Colloquio, relazione di aiuto e orientamento

Colloquio, relazione di aiuto e orientamento

 

 

Foto di Tumisu da Pixabay

 

Nell’ambito degli interventi di Counseling risulta fondamentale avere la consapevolezza di quanto importante e delicata sia la fase del colloquio con il cliente, nonché bisogna tener ben presente di intervenire esclusivamente nell’ambito della relazione d’aiuto.

Per quanto riguarda il termine colloquio deriva dal latino colloqui e significa “parlare con, parlare insieme”. Il colloquio sottende dunque ad una conversazione tra due o più persone ed in cui si persegue un fine o uno scopo (Verrastro, Petruccelli, 2006). Esistono numerose definizioni e tipologie di colloquio all’interno della letteratura filosofica, psicologica, pedagogica, medica e non solo, ma quello che maggiormente interessa il nostro ambito di ricerca è sicuramente il colloquio di Counseling nella “relazione d’aiuto”.

Per relazione d’ aiuto intendiamo in sostanza una forma di aiuto che avviene attraverso il colloquio tra il Counselor e il cliente, “un modo per indicare un intervento di supporto allo sviluppo del sé, alla comprensione delle proprie motivazioni e predilezioni.

La parola aiuto, inclusa in questa espressione, assume un significato pedagogico ed indica l’impegno di sviluppare nell’altro la consapevolezza di sé ed emanciparlo dai condizionamenti esterni che lo rendono prigioniero delle aspettative di chi lo circonda. L’aiuto si orienta nella crescita e nell’autonomia dell’altro” (Zanon, 2007). Attraverso il colloquio nell’ambito della relazione d’aiuto, due o più persone entrano in contatto, dando vita ad una relazione che muove attraverso processi comunicativi ben definiti: traspare dunque in primis che una certa attenzione deve essere rivolta alla comunicazione e alla qualità della relazione. Esistono diversi modi per comunicare e nella fattispecie la forma più utilizzata dall’uomo è sicuramente quella verbale, ovvero quella del linguaggio che comprende la comunicazione scritta e quella parlata. Una certa importanza all’interno di un colloquio è rappresentata anche dalla comunicazione non verbale che fa riferimento a tutti quegli atteggiamenti corporei e mimico-facciali, che trasmettono in concomitanza o separatamente dal linguaggio, determinati tipi di messaggi. Il colloquio di Counseling è qualcosa di più del semplice comunicare e di certo non può essere descritto e sintetizzato come un’interazione dinamica fra un emittente di un messaggio e un destinatario. Nella relazione di aiuto entrano i gioco alcune facoltà essenziali, competenze comuni e facilmente riscontrabili nella vita quotidiana, ma difficili da acquisire ed esercitare anche a causa dei condizionamenti derivanti dai vari contesti di vita e dai ritmi frenetici che oggigiorno stanno riducendo un fattore molto importante “ il nostro tempo”.

La prima delle facoltà chiamate in causa nella relazione di aiuto è l’empatia, quella capacità di focalizzazione sul mondo interiore dell’interlocutore, di intuire cosa si agiti in lui, come si sente in una determinata situazione e cosa realmente prova al di fuori di quello che riesce a comunicare attraverso il linguaggio. L’empatia racchiude, a sua volta, ulteriori componenti quali: la trasparenza, la comprensione e l’accettazione incondizionata.

