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Fattori intervenienti nel rapporto tra individuo ed internet

Fattori intervenienti nel rapporto tra individuo ed internet

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Il ventunesimo secolo si caratterizza per l’avvento del cosiddetto mondo digitale di cui Internet rappresenta il principale mezzo di espressione. Al giorno d’oggi navigare online è divenuto parte integrante del nostro vivere, nonché strumento di lavoro essenziale per le organizzazioni. Il processo di globalizzazione, grazie soprattutto ad Internet, ha reso possibile il contatto con ogni paese e realtà del mondo promuovendo un utilizzo della rete sempre più diffuso. Diviene, dunque, una sfida stimolante per gli studiosi comprendere come le persone si comportano quando accedono ad Internet e come sono influenzati dal suo utilizzo. Internet rappresenta un eccellente strumento che può essere utilizzato dall’uomo come organo funzionale a diversi scopi, ma allo stesso tempo in maniera disfunzionale compromettendo, in questo caso, la qualità della vita. Le abilità umane possono far sì che un qualsiasi strumento, utilizzato nel modo giusto, risulti un utile organo funzionale nell’aiutare le persone a raggiungere i propri obbiettivi. Risulta, quindi, interessante individuare quali sono i fattori che inducono gli utenti e in questo caso gli emerging adults a fare un uso positivo o negativo di Internet. Uno degli aspetti fondamentali nelle transizioni degli emerging adults è sicuramente il supporto sociale e il ruolo giocato dalla Rete su tale aspetto (Mazzoni & Iannone, 2014). Il supporto sociale è stato definito come “le risorse fornite da un’altra persona” (Cohen & Syme 1985) o “come le risorse o beni sociali che le persone ricercano quando hanno bisogno di assistenza, consigli, approvazione o protezione”. L’assistenza sociale fornita dai membri del gruppo porta alla fedeltà (Wang & Wang, 2013). Non è tuttavia presente una definizione unanime di supporto sociale, né tantomeno una chiara concettualizzazione del costrutto (Cohen and Syme, 1985; Donald and Ware, 1984). Sherbourne e Stewart (1991) hanno cercato di misurare i componenti funzionali del supporto sociale:

(1) sostegno emotivo, che riguarda cura, amore e simpatia, (2) supporto strumentale, che fornisce assistenza materiale o assistenza comportamentale e citato da molti come “supporto tangibile”, (3) supporto informativo, che offre orientamenti, consigli, informazioni, o feedback che possano fornire una soluzione ad un problema, (4) supporto affettuoso che coinvolge espressioni di amore e affetto, e (5) compagnia sociale che prevede il trascorrere il tempo libero con le persone in attività ricreative.

Come risorsa psicologica ha dimostrato di tamponare l’effetto degli eventi stressanti e di avere un effetto diretto sul benessere personale (Cohen & Wills, 1985). Rozzell et al. (2014) hanno dimostrato che la percezione di supporto sociale può essere “veicolata” attraverso Internet e quindi migliorare il benessere dell’utente. Anche se Internet è diventata una risorsa importante per informazioni e intrattenimento, poco si sa circa i modi in cui gli individui utilizzano questa tecnologia per la ricerca di sostegno sociale. Grazie alle conversazioni online la persona può percepire una “vicinanza emotiva” sentendosi positivamente supportata. Alcuni studi in ambito clinico, si sono concentrati sul rapporto tra supporto sociale online e sviluppo di alcune patologie. Recenti ricerche hanno scoperto che i gruppi di supporto basati su Internet, tra cui Newsgroup, bacheche e liste per specifiche condizioni mediche hanno avuto successo nel migliorare alcuni risultati intermedi del paziente negli studi clinici (Brennan et al., 1995; Gallienne et al., 1993) e in particolare nei pazienti con AIDS (Brennan et al., 1991). Nello specifico questi studi hanno dimostrato che l’uso di un sistema di comunicazione computerizzato ha ridotto l’isolamento auto-segnalato in un processo di AIDS e ha portato ad una maggiore fiducia della famiglia nelle capacità di cura dei caregivers (Brennan et al., 1995; Gallienne et al., 1993; Brennan et al., 1991). Riguardo, invece, alla depressione, patologia ampiamente diffusa durante l’emerging adulthood, è stato dimostrato che partecipare con frequenza a gruppi di supporto su Internet è direttamente collegato con il superamento del disturbo nel breve/lungo periodo (Houston et al., 2002). Inoltre, come sostenuto da Oh, Ozkaya, & LaRose (2014), avere un maggior numero di amici sui Social Network Sites aumenta la quantità di interazioni di supporto intrapresa, che a sua volta migliora le influenze positive sperimentate. La ricerca di supporto sociale online porta, però, con sé dei rischi. Un recente studio ha concluso che una maggiore quantità di interazioni online può, in alcuni casi, essere dannoso al benessere (Chan, 2015). In questo caso l’utilizzo di Internet può portare ad un processo di “strumentalità inversa” (Ekbia & Nardi, 2012). In particolare Caplan (2003) ha trovato che impegnarsi in interazioni sociali online può portare allo sviluppo di un uso problematico di Internet (PIU), ovvero un’inabilità a controllare l’utilizzo della Rete, il che provoca conseguenze negative nella vita dell’individuo. Egli innanzitutto ha dimostrato che preferire l’interazione sociale online all’interazione “faccia a faccia” aumenta gli esiti negativi di Internet sulla propria vita. Inoltre, nei casi più estremi, da un utilizzo problematico di Internet si può passare ad una vera e propria dipendenza (Internet Addiction). Rilevante è il lavoro di Casale, Fioravanti, Flett, & Hewitt (2014) i quali hanno individuato che percepire un basso sostegno sociale offline, esibito dalla rete di contatti della vita reale da quelli amicali a quelli familiari, aumenta le probabilità di sviluppare un uso problematico di Internet. Questo perché il soggetto ricerca online il supporto sociale che non trova nella vita reale. All’opposto Wang & Wang (2013) sostengono che il supporto sociale offline ha una relazione negativa con l’uso problematico di Internet. La spiegazione è fornita da Swickert et al. (2002) i quali esprimono che nello studio del rapporto tra Internet e supporto sociale devono essere indagati gli effetti moderatori. Secondo il gruppo di studiosi il supporto sociale offline ha un effetto moderatore sul supporto sociale online nel determinare gli effetti di quest’ultimo sull’uso problematico di Internet e sul benessere. La loro domanda di ricerca è così esplicitata: il sostegno sociale offline è un moderatore tra il sostegno sociale online, l’uso problematico di Internet e la soddisfazione di vita. Quindi se l’individuo cerca sostegno sociale online, lo fa allo scopo di compensare la debole linea sociale offline, con alto rischio di sviluppare un uso problematico di Internet. Di conseguenza il sostegno sociale online predice positivamente l’uso problematico di Internet solo quando il sostegno sociale offline è basso. Per concludere, il sostegno sociale online predice soddisfazione di vita solo quando il sostegno sociale offline è alto.

Un altro fattore molto importante nel rapporto tra utente ed Internet è l’assorbimento cognitivo. Precedenti ricerche (Mazzoni, Baiocco, Cannata in press) ne hanno sottolineato la grande importanza nell’utilizzo della Rete. Tuttavia, non è ancora chiaro se l’assorbimento cognitivo protegge contro un uso improprio di Internet, o se si tratta di un antecedente ad esso. Chiaro è però il suo ruolo di mediazione riguardo all’uso problematico. L’assorbimento cognitivo è stato spesso reso operativo attraverso il concetto di “flow” (Nakamura & Csikszentmihalyi, 2002). Rettie (2001) ha descritto il flow come la forza che le persone rivolgono allo schermo mentre si impegnano in attività in Rete. Tale concetto è stato utilizzato per prevedere i risultati positivi dell’uso di Internet, come l’apprendimento degli utenti (Choi, Kim & Kim, 2000; Hoffman e Novak, 1996; Skadberg & Kimmel, 2004), le prestazioni (Huang, 2003) e la soddisfazione (Shin, 2006; Woszcynski, Roth & Segars, 2002). Quando si utilizza Internet, può risultare estremamente difficile distinguere tra l’uso degli artefatti culturali (utilizzo funzionale) e le attività che sono molteplici e sovrapposte (Chen, Wigand & Nilan, 1999). Questo perché vi sono due modi di vivere il flow: navigare sul Web per completare un compito (goal-directed) o farlo per l’intrinseco piacere dell’attività (Novak & Hofman, 2003; Ponti & Florsheim, 2008). Uno degli strumenti più interessanti che possono essere utilizzati per valutare l’assorbimento cognitivo è la scala elaborata da Agarwal e Karahanna (2000). Il costrutto, derivato da studi sul flow e specificamente progettato per l’utilizzo di Internet, si compone di cinque dimensioni, di cui due rivestono un’importanza particolare: la dissociazione temporale e l’immersione focalizzata. La prima è definita da Argawal e Karahanna (2000) come “l’impossibilità di registrare il passaggio del tempo mentre si è impegnati nell’interazione online” e si può rappresentare con affermazioni del tipo: “il tempo sembra andare molto rapidamente quando utilizzo il Web” o “a volte perdo la cognizione del tempo quando utilizzo il Web”. L’Immersione focalizzata è invece l’esperienza di impegno totale in cui altre richieste di attenzione sono ignorate (Argawal & Karahanna 2000) e si esplicita con le seguenti affermazioni: “durante l’utilizzo del Web sono in grado di bloccare la maggior parte delle distrazioni”, e “mentre utilizzo il Web, sono assorbito totalmente in quello che sto facendo”. Come suggerito da Rutkowski, Saunders, Vogel e van Genuchten (2007), la dissociazione temporale e l’immersione focalizzata sembrano rappresentare diversi modi di essere impegnati con Internet, dove il primo risulta strettamente legato all’uso dello Smartphone e il secondo al completamento di compiti specifici. Lo studio di Rutkowski, Saunders, Vogel e van Genuchten (2007) dimostra che la dissociazione temporale è correlata positivamente all’uso problematico di Internet, al contrario dell’immersione focalizzata.

