Lavoro emozionale e dissonanza emotiva

Lavoro emozionale e dissonanza emotiva

 

La dissonanza emotiva assume un ruolo centrale nei modelli sullo studio del lavoro emozionale (Holman, Inigo, e Totterdell, 2008), molti ricercatori le attribuiscono una funzione chiave ( Cote’, 2005; Morris & Feldman,1996 ).

Le prime ricerche hanno definito la dissonanza come la discrepanza tra le emozioni realmente provate e quelle espresse per soddisfare le display rules (Hochschild, 1983; Rafaeli & Sutton, 1987). Così, la dissonanza risulta caratterizzata da tre differenti aspetti: emozioni richieste dalle display rules, le emozione espresse e quelle provate (Zerbe, 2000). Sono state utilizzate varie combinazioni di queste tre concezioni per misurare e definire il concetto di dissonanza. Alcuni parlano di dissonanza emozione-ruolo (Holman, et al.,2008) per indicare la discrepanza tra richiesto e sperimentato, altri la considerano invece come la discrepanza tra sentimento espresso e provato (Cote ‘, 2005; Van Dijk & Kirk, 2006), definito da Holman e colleghi come “Fake emotional display.”

Questa differenze nella concettualizzazione hanno importanti implicazioni per la relazione tra dissonanza emotiva e lavoro emozionale: mentre se si considera la dissonanza emotiva come dissonanza emozione ruolo, questa diventa antecedente della regolazione delle emozioni, quindi causa dello sviluppo di Surface e Deep acting. Al contrario se si fa riferimento alla “Fake emotion display”, la dissonanza emotiva appare una conseguenza dell’applicazione delle strategie (Holman et al.,2008, Cote 2005) che risultano inoltre essere collegate agli esiti negativi sul lavoro (Rubin,Tardino,Daus & munz 2008).

Schaubroeck e Jones (2000) definiscono la dissonanza emotiva come un “disequilibrio disturbato” tra emozioni espresse e sperimentate, suggerendo che quando  le emozioni espresse dalle persone combaciano con le aspettative del contesto, ma sono in contrasto con quelle realmente provate si generano una serie di esiti negativi sul lavoro.

La dissonanza emotiva è oggetto di ricerche empiriche che si sono concentrate soprattutto sulle sue conseguenze che questa genera sui lavoratori, è sostenuto come possa essere un fattore stressante che ha un effetto negativo sugli esiti lavorativi. Morris e Feldman (1997)  ad esempio, hanno trovato una relazione positiva significativa tra dissonanza emotiva e burnout. Il benessere è invece oggetto di interesse per Rafaeli e Sutton (1987) che la paragonano a una forma di conflitto di persona-ruolo, dove viene a mancare la corrispondenza tra i valori personali del singolo e le esigenze e le specifiche richieste dal ruolo (Kahn, Wolfe, Quinn, Snoek, e Rosenthal, 1964), questo conflitto legato secondo gli autori alla dissonanza emozione- ruolo altera l’equilibrio dei lavoratori mettendoli in una situazione critica in cui si trovano davanti alla possibilità o di annullare i propri valori e rispettare le regole organizzative, e in tal modo mettere a rischio il loro senso di autenticità, oppure di seguire i propri valori, trascurando i loro doveri professionali e correndo il rischio di andare contro l’ autorità  (Abraham, 1999). Questo conflitto induce uno stato di tensione, riducendo le risorse e minacciando il benessere dei lavoratori.

Lo stesso Abraham (1998) ha indagato invece il rapporto tra dissonanza e soddisfazione lavorativa, individuando una correlazione negativa tra i due, e Brotheridge e Lee (2003) durante la convalida della scala sul lavoro emozionale hanno trovato come non solo il burnout ma anche la depersonalizzazione fosse significativamente correlata con la sottoscala del surface acting, suggerendo da questi risultati che sia lo sforzo per nascondere i veri sentimenti che la tendenza a recitare e mettere in atto sentimenti falsi siano due caratteristiche della strategia del surface acting oltre che due delle principali fonti di tensione.

