Uso problematico di internet o internet addiction?

Uso problematico di internet o internet addiction? ?

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Come sottolineato in precedenza, l’utente nell’utilizzo di Internet può sviluppare un uso problematico. A lungo andare, però, la situazione può tramutarsi in una vera e propria dipendenza, un insieme di comportamenti inusuali che presenta le seguenti caratteristiche:

  • Fallimento ricorrente di resistere agli impulsi di impegnarsi in un comportamento specifico
  • Crescente senso di tensione immediatamente prima di iniziare il comportamento
  • Piacere o sollievo nel momento in cui ci si impegna nel comportamento
  • Sensazione di mancanza di controllo mentre si realizza il comportamento (Goodman A., 1990).

Risulta importante definire la differenza tra uso problematico di Internet e dipendenza, specificando che con il termine Internet si fa riferimento a tutti i tipi di attività on-line (Young, 1998). Il primo a parlare di dipendenza da Internet fu lo psichiatra americano Goldberg nel 1996 presentando l’esistenza di un disturbo da lui chiamato IAD, Internet Addiction Disorder indicando i criteri diagnostici utili al riconoscimento di tale disturbo sulla base di quelli riportati dal DSM per la dipendenza da sostanze. Nel concreto ciò che differenzia l’uso problematico dalla dipendenza da Internet sono i sintomi; quest’ultima presenta sei sintomi tradizionalmente associati con la dipendenza da sostanze quali la salienza, vista come la preoccupazione intensa per il comportamento, la modificazione dell’umore, la tolleranza, intesa come l’impegno crescente nel raggiungere lo stato iniziale del comportamento, il ritiro, ovvero provare disagio psicofisico quando il comportamento è ridotto o proibito, il conflitto, che può essere ricreativo, al lavoro, di istruzione, in casa e infine, la ricaduta (Andreassen, 2014). I sintomi devono essere presenti per almeno un anno e tra di essi vi sono anche quelli di natura psicosomatica come agitazione psicomotoria e ansia. Gli utenti continuano a navigare online nonostante l’evidente compromissione di aspetti psicologici individuali e relazionali della loro vita (Ferraro et al., 2006). Un altro importantissimo contributo sulla dipendenza da Internet è stato fornito dalla psicologa americana Kimberly Young (1998), secondo la quale le persone diventano dipendenti da Internet nello stesso modo in cui gli alcolisti diventano dipendenti dall’alcool e i tossicodipendenti dalla droga creando problemi nella vita di tutti i giorni. Essi sono classificati in cinque categorie: problemi accademici, relazionali, economici, lavorativi e fisici. Young (1998) analizzando un campione di studenti esprimeva come per loro diventasse complicato portare a termini i vari compiti a causa di una grande mole di tempo spesa su siti irrilevanti, chat room e giochi online. La loro dipendenza li portava a passare sempre meno tempo con amici e familiari preferendo rimanere in casa “trascinati” passivamente in attività online. Questo aspetto li portava ad arrabbiarsi con chi cercava di fare chiarezza sulla loro situazione rispondendo loro di non aver alcun problema, in ragione di una mancanza di consapevolezza dello stato di dipendenza. Riguardo alla sfera sentimentale, le relazioni si impoverivano anche a causa della costruzione di nuove amicizie online degli utenti, viste da loro come eccitanti e che, in casi estremi, sfociavano nella consumazione di Cyber Sex. Si tratta del sesso virtuale il quale comprende tutte quelle attività che si possono svolgere in Rete e che provocano un’eccitazione sessuale (Zanardi, 2013).  Le ripercussioni si esprimevano anche dal punto di vista finanziario con gli utenti che arrivavano a spendere ingenti somme di denaro per l’acquisizione di servizi online. La Young (1998), inoltre, nei risultati del suo esperimento metteva in luce la differenza del tempo passato online tra dipendenti e non dipendenti da Internet. I primi spendevano 38,5 ore a settimana su Internet contro le 4,9 ore dei “non dipendenti”, un dato piuttosto significativo. Il suo contributo è stato così importante anche grazie alla realizzazione dell’Internet Addiction Test (IAT), un questionario strutturato costruito seguendo i criteri del gioco d’azzardo patologico presente nella versione 4 del DSM. Lo strumento, nella versione originaria, presentava 8 items e se il soggetto rispondeva “si” a 3 o più di essi era considerato dipendente. La Young, in seguito ha adattato il questionario a 20 items, con modalità di risposta su scala Likert da 1 “per niente” a 5 “sempre” somministrandolo ad un campione variegato di individui dai 14 ai 40 anni di età.  I risultati mostravano che gli individui quando erano offline mostravano comportamenti di dipendenza che sfociavano in sintomi di carattere psicologico quali insonnia, ansia e depressione. Secondo Ferraro e collaboratori (2006) la dipendenza da internet sembra essere una sindrome cross culturale caratteristica dei nostri tempi caratterizzati dall’insediamento degli strumenti digitali nella attività di tutti i giorni. I risultati del loro studio dimostrano che i giovani utenti sono più a rischio degli adulti di sviluppare una dipendenza da Internet. Essi percepiscono un’insoddisfacente qualità della vita e questo li porta a compensarla con l’utilizzo di Internet. Questo si verifica principalmente negli adolescenti e nei giovani adulti coerentemente con il delicato periodo di sviluppo che stanno attraversando. Essi ricercando informazioni e collegandosi frequentemente a chat room sperimentano varie identità possibili in quello che diventa uno “scenario virtuale”. I giovani provano un grande piacere in questa variegata sperimentazione, la quale, però, porta con sé dei rischi, ignorati dai molti, producendo tutti quegli effetti di dipendenza precedentemente discussi. Tornando agli strumenti di misura, in assoluto lo strumento utilizzano più frequentemente negli studi con oggetto la dipendenza da Internet è stata la Chen’s Internet Addiction Scale (CIAS) sviluppata nel 2003, grazie alla sua ottima consistenza interna. La CIAS è una scala a 26 items con punteggio valutato su scala Likert a quattro punti che valuta i sintomi principali della dipendenza da Internet, quali uso compulsivo, tolleranza e ritiro. Essa, inoltre, indaga misure quantitative come il numero di ore spese settimanalmente su Internet e misure qualitative valutando l’esperienza su Internet nella sua totalità (Kuss et al., 2014).