Un’altra variabile di grande importanza riguardo all’utilizzo di Internet è l’autocontrollo. Autocontrollo, vale a dire la capacità di controllare o regolare le proprie emozioni, cognizioni e comportamenti, è una competenza di vita fondamentale (Gottfredson e Hirschi, 1990; Vazsonyi & Huang, 2010) e uno scarso autocontrollo è stato considerato, in primis, come un fattore predittivo di disadattamento sociale (Cecil, Barker, Jaffee, e Viding, 2012).  Quando questo è basso l’aspettativa di ricevere una gratificazione dal Web è l’impulso principale nell’utilizzo di Internet. Alcuni studi (Davis, 200; LaRose, Mastro & Eastin, 2001) hanno dimostrato che un basso autocontrollo è un predittore di un uso problematico di Internet e di comportamenti compulsivi legati all’utilizzo della Rete. Si può, quindi, dedurre che gli utenti con un basso autocontrollo hanno più difficolta a resistere alla tentazione di Internet risultando più vulnerabili difronte ai rischi correlati. L’indagine di Li et al. (2014) dimostra l’effetto diretto del comportamento dei genitori e dell’auto-controllo sulla dipendenza da Internet. I ragazzi che sperimentano un controllo ed un supporto più negativo dei genitori sono coloro che, di conseguenza, hanno una bassa capacità di controllare se stessi ed una probabilità maggiore di sviluppare una dipendenza da Internet. Collegata a questa variabile vi è il concetto di autodirezionalità, legata precisamente all’utilizzo di strumenti multimediali, un fattore che è risultato essere positivamente correlato all’uso problematico di Internet (Ha et al.,2007; Montag, Jurkiewicz & Reuter, 2010; Montag et al. 2011; Sariyska et al., 2015). Con questo costrutto si fa riferimento al tratto della personalità che rappresenta la capacità di regolare/indirizzare il comportamento difronte ad una particolare situazione (Cloninger, Svrakic & Przybeck, 1993). Le più recenti teorie in materia di autoregolazione (Heatherton, 2011) considerano infatti l’autodirezionalità come una somma di diversi fattori tra i quali l’autocontrollo. Al fine di regolare il comportamento non è solo importante averne il controllo, ma è anche necessario essere consapevoli della differenza tra l’azione eseguita e l’azione desiderata o giusta (Mindfulness). Pertanto, la Mindfulness, intesa come “la consapevolezza dell’obbiettivo esperienziale “, può essere un fattore importante nella regolazione comportamentale e vista come una proprietà psicologica che può essere coltivata o impoverita”(MacKillop & Anderson 2007).

Un altro fattore di grande rilevanza da tenere in considerazione è l’autostima, che ha dimostrato essere un valido predittore di vari comportamenti compulsivi legati ai nuovi media (Capelli, Reanaud & Ramsey, 2007; Ehereberg, Juckes, White & Walsh, 2008; Kardefelt-Winther, 2014b; Kheng, Kim & Kim, 2013; Yurchisin & Johnson, 2004). La Rete in questi casi viene utilizzata per costruire l’immagine di sé. Secondo la teoria cognitiva di Davis (2001), una bassa autostima è fondamentale nello sviluppo di pensieri disadattivi che possono portare ad un uso patologico di Internet. Valkenburg, Peter e Schouten (2006) in uno studio su un campione di adolescenti olandesi hanno dimostrato, invece, che i feedback ricevuti attraverso il Web (like, commenti e contatti) potevano migliorare o impoverire la loro autostima. Tale risultato è stato confermato anche in un campione di studenti cinesi e taiwanesi, fornendo una prova cross-culturale. Ahn e Shin (2013) hanno spiegato come le persone con bassa autostima non sono mai veramente soddisfatte con l’uso della Rete e sono molto più a rischio di diventare compulsive. Studi sull’autostima implicita (Stieger & Burger, 2010) hanno dimostrato che le persone con alti livelli di dipendenza da Internet mostrano anche elevati livelli di autostima implicita. Questo modello, chiamato “l’autostima danneggiata”, è collegato con la solitudine e la depressione (Creemers et al, 2012) ed è tipico di quelle persone che hanno “imparato” a svalutarsi dopo esperienze sociali negative. Di conseguenza, tenendo conto degli spunti dei vari autori riguardo al costrutto dell’autostima, si può sostenere che la condizione di solitudine conduce gli individui ad un incremento nell’utilizzo di Internet, il quale potrebbe facilmente trasformarsi in un uso problematico con il passare del tempo. Questo studio si pone l’obbiettivo di valutare la relazione tra autostima e utilizzo della Rete (utilizzo dei social network più nello specifico).

Tutte le correnti esposte fino ad ora vedono Internet come uno strumento in grado di fungere o da risorsa funzionale ai propri scopi pratici (organo funzionale) o di condurre verso un processo di strumentalità inversa. Secondo Mazzoni, Baiocco e Benvenuti (2015) è sbagliato vedere solo il lato negativo dell’utilizzo di Internet perché non si può trascurare il suo potenziale funzionale, guidati dalla consapevolezza dei pericoli che può comportare. Questi autori, innanzitutto, abbracciano l’approccio della tecnologia positiva che vede la Rete come una risorsa in grado di migliorare alcuni aspetti della vita delle persone. In secondo luogo prendono le distanze dal “dualismo” espresso dalla maggior parte degli studiosi e propongono un quadro teorico alternativo che interpreta l’uso di Internet come continuum i cui estremi sono “organo funzionale” e “strumentalità inversa”, ma dove c’è tanto altro “nel mezzo”. Per concludere, gli autori sostengono che trovare gli elementi che svolgono un ruolo importante nel determinare il tipo di utilizzo che la persona fa di Internet, non solo sarebbe utile per tamponare i rischi associati alla Rete, ma sarebbe anche in grado di migliorare gli esiti positivi legati al suo utilizzo.


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti


La solitudine ai tempi del coronavirus

La solitudine ai tempi del coronavirus

 

In questo momento difficile la tendenza dell’essere umano è quella di riunirsi, di stare insieme, di abbracciarsi.

Ma questa tendenza naturale ore non è possibile, in questo periodo non possiamo stare fisicamente insieme, non possiamo abbracciarci, non possiamo avere contatti con le altre persone, nemmeno con i nostri stessi parenti e amici.

Siamo animali sociali e tutto questo isolamento non ci sta facendo bene. In particolare pensiamo a quelle persone che sono sole, che magari hanno i loro parenti lontani, che non hanno un compagno/a con cui vivere e che quindi stanno tutto il giorno solo in compagnia della solitudine.

La solitudine fa paura, non siamo abituati a convivere con Lei, anzi spesso la allontaniamo.

Ma adesso non si può sfuggire ad essa. La quarantena e l’isolamento ci mettono davanti ai noi stessi, ci obbligano a fare i conti con i nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre paure e le parti di noi dalle quali continuamente scappiamo.

La solitudine, amplificata da questa situazione, ci obbliga alla riflessione e all’introspezione. Quindi è vero la solitudine fa paura ma è anche una grande opportunità.

Fermiamoci un po’ con noi stessi e capiamo da cosa stiamo scappando, cosa stiamo allontanando, chi siamo veramente e soprattutto cosa vogliamo veramente.

Cogliamo tutto di questo periodo, anche lo stare soli, come una vera e proprio occasione.

È difficile è vero ma è ci potrà permettere di vivere un domani migliore, facendo in modo di non commettere gli stessi errori che facevamo prima e modificando quello che abbiamo capito non essere adatto per noi.

 


© Le relazioni ai tempi del coronavirus – Alessia Bottiglieri


 

Burnout La ricerca sugli insegnanti: Introduzione

La ricerca sugli insegnanti

“Quando il mondo cessa di essere il luogo dei nostri desideri e speranze personali, quando l’affrontiamo come uomini liberi, osservandolo con ammirazione, curiosità e attenzione, entriamo nel regno dell’arte e della scienza. Se usiamo il linguaggio della logica per descrivere quel che vediamo e sentiamo, allora ci impegniamo in una ricerca scientifica. […] Elemento comune alle due esperienze è quella appassionante dedizione a ciò che trascende la volontà e gli interessi personali.”  (A. Einstein, 1954)

 

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Introduzione

Lo stress (Selye,1976) è il costrutto al quale può essere ricondotta la gamma più ricca delle diverse forme di disagio lavorativo (Cooper, 1981). La persona che sta male nel contesto lavorativo risponde nella maggior parte dei casi in termini di distress con gradi diversi di negatività ed intensità (Leiter e Maslach, 2003). A questo proposito, la sindrome del burnout è l’esito di una condizione lavorativa stressante, a cui la persona non ha saputo o potuto rispondere in modo adeguato; il burnout ha un’insorgenza graduale ed è la conseguenza di uno stress cronico (Peddiztsi e Nonnis, 2014). Il primo modello fu quello di Maslach (Maslach, 1982), per il quale la sindrome è caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale, e può insorgere in operatori che lavorano a contatto diretto con le persone (per un approfondimento si rimanda al capitolo primo e secondo). Negli ultimi anni il burnout ha attirato notevolmente l’attenzione dei ricercatori, portando alla pubblicazione di numerosi articoli. Questo grande interesse nasce dalle varie conseguenze che esso comporta sia a livello individuale che collettivo. Diversi altri recenti studi hanno utilizzato lo strumento MBI di Maslach ed il rispettivo modello (Maslach, 1982), consentendo di comparare i risultati delle ricerche con una vasta letteratura internazionale nel campo delle professioni di servizio agli altri.

