Counseling Strategico: ancora tecniche

Counseling Strategico: ancora tecniche

Foto di Arek Socha da Pixabay

Tecnica dell’ordalia

Il terapeuta impone un compito esasperante adeguato al problema della persona, compito che deve risultare maggiormente noioso rispetto al problema stesso.

L’ordalia deve essere congeniata in modo da risultare positivo ed attuabile per il soggetto, che non può legittimamente opporsi.

L’ordalia può essere strutturata in modo diretto, paradossale (prescrizione del sintomo) oppure in modo tale da coinvolgere altre persone o il terapeuta stesso (per esempio, aumentando l’onorario ogni qual volta si verifica il sintomo) (Haley, 1984).

Prescrizione di comportamenti in atto

Nel caso in cui il soggetto si mostri resistente all’attuazione di un qualsiasi agire, il terapeuta può prescrivergli ciò che già sta mettendo in atto, in modo tale da restituirgli una dimensione attiva (Haley, 1985).

Tecnica dell’illusione di alternative

Quando il terapeuta deve impartire una prescrizione ritenuta troppo impegnativa per il paziente, gli si assegna la possibilità di scelta tra due compiti di cui il secondo deve risultare meno ansiogeno e maggiormente attuabile del primo (Nardone, 1991).

Uso del paradosso

Vengono impiegate azioni e comunicazioni paradossali illogiche ed impreviste che producono il salto del livello logico indispensabile al cambiamento, modificando una rigida e compulsiva situazione percettivo-reattiva.

Si possono amplificare ed esasperare le lamentele e le fissazioni del paziente fino a condurre egli stesso alla rassicurazione del terapeuta (Nardone, Watzlawick, 1990; Nardone, 1991).

Ristrutturazione

Consiste nell’indurre il paziente ad una ricodificazione di immagini e percezioni della realtà mediante spostamento del punto di osservazione.

Secondo Gulotta (1997), la ristrutturazione consiste nel modificare la struttura concettuale ed emozionale di una situazione, ottenendo una alterazione del significato che le viene attribuito.

Se il problema può essere visto e vissuto in maniera alternativa, allora può essere ridotto o eliminato, dal momento che la sua esistenza è intimamente associata con la prospettiva di chi è coinvolto.

Ad esempio, viene operata una ristrutturazione all’interno di una struttura familiare definendo una lite come espressione d’amore.

Se la lite viene ripercepita dai suoi membri come un tentativo di unione, allora i comportamenti messi in atto per alimentarla possono essere trasformati in una serie di condotte tese alla vicinanza.

Vissuta in modo diverso, la situazione non ha più bisogno di essere problematica.

Allo scopo di realizzare una ristrutturazione, possono essere utilizzati paradossi, dubbi ipotetici, storie e metafore, punti di vista alternativi, manovre che sorprendono e conducono un cambiamento nel sistema percettivo-reattiva del paziente (Nardone, Watzlawick, 1990; Nardone, 1991).

La ristrutturazione può essere realizzata anche attraverso analogie terapeutiche e sillogismi informali (Erickson, Rossi, 1989).

Uso dell’ironia

L’ironia possiede uno straordinario potere nel ristrutturare, attraverso il senso dell’humor o il ridicolo, situazioni che viste nella loro serietà o tragicità vengono vissute come inaccettabili ed immutabili.

Una ristrutturazione ironica del tema in discussione è in grado di cambiare la cornice percettiva e le conseguenti reazioni del paziente nei confronti di tale realtà (Nardone, 1991).

L’umorismo può essere utilizzato in terapia considerandone gli effetti a breve e lungo termine.

Nell’immediato del contesto terapeutico, può servire ad alleviare la tensione, a sdrammatizzare una situazione, ad esorcizzare la paura, a creare un clima di collaborazione, ed evitare la mitizzazione del terapeuta, a far accettare ciò che è proibito, a trasferire concetti altrimenti ostici.

A lungo termine, insegnare a vedere e ad affrontare la vita puntando sull’umorismo significa far apprendere un’abilità che può diventare decisiva.

L’umorismo va usato per consentire al paziente di riflettere sui suoi problemi in maniera diversa e creativa, e per aumentare la capacità stessa di risolvere i problemi.

Con pazienti poco portati all’umorismo, per disposizione personale o per situazioni particolarmente difficili, si può far ricorso all’immaginazione di situazioni divertenti.

