra dipendenti e non dipendenti da Internet. I primi spendevano 38,5 ore a settimana su Internet contro le 4,9 ore dei “non dipendenti”, un dato piuttosto significativo. Il suo contributo è stato così importante anche grazie alla realizzazione dell’Internet Addiction Test (IAT), un questionario strutturato costruito seguendo i criteri del gioco d’azzardo patologico presente nella versione 4 del DSM. Lo strumento, nella versione originaria, presentava 8 items e se il soggetto rispondeva “si” a 3 o più di essi era considerato dipendente. La Young, in seguito ha adattato il questionario a 20 items, con modalità di risposta su scala Likert da 1 “per niente” a 5 “sempre” somministrandolo ad un campione variegato di individui dai 14 ai 40 anni di età.  I risultati mostravano che gli individui quando erano offline mostravano comportamenti di dipendenza che sfociavano in sintomi di carattere psicologico quali insonnia, ansia e depressione. Secondo Ferraro e collaboratori (2006) la dipendenza da internet sembra essere una sindrome cross culturale caratteristica dei nostri tempi caratterizzati dall’insediamento degli strumenti digitali nella attività di tutti i giorni. I risultati del loro studio dimostrano che i giovani utenti sono più a rischio degli adulti di sviluppare una dipendenza da Internet. Essi percepiscono un’insoddisfacente qualità della vita e questo li porta a compensarla con l’utilizzo di Internet. Questo si verifica principalmente negli adolescenti e nei giovani adulti coerentemente con il delicato periodo di sviluppo che stanno attraversando. Essi ricercando informazioni e collegandosi frequentemente a chat room sperimentano varie identità possibili in quello che diventa uno “scenario virtuale”. I giovani provano un grande piacere in questa variegata sperimentazione, la quale, però, porta con sé dei rischi, ignorati dai molti, producendo tutti quegli effetti di dipendenza precedentemente discussi. Tornando agli strumenti di misura, in assoluto lo strumento utilizzano più frequentemente negli studi con oggetto la dipendenza da Internet è stata la Chen’s Internet Addiction Scale (CIAS) sviluppata nel 2003, grazie alla sua ottima consistenza interna. La CIAS è una scala a 26 items con punteggio valutato su scala Likert a quattro punti che valuta i sintomi principali della dipendenza da Internet, quali uso compulsivo, tolleranza e ritiro. Essa, inoltre, indaga misure quantitative come il numero di ore spese settimanalmente su Internet e misure qualitative valutando l’esperienza su Internet nella sua totalità (Kuss et al., 2014).

Procedendo in ordine cronologico crescente, singolare è stato anche il contributo di Cantelmi e Talli (2007), i quali hanno proposto dei criteri articolati in sintomi overt (manifesti) e covert (occulti). Secondo tali autori per diagnosticare il disturbo era necessaria la presenza di almeno due sintomi overt e almeno due sintomi covert, per un periodo di tempo non inferiore ai 6 mesi. I vari ricercatori che si sono occupati dell’argomento hanno impiegato vari termini per descrivere questo fenomeno: uso patologico di Internet (Young, 1995 1998a, 1998b), uso problematico di Internet (Shapira, Goldsmith, Keck, Khosla, & McElroy, 2000), disturbo di dipendenza da Internet, o comportamenti di dipendenza da Internet (Widyanto & Griffiths, 2006). Ad oggi, tuttavia, non vi è alcun consenso sulla definizione precisa di dipendenza da Internet o anche sulla sua posizione come un disturbo a sé stante. Attualmente, infatti, l’Internet Addiction non è presente all’interno del DSM 5 (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), nonostante il crescente numero di ricerche degli ultimi 20 anni, anche se il suo ingresso è prossimo alla formalizzazione. L’unica dipendenza comportamentale presente nella versione 5 del DSM è il gioco d’azzardo patologico (gambling). Secondo Stephenson (1988), nella sua teoria “Play Theory of Mass Communication”, il motivo per cui gli individui diventano dipendenti da Internet è che il suo utilizzo genera una sorta di esperienza di comunicazione piacevole che stimola gli utenti ad utilizzarlo ancora e ancora, e che l’uso eccessivo li porta a sviluppare, col tempo, comportamenti di dipendenza. Secondo Suler (1999), invece, il punto focale sta nel fatto che molti utenti godono nel padroneggiare le varie caratteristiche tecniche di applicazioni e software, e computer e reti offrono un ciclo motivante e gratificante di sfida, sperimentazione, padronanza, e successo. Suler (1999), inoltre, sostiene che le persone hanno un bisogno innato di alterare la loro coscienza, per sperimentare la realtà da diversi punti di vista, e che il cyberspazio può essere una nuova ed importante arena in cui soddisfare tale esigenza. Più precisamente egli sostiene che gli individui sentono il bisogno di soddisfare sei esigenze particolari: (1) il sesso, (2) l’alterazione dello stato di coscienza, (3) la realizzazione e la padronanza, (4) il senso di appartenenza, (5) le relazioni, e (6) l’auto-realizzazione e la trascendenza di sé. Questo esigenze irrefrenabili spingono le persone a fare un uso sempre più frequente del Web fino a sviluppare forme di dipendenza.