Per quanto concerne la professione dell’insegnante, Maslach e collaboratori (Maslach, 1982; Sirigatti e Stefanile, 1993) misero in evidenzia che gli insegnanti in burnout possono manifestare verso i propri allievi atteggiamenti di cinismo ed indifferenza, utilizzando etichette offensive, atteggiamenti freddi e distaccati, distanza fisica e psicologica dagli allievi, disagio psicologico. I dati raccolti in Italia dal Distretto Sanitario di Milano dal gennaio 1992 al dicembre 2003, nella valutazione dell’idoneità al lavoro di numerosi dipendenti pubblici (insegnanti, impiegati, operatori sanitari e operai), hanno rivelato che il rischio da parte degli insegnanti di sviluppare disturbi psichiatrici è da 2 a 3 volte superiore a quello di impiegati, operatori sanitari e cosiddetti colletti blu (Lodolo D’Oria et al.,2004). Uno studio condotto nel 2009 (Lodolo D’Oria et al., 2005) su 1.295 insegnanti provenienti da dieci diverse regioni italiane, ha evidenziato che gli insegnanti sono inconsapevoli dei rischi per la salute legati al loro lavoro. Un altro studio condotto in Italia su un campione di 697 insegnanti di diversi ordini scolastici (Guglielmi et al., 2005) ha evidenziato la fatica mentale nella mediazione tra le richieste di lavoro degli insegnanti e le conseguenze dello stress. La letteratura sul burnout degli insegnanti da tempo infatti si interroga sulle possibili determinanti della sindrome, andando a ricercare fra una molteplicità di variabili (individuali, sociodemografiche, relazionali, organizzative) i principali predittori di burnout. Per quanto riguarda l’età di insorgenza della sindrome, alcune ricerche sugli insegnanti sostengono che il burnout si manifesti con maggiore frequenza nei primi anni di lavoro (Maslach e Leiter, 2000; Santinello, 2007), altre invece sottolineano un incremento della vulnerabilità al burnout che si verifica all’aumentare dell’anzianità di servizio, a causa delle limitate energie e risorse da investire nelle attività lavorative (Mearns e Cain, 2003). Si ritiene opportuno inserire quanto riportato nell’articolo di Peddiztsi e Nonnis (2014) a questo proposito.

“Gli insegnanti che lavorano con studenti di scuola secondaria di primo e secondo grado tendono ad avere livelli più bassi di realizzazione personale rispetto ai loro colleghi della scuola primaria (Hall-Kenyon et al., 2013; Ullrich et al., 2012) e hanno anche più frequenti sentimenti di depersonalizzazione (Pedditzi et al., 2012). Gli insegnanti maschi tendono ad ottenere punteggi più alti nella scala della depersonalizzazione (Skaalvik e Skaalvik, 2007; Pinelli et al., 1999), e le insegnanti invece tendono a totalizzare punteggi più alti nell’esaurimento emotivo ( Pedditzi et al., 2012).Sul fronte delle relazioni interpersonali, diversi studi evidenziano come fonte di burnout dei docenti la mancanza di cooperazione con i genitori degli alunni, associata al disinteresse degli stessi genitori per la crescita educativa dei propri figli ( Skaalvik e Skaalvik, 2007),nonché il rapporto con studenti problematici e l’incapacità dell’insegnante di far fronte alle condotte turbolente, iperattive, pericolose e indisciplinate di questi, la demotivazione allo studio, la scarsa cooperazione per il raggiungimento degli obiettivi didattici, la presenza di aule sovraffollate (Di Pietro e Rampazzo, 1997; Francescato et al., 1994; Pinelli et al., 1999). A questo proposito, diversi studi si concentrano sulle implicazioni che il burnout può avere sul piano educativo e dei processi di apprendimento scolastico. La sindrome può avere infatti un impatto negativo non solo sullo stato di salute e benessere dell’insegnante e dell’organizzazione scolastica, ma anche sulla relazione docente-allievo e sul processo di insegnamento-apprendimento (Pas, et al., 2010; Pedditzi, 2005; Spilt et al., 2011). Fra le variabili organizzative, studiate in relazione al burnout dei docenti si considerano: il conflitto, la partecipazione alle decisioni, il sistema retributivo, l’autonomia, il clima e le reti di supporto sociale (Aluja et al., 2005; Collie et al., 2012; Burns e Machin, 2013; Lodolo D’Oria et al., 2004; Maslach e Leiter, 2000; Olivas e Martinez, 2012). Si evidenzia in particolare lo squilibrio fra le condizioni di elevato sforzo a fronte delle scarse ricompense percepite (Zurlo et al., 2007). Tra i fattori individuali coinvolti nello stress dei docenti, alcuni studi si soffermano sull’immagine ideale e reale di sé in relazione al proprio lavoro (Pedrabissi e Santinello, 1990). Sarebbero a questo proposito più vulnerabili al burnout i docenti che hanno scelto la professione di insegnante come un ripiego e coloro che hanno compiuto questa scelta spinti da motivazioni idealistiche (Hong, 2010; Hong, 2012). L’immagine di sé e del proprio ruolo e le convinzioni personali dei docenti (Gong,2012) risultano interconnesse all’impegno nel proprio lavoro (Day et al., 2013; Spilt et al., 2011) e sono in grado di influenzare l’autostima personale e professionale. Da diversi anni in Italia6il disagio e l’insoddisfazione dei docenti spesso si associa all’immagine che l’opinione pubblica rimanda agli insegnanti che a fronte della loro bassa retribuzione economica (agli ultimi posti nelle classifiche internazionali), vengono considerati fruitori di una condizione privilegiata, legata ai loro tempi di lavoro.Il tema dell’orario di lavoro infatti risulta essere uno degli argomenti sul quale convergono il dissenso e il conflitto tra la scuola e l’opinione pubblica che spesso non tiene conto dell’orario lavorativo extra-scolastico dei docenti. Si evidenzia anche (Favretto, 1990) il ridotto riconoscimento sociale della categoria professionale rispetto a un passato in cui gli insegnanti godevano di maggiore prestigio sociale (Favretto, 1990). Anche sul versante familiare, l’immagine che il docente ha di sé tende a risentire del conflitto famiglia-lavoro e del carico di lavoro (spesso da portare a casa), ai quali possono associarsi altre esigenze personali e conflitti coniugali. L’interfaccia famiglia-lavoro (Cooper et al., 2009; Sutherland e Cooper, 1988; Hultell e Gustavsson, 2011), e nello specifico il conflitto fra le esigenze familiari e quelle lavorative (Chan et al., 2000; Innstrand et al., 2008), vengono pertanto considerate in relazione allo stress dei docenti. A tal proposito, diversi recenti studi si concentrano sulle risorse che possono moderare gli effetti negativi dello stress e il conflitto famiglia-lavoro e in particolare: il supporto sociale (Greenglass, 1994), la flessibilità (Chan et al. , 2000; Eek e Axmon, 2013), la padronanza (Hultell e Gustavsson, 2011), le strategie di coping (Doménech Betoret et al., 2010; Mearns e Cain, 2003), la resilienza (Doney, 2013) e l’autoefficacia dei docenti (Schaufeli et al., 2008; Schwarzer e Hallum, 2008; Simbula e Guglielmi, 2011).” Peddiztsi e Nonnis (2014).

