Esaurimento emotivo

Esaurimento emotivo

 

Nell’arco della propria vita professionale ci si trova spesso a dover confrontarsi con situazioni stressanti che provocano stati di ansia e tensione e inficiano o rendono difficoltoso lo svolgimento del proprio lavoro. Lo stress a cui le persone vengono sottoposte, associato a una mancanza di risorse per gestirlo causa uno stato di malessere che si riflette negativamente sulla salute.

La conseguenza del disequilibrio tra lo stress percepito e i mezzi che si hanno a disposizione per farvi fronte se protratto nel tempo, può dar luce al fenomeno che in letteratura viene definito come sindrome del burnout.

Il fenomeno attualmente è di grande rilevanza e ha suscitato ampliamente l’interesse degli studiosi che lo hanno analizzato da vari punti di vista soprattutto per il grande impatto che sembra esercitare sulla salute. Fu introdotto per la prima volta dallo psicologo Herbert Freudenberger (1974) che lo descrive come uno stato psicologico negativo collegato al lavoro, comprensivo di una serie di sintomi quali stanchezza fisica, esaurimento emotivo e perdita di motivazione.

Ora esistono molte definizioni che descrivono il fenomeno, quella maggiormente citata risale a Maslach, Jackson e Leiter (1986) “Una sindrome di esaurimento emotivo depersonalizzazione e riduzione della realizzazione personale che può verificarsi negli individui che lavorano in interazione con le persone”.

In questa definizione sono presenti i tre punti chiave che caratterizzano la sindrome:

    • L’esaurimento emotivo si riferisce al processo per cui un individuo si sovraccarica dal punto di vista emotivo, sentendo come proprie le emozioni di altri, sviluppando un sentimento di impotenza (Hamann & Gordon, 2000), questa condizione porta a sviluppare uno stato di irritabilità e paura che conducono allo sviluppo di una sensazione di disgusto verso sé stessi e il proprio lavoro, generando uno stato di disinteresse generalizzato,dovute a un eccessive richieste lavorative.
    • La depersonalizzazione è uno stato che si sviluppa attraverso sentimenti e atteggiamenti freddi, comporta lo sviluppo di uno stato di indifferenza verso i destinatari del proprio servizio e induce un comportamento di negatività generale verso gli altri, non che verso sé stessi e  il proprio lavoro (Maslach, et. al, 1986). Tale attitudine di insensibilità nei confronti dei fruitori del servizio porta a sua volta a incolpare gli altri per il proprio scarso rendimento lavorativo (Fernández & Manzano, 2002).
    • La bassa efficacia personale riguarda la tendenza a valutare negativamente il proprio lavoro, credendo che sia impossibile cambiare la situazione e perciò non valga la pena nemmeno provarci. Secondo alcuni autori (Mingote, 1998; Gil-Monte, 2002) , si è inclini a valutare negativamente anche sé stessi , le proprie abilità, e le interazioni in ambito lavorativo.

Dal punto di vista psicologico queste tre dimensioni sono collegate tra loro, l’esaurimento emotivo è il risultato di fenomeni stressanti in ambito lavorativo, come ad esempio eccessive richieste lavorative ed emotive, conflitti interpersonali. Per far fronte a tali richieste, le persone tendono a distaccarsi mentalmente dal proprio lavoro andando così a diminuire la propria performance e sviluppando un sentimento di inefficacia (Schaufeli & Salanova, 2014).

La depersonalizzazione e l’esaurimento emotivo sono considerate le dimensioni principali del burnout.(Shaufeli, 2013) La depersonalizzazione viene considerata particolarmente importante per i suoi effetti, l’ indifferenza genera comportamenti non produttivi (Maslach & Jackson 1981) hanno scoperto che alti livelli di depersonalizzazione influenzano positivamente l’assenteismo. Firth e Britton (1989)  descrivono la depersonalizzazione come un elemento in grado di predire il turnover.  Le persone che sperimentano la depersonalizzazione si distaccano emotivamente dagli individui con cui interagiscono, limitandosi solo a cambiare la loro espressione esteriore per soddisfare le esigenze emotive del lavoro.

In particolare, in questa indagine si è deciso, al fine di valutare lo stato di malessere di prendere in considerazione la variabile dell’esaurimento emotivo, dato che viene vista come la componente principale del burnout (Masclach & Jackson, 1981).

Vi sono indicatori, che se rilevati all’interno dell’esperienza del singolo, possono essere segnali d’allarme indicanti lo sviluppo di uno stato di esaurimento emotivo, come la sensazione di non sentirsi a proprio agio nello svolgimento del proprio lavoro.

Negli ultimi anni l’interesse per lo stress lavoro correlato è stato oggetto di numerose ricerche empiriche che hanno mostrato come, il manifestarsi dell’esaurimento emotivo può essere visto quindi come una conseguenza nella percezione dello stress lavorativo cronico che appare associato a una scarsa salute fisica, e una conseguente scarsa produttività sul lavoro (Serrano, Rodriguez, Viera & Bestian, 2008 ).

Damerouti, Bakker, Nachreiner & Schaufeli (2001) sostengono che l’interpretazione dell’esaurimento emotivo in una chiave più generale richiamerebbe le reazioni allo stress occupazionale come ad esempio l’ansietà, la depressione legata al lavoro, l’affaticamento .  Inoltre è stato dimostrato come il fenomeno sia collegato ai diversi stressor legati al lavoro come problematiche legate al ruolo, eccessivo carico di lavoro e a determinati outcomes come assenteismo e turnover (Lee & Ashforth, 1996).

Esistono delle differenze individuali importanti nella gestione dello stress che a monte genera tale stato, Serrano et al.,(2008) individuano tre elementi principali che influenzano lo sviluppo dell’esaurimento emotivo: gli stimoli esterni, le variabili moderatrici, e il grado di vulnerabilità della persona. Per stimoli esterni s’intendono i fattori fisici e interpersonali in relazione alle richieste del compito da svolgere. Le variabili moderatrici fanno invece riferimento a dimensioni specifiche che della società nella quale si è inseriti quindi per esempio la variabile socio- economica, le norme le abitudini. Infine la vulnerabilità personale può essere ricondotta a quegli aspetti soggettivi della persona, quali le aspettative, i valori, le necessità, le strategie di gestione dello stress.