Procedendo in ordine cronologico crescente, singolare è stato anche il contributo di Cantelmi e Talli (2007), i quali hanno proposto dei criteri articolati in sintomi overt (manifesti) e covert (occulti). Secondo tali autori per diagnosticare il disturbo era necessaria la presenza di almeno due sintomi overt e almeno due sintomi covert, per un periodo di tempo non inferiore ai 6 mesi. I vari ricercatori che si sono occupati dell’argomento hanno impiegato vari termini per descrivere questo fenomeno: uso patologico di Internet (Young, 1995 1998a, 1998b), uso problematico di Internet (Shapira, Goldsmith, Keck, Khosla, & McElroy, 2000), disturbo di dipendenza da Internet, o comportamenti di dipendenza da Internet (Widyanto & Griffiths, 2006). Ad oggi, tuttavia, non vi è alcun consenso sulla definizione precisa di dipendenza da Internet o anche sulla sua posizione come un disturbo a sé stante. Attualmente, infatti, l’Internet Addiction non è presente all’interno del DSM 5 (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), nonostante il crescente numero di ricerche degli ultimi 20 anni, anche se il suo ingresso è prossimo alla formalizzazione. L’unica dipendenza comportamentale presente nella versione 5 del DSM è il gioco d’azzardo patologico (gambling). Secondo Stephenson (1988), nella sua teoria “Play Theory of Mass Communication”, il motivo per cui gli individui diventano dipendenti da Internet è che il suo utilizzo genera una sorta di esperienza di comunicazione piacevole che stimola gli utenti ad utilizzarlo ancora e ancora, e che l’uso eccessivo li porta a sviluppare, col tempo, comportamenti di dipendenza. Secondo Suler (1999), invece, il punto focale sta nel fatto che molti utenti godono nel padroneggiare le varie caratteristiche tecniche di applicazioni e software, e computer e reti offrono un ciclo motivante e gratificante di sfida, sperimentazione, padronanza, e successo. Suler (1999), inoltre, sostiene che le persone hanno un bisogno innato di alterare la loro coscienza, per sperimentare la realtà da diversi punti di vista, e che il cyberspazio può essere una nuova ed importante arena in cui soddisfare tale esigenza. Più precisamente egli sostiene che gli individui sentono il bisogno di soddisfare sei esigenze particolari: (1) il sesso, (2) l’alterazione dello stato di coscienza, (3) la realizzazione e la padronanza, (4) il senso di appartenenza, (5) le relazioni, e (6) l’auto-realizzazione e la trascendenza di sé. Questo esigenze irrefrenabili spingono le persone a fare un uso sempre più frequente del Web fino a sviluppare forme di dipendenza.