A ciò si collega l’articolo di Rosa e Alessandri (2009) noto come “L’efficacia dei docenti: come promuovere l’impegno nell’organizzazione e la soddisfazione lavorativa”. L’articolo (Rosa e Alessandrini, 2009) dichiara che: “[…] le profonde trasformazioni del sistema scolastico, unitamente alla variazione della composizione demografica del contesto nazionale, hanno innescato una profonda riconsiderazione del ruolo del docente, ampliando e diversificando l’impegno richiestogli ed assegnando una funzione centrale all’aggiornamento continuo (Trombetta, 1997; Drago, 2006). All’interno della struttura organizzativa scolastica risulta di particolare rilievo il coinvolgimento attivo e la partecipazione consapevolmente critica di tutte le sue componenti: la partecipazione favorisce condizioni di benessere organizzativo ed individuale. Tra le variabili prese in considerazione, in questo studio, l’impegno nell’organizzazione scolastica e la soddisfazione lavorativa dei docenti risultano prioritari nella progettazione ed implementazione di programmi di prevenzione. Le variabili vengono studiate all’interno del quadro di riferimento della teoria sociale cognitiva di Bandura [4, 5], che vede nel soggetto ‘agente’ il perno dello sviluppo e del cambiamento umano; l’individuo è capace di influenzare intenzionalmente la qualità e la tipologia degli eventi che caratterizzano la propria esistenza: influenza l’ambiente e ne viene influenzato. All’interno della teoria sociale cognitiva le convinzioni di efficacia personale degli individui, ovvero la convinzione di essere capace di produrre determinati effetti con le proprie azioni, rappresentano il fondamento dell’«agentività» (Bandura, 2001). Quando tali convinzioni sono abbastanza elevate, gli individui sono portati ad intraprendere le attività necessarie al conseguimento di determinati scopi, a sentirsi dunque attori e non spettatori, a resistere con più forza di fronte agli ostacoli che si frappongono al raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Le convinzioni di autoefficacia, considerate al pari di altri fattori associati con la prestazione lavorativa (ad es. l’anzianità di servizio, la soddisfazione lavorativa, il profilo di personalità), predicono in maniera più puntuale il rendimento degli individui all’interno dei contesti organizzativi (Bandura, 1997). All’accrescere della complessità dei sistemi sociali, quando l’efficienza di un determinato contesto richiede la capacità di tutti i partecipanti di mettere in comune abilità e capacità per concorrere al successo, come nell’organizzazione scolastica, oltre alle convinzioni di efficacia personale è importante prendere in considerazione il ruolo svolto dalle ‘convinzioni di efficacia collettivà (Bandura,2000). Come le convinzioni di autoefficacia, anche quelle di efficacia collettiva prendono in esame un giudizio individuale rispetto alla possibilità di influenzare, agire causalmente, o confrontarsi in maniera efficace, con specifici ambiti di esperienza.

Tuttavia, a differenza dell’efficacia personale, le convinzioni di efficacia collettiva colgono una caratteristica emergente a livello di gruppo (Bandura, 2000; Gibson et al., 2005); nel caso specifico della scuola, l’insegnante percepisce l’efficacia del corpo docente e della struttura organizzativa in generale nel far fronte alle nuove sfide che via via gli si presentano.

[…] Nel nostro paese recenti studi hanno mostrato che le convinzioni di autoefficacia degli insegnanti influenzano sia la loro soddisfazione, sia l’attaccamento che hanno verso l’organizzazione nella quale lavorano (Caprara et al., 1999; Caprara et al., 2003). Inoltre è stato evidenziato che le convinzioni di efficacia degli insegnanti possono influenzare le concezioni che gli studenti hanno di sé e, di conseguenza, anche il loro rendimento scolastico (Ross, 1998; Caprara et al., 2006).  Caprara e colleghi hanno recentemente proposto un modello concettuale (Caprara, 2003) che rappresenta una cornice di riferimento, ben validata all’interno del contesto scolastico italiano, per comprendere i fattori che influenzano il coinvolgimento lavorativo, l’impegno nell’organizzazione e la soddisfazione professionale dei docenti. In questo modello le convinzioni di autoefficacia svolgono il ruolo principale in una intricata catena causale che rende conto dei livelli motivazionali dei docenti. Si ipotizza, infatti, che le percezioni dell’ambiente medino l’influenza dell’efficacia personale su quella collettiva, e che quest’ultima influenzi l’impegno e la soddisfazione lavorativa dei docenti. Per percezioni della qualità del contesto scolastico si intende la valutazione soggettiva della qualità della dirigenza, delle relazioni con i propri colleghi, con gli alunni, con le famiglie e con i membri del personale ausiliare tecnico amministrativo (ATA), oltre all’efficienza della segreteria ed allo stato della struttura scolastica. Questo modello è stato testato su un’ampia popolazione di insegnanti di scuola secondaria di secondo grado, tuttavia ad oggi nessuno studio ha esaminato la bontà di questo modello negli ordini di scuola inferiori, ovvero quello primario e quello secondario di primo grado. Comprendere la generalizzabilità di tale modello attraverso i diversi ordini scolastici è essenziale alla luce della diversità delle competenze degli insegnanti, della qualità e del peso dei fattori contestuali e personali che possono incidere sull’impegno e sulla soddisfazione del docente al variare del livello scolastico.”  (Rosa e Alessandri, 2009)

Gli Autori (Rosa e Alessandri, 2009) su questa scia teorica hanno condotto uno studio su 375 docenti (310 donne e 65 uomini) di scuola primaria e secondaria di primo grado, appartenenti a sei differenti istituti scolastici; tra questi, 362 sono di ruolo e 13 sono supplenti. Nei locali didatti ai docenti è stata somministrata una batteria formata da un insieme di items presi da diverse scale coerenti con l’obiettivo di ricerca (scala dell’efficacia personale percepita, scala dell’efficacia collettiva percepita, scala della soddisfazione lavorativa etc.). Nelle conclusioni della ricerca (Rosa e Alessandrini, 2009) si legge che: “Il presente studio attesta l’influenza delle convinzioni di efficacia lavorativa dei docenti sulla percezione dell’ambiente lavorativo, ovvero il sistema scuola, ed il folto fascio di influenze che dalla percezione del contesto si diramano verso importanti variabili organizzative quali l’efficacia collettiva, l’impegno nell’organizzazione e la soddisfazione per il proprio lavoro. Una solida convinzione nella propria efficacia scolastica influenza la percezione del contesto organizzativo che circonda il docente. Quest’ultimo, lungi dall’essere sottoposto passivamente alle influenze del clima organizzativo, è invece un soggetto attivo: attraverso la lente delle proprie abilità percepite egli legge la realtà organizzativa che lo circonda e la influenza attivamente. Tale risultato è rilevante ai fini della comprensione dei fenomeni lavorativi capaci di influenzare la qualità del sistema individuo-organizzazione, tra i quali: l’adesione dei lavoratori alle regole caratterizzanti i contesti organizzativi, la messa in atto di comportamenti professionali positivi, la partecipazione attiva dei lavoratori. “L’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative” costituisce, per Avallone e Paplomatas (2005), la salute di un’organizzazione. In tal senso, rintracciare i nessi di influenza tra autoefficacia, percezione del contesto scolastico, efficacia collettiva e variabili organizzative, è di fondamentale importanza ai fini della promozione di una sempre crescente e migliore condizione di benessere soggettivo ed organizzativo, per prevenire i fattori di rischio psicosociale all’interno della scuola. Per rischi psicosociali, Cox e Griffiths (Cox et al., 1995) intendono infatti gli “aspetti di progettazione e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono arrecare danni fisici o psicologici”. I risultati ottenuti offrono un contributo alla comprensione dei processi psicologici che permettono alle convinzioni di efficacia lavorativa, ovvero alle capacità individuali, di tramutarsi in valide strategie organizzative; queste ultime avranno ricadute concrete non solo sul funzionamento degli istituti scolastici, ma anche sulle condizioni di benessere psicofisico di chi opera nella scuola, che a sua volta influenzerà gli altri attori e protagonisti della scuola, in particolare gli alunni. Macciocu e collaboratori (2003) affermano infatti che l’interazione tra i fattori umani, organizzativi ed ambientali concorre a determinare il livello globale del benessere psicofisico e della sicurezza. La differenza nella forza dei nessi, rappresentati dai coefficienti strutturali, che connettono le variabili studiate, mostra quali elementi vengono maggiormente influenzati dalle percezioni lavorative degli insegnanti, e indicano le vie da seguire ai fini della progettazione ed implementazione di programmi rivolti alla promozione della salute e della sicurezza. Come già notato infatti l’autoefficacia lavorativa è la variabile che senza dubbio assume il rilievo centrale: influenza direttamente le percezioni del contesto scolastico ed incide in maniera diretta ed indiretta sull’impegno e sulla soddisfazione lavorativa. Poiché le convinzioni di autoefficacia lavorativa possono essere gradualmente promosse e modellate attraverso opportuni programmi di intervento (1997), esse rappresentano di certo la via individuale per la promozione del cambiamento collettivo ed organizzativo. Una solida convinzione nell’adeguatezza delle proprie capacità determina negli individui un alto livello di persistenza di fronte alle difficoltà e dischiude il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi e gratificanti. I docenti maggiormente fiduciosi nelle proprie capacità non solo si impegnano di più nel proprio lavoro ma riferiscono.” Rosa e Alessandri (2009).

Pertanto, considerando sia la rilevanza dell’argomenti “insegnanti in burnout” e della variabile modalità (dalla scelta dei metodi di valutazione alle differenti tipologie di studio) con cui le innumerevoli ricerche sono state condotte, si presenta uno studio pilota che verte su questo costrutto. Lo studio si presenta come un tentativo per indagare la qualità della vita lavorativa degli insegnanti di scuole secondarie. Prima di stilare gli obiettivi, sono stati esaminati studi precedenti sull’argomento e presenti in letteratura come articoli di ricerca. Da ciò è emerso che un certo numero di ricercatori e teorici hanno prestato attenzione al costrutto di qualità di vita lavorativa (QWL) cercando di identificare i tipi di fattori che determinano tale esperienza lavorativa (Cohen et al., 1997; De Nitish, 1984; Subburethina Bharathi et al., 2011).


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza


 

Le relazioni ai tempi del coronavirus

Le relazioni ai tempi del coronavirus

 

Con questa quarantena molte delle cose che facevamo prima ora sono vietate e molte delle nostre libertà sono state limitate e a causa di tutto questo molte relazioni si sono dovute modificare  e adattare.