Appare quindi chiaro come l’impatto che l’esaurimento genera sull’individuo e le sue conseguenze sullo sviluppo del burnout, variano da persona a persona, tuttavia anche il contesto in cui il lavoratore si trova ad operare assume un ruolo determinante.

Le prime ricerche inizialmente ipotizzarono, che il burnout  e conseguente l’esaurimento emotivo occorresse in quelle mansioni lavorative che richiedevano interazioni faccia faccia con le persone, in questa prospettiva quindi, il fenomeno riguardava, quelle che venivano definite le professioni di aiuto (Shaufeli e Salanova, 2014).

Nell’arco della propria vita professionale ci si ritrova spesso a dover confrontarsi con situazioni stressanti che provocano stati di ansia e tensione e inficiano o rendono difficoltoso lo svolgimento del proprio lavoro.

Una delle categorie, che date le caratteristiche proprie della mansione svolta risulta essere in maggior misura associata a situazioni di stress è il personale che lavora negli ospedali. Il contesto sanitario, è terreno particolarmente fertile per questo tipo di studi, la diffusione del burnout nel settore è alta ed è stata oggetto di attenzione di molti autori, diventando un fenomeno di sempre maggior preoccupazione. Studi fatti nel contesto europeo mostrano dati allarmanti, sottolineando come circa il 25% del personale infermiere sarebbe soggetto alla sindrome (Landau ,1992, in, Moreno, Garrosa & Gonzàlez, 2000).

Gli infermieri, ad esempio, vengono considerati come particolarmente inclini allo sviluppo dello stress dovuto principalmente a caratteristiche intrinseche della mansione stessa.

Nello specifico la continua pressione fisica e psicologica con cui i professionisti devono confrontarsi ogni giorno data dal contatto diretto con i pazienti (Moreno, Garrosa & Gonzàlez, 2000) unita a un contesto che spesso è caratterizzato da realtà dolorose, che rende le interazioni con i pazienti particolarmente difficoltose, basti pensare alle tipiche comunicazione medico-paziente che visto le tematiche sono spesso ricche di sentimenti di tensione e apprensione. Oltre a ciò, bisogna tener conto che soprattutto nei contesti di emergenza si ha l’obbligo di prendere velocemente decisioni in situazioni critiche per salvaguardare la salute delle persone.

Date queste peculiarità appare chiaramente come le capacità personali di gestione dello stress per far fronte alle richieste imposte dal contesto siano fondamentali.

A partire dai primi anni Novanta però, si esce dalla concezione di burnout limitato strettamente alle professioni di aiuto (insegnanti, medici, ecc.) per estenderlo anche alle altre professioni e alla vita nelle organizzazioni.

Nonostante ciò, data la grande influenza che l’esaurimento emotivo sembra esercitare, come riportato, nel personale sanitario, si è deciso di prendere in analisi proprio questo contesto attraverso un campione di professionisti con profili differenti tutti operanti in quest’ambito.

 

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Identificazione organizzativa

Identificazione organizzativa

Le persone si differenziano molto per il livello di identificazione con l’organizzazione, il concetto si costruisce all’interno della cornice teorica della teoria dell’identità sociale), e viene definita come: “La concezione di appartenere ad un gruppo, nonché, il valore e il significato emotivo legato all’appartenenza a quel gruppo” (Tajfel, 1978, in, Smidts, Cees, Van Riel & Pruyn, 2000).

Dutton, Dukerich, & Harquail (1994) sostengono che gli individui si identificano con la propria organizzazione quando incorporano le sue caratteristiche nel concetto di sé .

Come riportato da Smidts, Cees, Van Riel & Pruyn (2000) in questa definizione si possono distinguere due elementi: una componente cognitiva e una affettiva.

La prima indica la tendenza di condivisione degli interessi tra persona e organizzazione (Mael & Ashforth, 1992), l’individuo si sente e si riconosce come parte del gruppo.

La seconda fa riferimento al sentimento di orgoglio, importante per creare un’immagine positiva dell’organizzazione.

Un’ altra variabile presa in considerazione nel presente elaborato, come elemento che può fornire un contributo al benessere del lavoratore, è appunto l’identificazione organizzativa, che sembrerebbe influenzare positivamente il rapporto tra persona e lavoro.

Gli effetti di un’ alta identificazione organizzativa, sono positivi per l’organizzazione stessa: i dipendenti che s’identificato fortemente con il proprio lavoro sono più propensi a mostrare impegno verso di esso (Ashforth & Mael, 1989). L’individuo si sentirà così più coinvolto in prima persona tenderà a ottenere risultati più soddisfacenti sul piano individuale e per sull’organizzazione attraverso la prestazione. Studi hanno dimostrato, come un lavoratore con una forte identificazione contribuisce più positivamente al successo della realtà per cui lavora (Mathieu & Zajac, 1990)

Questi comportamenti sono particolarmente importanti nell’ambito dei servizi, dato che sono gli stessi lavoratori a giocare un ruolo cruciale nella soddisfazione dei clienti (Zeithaml & Bitner, 1996).

Partendo quindi dall’idea che l’identificazione organizzativa abbia un effetto positivo sul lavoro e che sia così riconducibile a una forma di benessere, s’ipotizza come fenomeni che sembrano ripercuotersi sulla sua salute quali l’esaurimento emotivo e il continuo sforzo che il mascheramento delle reali emozioni provate, abbiano un impatto sull’identificazione organizzativa.

 

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Conseguenze del work engagement

Conseguenze del work engagement 

Per quanto invece concerne le conseguenze,si può riscontrare un importante impatto dell’engagement sul lavoro sia per il singolo che per l’organizzazione.

Tali esiti si possono ricollegare direttamente allo stato di salute e di benessere del singolo.