Anche se alcuni sostengono che il termine “dipendenza” debba essere applicato solo ai casi connessi con determinate sostanze chimiche (ad esempio, Bratter & Forrest, 1985), criteri diagnostici simili sono stati applicati ad una serie di problematiche comportamentali come, ad esempio, il gioco d’azzardo patologico (Young, 1996a). La dipendenza da Internet rappresenta una caso tipico di dipendenza “comportamentale”, intesa come “l’essere eccessivamente preoccupati per le attività online, guidati da una motivazione incontrollabile ad eseguire il comportamento, dedicandovi tanto tempo e sforzi arrivando ad alterare altre importanti aree di vita “(Andreassen & Pallesen, 2014). Chi soffre di dipendenza da Internet, quindi, non frequenterebbe la Rete per necessità o per svago, ma risponderebbe ad un impulso incontrollabile e incontenibile di usare Internet per il maggior tempo possibile. L’impossibilità di collegarsi provocherebbe un grande disagio, un senso di privazione e di angoscia che può culminare in vere e proprie crisi d’astinenza (Zardini, 2014).

Fattori di rischio ben precisi conducono verso lo sviluppo di dipendenza da Internet, tra questi è importante ricordare il deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD) e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Con l’ADHD intendiamo la difficoltà del soggetto a mantenere la concentrazione sul compito, esso si dimentica facilmente cose abituali, è facilmente distraibile da stimoli esterni, ha difficoltà ad organizzarsi e pianificare il lavoro, non segue le istruzioni, non porta a termine le attività, perde gli oggetti e i materiali, ecc. (Macchia V. 2013). Il DOC, invece, è caratterizzato dalla frequenza, la ripetitività e la persistenza dell’attività ossessiva e la sensazione che tale attività sia imposta e compulsiva. Le ossessioni consistono in idee, immagini o impulsi persistenti che vengono esperiti come intrusivi e senza senso, causando ansia e disagio marcati. Le compulsioni, invece, sono definite come comportamenti ripetitivi (come lavarsi le mani, ordinare, controllare) o atti mentali (come pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che l’individuo sente di dover eseguire in risposta ad un’ossessione (Berra, L. 2002). Entrambi i disturbi sono caratterizzati da alta impulsività e scarso controllo inibitorio (ad esempio, Littel et al. 2012; Zermatten & Van der Linden, 2008). Un altro fattore di rischio significativo è il tempo, Young (1998) in un suo importante studio, ha registrato una media impressionante di 39 ore a settimana trascorsa online dai dipendenti da Internet, rispetto alle 5 ore dei non-dipendenti. Anche la ricerca del piacere online rappresenta un potenziale pericolo, pertanto, è possibile che coloro che sono depressi potrebbero servirsi dell’utilizzo di Internet per il “trattamento” della loro depressione (Chou, Condron, & Belland, 2005). Quindi, un aumento dei livelli di depressione comporta un aumento dell’utilizzo di Internet e dell’eventuale sua dipendenza. Young e Rogers (1998), inoltre, hanno proposto che troppo tempo passato online potrebbe aumentare i livelli di isolamento sociale, con conseguente aumento della depressione. In questa condizione di malessere, Internet diventa un sostituto per l’interazione sociale della vita reale e gli utenti possono finire catturati in un circolo vizioso (Chou, Condron, & Belland, 2005). Altri fattori di rischio sono rappresentati da alcuni tratti di personalità quali: ricerca di novità, bassa autostima, intolleranza della frustrazione, introversione, bassa stabilità emotiva, bassa coscienziosità e intraprendenza, impulsività e bisogno di evasione dalla realtà. Con intolleranza della frustrazione si intende la pretesa che la realtà dovrebbe essere come la vogliamo, tratto che è stato riportato essere associati a problemi di autocontrollo (Ko et al., 2008). In aggiunta, alcune variabili di carattere sociale possono avere un contributo importante nell’insorgenza del disturbo come ad esempio un basso adattamento sociale, stress, bassa soddisfazione universitaria, relazioni universitarie povere e profonda noia nel tempo libero (Kuss et al., 2014).

