Quali motivi ci spingono alla personalizzazione?

Quali motivi ci spingono alla personalizzazione?

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“C’è una stretta relazione reciproca tra lo sviluppare un senso di attaccamento a un luogo e il tentativo di renderlo «casa nostra» in vari modi: la funzione territoriale di esclusione degli estranei ha qui un ruolo importante come nelle relazioni precoci di attaccamento affettivo” (Baroni, 2012, p.73).

Quello che afferma Baroni apre la strada alla domanda che vogliamo porci a questo punto, ovvero quali sono le motivazioni che portano le persone a personalizzare il proprio spazio di lavoro.

Secondo Altman (1975) quando gli individui utilizzano i loro oggetti con l’intento di marcare il territorio per regolare le interazioni, allora la personalizzazione può essere considerata come un comportamento territoriale. Come riportato da Brown e Zhu (2016), i sentimenti di proprietà soddisfano importanti bisogni umani compresa la necessità di avere “un senso del luogo” e il bisogno di auto-espressione. La proprietà conferisce alla persona una sensazione di controllo, o di efficacia, sopra l’oggetto. Un sentimento di proprietà nell’organizzazione permette così di sviluppare un “senso di casa” all’interno di essa. Anche se di solito non nel senso letterale di una casa fisica, i sentimenti di proprietà creano un luogo psicologico per riposare e sentirsi al sicuro. Infine, anche gli oggetti posseduti sono usati per definire se stessi e possono essere importanti per lo sviluppo o il mantenimento della propria individualità.

È importante notare che, per sviluppare un sentimento di proprietà, le persone hanno bisogno di percepire che hanno controllo sull’oggetto, acquisire conoscenze sull’oggetto ed investire energie per l’oggetto. I comportamenti territoriali servono dunque proprio a mantenere e comunicare questo senso di proprietà su determinati oggetti all’interno dell’organizzazione. La territorialità si differenzia dalla proprietà psicologica (psychological ownership) per il fatto che i comportamenti territoriali hanno una forte componente sociale, nel senso che non sono finalizzati semplicemente ad esprimere il possesso ma proprio a definire la relazione tra la persona e l’oggetto rispetto agli altri, nel secondo caso si tratta di una percezione prettamente individuale, mentre nel primo, ribadiamo, vi è proprio l’intento di comunicare agli altri il proprio primato sull’oggetto (Brown e Zhu, 2016).

In questo senso, si possono distinguere due diverse modalità di marcare il territorio: quella orientata al controllo (control-oriented) delle interazioni e dell’accesso al proprio territorio, attraverso simboli che ne segnalano i confini, come ad esempio chiudere la porta o posizionare la scrivania in un certo modo, e quella orientata invece all’espressione della propria identità (individualoriented) attraverso foto, riconoscimenti ed altri oggetti personali, comportamenti che invece rientrano più propriamente nel concetto di personalizzazione dello spazio.

Un altro aspetto interessante, emerso dall’analisi della letteratura di Brown e Zhu (2016), è la tendenza a percepire i propri oggetti come estensioni di sé stessi e quindi a guardarli e trattarli come si guarderebbe e tratterebbe sé stessi, inclusi dunque bias e meccanismi di protezione, ecco perché capita di provare affetti positivi verso un oggetto. Le forme di individual-oriented marking si sono infatti dimostrate capaci di rendere un ambiente visivamente più piacevole e stimolante da abitare. In effetti personalizzare lo spazio può essere funzionale a diversi scopi: renderlo più familiare, marcare il territorio, rendere lo spazio esteticamente più piacevole, regolare le interazioni sociali (Noorian, 2009). Nella ricerca condotta da Noorian (2009) sono state indagate proprio le varie ragioni per cui ciascun individuo personalizza il proprio spazio; dall’analisi delle frequenze di scelta è emerso il seguente ordine, con delle differenze però in base al genere:

  • Per rispondere a necessità e funzioni specifiche dell’utente (94%)
  • Per controllare e regolare le interazioni (69%)
  • Per esprimere le emozioni individuali (63%)
  • Per esprimere la propria identità ed individualità (56%)
  • Per mostrare che quell’ufficio appartiene alla persona
  • Per motivi estetici
  • Per mostrare lo status
  • Altro

Le differenze più rilevanti rispetto al genere hanno riguardato l’item “per mostrare lo status” con 0% donne e 25% uomini e  l’item “per esprimere le emozioni individuali” con 75% donne e 50% uomini. Dalle interviste sono poi emerse altre ragioni, come ad esempio: perché influenza la soddisfazione lavorativa ed il benessere, perché rende lo spazio di lavoro più divertente e confortevole. Anche Wells (2000) ha ottenuto risultati simili rispetto al genere, ma percentuali un po’ diverse rispetto alle motivazioni:

  • Per esprimere la propria identità ed individualità (56%)
  • Per trovarsi meglio nel posto di lavoro (30%)
  • Per esprimere le proprie emozioni (16%)
  • Per mostrare che quello spazio appartiene alla persona (15%)
  • Per mostrare il proprio status all’interno dell’organizzazione (6%)
  • Per controllare le interazioni con i colleghi
  • Perché lo fanno anche gli altri

Rispetto alle differenze di genere, le analisi hanno mostrato che più donne che uomini hanno riferito di personalizzare il proprio spazio per esprimere la propria identità ed individualità, per esprimere le proprie emozioni e per sentirsi meglio nel luogo di lavoro; mentre più uomini che donne hanno riferito di personalizzare lo spazio per mostrare il proprio status.

 


©  La personalizzazione del proprio spazio: una ricerca in ambito lavorativo – Dott.ssa Martina Mancinelli