Anche comportamenti non verbali possono essere usati umoristicamente (Gulotta, 1997).

Dichiarazione d’impotenza  

È una tecnica particolarmente indicata con quei pazienti che, invece di pensare a migliorare il proprio comportamento, sono più interessati a sconfiggere il lavoro del loro terapeuta.

In questo caso, poiché ogni tentativo da parte del terapeuta di cambiare viene sabotato, l’unica soluzione diventa ammettere umilmente la propria incapacità nel riuscire a facilitare il cambiamento.

La reazione del paziente a questa confessione è di stupore, accompagnata spesso da un forte timore di sentirsi improvvisamente abbandonati.

L’ammissione di incapacità da parte del terapeuta porta il paziente a fare un esame di coscienza e a riconoscere la propria parte di responsabilità nel mancato cambiamento.

In questo modo il terapeuta acquista parte del controllo sulla relazione sfidando il cliente ad impegnarsi affinché lo convinca che egli, in fondo, è capace di fare un vantaggioso uso del trattamento (Gulotta, 1997).

Tecnica della concretizzazione

Dinanzi a problematiche formulate in maniera generica, lo scopo della tecnica risulta nell’accumulazione di un numero sufficiente di esempi concreti che permettono di incominciare a scorgere i contorni del problema, la maniera in cui il cliente lo percepisce, i ruoli assunti, le diagnosi inespresse (Schein, 1987).

Accento sul processo

Dal momento che i problemi vengono per lo più descritti in termini di contenuto, risulta utile riuscire a far riformulare il problema in termini di processo, allo scopo di identificare in quale fase si è verificato il problema.

Inducendo la ricostruzione del processo, non solo vengono reperiti dettagli utili, ma viene anche insegnata al cliente l’importanza di ragionare per ricavare la propria diagnosi del problema (Schein, 1987).

Feedback

Il feedback viene inteso come un’informazione sul progresso compiuto da una persona in relazione ai suoi obiettivi.

Non appena il consulente o il terapeuta ha un’idea rispetto a ciò che il cliente sta tentando di ottenere, gli può fornire un feedback su come sta avanzando verso il conseguimento di tali obiettivi (Schein, 1987)”.

L’esposizione in via generale di alcuni dei tratti salienti della terapia breve strategica e delle principali tecniche strategiche, caratterizza lo stesso approccio in riferimento all’area del Counseling. Nella fattispecie il Counseling Strategico può essere definito come “l’arte di risolvere problemi complicati, mediante soluzioni semplici”. Tale modello muove dall’idea che un disagio, emotivo o relazionale che sia, viene generato in funzione del come si percepisce la realtà circostante, e dai comportamenti disfunzionali attivati in relazione alla stessa. “Obiettivo dell’approccio breve strategico è l’interruzione di quel circolo vizioso che porta ad adottare un comportamento disfunzionale che, come tentata risposta al disagio, invece di porre fine alla sofferenza la acuisce” (www.ierf.it, 2014).

Il Counselor strategico, in linea con i principi generali della relazione d’aiuto, deve essere in grado di fornire una risposta efficace ed idonea ad ogni singolo caso; deve saper elaborare tecniche specifiche “strategiche”, da ricucire addosso al cliente che ha preso in carico. L’approccio strategico si rivolge sia alla singola persona che ai gruppi (coppia, famiglia o organizzazioni) e muove nell’ambito dell’asse comunicazionale-relazionale. Attraverso l’instaurarsi di una relazione autentica risulta possibile mediare e facilitare processi adattivi a sfavore di processi disfunzionali, nonché acquisire l’arte dell’imparare ad “aiutarsi da sé”, per gestire le situazioni nel “qui ed ora e allora”.

Oltre alle varie tecniche dell’approccio breve strategico, già sopraccitate, un ulteriore modello efficace del Counseling strategico è il Problem Solving Strategico elaborato da Nardone presso lo “Strategic Therapy Center” (STC) Change Strategies, centro fondato dallo stesso Nardone e da Watzlawick. Tale modello affonda le sue radici nelle teorie del costruttivismo di von Glasersfeld e von Foerster, nelle scoperte della comunicazione di Bateson e Erickson e nelle ricerche sui principi della comunicazione del Mental Research Institute (MRI), noto come “Scuola di Palo Alto” (Watzlawick, Weakland, Fisch, Jackson), approfonditi in seguito da Paul Watzlawick nella sua “Pragmatica della Comunicazione Umana” (1967). Tale modello è adatto alla risoluzione di problematiche relazionali per il singolo, per la coppia e la famiglia; consente l’applicazione di interventi mirati sui singoli o a livello sistemico. Il Counseling Strategico così inteso è finalizzato a produrre un cambiamento concreto, partendo da un’indagine del “come funziona” il problema piuttosto che delle cause che lo hanno originato, le quali vengono spesso svelate indirettamente dalla sua soluzione.