Alcune ricerche a conferma di ciò, sono quelle di Schaufeli (2013) che mostra come il work engagement sia correlato negativamente con le assenze per malattia.

In un più recente studio, l’autore, mette in risalto come in un campione di dentisti un alto stato di engagement sia associato negativamente a sintomi depressivi (Hakanen & Schaufeli, 2012).

Sulla stessa linea Insttad 2002,in Schaufeli, 2013 nelle sue indagini ha messo in luce la relazione negativa tra lo stato di vigore caratterizzante work engagement e sintomi associati alla depressione.

A sostegno  di ciò, riportano Hakanen e Schaufeli (2012), studi cross sectional hanno mostrato come il fenomeno possa essere considerato positivamente associato a un buono stato di salute, a dei bassi livelli si stress dovuto alle eccessive pressioni lavorative (Schaufeli , Taris, & Van Rhenen, 2008). Un’ulteriore spiegazione, del perché il work engagement appaia negativamente associata alla depressione e al malessere può essere ricondotto alla correlazione negativa a burnout e work engagement, infine il sentimento di vigore ed entusiasmo al lavoro caratteristici delle persone engaged risulta collegato a comportamenti proattivi (Hakanen, Perhoniemi & Toppinen-Tanner, 2008; Salanova & Schaufeli, 2008) e a un alto livello di self efficacy (Salanova, Llorens & Schaufeli, 2011) che potrebbero formare una protezione contro lo stato depressivo.

Dagli esempi riportati si evince come si abbiano effetti importanti per il singolo; tuttavia, ciò che ha contribuito a rendere il concetto di grande interesse per i ricercatori, è l’effetto che il work engagement esercita sulla produttività delle organizzazioni.

Molte indagini hanno ipotizzato una stretta relazione tra alto livello di engagement dei lavoratori e risultati produttivi soddisfacenti.

Tra gli altri, uno degli studi che ha messo più in luce l’esistenza di questa relazione è lo studio della Gallup.

Tale indagine (Harter, Schmidt & Hayes, 2002) prevedeva una metanalisi che includeva 8.000 unità di Businnes di 36 compagnie e mostrava come l’engagment fosse correlato positivamente a indicatori delle unità di businnes come produttività soddisfazione dei clienti, la sicurezza e comparando le unità con maggior livello di engagement con quelle a minor livello sono state rilevate differenze significative in termini di ricavi e vendite mensili (Shaufeli, 2013).

L’engagement però, come suggerisce Saks (2006), è un costrutto a livello individuale e se ha un forte impatto sui risultati dell’organizzazione,deve in prima istanza avere conseguenze importanti, oltre che sul benessere, anche sul risultati del singolo individuo.

In questo caso sono stati portati avanti diversi studi in ambito sanitario, dimostrando l’effetto dell’engagement su chi svolge professioni in questo settore.

Ricerche dimostrano ad esempio come, specializzandi in medicina che risultano avere un livello di engagement più elevato commettono meno errori rispetto ai loro collaboratori meno coinvolti, anche nel personale con maggiore esperienza si ritrova questa tendenza, gli infermieri maggiormente engaged, ad esempio, sono meno soggetti a errori nei prelievi rispetto ai loro colleghi (Mark, Hughes, Belyra , Chang, Hofmann, Jones & Cacon, 2007)

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

 

Antecedenti del work engagement

Antecedenti del work engagement

Una volta definita l’unicità del concetto, risulta importante capire quali siano i fattori che rendono possibili lo sviluppo dell’engagement sul lavoro

Le risorse lavorative, sono le principali caratteristiche dello sviluppo del work engagement per esempio, una risorsa come l’autonomia è positivamente associata al fenomeno (Saks, 2006).

Le risorse a disposizione si possono distinguere, possono essere considerate a livello interpersonale, quindi facendo riferimento al supporto dei colleghi e dei supervisori, oppure si può parlare di risorse legate al compito rifacendosi a fenomeni come il controllo sul proprio lavoro, feedback ecc.

Infine anche sul piano organizzativo si posso trarre dei benefici da alcune caratteristiche quali ad esempio la possibilità di crescita e apprendimento nel contesto lavorativo (Schaufeli & Salanova, 2014).

Non sono solamente però le risorse lavorative a generale questo stato di benessere, le risorse personali sembrano avere un certo peso, nello specifico Ouweneel, Le Blanc, Schaufeli (2012) si sono soffermati sullo studio di tre aspetti : la speranza, l’ottimismo e la self efficacy.

La speranza in ambito lavorativo consiste nella concezione che gli obiettivi in ambito lavorativo possono essere stabiliti e conseguentemente raggiunti (Snyder, Sympson, Ybasco & Borders 1996).

L’ottimismo è invece la tendenza del singolo a sperimentare generalmente esperienze positive nell’arco della vita ed è associato ad alti livelli di benessere (Scheier, Carver, & Bridges, 2001).

Infine per self efficacy, si intende quel sentimento di fiducia in sé stessi che permette di credere che proprie capacità, abilità e risorse siano sufficienti al raggiungimento di un determinato scopo.

Altra variabile che sembra giocare un ruolo importante nello sviluppo dello stato di engagement sono le emozioni espresse al lavoro, queste possono essere descritte come esperienze di breve durata generate da uno specifico oggetto o situazione del contesto lavorativo (Gray & Watson,

2001).

Questo tipo di emozioni, secondo gli studiosi, precedono lo sviluppo del work engagement e sembrano essere più in generale, elementi predittivi del futuro benessere del lavoratore (Fredrickson & Joiner, 2002).

Lo studio di Ouweneel, Le Blanc, Schaufeli (2012) mette in relazione sia le risorse che le emozioni positive al lavoro con il work engagement, attribuendogli un ruolo nella sua manifestazione.