Studi hanno confermato come l’esaurimento emotivo sia una conseguenza della dissonanza emotiva ( Abraham, 1999; Morris e Feldman, 1997) e dato che mettendo in atto la tecnica del surface acting l’individuo sperimenta tale dissonanza per far fronte al conflitto tra sentimenti manifestati e sperimentati, ci si aspetta che anche la tecnica sia associato allo stato di esaurimento (Brotheridge & Grandey, 2002)

Infine, anche la depersonalizzazione è stata studiata in relazione al fenomeno .Secondo Hochschild, (1983) e Kruml, (1999) ,questo sentimento di indifferenza è  in relazione con la dissonanza emotiva che, può secondo gli autori, generare il distaccamento tipico della depersonalizzazione. Inoltre essa è stata associata anche all’utilizzo della strategia del Surface acting: nella la tecnica infatti, il tentativo di mascherare i sentimenti se protratto per lungo tempo non opera solo su una singola emozione, ma in maniera generalizzata su tutti i sentimenti  portando così a un processo di depersonalizzazione Hochschild (1983).

Partendo da tali considerazioni nel presente lavoro ci si propone di indagare la relazione tra la tecnica e lo stato di malessere e benessere del lavoratore e quindi l’effetto che questa esercita in particolare sull’esaurimento emotivo e sul work engagement, ipotizzando che il Surface Acting abbia un impatto positivo sull’esaurimento e un impatto negativo sull’engagement.

 

© Il lavoro emozionale in ambito sanitario: effetti sul benessere e il malessere lavorativo – Jessica Capelli

Strategie personali di gestione delle emozioni : Deep Acting e Surface Acting

Strategie personali di gestione delle emozioni : Deep Acting e Surface Acting

 

Si può pensare che le persone che svolgono un lavoro che si adatta perfettamente alle proprie caratteristiche esprimano in questo contesto emozioni e sentimenti spontaneamente senza la necessità di dover fingere o nascondere i propri veri sentimenti.

Tuttavia ricerche longitudinali mostrano come molti lavoratori evidenziano che le emozioni realmente provate non sempre si conformano con le richieste del contesto ( Ashforth & Tomiuk, 2000). Partendo da tali constatazioni è importante allora chiedersi cosa accade quando il lavoratore deve mascherare le proprie emozioni.

Il processo di gestione delle emozioni, che caratterizza il lavoro emozionale avviene attraverso l’utilizzo di due strategie distinte e indipendenti: Deep Ancting e Surface Acting. Entrambe sono internamente false e richiedono uno sforzo (Ashforth e Humphrey, 1993), tuttavia hanno intenzioni diverse.

La strategia del Deep Acting (DA) consiste nella modifica dei propri sentimenti al fine di esprimere emozioni desiderate. Si tratta di una regolazione emotiva di tipo Antecedent-focused cioè che si manifesta prima dello sviluppo dell’emozione, e mira a cambiare la situazione o la sua percezione. (Grandey, 2000; Gross, 1998).

Quando le persone mettono in atto la tecnica del Deep Acting provano ad allineare le emozioni con le display rules, attraverso due strategie ( Hochschild, 1983 ): tentare attivamente di evocare o sopprimere un’emozione e richiamare alla memoria immagini e pensieri cui sono associate specifici stati d’animo. In entrambi i casi le emozioni espresse saranno percepite come più veritiere, l’intento è quindi di sembrare autentico per il pubblico, per questo motivo la tecnica viene chiamata “faking in good faith”( Rafaeli & Sutton, 1987). Inoltre quest’intenzione positiva non è sempre presente nei lavoratori, in particolare quelli che non s’identificano con il proprio ruolo di lavoro (Ashforth & Humphrey, 1993), e richiede che ci si sia un certo grado di conoscenza su come regolare le proprie emozioni.

