La relazione d’aiuto secondo l’approccio strategico

La relazione d’aiuto secondo l’approccio strategico

 

 La relazione d’aiuto, come accennato nei precedenti capitoli, si avvale di una serie di metodologie e strumenti derivanti dalle varie scuole di pensiero psicologiche e psicoterapeutiche. Una delle più recenti metodologie che sembra riscuotere un certo grado di efficacia e che ha trovato una consistente applicazione anche nell’area del Counseling è quello della terapia breve strategica, elaborata dal gruppo di ricercatori del MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto (Watzlawick et al., 1974); questi autori hanno sintetizzato l’approccio sistemico con i contributi tecnici dell’ipnoterapia di Milton Erickson, nella prospettiva di formulare modelli sistematici in grado di far evolvere l’approccio strategico di Erickson alla terapia da pura arte, o magia, a procedura clinica ripetibile (Watzlawick, Nardone, 1997).

Tale modello, sia per l’area della psicoterapia che per quella relativa al counseling, è stato poi messo a punto anche in Italia dallo stesso Watzlawick e Giorgio Nardone, presso il Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo. La tradizione pragmatica e la filosofia dello stratagemma come chiave di soluzione di problemi, tipica della terapia breve strategica, ha radici ben più antiche; tra i contributi strategici di enorme rilevanza anche nella modernità, ricordiamo infatti l’arte persuasiva dei sofisti, l’antica pratica dello Zen ed il libro dei 36 stratagemmi dell’antica Cina. La terapia breve strategica ha rivoluzionato l’area delle psicoterapie orientandola verso la risoluzione rapida ed effettiva delle varie problematiche presentate dai pazienti, anche quelle più complesse e persistenti.

L’approccio strategico si delinea lungo un asse relazionale, ovvero si pone come punto di riferimento lo strutturarsi delle dinamiche relazionali che gli esseri umani attuano nel rapportarsi con sé stessi, con gli altri e con il mondo circostante. Secondo tale approccio, infatti, è attraverso le relazioni che l’esperienza umana perviene alla strutturazione della mente, a partire fin dalla prima infanzia dal rapporto con la figura materna e con quella paterna, fino ad allargarsi ad un contesto familiare allargato e poi a quello sociale che accompagnerà l’essere nel corso di tutta la sua esistenza. Questa centralità data alla relazione va a destrutturare quelli che sono i canoni classici della psicologia classica, che ha sempre rivolto, invece, una certa attenzione al mondo intrapsichico del soggetto.

Nell’ottica strategica, infatti, l’individuo non è più dominato da impulsi, istinti e pulsioni energetiche, ma è parte attiva nella costruzione della propria realtà, in quanto costruisce una personale rappresentazione interna della stessa e continuamente la rielabora pervenendo ad una sempre e maggiore conoscenza personale e situata.

Sulla scorta di una personale percezione e costruzione della realtà dell’essere, la terapia breve strategica nell’approccio con i pazienti, differentemente dalla concezione classica freudiana, aderisce ad una definizione della “normalità – come – ­adattamento alla realtà”. A tal proposito utile è il riferimento di Heisenberg (1958), sullo stesso argomento:

“La realtà di cui noi parliamo non è mai una realtà “a priori”, ma una realtà conosciuta e creata da noi. Se, in riferimento a quest’ultima formulazione, si obietta che, dopo tutto, esiste un mondo oggettivo, indipendentemente da noi e dal nostro pensiero, che funziona o può funzionare indipendentemente dal nostro agire , e che è quello che noi effettivamente intendiamo quando facciamo ricerca, a questa obiezione, così convincente a prima vista, si deve ribattere sottolineando che anche l’espressione “esiste” ha origine nel linguaggio umano e non può quindi  avere un significato non legato alla nostra comprensione. Per noi “esiste” solo il mondo in cui l’espressione “esiste” ha un significato” (Watzlawick, Nardone, 1997).

Si evince chiaramente, nella terapia breve strategica, la forte influenza apportata dal “Costruttivismo” (secondo il quale l’individuo che apprende costruisce modelli mentali per comprendere il mondo intorno a lui) e dal “Costruzionismo” (il quale sostiene che l’apprendimento avviene in modo più efficiente se chi apprende è coinvolto nella produzione di oggetti tangibili, come accade per esempio con l’apprendimento esperienziale). Fondandosi quindi sui principi del costruttivismo e del costruzionismo, la terapia strategica pone attenzione sulle interazioni della persona verso il gruppo e sull’interazione che avviene tra gli stessi membri. Espressione di questa interazione è senza dubbio il linguaggio che consente l’apertura a quel complesso processo che è la comunicazione tra gli esseri umani. Senza comunicazione non vi è interazione, non può delinearsi ciò che sembra essere figlia della comunicazione, ovvero “la relazione”. La relazione, in ambito terapeutico, si delinea come quel ponte che consente di collegare due isolotti, il terapeuta ed il paziente. Solo se avviene questo contatto pieno, entrambe le figure posso dirigersi verso la strada che porta al cambiamento, ovvero modificare ed interpretare la realtà in maniera efficace e adattiva. Fu lo psicologo Watzlawick che nel 1967, insieme ad altri suoi collaboratori della “Scuola di Palo Alto”, segnò una vera e propria rivoluzione copernicana in tema di comunicazione, pubblicando il volume “Pragmatica della comunicazione umana” (Spurio, 2015).

Gli studiosi del M.R.I affermano che: “è comunicazione qualsiasi evento, cosa, comportamento che modifica il valore di probabilità del comportamento di un organismo” (Watzlawick et al., 1971). Ad ogni modo non vi è nella persona la possibilità di non comunicare: l’attività o meno, le parole o il silenzio, emanano comunque dei messaggi che influenzano gli altri, che a loro volta, non possono sottrarsi dal partecipare, al processo comunicativo in atto. In ambito terapeutico, strategico o meno, il ruolo della comunicazione appare di vitale importanza in quanto consente di stabilire, con il proprio interlocutore, un terreno comune in cui risulta possibile comprendere l’esperienza attraverso un linguaggio comune e condiviso. In definitiva il contributo di Watzlawick può essere sintetizzato nella capacità di costruire un proprio modello basato sulla ricerca delle strategie utili a determinare un cambiamento nella vita dell’individuo, avvalendosi degli assunti costruttivisti e costruzionisti. Con Watzlawick la psicoterapia diventa un percorso che ha come scopo quello di ristrutturare la visione del mondo del paziente, attraverso le “esperienze emozionali correttive” (Alexander, 1956).

Vi sono diversi contributi da cui la terapia breve strategica oggi può attingere, come ad esempio quelli derivanti dal M.R.I., dalla Cibernetica, da Milton Erickson, da Gregory Bateson e Margaret Mead, da Alfred Kroeber e John Weakland e Jay Haley e William Fry, da Jay Haley, da Giorgio Nardone, etc. Per questi ultimi si rimanda alla bibliografia di riferimento.

Infine, come riportato nell’articolo di Petruccelli F. e Parziale M. (1999) “di seguito vengono relazionate alcune delle tecniche maggiormente formalizzate e utilizzate tra quelle reperibili in letteratura.