Nella loro ricerca evidenziano come questi elementi formerebbero un circolo nel quale tutti i componenti si influenzano a vicenda, la sperimentazione di emozioni positive permetterebbe lo sviluppo di un sentimento di efficacia, di fiducia delle proprie abilità portando così all’affermazione di un sentimento di engagement anche di lunga durata.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

 

Benessere e malessere in ambito lavorativo: il Work engagement

Benessere e malessere in ambito lavorativo: il Work engagement

Un concetto associato a uno stato di benessere, e alla relazione positiva delle persone con il proprio lavoro è il work engagement.  Con tale espressione, si fa riferimento alla propensione del lavoratore a essere pienamente presente nell’organizzazione, alla disponibilità degli individui di agire in modo da seguire gli interessi della struttura per la quale si lavora sentendosi attratti, dediti ed entusiasti (Rutledge, 2005, in Schaufeli & Salanova, 2014).

Vi sono diversi approcci al fenomeno, (Maslach e Leiter 1977) considerano l’engagement come una delle estremità di un continuum.  L’engagement e il burnout sono in questo caso visti come due elementi di un unico processo. Alla base di tale assunto, può essere ricondotta la credenza che un lavoro inizialmente significativo perda con il tempo questa sua peculiarità, diventando privo di stimoli.

Il dizionario Merrian Webster  descrive il work engagement come uno stato di “ coinvolgimento emotivo”, di “essere in marcia”. Secondo questa prospettiva il concetto viene considerato come un’opposizione rispetto all’esaurimento, in quanto caratterizzato da energia, coinvolgimento e , percezione di efficacia, tre dimensioni esattamente contrarie rispetto a quelle che descrivono il burnout. Secondo questo filone di ricerche, quindi il work engagement è considerato un’antitesi in chiave positiva del burnout.

In questi termini si considera come uno stato positivo correlato al lavoro, questa prospettiva appare quindi opposta rispetto a quella proposta da Maslach e Leiter (1977) , in questo caso infatti gli autori parlano del work engagement come un concetto indipendente, una realtà a sé: burnout e work engagement vengono considerati come due concetti distinti e non facenti parte di un unico continuum

Abbracciando tale prospettiva quindi, il work engagement è caratterizzato da tre peculiarità (Schaufeli, Salanova, González-Romá & Bakker, 2002) :

    1. Vigore: viene inteso un alto livello di energia associato al proprio lavoro che permette di investirvi nonostante le difficoltà,
    1. Dedizione: ci si riferisce alla tendenza di essere fortemente coinvolti nel proprio lavoro, a viverlo come una sfida e associarlo a un’esperienza significativa per sé.
    1. Assorbimento: può essere descritto invece come la propensione a essere molto concentrato nel proprio lavoro per cui il tempo sembra trascorrere molto velocemente e si hanno difficoltà nel distaccarvene (Schaufeli & Salanova, 2014).

Per poter valutare il work engagement sono stati creati diversi questionari, quello più diffuso è : (UWES) The Utrecht work engagement scale (Schaufeli & Bakker, 2003, in Bakker, Schaufeli, Leiter, & Taris, 2008 ).

Tale strumento mira a studiare le tre dimensioni sopra elencate con items  come: “mi sento forte e vigoroso nel mio lavoro” ( vigore), “sono entusiasta del mio lavoro (dedizione) mi sento felice quando sono immerso nel mio lavoro” (assorbimento) ( Schaufeli & Salanova, 2014). La prima versione dello strumento prevedeva ventiquattro items, alcuni di questi sono però stati eliminati perché ritenuti non sufficientemente attendibili (Schaufeli, Salanova et al., 2002). Inoltre nel 2006 il questionario è stato ulteriormente ridotto giungendo così ad essere composto da nove items (Schaufeli, Bakker & Salanova, 2006).

Il work engagement appare quindi essere un concetto complesso, spesso gli studiosi si sono interrogati sulla sua natura, i punti di discussione che sono stati avanzati riguardano l’unicità e l’originalità del concetto stesso.

Le critiche, riguardano ad esempio la vicinanza del costrutto con altre caratteristiche associate al lavoro, come la soddisfazione, le risorse, la performance lavorativa l’impegno verso l’organizzazione, sottolineando come anche altre comportamenti in ambito lavorativo quali ad esempio il turnover o comportamenti produttivi al lavoro, potessero essere identificati con il work engagement. Infine l’engagement è stato associato da alcuni studiosi a particolari tratti della personalità (Macey & Schneider, 2008). Shaufeli (2013) propone la tesi, secondo cui, nonostante siano innegabili le associazioni tra alcuni dei costrutti sopraelencati e il work engagement, le evidenze empiriche dimostrano l’impossibilità di identificare l’engagement con uno dei concetti già esistenti attribuendogli così uno status di unicità.  Molti sono gli approcci che si sono dedicati a studiare l’engagement per tentare di capire quali meccanismi psicologici sono in esso implicati. Tra i vari costrutti, quello che ha ricevuto maggior supporto dal punto di vista empirico, è il modello Job Demands Resources (JDR) (Schaufeli, 2013) a cui verrà dedicato il terzo capitolo del presente elaborato.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Benessere e malessere in ambito lavorativo

Benessere e malessere in ambito lavorativo

L’organizzazione mondiale della sanità definisce la salute: “Un concetto positivo che considera il benessere fisico mentale e sociale” (WHO).

L’ambiente di lavoro è una realtà in cui gli individui interagiscono per buona parte della loro vita ed è spesso un elemento importante per la definizione di sé stessi e della propria salute.

Buona parte del proprio percorso di crescita e di formazione è infatti, volto appunto all’inserimento del mondo lavorativo.

A seconda del contesto e del tipo di relazione che si sviluppa al suo interno, può influenzare in maniera positiva la vita delle persone e generare condizioni di benessere oppure, può influire negativamente e causare stati di malessere.

Il lavoro infatti può essere fonte di soddisfazione per il lavoratore, che può dedicarvi il suo tempo impegnando energie e sforzi, in questo caso si sviluppa nella persona ciò che viene definito come engagement.