Tra il problema e la soluzione il Problem Solving Strategico si articola nelle seguenti fasi:

  1. Definire il problema: Per definire concretamente il problema occorre partire dall’analisi del cosa sia realmente il problema, comprendere chi viene coinvolto, in quale contesto si verifica, in quale situazione e con quale modalità si manifesta. Per guardare il problema con diverse prospettive ci si può avvalere del livello immaginativo, ipotizzando come le altre persone che conosciamo possano percepire lo stesso problema. Se come obiettivo, invece, ci si prefigge solo il miglioramento di una data situazione, allora può essere utile partire dal raggiungimento dell’obiettivo per poi procedere a ritroso analizzando le difficoltà, le carenze e le resistenze che bloccano la strada volta al cambiamento.
  2. Accordare l’obiettivo: Il passo successivo alla definizione del problema è stabilire i cambiamenti utili alla risoluzione del problema stesso. Bisogna tener ben presente quale realtà concreta potrebbe realmente farci ritenere che l’obiettivo sia stato raggiunto. Nel caso il lavoro riguarda un team, risulta fondamentale consolidare il gruppo allineandosi sinergicamente sino al pervenire alla stessa percezione degli obiettivi da raggiungere e della strada; bisogna stabilire un clima di compartecipazione attiva tra i membri.
  3. Analisi e valutazione delle tentate soluzioni: Bisogna sempre soffermarsi sulle tentate soluzioni e relativi fallimenti dato che, talvolta, sono proprio queste ad alimentare il problema che si cerca di risolvere. Concentrare l’attenzione sui tentativi fallimentari messi in atto per raggiungere l’obiettivo prefissato libera dalla tendenza a sforzarsi attivamente di trovare soluzioni senza prima aver indagato su tutto ciò che non funziona. Questo passaggio serve ad escludere cosa non ha funzionato e nello stesso tempo ad identificare cosa abbia invece funzionato e se può essere applicabile nella nuova situazione.
  4. Tecnica del come peggiorare: Consiste nel simulare delle azioni peggiorative al fine di far emergere cosa abbia reso stagnante il processo di tentata risoluzione del problema. In sostanza l’emergere e descrivere delle azioni peggiorative accende un meccanismo tale da provocare un’avversione verso tutte le possibili azioni fallimentari sperimentate in precedenza.
  5. Tecnica dello scenario oltre il problema: Un’altra strategia utilizzabile per la risoluzione di un problema è quella di ipotizzare lo scenario “al di là del problema”, ovvero immaginare cosa troviamo di fronte dopo il cambiamento. Tale strategia consente di individuare attraverso il livello di esperienza immaginativo, quali possono essere gli aspetti realizzabili per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato e quali possano rivelarsi effetti collaterali nonostante la risoluzione del problema per il quale ci siamo attivati.
  6. Tecnica dello scalatore: Questa tecnica consente di individuare la sequenza di piccoli passi da fare per poter raggiungere la vetta. Siccome il primo passo è sempre quello più complesso e difficile da individuare si fa ricorso alla tecnica dello scalatore: si parte dalla vetta invece che dalla base e si procede a ritroso sino al punto di partenza. Questo processo consente di individuare il percorso concretamente necessario alla risoluzione del problema, nonché di frazionare una serie di micro – obiettivi che ci risparmiano inutili dispersioni di energie o spropositati e inutili passi.
  7. Aggiustare il tiro progressivamente: Una volta stabilita la visione globale del problema e delle strategie da intraprendere è necessario affrontare piccoli problemi in sequenza fino al giungere alla soluzione definitiva. In pratica si tratta di aggiustare progressivamente il tiro avendo ben chiaro e definito l’obiettivo da raggiungere, in modo da gestire nello stesso tempo i vari cambiamenti determinati da ogni singola azione (Nardone, 2009).