La tecnica del Surface Acting (SA) al contrario, consiste nel modificare le proprie espressioni per aderire alle display rules. Si tratta in questo caso di una forma di emozione Response-focused cioè applicata quando l’emozione si è già sviluppata, che riguarda principalmente il corpo e le sue espressioni. Le persone che sperimentano questa tecnica non tentano di provare realmente l’emozionerichiesta, ma si limitano ad esprimerla solo in apparenza, ponendosi una sorta di maschera e regolando la risposta emotiva sopprimendo, nascondendo e falsificando l’emozione. Di conseguenza quando si utilizza la surface acting l’esperienza emotiva e l’espressione emotiva rimangono discordanti ( Grandey, 2000; Gross, 1998; Totterdel e Holman, 2003 ). La strategia del Surface Acting viene definita come “faking in bad faith”( Rafaeli e Sutton, 1987 ): il lavoratore si conforma a quanto richiedono le regole per mantenere il proprio lavoro e non per svolgerlo al meglio. L’inautenticità emotiva di questa strategia è stato dimostrato come sia collegata allo sviluppo di stress (Abraham, 1999 ) dovuto alla tensione interna e allo sforzo psicologico causati dal tentativo di sopprimere i veri sentimenti ( Gross, 1998).

Inoltre è anche  importante aggiungere, come argomentato da Hochscild (1983) che questo tentativo di mascherare i sentimenti se protratto per lungo tempo non influisce solo su una singola emozione ma su tutti i sentimenti delle persone e possa portare a un processo di depersonalizzazione.

Il mascheramento dei sentimenti, caratteristico di questa tecnica fa si che esperienza e espressione emotiva non combacino ( Grandey , 2000; Gross,1998; Totterdel & Holman, 2003).

Questa discrepanza è una caratteristica del processo che prende il nome di dissonanza emotiva.

Zapf, Vogt., Seifert, Mertini, & Isic (1999), propongono che l’obbligo di mostrare emozioni positive, emozioni negative, e in generale il mascheramento delle emozioni reali non è necessariamente stressante, ma possono diventare così attraverso dissonanza emotiva. Data la rilevanza della tematica al rapporto tra dissonanza e lavoro emozionale verrà dedicato un paragrafo a seguire .

 

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Gestire le emozioni: Strategie Organizzative

Gestire le emozioni: Strategie Organizzative 

 

Innanzitutto è bene sottolineare come anche le stesse organizzazioni abbiano un ruolo nella gestione del comportamento emotivo del lavoratore.

Ciò risulta evidente a partire dalle strategie di selezione: in alcune realtà infatti l’espressione emotiva è un criterio che viene tenuto in forte considerazione quando ci si trova di fronte a una rosa di candidati che magari hanno alle spalle percorsi formativi e professionali simili.

In questo caso infatti si considerano altri aspetti per determinare l’idoneità di un aspirante a discapito di un altro.

Ad esempio la preferenza potrebbe ricadere su persone con caratteristiche socialmente desiderabili ( esempio: altezza, un bel aspetto) soprattutto in determinati ambiti dove è necessario confrontarsi con un lavoro che richiede l’interazione diretta con il pubblico.

Iñigo ( 2001), sostiene che questi tentativi mirano a far inserire all’interno delle organizzazioni persone con maggior capacità di mettere in atto il lavoro emozionale, che comunicheranno l’immagine che l’azienda desidera fornire ai propri clienti.

Un’altra tecnica utilizzata dalle strutture per tentare di guidare il comportamento emozionale dei propri dipendenti è la partecipazione a percorsi di formazione volti a mostrare ai lavoratori come mettere in atto l’emozione più adeguata, all’interno di tali corsi si possono riproporre ad esempio delle prassi da mettere in atto a seguito delle risposte da parte dei clienti ( Leidner, 1993).

Il controllo del comportamento del lavoratore tramite la supervisione di un superiore è un’ulteriore strategia .

Nei call center soprattutto nella fase di inserimento, il team leader segue le conversazioni tra il dipendente e il cliente, in modo da dare suggerimenti e valutare se il proprio comportamento emozionale sia adeguato in relazione all’interazione con il cliente, questa tecnica viene utilizzata anche in fase di valutazione, le chiamate vengono registrate con il fine di valutare la qualità del servizio offerto dal singolo operatore e far fronte a eventuali reclami.