Quando, al contrario, il lavoro di tutti i giorni rappresenta una sfida data da pressioni e, le richieste del lavoro eccessive rispetto alle risorse a disposizione e le persone non riescono a farvi fronte, ecco che il lavoro assume un ruolo debilitante, faticoso e può diventare una fonte di stess.

In questa condizione si può sperimentare ciò che viene denominato come esaurimento emotivo.

Nei paragrafi successivi ci si propone di trattare in maniera maggiormente approfondita i due concetti.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Il lavoro emozionale in ambito sanitario: Introduzione

Il lavoro emozionale in ambito sanitario: Introduzione

 

In Europa più dei due terzi  delle popolazione lavorativa è impiegata nel settore dei servizi (Central Intelligence Agency, 2009), quest’ambito assume quindi un ruolo cruciale nell’odierna economia, le persone che vi lavorano interagiscono ogni giorno con clienti, colleghi ecc..

Da questo contatto tal volta forzato con gli altri, nasce la necessità di gestire le proprie emozioni, mettendo in atto le strategie del cosiddetto lavoro emozionale.

La relazione tra emozioni e lavoro è diventato di grande interesse recentemente, in quanto, si è diffusa la consapevolezza che  l’espressione, la soppressione o il camuffamento di queste, influenzi lo stato di salute del singolo e abbia delle ricadute sul lavoro svolto, comportando così anche dei costi per le organizzazioni.

L’espressione delle emozioni ha infatti, un ruolo centrale all’interno della vita lavorativa del singolo, queste hanno un peso sulle condotte individuali e di gruppo, possono avere effetti sia positivi che negativi  e a volte possono generare condotte controproducenti.

Inoltre, spesso, il contesto fa si che si generi una  discrepanza tra le emozioni realmente provate e quelle espresse per soddisfare le display rules, generalmente una funzione delle norme sociali, delle norme professionali e delle norme organizzative. (Hochschild, 1983; Rafaeli & Sutton, 1987).

Tra i lavori che prevedono l’interazione con le persone, le mansioni in ambito sanitario in particolare, oltre che richiedere un contatto diretto con il paziente sono piuttosto soggette allo sviluppo di stati stressanti. Chi lavora in ambito ospedaliero sperimenta continue richieste fisiche e psicologiche, i professionisti devono confrontarsi ogni giorno situazioni dolorose, che implicano l’obbligo di prendere velocemente decisioni in situazioni critiche, aumentando il rischio di sviluppare alti livelli si stress (Moreno, Garrosa & Gonzàlez, 2000). In un contesto come questo, diventa quindi molto importante saper gestire le proprie emozioni.

Partendo da questi presupposti, con la presente ricerca, si propone di indagare le condizioni di malessere e benessere in relazione al lavoro emozionale, in un campione di 114 lavoratori del settore sanitario.

Nello specifico, si mette in luce l’impatto di una delle strategie di gestione delle emozioni al lavoro il surface acting. Le persone con questa strategia non tentano di provare realmente l’emozione richiesta dal contesto, ma si limitano a esprimerla solo in apparenza, ponendosi una sorta di maschera e regolando la risposta emotiva sopprimendo l’emozione, così che l’esperienza e l’espressione emotiva rimangano discordanti (Grandey, 2000; Gross, 1998)

Date tali peculiarità, nel lavoro presentato s’ipotizza che la strategia possa assumere un ruolo chiave nell’influenzare  lo stato di salute del lavoratore generando così un impatto su fattori legati al malessere e al benessere come il work engagement e l’esaurimento emotivo.

ella tesi qui proposta, inoltre, si fa riferimento al Job Demands Resources Model (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001), proponendo il modello come cornice teorica per lo studio della relazione tra surface acting ed esaurimento emotivo e surface acting e work engagement, con il fine ultimo contribuire all’estensione del modello, inserendo dei fattori di mediazione all’interno del processo.

Nella prima parte della tesi verrà presentato un resoconto della letteratura relativa alle tematiche affrontate.

Il primo capitolo sarà dedicato all’approfondimento di due concetti centrali trattati : l’esaurimento emotivo e il work engagement, e al loro grado di implicazione sullo stato di salute del lavoratore.  Il secondo capitolo affronta invece la tematica del lavoro emozionale, presentando una rassegna del fenomeno, individuando quelli che sono gli ambiti lavorativi più a rischio e riportando esemplificazione dei diversi studi.

Nell’ultimo capitolo di questa sezione, verrà descritto il modello Job Demands Resources e i principali processi in esso implicati.

Nella seconda parte verranno invece definiti, nel dettaglio, gli obiettivi e ipotesi della ricerca presentata e si esporrà il lavoro sperimentale indicando le diverse strategie utilizzate per l’analisi dei dati.

La discussione dei risulti ottenuti, accompagnata da conclusioni, limiti della ricerca, e implicazioni pratiche concluderanno infine il lavoro presentato.

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Conflitto Lavoro Famiglia: Conclusioni

Conflitto Lavoro Famiglia: Conclusioni

In conclusione, gli obiettivi chiave dello studio sono stati diversi. La ricerca ha infatti avuto lo scopo di chiarire in primo luogo il tipo di relazione che intercorre tra il costrutto del conflitto lavoro – famiglia e due importanti e conosciuti fenomeni organizzativi, l’assenteismo per malattia e il presentismo per malattia. Successivamente si è indagato il ruolo delle risorse lavorative, nello specifico della qualità delle relazioni e del supporto dei colleghi, nel moderare le relazioni appena elencate, per capirne eventuali effetti benefici sulla qualità della vita lavorativa dei partecipanti.

Come è stato visto finora, il punto di novità da sottolineare è la significatività della moderazione da parte del supporto dei colleghi nella relazione tra conflitto lavoro – famiglia e presentismo, che non risulta essere stata indagata da altre ricerche in letteratura scientifica.

Ovviamente sarà opportuno verificare l’attendibilità di questo risultato attraverso la conduzione di altri studi, in contesti organizzativi diversi, sia italiani sia stranieri.