Young (2009) distingue tre tipologie di dipendenza da Internet: il gioco eccessivo, le occupazioni sessuali online (Cyber sex) e le occupazioni relative ad e-mail/sms. I social network sono un tipo di attività online in cui e-mail/sms sono predominanti. In questo caso, quindi, si può parlare di dipendenza da Social Network, tra i quali il più popolare è Facebook. Essendo una sorta di piattaforma per lo scambio di informazioni e un mezzo che permette di stabilire nuovi rapporti o mantenere quelli esistenti, Facebook ha un impatto enorme sulla vita sociale (Ellison, Steinfield, & Lampe, 2007). Negli ultimi anni la dipendenza da Facebook ha ricevuto grande attenzione. Essa è definita come l’eccessivo coinvolgimento in attività riguardanti la piattaforma e causa frequente di problemi nel funzionamento sociale (Elphinston & Noller, 2011).

Smahel, Blinka e Bradford Brown (2012) sostengono che gli adulti emergenti siano più suscettibili alla dipendenza da Internet rispetto agli adolescenti, perché, con l’aumentare dell’età, la supervisione degli adulti sul loro utilizzo di Internet diminuisce (come le restrizioni immesse sulla loro attività in Internet). Con il passaggio dall’adolescenza all’età l’età adulta (in genere alla fine delle scuole superiori o dell’università), diminuiscono le interazioni faccia a faccia dei giovani con i pari e il tempo passato da soli aumenta, lasciandoli vulnerabili all’uso di Internet per compensare i rapporti perduti o indeboliti con i pari. Senza controllo, un giovane può diventare eccessivamente coinvolto in attività online (Douglas et al, 2008; Yen, Yen, Chen, Chen, e Ko, 2007).

La dipendenza da Internet porta con sé numerosi esiti negativi che influiscono direttamente sulla vita del soggetto. Nello studio di Scherer (1997), il 13% degli intervistati riferiva che l’uso di Internet aveva interferito con le loro attività universitarie, le prestazioni professionali e la vita sociale. Tra questi, circa il 2% percepiva Internet come avente un effetto complessivo negativo sulla loro vita quotidiana. Tra i problemi riscontrabili innanzitutto vi era la distorsione del tempo, oltre alla perturbazione del matrimonio, i problemi finanziari, e i problemi relazionali (problemi sessuali, genitore-figlio, e di amicizia). Infine, tra gli esiti negativi, non va dimenticato il sonno breve e disturbato collegato anche a ridotto rendimento scolastico (Dewald, Meijer, Oort, Kerkhof, & Bögels, 2010).


© Emerging adults ed utilizzo di Internet: organo funzionale o strumentalità inversa? – Andrea Pivetti