Counseling: Adolescenza vs genitorialità

Counseling: Adolescenza vs genitorialità

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Il rapporto tra genitori e figli nel periodo adolescenziale sembra essere, oggi più che mai, di natura molto complessa. In questa delicata fase, emergono forti contrasti e inevitabili incomprensioni tra due diversi universi generazionali. Tali difficoltà derivano da varie interferenze e blocchi della comunicazione e da fattori di natura psicobiologica legati al cambiamento e alle trasformazioni cui l’adolescente va incontro. Risulta opportuno, dunque, analizzare distintamente le due parti coinvolte nella relazione e comprendere, da un punto di vista scientifico, quali siano i fattori e le cause scatenanti la rottura o la modifica di determinati equilibri relazionali.

L’adolescenza è quella fase dello sviluppo umano generalmente compresa tra gli 11 e i 18 anni, nel corso della quale l’individuo acquisisce sia le caratteristiche fisiche e bio-fisiologiche sia le competenze cognitive e sociali per inserirsi a pieno titolo nel mondo degli adulti. L’adolescenza ha inizio con la pubertà e quindi con i primi mutamenti fisici e biologici a cui si associano esperienze emozionali molto intense che implicano la ricerca di nuovi equilibri nei rapporti con il mondo e con se stessi.

La consapevolezza dell’adolescente rispetto a questi cambiamenti lo porta a non accettare più di essere dipendente dalla propria famiglia e dal sostegno sociale e affettivo che gli hanno dato fino a quel momento (Messuri, 2010). L’adolescenza si presenta come uno stadio complesso caratterizzato da grandi trasformazioni fisiche, psicologiche e sociali; colui che si ritrova immerso in questo frangente di età, già a partire dalla pre-pubertà, inizia a percepire i primi segnali inerenti al processo di trasformazione e di cambiamento. Con la pubertà (fenomeno di cambiamento fisico che proteso alla maturazione sessuale) il corpo subisce importanti processi di trasformazione per entrambi i sessi, ma con differenti modalità.

Nel maschio si ha un aumento del volume dei testicoli, la comparsa di peluria su tutto il corpo e sul viso, un cambiamento cutaneo e sudoriparo e relativi cambiamenti dell’umore, un aumento della statura e della struttura muscolare, cambiamento del tono e del timbro della voce; in via generale attorno al quattordicesimo anno avviene la prima eiaculazione, un cambiamento che viene letto come segno di potenza e virilità, e che determina la fine della fase puberale.

Nella femmina tale stadio comporta l’aumento volumetrico del seno, la comparsa della peluria nelle zone ascellari, inguinali e sulle gambe, allargamento dei fianchi, acne maggiormente concentrata sul viso. La femmina conclude la sua fase puberale in associazione con la comparsa del menarca, che in genere avviene intorno al tredicesimo anno di età. È facilmente riscontrabile che tale cambiamento possa avvenire anche in maniera precoce e che, talvolta, possa essere vissuto negativamente e con disagio.

Oltre alla crescita corporea l’adolescenza apre la porta alla strutturazione della propria identità che prevede, nella persona coinvolta, l’abbandono di quel concetto di sé costruito nella relazione con i genitori a favore di una nuova considerazione personale che tiene conto dei valori derivanti dal contesto amicale dei pari. Proprio da questi ultimi si teme il giudizio ed il confronto e qualora ci si sente valutati negativamente si può andare in contro a un forte senso di frustrazione, e possono generarsi quegli atteggiamenti creativi compensativi che danno la sensazione di acquisire un certo primato proprio in ciò in cui si è considerati meno abili. A questo punto dal confronto con i pari la sfera sociale si allarga e si tende a focalizzare maggiormente l’attenzione verso un nuovo modello relazionale in continua evoluzione, che sommato ad altri fattori, apporta significative trasformazioni dal punto di vista psicologico, comunicativo e relazionale. L’individuo in crescita si muove contemporaneamente lungo due direzioni: da un lato, cerca di trovare un gruppo in cui riconoscersi ed essere riconosciuto; dall’altro, cerca di conquistare il proprio spazio e far valere la propria identità e il proprio pensiero all’interno della relazione con gli adulti (Bressa et al., 2012).

Per ciò che concerne la relazione con gli adulti, il riconoscimento, risulta un’impresa alquanto ardua, dato che difficilmente la comunità sociale adulta accetta ed è disposta a comprendere le regole che l’adolescente emula per essere parte attiva di quel sistema rappresentato dal gruppo dei pari; anzi, va per la maggiore che l’adulto tende a ridicolizzare l’espressione di determinati valori ed atteggiamenti tipici adolescenziali, e facilmente sminuisce uno o più membri del gruppo dei pari, con la classica frase: “So’ ragazzi”.