La trasparenza corrisponde alla coerenza tra i sentimenti manifestati e quelli realmente provati. Essa consente l’instaurarsi di un clima di fiducia che consente un’apertura da parte dell’interlocutore e di abbattere un ipotetico atteggiamento difensivo di chiusura. La comprensione empatica indica l’immedesimarsi con l’altro, comprenderne il proprio punto di vista mantenendo l’autocontrollo e senza assumerlo come proprio. Infine l’accettazione incondizionata implica la sospensione dei giudizi morali sui sentimenti riferiti dall’interlocutore e, allo stesso tempo, permette di aiutarlo non indicando il modo giusto di agire ma permettendo a questo di ritrovarlo (Di Pietro, 1992). L’empatia, classificandosi come un bisogno antropologico fondamentale, mentre offre una risposta al soggetto, ne attiva nello stesso tempo le risorse. Per questo il metodo empatico consiste soprattutto nell’offrire alla persona ciò che può aiutarla a ritrovare in sé, a produrre da sé, quelle energie psichiche necessarie per diventare capaci di vivere un’esistenza umana minimamente degna (Bellingreri, 2010).

Un’altra facoltà fondamentale nel colloquio di aiuto è la fiducia, la quale può essere ottenuta quando nella relazione si dimostra autenticità e congruenza tra i sentimenti manifestati e quelli provati. Un ulteriore strumento essenziale nell’ambito della relazione di aiuto è l’ascolto attivo, ossia quell’atteggiamento proteso, attraverso l’ascolto, a facilitare l’espressione delle emozioni e dei sentimenti del cliente, e a far emergere il proprio stile relazionale.

Il colloquio di Counseling è stato definito da Rogers come “colloquio non direttivo dall’ascolto attivo” : per non direttivo intendiamo l’avvalersi di uno stile di conduzione del colloquio che lasci al soggetto la massima libertà di esprimere senza interferenze il proprio punto di vista, scegliendo egli stesso quali argomenti trattare e che direzione dare al dialogo. Talvolta l’espressione “non direttivo” rivolta al colloquio di Counseling, può essere oggetto di fraintendimenti, nel senso che può attribuire al Counselor l’etichetta di colui che assume un atteggiamento passivo. In realtà non è affatto così, non è la giusta interpretazione del termine in questione; infatti lo stesso Rogers precisa che “la passività e la mancanza di interesse e di coinvolgimento sono percepite dal cliente come un rifiuto… dal momento che l’indifferenza non è in alcun modo la stessa cosa dell’accettazione. In secondo luogo, l’atteggiamento di “laissez-faire” non segnala in nessun modo al cliente che egli è considerato una persona di valore. Per questo il consultatore che esercita un ruolo puramente passivo, un ruolo d’ascolto, può essere d’aiuto a qualche cliente che ha disperato bisogno di una catarsi emotiva, ma nel complesso i suoi risultati saranno minimi” (Rogers, 1961). L’atteggiamento non direttivo del Counselor corrisponde invece a una partecipazione attiva alla narrazione del cliente, che “consiste nell’adottare – per quanto ne è capace – lo schema di riferimento del cliente, nel percepire il mondo così come lo vede il cliente, nel percepire il cliente stesso così come egli vede se stesso e nel comunicare al cliente un po’ di questa comprensione empatica” (Rogers, 1961). Partecipare in maniera attiva alla relazione significa quindi che il Counselor cerca di comprendere il cliente e di lasciar trasparire la propria comprensione verso i punti di vista, gli atteggiamenti e i sentimenti manifesti del cliente. Risulta dunque fuorviante l’interpretazione di passività dapprima menzionata ed è per questo che forse sarebbe più corretto definire l’atteggiamento non direttivo del Counselor, come partecipazione attiva. Come si è detto l’atteggiamento non direttivo di ascolto attivo non è assolutamente un atteggiamento passivo. L’operatore infatti, conduce attivamente il colloquio, nel senso che realizza un intervento intenzionale di facilitazione dell’espressione del cliente (Di Fabio, 2003). Un colloquio direttivo basato, sull’ascolto attivo e sul rispetto e l’accettazione del cliente, non significa dunque che non si debba mai interrompere l’esposizione del soggetto. Anzi è fondamentale cadenzare l’espressione del cliente con vari interventi verbali, maggiormente con riformulazioni, ma anche verbalizzazioni e commenti empatici, così come le domande di approfondimento, che impediscono al cliente di lasciarsi andare in eccessive divagazioni o in discorsi senza fine, talvolta determinati dal fattore ansia. Facilitare l’espressione del cliente vuol dire che di volta in volta devono essere create le condizioni interpersonali che meglio si adattano alle caratteristiche del discorso del soggetto, sostenendolo, incoraggiandolo, ma anche focalizzandone l’attenzione e l’espressione. Sempre per quanto riguarda il colloquio, non è da sottovalutare uno degli aspetti più importanti di questa pratica, ovvero il setting.