Anche se alcuni sostengono che il termine “dipendenza” debba essere applicato solo ai casi connessi con determinate sostanze chimiche (ad esempio, Bratter & Forrest, 1985), criteri diagnostici simili sono stati applicati ad una serie di problematiche comportamentali come, ad esempio, il gioco d’azzardo patologico (Young, 1996a). La dipendenza da Internet rappresenta una caso tipico di dipendenza “comportamentale”, intesa come “l’essere eccessivamente preoccupati per le attività online, guidati da una motivazione incontrollabile ad eseguire il comportamento, dedicandovi tanto tempo e sforzi arrivando ad alterare altre importanti aree di vita “(Andreassen & Pallesen, 2014). Chi soffre di dipendenza da Internet, quindi, non frequenterebbe la Rete per necessità o per svago, ma risponderebbe ad un impulso incontrollabile e incontenibile di usare Internet per il maggior tempo possibile. L’impossibilità di collegarsi provocherebbe un grande disagio, un senso di privazione e di angoscia che può culminare in vere e proprie crisi d’astinenza (Zardini, 2014).

Fattori di rischio ben precisi conducono verso lo sviluppo di dipendenza da Internet, tra questi è importante ricordare il deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD) e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Con l’ADHD intendiamo la difficoltà del soggetto a mantenere la concentrazione sul compito, esso si dimentica facilmente cose abituali, è facilmente distraibile da stimoli esterni, ha difficoltà ad organizzarsi e pianificare il lavoro, non segue le istruzioni, non porta a termine le attività, perde gli oggetti e i materiali, ecc. (Macchia V. 2013). Il DOC, invece, è caratterizzato dalla frequenza, la ripetitività e la persistenza dell’attività ossessiva e la sensazione che tale attività sia imposta e compulsiva. Le ossessioni consistono in idee, immagini o impulsi persistenti che vengono esperiti come intrusivi e senza senso, causando ansia e disagio marcati. Le compulsioni, invece, sono definite come comportamenti ripetitivi (come lavarsi le mani, ordinare, controllare) o atti mentali (come pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che l’individuo sente di dover eseguire in risposta ad un’ossessione (Berra, L. 2002). Entrambi i disturbi sono caratterizzati da alta impulsività e scarso controllo inibitorio (ad esempio, Littel et al. 2012; Zermatten & Van der Linden, 2008). Un altro fattore di rischio significativo è il tempo, Young (1998) in un suo importante studio, ha registrato una media impressionante di 39 ore a settimana trascorsa online dai dipendenti da Internet, rispetto alle 5 ore dei non-dipendenti. Anche la ricerca del piacere online rappresenta un potenziale pericolo, pertanto, è possibile che coloro che sono depressi potrebbero servirsi dell’utilizzo di Internet per il “trattamento” della loro depressione (Chou, Condron, & Belland, 2005). Quindi, un aumento dei livelli di depressione comporta un aumento dell’utilizzo di Internet e dell’eventuale sua dipendenza. Young e Rogers (1998), inoltre, hanno proposto che troppo tempo passato online potrebbe aumentare i livelli di isolamento sociale, con conseguente aumento della depressione. In questa condizione di malessere, Internet diventa un sostituto per l’interazione sociale della vita reale e gli utenti possono finire catturati in un circolo vizioso (Chou, Condron, & Belland, 2005). Altri fattori di rischio sono rappresentati da alcuni tratti di personalità quali: ricerca di novità, bassa autostima, intolleranza della frustrazione, introversione, bassa stabilità emotiva, bassa coscienziosità e intraprendenza, impulsività e bisogno di evasione dalla realtà. Con intolleranza della frustrazione si intende la pretesa che la realtà dovrebbe essere come la vogliamo, tratto che è stato riportato essere associati a problemi di autocontrollo (Ko et al., 2008). In aggiunta, alcune variabili di carattere sociale possono avere un contributo importante nell’insorgenza del disturbo come ad esempio un basso adattamento sociale, stress, bassa soddisfazione universitaria, relazioni universitarie povere e profonda noia nel tempo libero (Kuss et al., 2014).