Sempre in merito al gruppo dei pari rappresentative nella fase adolescenziale sono le discussioni ed il dialogo su argomentazioni politiche, filosofiche, religiose ed esistenziali, le quali hanno più un valore di espressione intellettiva che di significazione tesa alla risoluzione di un determinato problema (Bressa et al., 2012). Un altro aspetto da considerare sempre in relazione al gruppo dei pari è il forte senso di appartenenza che porta un singolo membro ad accettare, in maniera fortemente ed emotivamente condivisa, lo stile e le varie attività dello stesso, indipendentemente dal proprio modo di essere. Non di rado, infatti, accade che dei ragazzi si identificano con attività inconsuete nonostante provano una forte resistenza derivante dagli introietti ricevuti dal modello educativo genitoriale; talvolta, questo accade per il solo effetto arousal scatenato dalla massa o per la paura di essere escluso da un gruppo che in questa delicata fase della vita può rivestire molta più importanza di quanto possa rappresentare la diade genitoriale.

Non è scontato pensare che proprio una tale situazione potrebbe essere causa di un primo approccio con le sostanze psicoattive o con altre forme di dipendenza, dato che nei giovani rappresentano anche una sorta di occasione per evadere dalla noia, dall’ansia e per il semplice trasgredire di quei canoni educativi ritenuti oramai tipici dell’infante. Un importante riflessione in merito alle dipendenze perviene dallo psichiatra e psicoterapeuta Riccardo C. Gatti (2004), il quale ci fa riflettere sul fatto che la società attuale non è più pervasa dalla sola addiction (dipendenza fisica e psicologica da sostanze psicoattive), ma soprattutto dalla cultura dell’additività, caratterizzata da quei comportamenti compulsivi che esprimono dipendenza psicologica anche da gioco d’azzardo, cibo, sesso, pornografia, computer, internet, shopping e tutti quei fenomeni spesso legati al consumismo” (C. Gatti, 2004).

Da questo generale e sintetico quadro relativo al complesso mondo adolescenziale emerge fin da subito quanto importante sia la famiglia e quanto altrettanto complesso possa essere il ruolo genitoriale.

A prescindere dalle difficoltà derivanti dal processo trasformativo e di cambiamento di natura psicobiologica, il difficile rapporto tra figli adolescenti e genitori viene quasi sempre determinato da un’interruzione della comunicazione. Siamo di fronte, dunque, a problematiche di tipo relazionale dove due diverse generazioni si confrontano incontrando notevoli resistenze. Da un lato, come abbiamo già visto, troviamo un individuo che tenta a tutti i costi di affermarsi, di farsi riconoscere e che vuole imporre una propria ed autonoma identità; dall’altro, invece, abbiamo dei genitori apprensivi che trovano enormi resistenze nell’accettare il cambiamento in atto nell’adolescente. Sembrerebbe riduttivo affermare che la chiave dell’enigma sia nello stabilire un punto d’incontro tra le parti in causa, eppure proprio quest’ultima pare che sia la soluzione più efficace. Tale processo può sembrare semplice e scontato ma non lo è affatto, in quanto comporta nei genitori una vera e propria ristrutturazione psicologica.

Uno dei principali fattori di resistenza del genitore verso la prole è la non accettazione della nuova situazione di cambiamento. Questo comporta una errata percezione nella relazione, dove in genere il figlio viene visto come il ribelle da ridimensionare e da tenere premurosamente sotto il proprio controllo perché ritenuto di non essere ancora in grado di effettuare, liberamente ed autonomamente, determinate scelte. Il considerare un tale atteggiamento trasformativo, di ricerca e di costruzione identitaria, come atteggiamento “deviante”, porta all’inibizione di quel naturale desiderio di affermazione e di riconoscimento, essenziale nel percorso di sviluppo e di crescita personale. Tale inibizione viene vissuta negativamente dall’adolescente e può comportare una mancanza di fiducia nelle figure genitoriali e dare vita a continui atteggiamenti ostili e trasgressivi.

Sentendosi incompreso l’adolescente tende a sostituire il riferimento derivante dal modello educativo genitoriale con i valori che emergono nella relazione col gruppo dei pari, confondendo quello che dovrebbe essere un importante percorso esperienziale con un modello di guida non sempre valido e funzionale.

Emerge dunque che l’unica arma fondamentale per i genitori è quella di stare accanto ai propri figli riconoscendogli un ruolo attivo in quel complesso stadio che è l’adolescenza; l’unica arma efficace per sostenere la propria prole è quella di stabilire continuamente un sano modello comunicativo circolare dal quale costruire una relazione empatica che restituisce ad entrambi la libertà di essere individualità che si confrontano, che si comprendono e che intraprendono consapevolmente un cammino d’insieme. Ovviamente questo non vuol dire che i genitori debbano stare nel gioco anche quando questo diventa pericoloso o insano per il proprio figlio, anzi devono continuamente trattare e ridefinire, con la giusta autorevolezza, un positivo percorso comprensibile e condiviso da entrambi.

Ovviamente gestire una relazione del genere non è di facile dimestichezza; possono presentarsi una serie di problematiche per le quali non sempre si hanno le capacità e gli strumenti idonei a fronteggiare le situazioni che ne derivano. È fondamentale dunque che i genitori umilmente riconoscano i propri limiti e all’occorrenza si rivolgano a specifiche figure professionali. In quest’ultima parte, e sulla base di quanto finora esposto sulla relazione di aiuto, può collocarsi l’attività del Counseling.