Si definisce setting di un colloquio lo scenario spazio-temporale in cui si svolge la relazione di aiuto. Il setting è una sorta di cornice del colloquio che comprende sia caratteristiche materiali (la stanza, l’arredamento, le caratteristiche del luogo), che quelle psicologiche (le regole dell’incontro e dell’intervento, il tempo, etc.), nonché l’atteggiamento relazionale del Counselor. Le caratteristiche e le regole definite nel setting devono essere in grado di definire una cornice idonea allo svilupparsi della relazione di aiuto, che assicuri sufficiente contenimento, privacy e regolarità da un lato, plasticità e possibilità di adattamento dall’altro. Fanno parte del setting e quindi della cornice del colloquio, alcuni elementi caratterizzanti come l’abbigliamento e l’atteggiamento posturale della persona che conduce il colloquio che costituiranno le immagini che il soggetto avrà dello stesso e che dovranno essere presi in considerazione nelle successive valutazioni.

Il colloquio di aiuto risulta fondamentale anche nell’ambito dell’orientamento dove i consulenti, in genere, si mostrano in linea con la filosofia rogersiana. Includere nel colloquio di orientamento le modalità della relazione di aiuto è estremamente utile in quanto permette una migliore comprensione, un maggior coinvolgimento e una migliore attivazione dell’aiutato. Nell’ambito della consulenza orientativa, la relazione di aiuto consente di instaurare quel clima di fiducia che consente di creare le condizioni favorevoli alla crescita dell’individuo, per restituirgli una maggiore autonomia e autostima; aiuta il cliente nel suo “tendere a” un migliore adattamento sociale (Mucchielli, 1983).

Il colloquio di orientamento, in definitiva, è una relazione – un incontro – fra due persone: il Counselor ed il cliente, dove quest’ultimo si trova solitamente in condizioni di difficoltà, confusione o dubbio su una scelta da compiere in ambito formativo o professionale.

Il colloquio di orientamento è “una consulenza semi-strutturata che si pone di sviluppare nell’individuo la capacità di progettare il proprio futuro in termini soddisfacenti per sé e di stabilire obiettivi realistici in base alle capacità possedute” (Verrastro, Petruccelli, 2006).

Un percorso di Counseling orientativo prevede un breve ciclo di colloqui a cadenza settimanale, il cui esito dovrebbe consentire alla persona in difficoltà di riconoscere le proprie esigenze e di rispondere in modo più appropriato alle richieste del mondo del lavoro e della formazione. La consulenza orientativa in definitiva si manifesta come un percorso che ha lo scopo di facilitare il cliente nella presa di decisione rispetto al proprio percorso professionale. Tale percorso si realizza fondamentalmente attraverso lo strumento del colloquio individuale di orientamento e con l’eventuale utilizzo di strumenti di analisi delle esperienze, delle competenze e delle risorse del soggetto.

Due in particolare sono gli strumenti riconducibili alla consulenza orientativa: il Bilancio delle competenze e il Counseling.

Il bilancio di competenze fa parte del servizio di consulenza orientativa e può essere definito come una forma specifica di consulenza di carriera. In pratica, si realizza attraverso un ciclo di colloqui con l’operatore e con il supporto di strumenti di analisi e autodiagnosi delle competenze.

Per quel che riguarda gli aspetti legati al Counseling invece si rimanda a quanto già descritto in questa trattazione.