Questa ricerca presenta comunque alcune limitazioni di cui è importante prendere nota, a partire dallo strumento metodologico col quale sono state condotte le indagini. Il questionario è infatti un metodo cosiddetto soggettivo, in cui cioè gli individui, attraverso scale di risposta validate, attribuiscono un punteggio a domande riguardanti la propria vita lavorativa a seconda di come la percepiscono. Il termine “soggettivo” è cruciale per comprendere le insidie di questo strumento: una situazione che per una persona risulta stressante, non lo è per un’altra o per la stessa in un tempo successivo alla prima rilevazione. Il questionario è utile in quanto permette di fare una fotografia della situazione lavorativa individuale, che però fonda le sue basi su interpretazioni e non su valutazioni oggettive della realtà. Come è stato accennato anche precedentemente, questo strumento ha il bias di essere soggetto a distorsioni da parte di chi compila, come per esempio la desiderabilità sociale o la sovrastima o la sottostima della risposta a una domanda quantitativa, come quella sui giorni totali di assenza da lavoro o sui giorni di presenza nonostante la malattia. Tutti questi errori possono essere bilanciati grazie all’utilizzo di dati oggettivi, come le schede informative aziendali o i dati di archivio, che a loro volta nascondono insidie moderabili dai vantaggi dello strumento soggettivo.

Il secondo limite della ricerca è da attribuire sicuramente la composizione del campione per quanto riguarda la variabile di genere. Ovviamente, dal momento che l’organizzazione stessa è composta prevalentemente da maschi, non è stato possibile condurre la rilevazione cercando di coinvolgere un campione più eterogeneo, ma è sicuramente un aspetto da tenere in considerazione per la generalizzabilità dei risultati. Precedentemente si è accennato allo studio di Van Veldhoven e Beijer (2012) e al fatto che è stato dimostrato che le donne belga hanno livelli più alti di conflitto lavoro-famiglia rispetto agli uomini. Facendo riferimento al fatto che l’assenteismo è considerato anche un modo per evadere da una situazione stressante, è più probabile che un campione femminile riporti una maggiore relazione tra assenteismo per malattia e conflitto lavoro – famiglia rispetto a un campione prevalentemente maschile. Del resto, anche lo studio di Demerouti e colleghi (2011) è stato condotto su un campione femminile confermando sia la relazione tra i due costrutti sia la moderazione da parte del supporto dei colleghi. Rimane quindi da approfondire questa ipotesi di moderazionema, al contrario dello studio di Demerouti e colleghi (2011), con uno strumento soggettivo.

Tuttavia, nonostante la presenza dei suddetti limiti nel presente studio, i risultati suggeriscono che in generale le risorse lavorative sono uno strumento potente per le organizzazioni, che possono sfruttarle al fine di ridurre gli effetti stressanti del lavoro e del conflitto che si potrebbe creare con la famiglia. Resta dunque di primaria importanza non sottovalutare problemi come l’assenteismo per malattia e il presentismo per malattia e intervenire per evitare conseguenze spiacevoli non solo per l’individuo ma anche per l’intera organizzazione.

I risultati di questo studio possono fornire uno spunto per diminuire i giorni di presentismo per malattia nelle organizzazioni. I partecipanti hanno infatti dichiarato che il supporto dei colleghi diminuisce gli effetti del conflitto lavoro – famiglia sul presentismo.

L’organizzazione potrebbe quindi prevenire la comparsa del conflitto lavoro – famiglia, per esempio attraverso il ridimensionamento delle job demands, ma potrebbe anche agire sulla promozione delle risorse lavorative.

A livello individuale, si potrebbero informare i lavoratori sui risultati ottenuti dalla ricerca e sul rapporto tra domande, risorse e presentismo, e la loro influenza sulla salute e sul benessere non solo a livello fisico ma anche mentale.

Si potrebbe anche coinvolgere l’organizzazione riguardo gli effetti delle condizioni lavorative e del contenuto del lavoro sull’individuo e sui team work, con particolare enfasi sulle conseguenze che hanno sull’equilibrio lavoro – famiglia dei lavoratori. Questo potrebbe essere utile per iniziare l’organizzazione a fare attenzione a tutte quelle dinamiche che potrebbero creare un conflitto tra il ruolo lavorativo e quello familiare.

Questi temi dovrebbero coinvolgere non solo i dipendenti e i superiori, ma anche i datori di lavoro. La loro partecipazione sarebbe cruciale per la progettazione di politiche a favore dell’equilibrio familiare, che sono risultate molto efficaci nel contribuire al benessere individuale e organizzativo (Demerouti e colleghi, 2010): un esempio potrebbe essere la garanzia di un orario di lavoro flessibile.

Per migliorare la situazione organizzativa e individuale è perciò necessaria la partecipazione di tutti: avere un ulteriore obiettivo comune potrebbe anche migliorare i rapporti tra i lavoratori e il supporto percepito da parte dei colleghi e dei superiori.

© Conflitto Lavoro Famiglia, Assenteismo e presentismo: il ruolo delle risorse lavorative – Mariarosaria Campitelli

 

 

 

La relazione tra conflitto lavoro-famiglia e presentismo

La relazione tra conflitto lavoro-famiglia e presentismo

Il valore aggiunto di questa ricerca è rappresentato dall’analisi della relazione tra il conflitto lavoro – famiglia e il presentismo. La correlazione positiva in sé era già stata esplorata e dimostrata nello studio di Johns (2011), il quale aveva usato misure self – report. In questo studio però è stato analizzato anche il rapporto di causalità tra questi due costrutti, risultato pienamente significativo.

Johns (2011) aveva notato una significativa differenza tra i risultati ottenuti considerando il conflitto del ruolo lavorativo su quello familiare e viceversa, allertando le ricerche future a fare attenzione su questo aspetto, poiché queste due facce della stessa medaglia hanno effetti diversi sull’assenteismo e sul presentismo. Gli item di questa ricerca hanno indagato il conflitto del ruolo lavorativo sul ruolo familiare, rivelando una correlazione positiva che quindi ha confermato il risultato ottenuto da Johns (2011) e un rapporto di causalità che non è stato ancora pienamente validato nella letteratura scientifica (a conoscenza della sottoscritta).