Con l’isolamento, infatti, molte coppie sono state separate e ormai da settimane non si possono vedere se non attraverso videochiamate. Anche magari i pochi chilometri che ci separano sembrano in realtà pianeti e questo sicuramente fa soffrire, certe coppie meno certe coppie di più.

Certo che questo dipende molto anche da quanto tempo dura il rapporto e da quanto questo è stabile. Ad una coppia stabile forse questo periodo di distanza può anche fare bene nel senso che ognuno si riprende i propri spazi e magari fa cose che prima con il partner non aveva il tempo di fare o che al compagno non piacevano e, inoltre, la distanza, può aiutare a rafforzare ancora di più il rapporto mettendo in evidenza quanto l’altra persona ci manca e cosa ci manca, aspetto che magari veniva trascurato quando prima c’era l’abitudine di vedersi spesso.

Questa situazione ci mette, però, anche davanti alla mancanza costante dell’altra persona, al fatto di dover affrontare questo momento difficile senza il suo supporto totale e ci mette davanti al fatto di affrontare la solitudine, cosa che pochi di noi sperimentano nella loro quotidianità e che sanno gestire al meglio.

Cerchiamo quindi di essere forti e resistere a questo duro momento cercando di farci carini quando “vediamo” il partner e cercando di non scaricargli addosso tutto il negativo che c’è in quanto la colpa di tutta questa situazione è esterna e non dell’altra persona. E comunque non smettiamo di fare le cose insieme, la tecnologia ce lo permette e anche se non è la stessa cosa è comunque un modo per rimanere uniti anche a distanza.

 


© Le relazioni ai tempi del coronavirus – Alessia Bottiglieri


 

Emerging adulthood e utilità dei Social Network Sites

Emerging adulthood e utilità dei Social Network Sites (SnS)

La domanda che è possibile porsi riguarda l’utilità dei SNS nell’aiutare gli emerging adults ad attraversare le transizioni di vita che li coinvolgono. Mazzoni e Iannone (2014), associano l’utilizzo dei SNS al costrutto di capitale sociale definito come “l’insieme delle risorse reali o potenziali, che sono legate al possesso di una rete durevole di relazioni più o meno istituzionalizzate di reciproca conoscenza e di riconoscimento” (Bourdieu, 1986). Il capitale sociale può essere di due tipi: bridging (BrSC) e bonding o familiare (Bosc). Il primo si manifesta in “legami deboli”, come suggerito da Granovetter (1982), intesi come poco frequenti e occasionali; questi legami, però, possono fornire informazioni utili e aprire nuove prospettive, ma in genere non favoriscono supporto emotivo. Tuttavia, come dimostrato da autori come Granovetter (1982) e Putnam (2000), in alcuni periodi critici, come ad esempio le transizioni di vita, i legami deboli svolgono un ruolo fondamentale nel risolvere la situazione, permettendo di accedere ad un insieme di informazioni che i legami forti non possono garantire. Al contrario, il capitale sociale bonding o familiare si riferisce ai legami più frequenti e stabili, tipici dell’amicizia o della famiglia e quindi in grado di fornire supporto emotivo. Ulteriori studi dimostrano che i diversi tipi di capitale sociale sono direttamente associati con alcune determinanti del benessere psicologico, come ad esempio l’autostima o la soddisfazione di vita (Bargh, McKenna & Fitzsimons, 2002; Helliwell & Putnam, 2004; Klingensmith, 2010). Con autostima si intende la componente valutativo-emozionale del concetto di sé (Heatherton & Wyland, 2003) che serve a diverse funzioni sociali ed esistenziali (Leary, Tambor, Terdal, & Downs, 1995; Solomon, Greenberg, & Pyszczynski, 1991). I SNS, quindi, permettono connessioni che altrimenti sarebbero impossibili, grazie alla rete di legami latenti (Haythornthwaite, 2002, 2005), legami che sono tecnologicamente esistenti e già possibili, ma non ancora socialmente attivati né necessariamente attivabili. Dalla conoscenza iniziale basata esclusivamente sulle informazioni disponibili da un certo profilo di una persona, su un SNS si può passare all’attivazione effettiva di interazione sociale trasformando legami sociali latenti in legami deboli che, a questo punto, rappresentano una risorsa efficace per il capitale sociale dell’individuo. Queste infrastrutture tecnologiche possono, quindi, agire da “ponti” che collegano socialmente le persone (Frozzi e Mazzoni, 2011) aiutandole nella raccolta di informazioni utili per affrontare situazioni nuove e delicate come appunto le transizioni di vita.  Sulla base di questi spunti il seguente lavoro cerca di analizzare l’esistenza di una relazione diretta tra l’utilizzo dei SNS e lo sviluppo del capitale sociale. In questo modo si vuole fare luce sulle risorse positive di Internet e in particolare dei Social Network Sites, troppo spesso ignorate dalle masse. Gran parte delle persone non sfruttano quelle che sono le vere risorse funzionali dei SNS vedendoli esclusivamente come strumenti attraverso cui condividere le proprie esperienze/interessi ed entrare in contatto con quelle degli altri. L’utilità intrinseca di piattaforme sociali come Facebook, Instagram o LinkedIn può fornire un aiuto concreto nel portare a termine obbiettivi personali. Lo sviluppo del capitale sociale non è l’unico aspetto positivo dei SNS. Subrahmanyama et al. (2008), nel loro lavoro di ricerca sugli emerging adults sostengono che grazie ai SNS gli individui riescono a rafforzare i legami della loro vita offline. Gli autori hanno infatti rilevato una sovrapposizione tra i contatti online e quelli offline del loro campione di ricerca in cui si notava che la maggior parte dei contatti online degli utenti apparteneva alla sfera di amici e familiari. Riguardo a Facebook, il Social Network Site più diffuso, Aydin (2012) suggerisce che, nel caso gli utenti siano studenti incoraggi la comunicazione con i loro docenti. In merito al superamento delle transizioni di vita, Facebook promuove l’adattamento a nuovi programmi scolastici e a nuove culture. Altri aspetti significativamente positivi riguardano la scoperta di attività sociali, lo sviluppo e il mantenimento di relazioni, la ricerca di conoscenze su una varietà di soggetti, auto-rappresentazione e auto-promozione, reclutamento, condivisione delle conoscenze, conseguimento di finalità accademiche e adesione a programmi/eventi specifici. Le discussioni su Facebook incoraggiano ampi scambi di conoscenze, assistono nello sviluppo di socializzazione e permettono la costruzioni di community tra studenti (Aydin, 2012). Estremamente interessante risulta anche la prospettiva riguardo al potenziale educativo-didattico dei SNS. Roblyer e collaboratori (2010) sostengono ciò in quanto, secondo loro, Facebook può diventare una preziosa risorsa per supportare le comunicazioni e le collaborazioni didattiche degli studenti con i docenti. Esso può fornire un diverso modello di come possono essere utilizzati gli strumenti online in contesti educativi (Downes 2007). A questo proposito, Schaffhauser (2009) esplora le esperienze di due insegnanti che si sono collegati in aula con i loro studenti attraverso una rete on-line, notando che Facebook e altri Social Network Sites aiutavano a demolire i confini e le barriere precedenti. Questo garantisce una maggiore apertura e diminuisce il timore di esporsi visibile nella maggior parte degli ambienti didattici. Taranto e Abbondanza (2009) suggeriscono che le opportunità di social networking accademici dovrebbero essere incorporate all’interno delle lezioni regolari. Collegandosi al concetto di autostima sopra citato, ad esempio, Kuss e Griffith (2011), in un lavoro di meta-analisi sugli SNS, hanno teorizzato che le persone con alta autostima usano i SNS per avere un’immagine sociale ancora migliore, mentre quelli con bassa autostima li utilizzano per compensare le lacune percepite nella loro immagine sociale offline. Parallelamente Ahn & Shin (2013) sottolineano come le persone con bassa autostima, nonostante ciò, non sono mai pienamente soddisfatte dal loro uso del Web. Similmente Zwynca e Danowksi (2008) hanno sottolineato che le persone con migliori rapporti sociali offline utilizzano i Social Network Sites per ricevere valorizzazione sociale e che le persone con rapporti sociali più deboli cercano di compensare online questa mancanza. Kuss e Griffiths (2011), richiedono una migliore comprensione del problema e suggeriscono che entrambi i fenomeni possono portare a sviluppare un uso problematico di Internet, siccome sia l’uno che l’altro conducono gli utenti a fare un uso sempre più intensivo della Rete. Al contrario Mazzoni, Baiocco & Cannata (2016) suggeriscono che, mentre la compensazione sociale può portare a sviluppare un processo di strumentalità inversa, la valorizzazione sociale può essere un meccanismo che conduce ad un utilizzo di Internet come organo funzionale. Quando l’individuo utilizza Internet in maniera disfunzionale, si verifica un processo di strumentalità inversa in cui la Rete perde la sua funzione di artefatto culturale e l’utente diventa metaforicamente lo strumento di Internet (Ekbia & Nardi, 2012). Al contrario, per organo funzionale si intende uno strumento funzionalmente integrato che fornisce risorse interne ed esterne finalizzate al raggiungimento di un obiettivo (Frozzi & Mazzoni, 2011). In questo senso gli utenti sono in grado di trarre dei vantaggi dalle possibilità offerte da Internet al fine di migliorare le loro attività e raggiungere i loro obiettivi il più rapidamente possibile (Mazzoni, Baiocco & Cannata, 2016). Sulla base di un’analisi della gerarchia dei bisogni di Maslow, Balague e Fayon (2010) hanno evidenziato che far parte di un Social Network Site può soddisfare il bisogno di appartenere ad un gruppo o ad una comunità, ma può anche contribuire a soddisfare il bisogno di autostima, derivante dal riconoscimento ricevuto da altri di essere un membro effettivo della rete. Così, le reti sociali, e in particolare le reti on-line, ad oggi rappresentano un semplice e veloce modo, accessibile a tutti, di sviluppare il capitale sociale migliorando le risorse personali e interpersonali (Balagué & Fayon, 2010; Hendry & Kloep, 2002). Per concludere è stato rilevato come il numero di amici su Facebook abbia un effetto positivo sul benessere (Grieve, Indiano, Witteveen, Tolan, & Marrington, 2013). In particolare, sarebbe il fattore “Compagnia percepita” dei SNS ad aumentare direttamente la soddisfazione di vita (Mazzoni, Cannata & Baiocco, 2016).