Young (2009) distingue tre tipologie di dipendenza da Internet: il gioco eccessivo, le occupazioni sessuali online (Cyber sex) e le occupazioni relative ad e-mail/sms. I social network sono un tipo di attività online in cui e-mail/sms sono predominanti. In questo caso, quindi, si può parlare di dipendenza da Social Network, tra i quali il più popolare è Facebook. Essendo una sorta di piattaforma per lo scambio di informazioni e un mezzo che permette di stabilire nuovi rapporti o mantenere quelli esistenti, Facebook ha un impatto enorme sulla vita sociale (Ellison, Steinfield, & Lampe, 2007). Negli ultimi anni la dipendenza da Facebook ha ricevuto grande attenzione. Essa è definita come l’eccessivo coinvolgimento in attività riguardanti la piattaforma e causa frequente di problemi nel funzionamento sociale (Elphinston & Noller, 2011).

Smahel, Blinka e Bradford Brown (2012) sostengono che gli adulti emergenti siano più suscettibili alla dipendenza da Internet rispetto agli adolescenti, perché, con l’aumentare dell’età, la supervisione degli adulti sul loro utilizzo di Internet diminuisce (come le restrizioni immesse sulla loro attività in Internet). Con il passaggio dall’adolescenza all’età l’età adulta (in genere alla fine delle scuole superiori o dell’università), diminuiscono le interazioni faccia a faccia dei giovani con i pari e il tempo passato da soli aumenta, lasciandoli vulnerabili all’uso di Internet per compensare i rapporti perduti o indeboliti con i pari. Senza controllo, un giovane può diventare eccessivamente coinvolto in attività online (Douglas et al, 2008; Yen, Yen, Chen, Chen, e Ko, 2007).

La dipendenza da Internet porta con sé numerosi esiti negativi che influiscono direttamente sulla vita del soggetto. Nello studio di Scherer (1997), il 13% degli intervistati riferiva che l’uso di Internet aveva interferito con le loro attività universitarie, le prestazioni professionali e la vita sociale. Tra questi, circa il 2% percepiva Internet come avente un effetto complessivo negativo sulla loro vita quotidiana. Tra i problemi riscontrabili innanzitutto vi era la distorsione del tempo, oltre alla perturbazione del matrimonio, i problemi finanziari, e i problemi relazionali (problemi sessuali, genitore-figlio, e di amicizia). Infine, tra gli esiti negativi, non va dimenticato il sonno breve e disturbato collegato anche a ridotto rendimento scolastico (Dewald, Meijer, Oort, Kerkhof, & Bögels, 2010).


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti


 

I bambini al tempo del Coronavirus

I bambini al tempo del Coronavirus

 

Una delle principali ripercussioni della diffusione della pandemia di Coronavirus si ha sulle relazioni e sulla vita sociale. Coloro che rischiano conseguenze anche gravi nel lungo periodo, sono in particolare i bambini e gli adolescenti i quali, per la fase di sviluppo che si trovano ad attraversare, hanno una forte necessità di relazionarsi con adulti e coetanei (di cui ho parlato in tema di aiuti alle famiglie, anche qui: https://sinapticamente.it/articolo/aiuti-alle-famiglie-al-tempo-del-coronavirus/ ), cosi da poter apprendere e mettersi alla prova nel tortuoso percorso di strutturazione della propria identità tipico di quegli anni.

Oltre all’impoverimento relazionale, altre conseguenze negative per loro possono essere un aumento del tempo trascorso davanti allo schermo, sia per seguire la didattica sia come intrattenimento alternativo alla scarsa attività fisica che riescono a fare e che, a sua volta, può portare ad un aumento di peso. A quest’ultimo può contribuire anche la tendenza a compensare le carenze, la noia e lo stress con il cibo. Altre conseguenze pervasive del prolungato isolamento sociale possono poi riguardare ad esempio lo sviluppo di ansia, disturbi del sonno o disregolazione emotiva.