Anche lo studio di Camerino e colleghi (2010) ha dimostrato unarelazione positiva tra presentismo e conflitto lavoro – famiglia, anche se a differenza di questo studio, il campione comprendeva solo infermiere italiane.

Dunque si può affermare che all’aumentare del conflitto lavoro – famiglia aumenti anche il presentismo. Come è possibile giustificare questo risultato?

Nella costruzione del questionario si è voluto dare spazio alle opinioni libere dei partecipanti, così è stata inclusa una domanda a risposta aperta nella quale ognuno doveva elencare i motivi per i quali si era recato al lavoro nonostante fosse malato o infortunato. Le motivazioni principali che sono state date riguardavano:

    • le caratteristiche del lavoro, ovvero le job demand, la mancanza di sostegno da parte dei colleghi e il lavoro in team;
    • la cultura del presentismo, che riguarda la presenza di una cultura che incentivi o induca le persone a lavorare anche quando si trovano in stati di malessere;
    • il senso di responsabilità o di colpa;
    • altre motivazioni, legate alla noia o al non desiderio di essere in mutua. 

192 partecipanti hanno risposto a questa domanda, ma la maggior parte delle affermazioni  (N=114) sono ricadute sul senso di responsabilità, non solo verso l’organizzazione, ma anche verso i colleghi che poi avrebbero avuto lavoro in più da portare a termine. Se quindi i partecipanti si sentono in dovere di andare a lavoro anche quando non sono in perfetta forma, questo incide positivamente sul presentismo, ma potrebbe avere un effetto positivo anche sul conflitto lavoro – famiglia. Infatti, gli item che riguardavano questo costrutto, facevano riferimento prevalentemente allo stress e alla stanchezza che, una volta tornata a casa da lavoro, impediscono alla persona di adempiere ai doveri domestici: se una persona è debilitata fisicamente ma si sforza ugualmente nel lavoro, una conseguenza può essere proprio quella di non avere tempo e forze da dedicare alla casa e alla famiglia. Questa interpretazione dovrebbe comunque essere verificata in letteratura o mediante altre ricerche mirate.

Per quanto riguarda le caratteristiche del lavoro, 59 persone su 192 hanno ritenuto di dichiarare che il carico di lavoro, la mancanza di sostegno e il lavoro in team siano state le cause principali delle presenze nonostante malattie o infortuni. Ciò che è interessante è che la maggior parte di queste dichiarazioni, nello specifico 25 persone, appartengono al secondo gruppo omogeneo, il quale in effetti presenta mansioni ad alta responsabilità. Avere molti lavori da portare a termine e non percepire il supporto del colleghi oppure essere vincolati dal lavoro in team può essere un fattore determinante ad aumentare anche il conflitto lavoro – famiglia. Anche in questo caso, però, è necessario confermare queste interpretazioni con ricerche bibliografiche e scientifiche.

Un altro aspetto innovativo di questa ricerca è rappresentato dalla moderazione significativa del supporto dei colleghi nella relazione tra conflitto lavoro – famiglia e presentismo. Dalle correlazioni iniziali era infatti emerso che il supporto dei colleghi aveva una relazione negativa con il conflitto lavoro – famiglia e con il presentismo. Questo dato ha fornito i presupposti per la moderazione di questa risorsa lavorativa nella relazione tra i due costrutti.

Moltissime ricerche hanno individuato il ruolo positivo del supporto dei colleghi sul conflitto lavoro-famiglia e sugli esiti, come per esempio Demerouti e colleghi (2011): questa ricerca ha voluto esplorare se ciò sarebbe stato vero anche per il presentismo, dato che, a conoscenza della sottoscritta, non sono reperibili ricerche che ne abbiano valutato gli effetti su questo esito. Probabilmente a confermare le ipotesi hanno contribuito più fattori, per esempio un buon supporto percepito tra colleghi (come si può notare dalle medie nella Tavola 2). Come precedentemente illustrato, Van der Doef e Maes (1999) spiegano che questa variabile sia la più conosciuta per il suo effetto buffer sullo stress lavorativo. Questa variabile è in grado di influenzare le dinamiche di presenza dei lavoratori, in quanto, come tutte le risorse lavorative, agisce sia da motivatore intrinseco sia estrinseco, rendendo i lavoratori più stimolati ad andare al lavoro anche in condizioni di malattia (Demerouti e colleghi, 2011).

Così come per l’assenteismo, è stato valutato il ruolo moderatore della qualità delle relazioni tra colleghi nella relazione tra conflitto lavoro – famiglia e presentismo. In questo caso non è stato confermato l’effetto positivo di questa risorsa lavorativa. La qualità delle relazioni tra colleghi è risultata correlata in modo negativo al conflitto lavoro – famiglia, confermando i risultati di Sanz-Vergel e colleghi (2010), ma non ha presentato una relazione significativa con il presentismo, il che probabilmente ha influito sulla moderazione. A conoscenza della sottoscritta, non sono state trovate in letteratura scientifica studi che indagassero gli effetti positivi della qualità delle relazioni tra colleghi sul presentismo, ma, dato che le risorse lavorative potenzialmente possono moderare qualsiasi coppia di variabili nel processo stress – strain (Kahn e Byosiere, 1992), attraverso una ricerca scientifica più approfondita e avente un campione più eterogeneo per il genere e il gruppo di attività, è probabileche questa relazione si possa dimostrare.

© Conflitto Lavoro Famiglia, Assenteismo e presentismo: il ruolo delle risorse lavorative – Mariarosaria Campitelli

La relazione tra conflitto lavoro – famiglia e assenteismo

La relazione tra conflitto lavoro – famiglia e assenteismo

 

 

Discussione

Lo scopo centrale di questa ricerca è capire se esiste una relazione positiva tra il conflitto lavoro – famiglia e l’assenteismo per malattia e tra il primo e il presentismo. Inoltre si è voluto indagare se il supporto da parte dei colleghi e la qualità delle relazioni tra gli stessi possano moderare quelle relazioni. Non tutte le ipotesi della ricerca hanno trovato conferma nei risultati statistici: essi verranno spiegati più nel dettaglio nei paragrafi successivi.