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti


 

Coronavirus: Il costo psicologico per gli operatori

EMERGENZA COVID -19: IL COSTO PSICOLOGICO PER GLI OPERATORI

 

L’elevato impatto traumatico e i carichi di lavoro a cui assistono da settimane gli operatori , possono causare disagio di varia entità in base alla valutazione ed alla  gestione di tali situazioni.

Gli operatori stanno vivendo lungo un funambolico filo a metà tra aspetti positivi (la soddisfazione di aiutare gli altri, l’esperienza di condivisione con il gruppo, il riconoscimento sociale del proprio ruolo professionale) ed aspetti negativi (rischi professionali e personali).

A ciò si uniscono stressor professionali (es. carenza di dpi, di strumenti, di personale, turni lunghi,  fatica estrema, percezione del fallimento nonostante gli sforzi) e stressor personali (es. paura del contagio, scarso livello di preparazione personale o professionale in contesti d’emergenza, senza tralasciare il continuo coinvolgimento dei processi cognitivi ed emotivi (Curtacci,2017).

Tutti i fattori nominati, se non presi in considerazione adeguatamente, possono condurre a reazioni di stress più o meno gravi, con connotazione temporale breve:  riduzione della reattività psichica, deficit transitori mnestici , cognitivi o comunicativi; ma anche a reazioni a lungo termine: depressione, ansia cronica ,disturbo post-traumatico da stress, disturbo da stress lavoro correlato (Curtacci,2017).

La capacità di gestione dello stress sembra legata, oltre che alle caratteristiche di personalità individuali, alla preparazione specifica di ognuno e alle caratteristiche della struttura organizzativa all’interno della quale si lavora(Curtacci,2017).

Si pone spesso l’accento sul sovraccarico lavorativo, sui conflitti interpersonali e di ruolo, sul  sostegno  professionale, sulle  risorse  professionali, sull’autonomia lavorativa, sull’ambiguità di ruolo, sul livello delle difficoltà quotidiane, sullo  stile  di  supervisione (Parkes, 1986; Richardsen et al., 1992; Leiter, 1992).

Tutto ciò è altamente rischioso per l’equilibrio psicologico e per l’output che ne riceve l’utenza.

Ne risulta perciò che la promozione del benessere del lavoratore rappresenti una  conditio sine qua non per la salute e la sicurezza degli stessi.

Per questo motivo  È  e SARÀ  fondamentale aiutare gli operatori a gestire la propria emotività e lo stress che situazioni del genere inevitabilmente hanno comportato, comportano e comporteranno.

Bibliografia:

CURTACCI, A. (2017). Strategie di coping e sindrome da burnout nei vigili del fuoco.  Rivista di Psicologia dell’emergenza e dell’assistenza Umanitaria, semestrale della federazione psicologi per i popoli n.17 ,

PARKES, K.R.(1986). Coping in stressful episodes: the role of individual differences, environmental factors, and situational characteristics. Journal of Personality and Social Psychology, 51(6), 1277-1292.

RICHARDSEN, A.M., BURKE, J.B. e LEITER, M.P. (1992). Occupational demands, psychological burnout and anxiety among hospital personnel in Norway. Anxiety, Stress, and Coping, 5(1), 55-68.

LEITER,  M.P.  (1992).  Burnout  as  a  crisis  in  professional  role  structures:  measurement  and conceptual issue. Anxiety, Stress, and Coping, 5(1), 79-93.

 


© © Coronavirus: Il costo psicologico per gli operatori–  Federica Sapienza


 

 

Strategie di coping ed effetti sul burnout negli insegnanti

Strategie di coping ed effetti sul burnout negli insegnanti

 

“In una recente rassegna, Guglielmi e Tatrow (1999) hanno sottolineato che la mancanza di un solido quadro teorico di riferimento costituisce la principale debolezza della maggior parte delle indagini empiriche sullo stress degli insegnanti. Uno dei modelli teorici più conosciuti nel campo dello stress lavorativo i1 e modello domanda-controllo (D-C) proposto da Karasek (1979). Il modello si basa su due concetti chiave: la domanda lavorativa (job demands: ovvero l’insieme degli stressor psicologici come il carico lavorativo e l’intensa pressione temporale) e il controllo lavorativo (la quantità di potere discrezionale che un soggetto può esercitare sul proprio lavoro). La diversa combinazione della domanda e del controllo dà luogo a due categorie lavorative che hanno suscitato l’interesse di molti psicologi del lavoro:

  1. lavori caratterizzati da una combinazione di alte richieste lavorative (high job demands) e basso controllo (low control), in grado di produrre stress psicologico e fisico (“high strain jobs”);
  2. lavori le cui caratteristiche sono una contemporanea alta domanda e un alto controllo (high demands and high control), cosiddetti attivi (“active jobs”) in grado di generare alti livelli di benessere e di crescita personale.

Un aspetto cruciale della teoria riguarda il tipo di relazione (additiva – Strain hypothesis – 0 interattiva – Buffer hypothesis -) che intercorre tra le variabili del modello.

Nell’articolo originario Karasek afferma che il benessere psicofisico può essere predetto dalla relazione sinergica della domanda con il controllo, in modo tale che una loro combinazione sia in grado di produrre un effetto più nocivo dei semplici effetti additivi. La considerevole mole di ricerche volta alla dimostrazione dell’effetto interattivo e giustificata anche dalla portata applicativa di tale effetto. Come e stato ampiamente sottolineato (Parkes, 1991; Van der Doef e Maes, 1998), se fosse provata l’ipotesi interattiva, si potrebbero progettare interventi finalizzati ad aumentare il solo controllo; simile strategia sarebbe però meno efficace se invece fosse dimostrata l’ipotesi additiva. In questi anni numerose indagini empiriche hanno avuto come cornice teorica il modello domanda/controllo di Karasek, evidenziando nell’insieme risultati inconclusivi e contrastanti. Sebbene vi siano state conferme empiriche in studi di carattere epidemiologico, che consideravano principalmente come variabili dipendenti i disturbi cardio e cerebro-vascolari (Karasek et al., 1988; Pollard e col1., 1996), altre indagini hanno riportato uno scarso supporto per l’ipotesi interattiva, mettendo in luce solo effetti additivi (Daniel e Guppy, 1994; Furda, 1995). Per quanto riguarda le cosiddette professioni d’aiuto, non sono molti gli studi che hanno considerato le dimensioni del modello D-C come variabili antecedenti e il burnout come variabile dipendente. Inoltre i risultati evidenziati sono abbastanza ambigui e contrastanti. Se da un lato Landsbergis (1988) e De Jonge et al. (1996) hanno trovato supporto per l’ipotesi interattiva, dall’altro Melamed et al. (1991) e de Rijk et al. (1998) hanno evidenziato soltanto effetti additivi. Tali discordanze vanno ricercate nei diversi punti critici di carattere teorico e metodologico mostrati in più occasioni. Innanzitutto, alcuni autori (Narayanan et al., 1999; van der Doef e Maes, 1999) hanno detto che le tradizionali scale di misura, utilizzate negli studi sullo stress lavorativo, non descrivono adeguatamente le situazioni e gli agenti stressanti specifici di ciascun lavoro, sottolineando la necessita di sviluppare misure specifiche per le diverse professioni. In secondo luogo, il fatto che inizialmente il modello trovi conferma in studi di carattere epidemiologico con vasti ed eterogenei campioni sembra dovuto all’ effetto spurio della variabile status socioeconomico, poiché in indagini basate su campioni più piccoli ed omogenei non ha mostrato analoghe conferme (Ganster, 1989). lnfine il modello è stato criticato da più parti per lo scarso rilievo dato alle differenze interindividuali circa la vulnerabilità agli stressors psicosociali (Kristensen, 1995). De Rijk et al. (1998), per esempio, in uno studio condotto su un gruppo di infermieri di terapia intensiva, hanno mostrato l’effetto interattivo delle strategie di coping orientate al compito con le variabili del modello D-C. Le assunzioni di Karasek sono state confermate solo dai soggetti caratterizzati da strategie di coping orientate al compito, poiché questi hanno rilevato punteggi più alti di esaurimento emotivo nella condizione di alto strain (alta domanda e basso controllo) rispetto alla condizione di alto apprendimento (alta domanda e alto potere discrezionale). Gli infermieri caratterizzati da basso coping orientato all’azione hanno mostrato in entrambi i casi alti valori di esaurimento emotivo. Il termine coping si riferisce all’ insieme degli sforzi volti a gestire, ridurre o tollerare le richieste poste dall’interazione con l’ambiente circostante (Cohen e Lazarus, 1973). Sebbene in letteratura sia stato identificato ed esplorato un ampio ventaglio di strategie di coping, possiamo comunque osservare una distinzione di base fra strategie e stili di coping focalizzati sul problema e stili di coping focalizzati sulla persona (Parker e Bndler, 1992). Le strategie di coping focalizzate sul problema (o compito) riguardano l’insieme dei tentativi, cognitivi e comportamentali, finalizzati alla risoluzione dello stressor, a minimizzarne gli effetti negativi o a riorganizzarlo cognitivamente. Il coping focalizzato sulla persona (o sulla gestione delle emozioni) concerne, invece, tutte quelle strategie orientate verso il se, come il rimuginare e il “sognare ad occhi aperti ” per tentare di dominare le reazioni emotive negative derivanti dagli stressor ambientali. Numerosi studi (Billing e Moos, 1981, Suls e Fletcher, 1985) hanno identificato una terza dimensione, definita evitamento, che indica il sottrarsi alla situazione stressante. Diverse ricerche hanno messo in luce gli effetti positivi delle strategie di coping focalizzate sul problema, e quelli negativi del coping orientato all’emozione, sul benessere psico-fisico (Higgins e Endler, 1995). Per quanto riguarda le strategie di coping orientate all’evitamento, ci troviamo di fronte a risultati decisamente contrastanti (Billing, Moos, 1981; Suls, Fletcher 1985).  […]” (Pisanti, Lucidi, Bertini, 2001)