Ma come parlare ai bambini ed aiutarli ad elaborare ciò che sta accadendo intorno a loro?

Ciò che i genitori possono fare è innanzitutto cercare di essere tolleranti e mantenere in casa un’atmosfera il meno stressante possibile, non facendo trapelare eccessivamente le proprie ansie e preoccupazioni (che vengono inevitabilmente assorbite dai piccoli) ma condividendo con loro, con parole semplici, come si sentono e perché, favorendo quindi il dialogo emotivo. È importante dunque tenere un atteggiamento rassicurante e positivo e cercare di mantenere regolarmente la rete sociale, tramite chiamate o videochiamate, per non alimentare il senso di abbandono dovuto all’isolamento o il senso di smarrimento che possono sperimentare vedendo stravolta la propria routine quotidiana.

Un ulteriore contenimento da attuare riguarda la noia, che a lungo diviene fonte di stress, per cui occorre cercare di impegnare i bambini con attività diversificate, ad esempio assegnando loro alcuni compiti casalinghi come riordinare o aiutare a cucinare o a sparecchiare, oppure prendendo spunto dai numerosi tutorial pubblicati sui siti delle scuole, divisi per classe e tipologia. Su di essi è possibile trovare infatti attività musicali, compiti manuali, video letture e molte altre idee originali utilizzabili per combattere la noia permettendo loro, allo stesso tempo, di non perdere completamente il contatto con la scuola e il programma didattico per loro previsto, mantenendo una certa regolarità e scansione del tempo durante il giorno. Un altro aspetto importante consiste nell’alimentare la progettualità, proponendo ad esempio ai bambini di creare delle liste di cose da fare sia giornalmente, sia quando finirà la quarantena.

Quindi cosa possono dire i genitori e gli insegnanti per cercare di spiegare ai bambini ciò che vedono?

Per evitare che sviluppino successivamente vere e proprie paure rispetto all’avvicinamento o al contatto sociale, che possono portare a comportamenti di evitamento delle situazioni ritenute minacciose, bisognerebbe insegnare loro a vedere ciò che accade da una prospettiva altruistica, per la quale non sono gli altri ad essere un pericolo ma dove, vista la facile trasmissibilità di questo virus, manteniamo temporanee misure di sicurezza per proteggere gli altri e di conseguenza anche noi stessi, tutti insieme. Anche riferirsi ad esperienze passate, come influenze o malattie di amici o parenti già vissute e superate, può essere un aiuto per far si che si riescano a rappresentare meglio ciò che avviene intorno a loro.

Non bisogna dimenticare poi anche l’importanza dell’attività fisica, che gioca un ruolo importante nel mantenimento dell’equilibrio cognitivo e quindi occorre cercare di alternare momenti di attività motoria a momenti di attività pratiche più sedentarie, così da favorirne il benessere psicofisico.

Se avete dubbi o domande sull’argomento, non esitate a contattarci per richiedere maggiori chiarimenti o suggerimenti.

 


© I bambini ai tempi del Coronavirus – Dott.ssa Alice Franceschini


 

Burnout ricerca e insegnanti: obiettivi e ipotesi

Burnout ricerca e insegnanti: obiettivi e ipotesi

 

La presente ricerca nasce a partire dal desiderio di comprendere parte delle esperienze nell’ambito lavorativo dell’insegnante. Gli obiettivi del seguente studio sono stati:

  • Osservare i fattori di rischio ed i fattori di protezione in un campione di insegnanti di scuole secondarie.
  • Verificare quanto le esperienze di lavoro positive e negative contribuiscano alla qualità della vita lavorativa

 

  • Metodo

Alla ricerca hanno preso parte 138 docenti. Il numero dei partecipanti volontari è pari a 70, tra cui donne (67%) e uomini (33%),con 7 scuole di afferenza. L’età media del campione era pari a 50 anni (M= 50,4, DS=8,7).