La relazione tra conflitto lavoro – famiglia e assenteismo

La prima ipotesi sosteneva una relazione positiva tra il conflitto lavoro – famiglia e l’assenteismo, ma non è stata confermata dai risultati ottenuti. Nello studio di Demerouti e colleghi (2011) per esempio, il conflitto lavoro – famiglia era 0risultato positivamente correlato sia alla frequenza delle assenze per malattia sia alla durata delle stesse (nel primo caso, r = .12 con p < .05 e nel secondo caso, r = .16 con p < .00). In un altro studio del 2009 invece (Camerino e colleghi, 2010), che aveva usato dati soggettivi, non è stata trovata un’associazione significativa tra assenteismo e conflitto lavoro – famiglia.

Dato che lo studio di Demerouti e colleghi (2011) è più recente di quello di Camerino e colleghi (2010) e che ha dimostrato una relazione significativa tra i due costrutti, esso si può confrontare con il presente per capirne le differenze e gli aspetti che possono aver portato alla discrepanza tra i risultati.

In primo luogo, nello studio di Demerouti e colleghi (2011) l’assenteismo per malattia è stato valutato sia per quanto riguarda la frequenza sia per quanto riguarda la durata del fenomeno, mentre nella ricerca illustrata in questa sede della variabile è stata esplorata solo la frequenza.

In secondo luogo, Demerouti e colleghi (2011) hanno valutato l’assenteismo mediante misure oggettive: infatti i dati sono stati ottenuti dal sistema computerizzato di registrazione del servizio di medicina del lavoro interno alla compagnia. Gli autori hanno poi considerato la frequenza e la durata delle assenze, registrate anche nel periodo successivo la rilevazione con il questionario.

In questa ricerca, invece, l’unico metodo utilizzato è rappresentato dal questionario, che, in qualità di strumento di indagine, è stato molto criticato dai ricercatori (Kompier, 2005): i dati che emergono da questo strumento metodologico sono considerati “soggettivi”, poiché auto-compilati dagli individui. È proprio questo il punto debole dello strumento: le risposte potrebbero essere distorte per molti motivi, minando l’affidabilità delle risposte (Demerouti e colleghi, 2011). Le persone sono infatti influenzate da stili di risposta, per esempio l’acquiescenza o la desiderabilità sociale, e da caratteristiche personali, che influenzano il modo in cui gli individui interpretano la vita (Semmer, Zapf & Greif, 1996). Questi difetti possono essere i responsabili di alte correlazioni spurie tra le risposte fornite sullo stress e il benessere del lavoratore (Semmer, e colleghi, 1996), o nel caso di questa ricerca, di mancate correlazioni tra coppie di variabili già testate e confermate nella letteratura scientifica.

Il terzo aspetto da tenere in considerazione nell’interpretazione dei risultati della ricerca è il fatto che il campione non è risultato rappresentativo per quanto riguarda il genere e la divisione nei gruppi omogenei.

Nello studio di Demerouti e colleghi (2011) il campione era costituito da donne impiegate in una grande organizzazione di servizi finanziari in Olanda, con un contratto di lavoro full – time. Il campione di questa ricerca, invece, è costituito per l’81,4% da uomini. In uno studio del 2012 di Van Veldhoven e Beijer è stato dimostrato che le donne riportano livelli più alti di conflitto lavoro-famiglia rispetto agli uomini, quindi, considerando questo studio, risulta possibile che la variabile di genere abbia influenzato i risultati finali.

Per quanto riguarda invece la mancata rappresentatività del campione per la variabile dei gruppi omogenei, è importante non sottovalutare che i lavoratori hanno compiti, responsabilità e autonomia diversi all’interno dei gruppi stessi. Come illustrato da Johns (2010), il livelli di assenteismo possono variare a seconda dei contenuti del lavoro e delle politiche organizzative, oltre ad altri aspetti. Non essendoci una distribuzione omogenea del campione, questa potrebbe essere un’ulteriore spiegazione per i livelli di assenteismo registrati e la correlazione con il conflitto lavoro-famiglia.

Inoltre, ci sono molti studi che confermano che i lavoratori con un alto conflitto lavoro famiglia hanno anche alti livelli di assenteismo soggettivo (Bakker, Demerouti, & Schaufeli, 2003; Barling, MacEwen, Kelloway, & Higginbottom, 1994; Gignac, Kelloway, & Gottlieb, 1996; Hammer, Bauer, & Grandey, 2003; Jacobson, Aldana, Goetzel, Vardell, Adams, & Pietras, 1996; Thomas & Ganster, 1995). Dal momento che in questa ricerca il conflitto lavoro-famiglia non ha raggiunto livelli di criticità ma è risultato pienamente nella media, così come la frequenza delle assenze per malattia, è probabile che la mancanza di significatività nella relazione tra queste due variabili sia dovuta a questi dati.

Come conseguenza della mancata significatività della relazione tra conflitto lavoro famiglia e assenteismo, non sono risultate significative le moderazioni da parte del supporto dei colleghi e della qualità della relazione con gli stessi. Probabilmente questo risultato è anche attribuibile al fatto che le risorse lavorative non hanno un effetto diretto sul comportamento assenteista (Demerouti e colleghi, 2011). Avendo però il supporto della letteratura scientifica in merito alla moderazione del supporto e della qualità delle relazioni tra colleghi nella relazione tra il conflitto lavoro – famiglia e l’assenteismo, lo scopo era quello di provare a confermare il risultato ottenuto da Demerouti e colleghi (2011) nel contesto italiano e con un campione non omogeneo dal punto di vista della variabile di genere, utilizzando uno strumento d’indagine soggettivo.

© Conflitto Lavoro Famiglia, Assenteismo e presentismo: il ruolo delle risorse lavorative – Mariarosaria Campitelli