Infine oltre che la supervisione anche l’appoggio e il sostegno sociale da parte dei colleghi può essere un modo per facilitare il comportamento emotivo soprattutto nelle situazioni ad alto stress ad esempio in una realtà particolarmente tesa come quella della sala operatoria fare battute, raccontare piccoli aneddoti sembra servire ad alleggerire la tensione e quindi favorire lo svolgimento del compito ( Iñigo, 2001).

 

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Strategie di gestione delle emozioni

Strategie di gestione delle emozioni

 

La capacità dell’individuo di mettere in atto emozioni richieste dall’organizzazione, risulta di particolare importanza, dato che da questa dipende la propria capacità di relazionarsi, come si è visto soprattutto in determinati settori l’interazione con l’altro è centrale nello svolgimento del lavoro è quindi necessario capire quali siano le tecniche e i comportamenti messi in atto a tale scopo.

Di seguito si proporrà una panoramica delle tecniche individuali di gestione delle emozioni, delineandone le caratteristiche ed evidenziando quali elementi di differiscono da una all’altra.

In particolare, oggetto di interesse, dato lo sforzo particolare che richiede all’individuo è la strategia di gestione delle emozioni Surface Acting.

Per completezza, verranno prima riportate brevemente alcune strategie che vengono messe in atto non dal singolo ma dall’organizzazione, per garantire la corretta espressione emotiva al lavoro.

 

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Gli ambiti lavorativi più soggetti al lavoro emozionale

Gli ambiti lavorativi più soggetti al lavoro emozionale

 

Lo studio del lavoro emozionale come detto in precedenza è nato con le indagini di Hochschild nel 1983, tra le Hostess di volo, da quel momento si è esteso andando a studiare diverse realtà lavorative permettendo di delineare quelle mansioni che per le loro caratteristiche richiedono un grande sforzo nella gestione emozionale.

I lavori che richiedono di svolgersi una relazione con le persone, cioè prevalentemente quelli che fanno parte del settore dei servizi sono maggiormente soggette allo sviluppo, della discrepanza tra emozioni sperimentate e manifestate, considerato che in questo particolare settore le interazioni sono meno spontanee ed è richiesto un più alto livello di controllo per mantenere relazioni positive con i clienti in tutte le situazioni ( Hochschild, 1983; Van Maanen & Kunda 1989 ); in questi contesti infatti l’adesione alle display rules diventa particolarmente importante.

Lo studio di Lewig & Dollard ( 2003) ha analizzato la gestione emotiva degli operatori call center indicando questo settore come altamente rischioso, i lavoratori hanno riferito come nel loro lavoro venga richiesto di esprimere sempre emozioni positive, mentre è comune al contrario la soppressione dei sentimenti negativi per fornire al cliente il miglior servizio possibile. Chi lavora nei servizi viene valutato dai supervisori per come si relaziona con il cliente, ci si aspetta che manifestino emozioni positive ( Rafaeli & Sutton, 1987 ) piuttosto che rabbia o indifferenza. Restando nell’ ambito dei call center, ad esempio non saper mantenere un buon livello di controllo può avere ripercussioni gravi, i clienti infatti sono chiamati a valutare la qualità del servizio, e avolte le stesse compagnie li ricontattano con questo scopo. Viene chiesto loro di valutare l’operatore su vari parametri, inerenti sia al grado di preparazione che a aspetti che coinvolgono primariamente la qualità della relazione, con domande volte a valutare il grado di cortesia e l’atteggiamento nei confronti del cliente. Dato che il contesto per le sue caratteristiche risulta altamente caotico, è spesso oggetto di studi che rivelano come il grado di stress nei dipendenti sia tra i più elevati, appare quindi particolarmente importante saper gestire adeguatamente le proprie emozioni, per offrire al cliente un buon servizio nonostante l’ambiente piuttosto stressante.

La relazione tra lavoro emozionale e qualità dei servizi è stato studiato anche in altri contesti. Sono stati portati avanti diverse indagini sulle persone impiegate nel settore terziario, come ad esempio ricerche sugli impiegati dei fast food (Leinder 1993), o gli impiegati nei parchi divertimento (Van Mannen & Kunda,1989), in tutte le indagini viene sottolineato come la corretta gestione delle emozioni sia fondamentale e ci sia un forte controllo in questo senso. Altri ambiti lavorativi quali il marketing, le risorse umane e la psicologia delle organizzazioni sembrano essere connessi al fenomeno.