 

  • Procedura

Lo studio è stato condotto da Luglio 2018 a Febbraio 2019, approfondendo prima la letteratura in merito al burnout ed implementando poi le linee guida alla base della futura ricerca. Il questionario utilizzato è stato caricato sulla piattaforma Google Docs. Il link è stato inviato tramite e-mail ad un campione di convenienza di 138 soggetti. I criteri d’inclusione allo studio sono stati: uomini e donne attualmente docenti in una scuola secondaria della Sicilia. Il modulo Google era composto da due test: Leiden Quality of Work (Margot van der Doef e Stan Maes ,1999) e Maslach Burnout Inventory (Maslach e Jackson, 1981). Il primo è stato interamente tradotto dall’inglese in italiano; per quanto concerne l’MBI è stato invece preso in esame l’adattamento italiano di Sirigatti e collaboratori (1988).

  • Strumenti

In genere, buona parte degli studi su questo argomento sono stati realizzati su docenti appartenenti a scuole secondarie. Inoltre, considerato che la maggior parte degli strumenti utilizzati in campo internazionale sono stati adattati per questa tipologia di campione, risulta opportuno indagare il rapporto tra le variabili considerate su un campione con parametri simili.

Gli strumenti che sono stati utilizzati sono:

Leiden Quality of Work (Margot van der Doef e Stan Maes, 1999): si tratta di uno strumento psicometrico formato da 60 items sulla vita lavorativa. Nel questionario della ricerca sono stati presi in esame 41 items (es. factor loading considerati: potere decisionale, controllo delle attività, supporto sociale del dirigente, soddisfazione lavorativa etc.). Ogni item presenta una scala di risposta a 5 punti con ancoraggi da: 1. Molto d’accordo a 5. Per niente d’accordo.

Maslach Burnout Inventory (adatt. Italiano, Sirigatti et al., 1988): questa scala è stata messa a punto da Maslach e Jackson (1981); si tratta dello strumento maggiormente impiegato per identificare le dimensioni psicologiche che sostanzierebbero la sindrome del burnout. Lo strumento è formato da 22 item: ciascuno di essi si inserisce in uno dei tre diversi fattori, quali esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione professionale.

È stato utilizzato l’adattamento italiano a cura di Sirigatti e collaboratori (1988) su una scala di frequenza a 7 punti (1. Mai; 2. Qualche volta all’anno; 3. Almeno una volta al mese;4. Più volte al mese; 5. Una volta alla settimana; 6. Più volte alla settimana; 7. Tutti i giorni).


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza


 

Coronavirus: Ridare valore alle piccole cose

Ridare valore alle piccole cose

 

In questa situazione di emergenza siamo stati sicuramente costretti a dover cambiare le nostre abitudini, dalle più cattive alle più sane.

Nel mondo che è cambiato e che si è adattato alla modernità si è perso di vista l’importanza ed il valore delle piccole cose.

Abituati ad avere tutto non ci si accontentava più delle cose umili e non si apprezzavano i piccoli gesti che costavano fatica e sacrificio alle persone a noi care. Non si passava più il tempo a casa, in famiglia. Il lavoro è sempre stata la principale preoccupazione, riempiendo le nostre giornate di impegni e di stress.

Abbiamo vissuto la vita a rincorrere il tempo, che non ci bastava mai, piuttosto che viverlo ed ascoltarci.

Ma ora, per salvarci, siamo stati costretti a fermarci e a capire, ritrovando il senso della vita e delle piccole cose.

Soffermarsi su sè stessi e sui propri bisogni è qualcosa di impossibile se si vive in un mondo frenetico, all’insegna dell’accondiscendenza e del guadagno.

Spesso ciò che facciamo non corrisponde a ciò che vogliamo e a quello di cui abbiamo bisogno.

Beh, questa situazione imprevista ed imprevedibile sicuramente ci ha aiutato a comprendere il valore di alcune cose che sembrava fossero andate perdute, come il ritorno di una vera e propria vita in famiglia; il piacere di leggere dei buoni libri; apprezzare i piccoli gesti, come un sorriso o uno sguardo; imparare a fare la massa per pane, pizze e dolci con le proprie nonne, mamme e sorelle e soprattutto il valore di Sé stessi.

Quando tutto questo finirà non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla vita precedente. Chi, potendo, lascerà il posto di lavoro che per anni lo ha soffocato ed oppresso. Chi prenderà decisioni importanti, come un figlio o il matrimonio. Chi si interrogherà sulle scelte fatte e sulle rinunce.

Questa è la quarantena dei valori ritrovati.

 


© Le relazioni ai tempi del coronavirus – Dott.ssa Chiara Costanzi