Una volta riportato il preambolo teorico espresso da Pisanti e colleghi nel loro articolo (Pisanti, Lucidi e Bertini, 2001), si include di seguito lo studio condotti dagli Stessi. Nel loro lavoro (Pisanti, Lucidi e Bertini, 2001), il modello D-M è stato testato in un gruppo di docenti di scuola secondaria superiore, considerando il burnout come variabile dipendente. In aggiunta, lo studio si è proposto di esplorare gli stili individuali di coping (azione, emozione e evitamento), al fine di verificare se una loro inclusione fosse in grado di apportare miglioramenti al potere esplicativo del modello.

“Lo studio è stato condotto a Roma, alla fine dell’anno scolastico 1997-98, con l’adesione di sei istituti, diversi per il tipo di materie insegnate e per il livello socioeconomico degli studenti. Ai docenti (N = 480) è stata chiesta la partecipazione ad un’indagine, che si sarebbe svolta attraverso la compilazione di un questionario anonimo, da riporsi, una volta terminato, in un box post nella sala professori. Il gruppo finale era composto da 167 insegnanti (35% dei questionari distribuiti), la principale causa della ridotta adesione all’indagine e da attribuirsi alIa concomitanza con gli scrutini finali. I1 campione era composto da docenti per lo più di sesso femminile (N = 106) con un’eta media di 47,6 anni e con una anzianità media di servizio di 21 anni. È stato usato un questionario suddiviso in quattra sezioni: […]

  1. Caratteristiche socio-demografiche: il questionario conteneva domande relative al sesso, all’ eta, allo stato civile, all’anzianità di servizio, il tipo di materia insegnata e la quantità media di ore lavorative settimanali.
  2. Le dimensioni lavorative: i costrutti della Domanda e del ControlIo sono stati misurati con una traduzione italiana del Leiden Quality of Work Questionnaire for Teachers (Maes, van Der Doef, 1997), un questionario messo a punto per misurare le specifiche caratteristiche della situazione lavorativa dei docenti. I soggetti dovevano esprimere il proprio grado di accordo ai singoli items su una scala in formato Likert a 4 punti […]. Domanda lavorativa: viene valutata attraverso 16 affermazioni formulati sulla base delle seguenti sub-dimensioni: la pressione temporale (Es. “Mi manca il tempo per seguire individualmente gli alunni”); l’ambiguità di ruolo (“Nella mia scuola non e chiaro casa ci si aspetta da un’insegnante”); la qualità dell’interazione con gli studenti (“In questa scuola mantenere l’ordine e dura”). Controllo: viene valutata attraverso 12 items sottendenti le seguenti subdimensioni: la varietà del compito (Es. “Il mio lavoro comporta una varietà di compiti”); l’autorità decisionale (“All’intemo delle mie classi sono in grado di esercitare una certa influenza”); e la necessita di seguire corsi d ‘aggiornamento (“Il mio lavoro richiede che mi sottoponga a ulteriori corsi d’ aggiornamento”).
  3. Coping: per la misura del Coping è stata utilizzata la versione ridotta del Coping Inventory for Stressful Situations (CISS2; Endler, 1997). La scala è composta da 21 items rilevati su una scala Likert a 5 punti (1 = per niente; 5 = molto spesso). Tali affermazioni indicano la misura in cui i soggetti si impegnano in varie attivita quando devono far fronte a situazioni lavorative difficili e/o stressanti. Lo strumento considera tre dimensioni:
  • coping orientato al compito (7 items, “Mi concentro sul problema e cerco di risolverlo”);
  • coping orientato all’emozione (8 items, “Mi rimprovero di essermi messo in questa situazione”)
  • coping orientato all’orientamento (6 items), quest’ ultima dimensione è a sua volta composta da due sottoscale di 3 items ciascuna: distrazione (“Mi compro qualcosa”) e diversivo sociale (“Telefono a un amico”).

Burnout: la sindrome del burnout è stata valutata attraverso il Maslach Burnout Inventory (Maslach e coIl., 1996; Sirigatti e Stefanile, 1991). […]

La finalità del presente studio è stata quella di testare congiuntamente gli effetti di alcune dimensioni sociali e individuali suI burnout. Per raggiungere tale obiettivo è stato scelto un campione omogeneo di docenti di scuola secondaria superiore utilizzando uno strumento di misura appositamente costruito per misurare le caratteristiche lavorative degli insegnanti. Dai risultati sembra emergere una tendenza già ampiamente riscontrata in letteratura (Schreurs e Taris, 1998; Warr, 1990) le variabili indipendenti non mostrano un tipo di azione univoca ma si influenzano differentemente al variare dell’indicatore di burnout utilizzato come variabi1e dipendente. Per quanto riguarda I’ esaurimento emotivo i dati mostrano un’interazione significativa del1a domanda e del controllo, in linea con l’ipotesi “buffer” di Karasek, ulteriormente modu1ata dall’azione delle due strategie di coping non strumentali: emozione ed evitamento. […] I docenti che abitualmente affrontano i loro problemi lavorativi, preoccupandosi prioritariamente di gestire le proprie emozioni negative (coping orientato all’ emozione), evitando temporaneamente di fronteggiarli (coping orientato all’ evitamento), mostrano alti punteggi di esaurimento emotivo sia in condizione di alto strain (percezione di alta domanda e basso control1o) e sia in condizione di alto apprendimento (alta domanda e alto controllo). Sembra che al crescere dello stress, un’alta percezione di controllabilità non sempre è accompagnata da alti livelli di benessere e di crescita personale. A simili conclusioni erano giunti anche Vitaliano e colleghi (1990), i quali avevano rilevato che in condizioni di alto stress e alta percezione di controllabilità i soggetti caratterizzati da uno stile di coping tendente all’ emozione mostravano alti punteggi di depressione, uno stato psicologico molto simile all ‘esaurimento emotivo. Contrariamente allo studio di De Rijk, il coping orientato a1 compito non presenta alcun tipo di contributo significativo (né additivo nè interattivo) nella predizione dell’esaurimento emotivo. I motivi di tale divergenza possono essere ricercati nel diverso tipo di lavoro dei docenti di scuola secondaria rispetto a quello degli infermieri dei reparti di terapia intensiva considerati da De Rijk e colleghi: le restrizioni in termini di tempo, di potere decisionale e la frequenza di situazioni emotivamente stressogene sono sicuramente maggiori nella professione infermieristica. Per questo motivo gli infermieri caratterizzati da strategie di coping orientate all’ azione; hanno maggiori probabilità di sviluppare sintomatologie tipiche dell’impotenza appresa (Abramson, Seligman e Teasdale,1978). Per quanto riguarda la depersonalizzazione, le prime due equazioni di regressione mostrano significativi effetti principali sia delle variabili del modello D-C e sia delle strategie di coping orientate al compito e all’emozione, tutti nelle direzioni aspettate. Per quanto riguarda il coping orientato all’ evitamento i risultati dell’analisi della regressione mostrano un’interazione significativa tra le variabili domanda, control1o e coping orientato all’evitamento. Gli insegnanti caratterizzati da alto evitamento, a1 crescere della domanda e del controllo, tendono a percepirsi come più cinici e impersonali verso gli studenti rispetto ai colleghi con basso evitamento. Bisogna notare che la depersonalizzazione può essere considerata come una strategia di coping attuata dal docente per fare fronte all’esaurimento emotivo provocato dall’insegnamento (Maslaeh, 1993). Tale strategia è caratterizzata da una sorta di “ritiro psicologico” (Maslach, 1993) che potrebbe essere modulata dagli stili di coping orientati all’ evitamento. I risultati delle analisi della regressione multipla effettuate sulla variabile criterio realizzazione personale evidenziano considerevoli associazioni con i predittori controllo, strategie di coping orientate all’azione e all’emozione, e una debole relazione con la variabile domanda. I risultati, in linea con i precedenti studi (Cordes e Dougherty, 1993), evidenziano che i sentimenti di competenza, di produttività nel lavoro e di crescita personale si associano soprattutto con la percezione di un maggiore controllo lavorativo e con l’utilizzo di strategie di coping strumentali. La percezione di alti livelli di autonomia decisionale e di varietà del compito, unita alla sensazione di fronteggiare attivamente i problemi legati all’insegnamento, favoriscono la formazione e lo sviluppo di nuove competenze, la consapevolezza di essere efficaci nel proprio lavoro, nonché la sensazione di arricchimento personale e professionale. Nel complesso i risultati indicano che l’introduzione delle strategie individuali di coping migliora la valenza esplicativa del modello D-C. Infine bisogna notare che i differenti modelli di analisi della regressione, utilizzati nel presente studio per predire le differenti dimensioni del burnout, spiegano percentuali di varianza che oscillano tra il 12 e il 35. Tali valori, in linea con quelli ottenuti in altri studi (de Rijk et al., 1998; Parkes, 1991) appaiono abbastanza bassi. Bisogna sottolineare che l’origine dello stress è un fenomeno multicausale e diversi aspetti non sono stati presi in considerazione nel presente studio quali:

  1. stressors evidenziati in altri studi (Warr, 1994; van der Doef e Maes, 1999) come la percezione di prestigio sociale e il riconoscimento economico;
  2. comportamenti a rischio come fumare (Steptoe e Wardle, 1995);
  3. 1’interazione con gli stressor familiari (Travers e Cooper,1996);
  4. l’interazione con gli stressor ambientali (Seeber e Tregen, 1992);
  5. il ruolo del sostegno sociale (Cohen e Wills, 1985).

Quest’ultima variabile è stata riconosciuta dallo stesso Karasek (Karasek e Theorell, 1990) come ulteriore variabile moderatrice nella relazione stress-benessere.


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza


 

Coronavirus: Piccoli consigli utili parte 2

Coronavirus: Piccoli consigli utili

parte 2

 

Continuiamo la nostra rubrica con altri piccoli consigli utili da mantenere in queste settimane di quarantena. Abbiamo già parlato dell’importanza di tenersi occupati e di fare attività che ci piacciono, di fare movimento e di mantenere attive le nostre relazioni sociali.

Inoltre di fondamentale importanza è l’attenzione al sonno. Avremo notato tutti che in questo periodo facciamo più fatica ad addormentarci e a volte le nostre notti sono piene di sogni e di incubi. Cerchiamo quindi di impegnarci a mantenere la nostra routine del sonno, cercando di non andare a letto troppo tardi la sera e di non svegliarci tardissimo alla mattina, cerchiamo di non modificare troppo i nostri ritmi perchè questo si ripercuote sulla nostra salute psico-fisica.

Un altro suggerimento è quello di non passare troppo tempo davanti alle notizie, cerchiamo di dedicare un unico momento della giornata destinato all’informazione su quello che sta succedendo. Troppe informazione potrebbero non fare altro che aumentare la nostra ansia e la nostra paura e preoccupazione.

Questo tempo può anche essere visto come una fonte di apprendimento, approfittiamone e seguiamo corsi online per imparare qualcosa di nuovo, anche le lingue per esempio che nessuno ha mai tempo di mettersi sotto a studiare,.

E poi non dimentichiamoci di noi stessi… Cerchiamo di rimanere in contatto con noi, con i nostri stati emotivi e con i nostri pensieri, accettiamoli e accogliamoli. La vita di tutti è stata improvvisamente modificata e questo indubbiamente si ripercuote sul nostro stato emotivo. Quindi non ci trascuriamoci!

Questo momento di stop può anche essere un momento per riflettere sulla situazione e sul domani, cosa possiamo lasciare indietro e quali sono invece le nuove abitudini da portare con noi? Forse tutto stava andando troppo velocemente? Non avevamo più neanche un momento per respirare? Trascuravamo noi stessi e le persone che ci stavano vicine? Chi sono veramente le persone che abbiamo sentito vicine in questa lontananza? Quanto poco spazio dedicavo a ciò che mi appassiona?

 


© Coronavirus: Piccoli consigli utili Parte 2 – Alessia Bottiglieri


 

 

Internet e Social network Sites (SnS)

Internet e Social network Sites (SnS)

Negli ultimi dieci anni è stato riscontrato un incremento dell’utilizzo delle risorse della Rete in varie fasce della popolazione e questo è ben visibile negli emerging adults (Arnett, 2000). Uno dei gli obbiettivi di questo lavoro è quello di valutare come gli strumenti della Rete possano aiutare gli individui in questa delicata fase di sviluppo ad affrontare nel modo giusto le numerose sfide che incontrano e quali sono i meccanismi che regolano l’interazione tra individuo ed Internet. Internet è diventato un elemento centrale della comunicazione all’inizio degli anni 90’. Nelle più recenti elaborazioni statistiche dell’International Telecommunications Union, l’agenzia Onu che opera nell’ambito dei sistemi di comunicazione, il numero degli utenti della Rete stimato a fine del 2010 è di oltre due miliardi, perciò un terzo dell’intera popolazione del pianeta. Un numero doppio rispetto a cinque anni prima (Zardini, 2014). Dati che fanno presagire un aumento continuo nel tempo rendendo Internet uno strumento essenziale in gran parte delle attività quotidiane. Tra queste la comunicazione online rappresenta una delle funzioni della Rete maggiormente utilizzata. Per comunicare in Rete, gli individui utilizzano piattaforme diversificate, i cosiddetti Social Networking Sites (SNS), servizi che permettono:

  la creazione di un profilo pubblico (o semi-pubblico);

  l’utilizzo di un elenco di contatti per la comunicazione;

  l’analisi della rete personale di legami e la visualizzazione degli amici degli amici (Boyd & Ellison, 2007). 

È possibile elencare almeno un SNS collegato alla maggior parte delle attività web, ad esempio LinkedIn per i professionisti provenienti da diversi settori di lavoro, ResearchGate per la ricerca scientifica, Facebook per gli studenti e per il tempo libero, Myspace per la musica, e così via (Frozzi & Mazzoni, 2011). Grazie a queste caratteristiche i SNS consentono agli utenti di mantenere e rafforzare le loro amicizie già esistenti, estendere la loro rete di contatti e realizzare la propria identità sociale on-line. Tuttavia l’aspettativa di ricevere una gratificazione dal web è l’impulso principale nell’utilizzo di Internet (Mazzoni, Cannata, Baiocco, 2016). Un ultimo aspetto fondamentale delle piattaforme Social è la possibilità di presentare la propria identità, spesso ideale e per fare ciò molti utenti sviluppano una meticolosa ricerca affinché il proprio profilo li descriva come persone soddisfatte ed interessanti enfatizzando tratti specifici (Vogel et al. 2014).


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti


 

Coronavirus: Piccoli consigli utili parte 1

Coronavirus: Piccoli consigli utili

parte 1

 

Uno dei consigli migliori in questo periodo è quello di tenerci occupati, bisogna infatti cerca di occupare il nostro tempo, crearci una routine quotidiana da rispettare, questo dà una scadenza al nostro tempo e ci aiuta a passare al meglio la giornata senza cadere nello sconforto e nell’inattività.

Inoltre potremmo approfittare del tempo extra che abbiamo per dedicarci ad attività, hobbies, passioni che nella vita quotidiana non riusciamo a fare, come ad esempio cucinare, disegnare, dipingere, leggere, vedere film, giardinaggio…

In questo modo occupiamo il tempo e facciamo qualcosa che ci piace, perché questo è fondamentale, fare cose che ci fanno stare bene, che ci piacciono, perché in un periodo dove tutto appare brutto e buio la cosa migliore è accendere delle piccole luci con le cose belle per noi.

Poi il fatto che le palestre sono chiuse e anche le passeggiate sono state ridotte non sono una scusa per non fare esercizio fisico, anzi il fisico in questo periodo non va trascurato.

Facciamo muovere il nostro corpo, ci sono tante applicazioni che ci permettono di fare allenamento da casa, questo è importantissimo. Almeno un pochino di movimento tutti i giorni ci farà sentire meglio e meno “legati” dalla situazione.

Le relazioni sociali poi sono fondamentali, anche se non possiamo vedere i nostri amici e i nostri parenti fisicamente questo non vuol dire che ci dobbiamo isolare.

Grazie alla tecnologia abbiamo la possibilità di rimanere in contatto con tutti, anche vedendoli negli occhi, con le video chiamate, quindi approfittiamo di questo e rimaniamo in contatto con tutte le nostre persone vicine.

Perché a volte anche solo un “ciao, come stai?” e un  sorriso da parte di un nostro amico possono risollevarci la giornata, possono ridarci il sorriso in un momento magari un po’ triste. Quindi mi raccomando manteniamo attive le nostre reti sociali.


© Coronavirus: Piccoli consigli utili Parte 1 – Alessia Bottiglieri