Infine i lavori inerenti ai servizi ospedalieri, aventi come protagonisti, infermieri, medici e riabilitatori sono terreni particolarmente delicati, spesso questo è dovuto alla relazioni che si istaurano tra medico e paziente, lo stesso ruolo di medico impone il prendersi cura delle persone, e questa predisposizione di aiuto verso l’altro è molto costosa in termini di lavoro emotivo.

Risulta chiaro, quindi, come in diversi tipi di mansione il lavoro emozionale ricopra un ruolo importante, Hochschild,1983, in Grandey, 2003 propone una lista di quelli che lui definisce come “emotional labor jobs”vale a dire quei lavori principalmente d’interazione, dove le emozioni devono essere più frequentemente controllate per far fronte alle esigenze del contesto.

Sono state fatte indagini che analizzano il rapporto tra le occupazione inscrivibili al gruppo ad alto rischio, e le professioni che non riconducibili a questa cerchia, i risultati mostrano che in relazione a un indicatore di forte malessere come può essere l’esaurimento emotivo, non si riscontrano significative differenze ( Schaubroeck & Jones, 2000; Wharton, 1993, in Brotheridge, & Grandey, 2002). Questo risultato potrebbe essere ricondotto al fatto che una variabile come il lavoro emozionale, non dipenda solo dal tipo di lavoro ma anche dalle peculiarità insite a varie tipologie di lavoro.

A prescindere dal tipo di mansione svolta infatti, anche le caratteristiche del lavoro influenzano l’espressione delle emozioni e possono essere considerati fattori antecedenti del lavoro emozionale. Ad esempio il grado di autonomia e di responsabilità che il dipendente possiede ha un ruolo fondamentale nel diminuirne gli effetti negativi (Ericsson & Bitter, 2001).

Come si è visto il lavoro emozionale causa ricadute sull’esperienza di vita del lavoratore, è quindi importante capire come gestire il comportamento emotivo al lavoro.

 

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Conseguenze del lavoro emozionale

Conseguenze  del lavoro emozionale 

 

La componente maggiore degli studi, si è dedicata agli esiti che questo concetto multidimensionale comporta, il lavoro emozionale genera effetti tanto positivi quanto negativi per la persona e per l’organizzazione, per i quali si è andata costruendo negli anni un’ampia letteratura.

Il fenomeno può portare a conseguenze poco auspicabili a livello individuale sul piano psicologico, come il burnout o l’ insoddisfazione lavorativa (Hochschild,1983; Morris e Feldman 1996). In particolare il burnout è stato ampliamente studiato in questo senso, evidenziando come l’esaurimento emotivo diminuisce quando le persone si dimostrano maggiormente capaci di autoregolarsi sul lavoro. Al contrario, quando si assiste a una anche parziale incapacità di gestione si va incontro a un aumento dello stress e conseguentemente al burnout.

A un livello psicosomatico e fisico si hanno ripercussioni, andando incontro ad esempio aumento del ritmo cardiovascolare, con effetti negativi sul lungo termine questi effetti risultano ridotti però se associati ad altri fattori come l’identificazione con l’organizzazione ( Inigo, 2001).

Le conseguenze a cui il lavoro emozionale conduce emergono essere anche fonte di benessere, dimostrando così la sua doppia natura, alcune ricerche hanno messo in luce come la gestione delle emozioni generi un aumento della soddisfazione in ambito lavorativo, incrementando il sentimento di autoefficacia e autostima (Strickland,1992; Ashfort & Humphrey,1993).

Anche sull’organizzazione il fenomeno produce i suoi effetti contrastanti: da un lato, risulta infatti  correlato positivamente con l’assenteismo e il turnover, tuttavia si è visto come in un’altra prospettiva possa migliorare le relazioni interpersonali, riduca le ambiguità legate al ruolo e aumenti il commitment.

Nonostante come accennato vi sono alcuni elementi che possono aggravarne gli effetti, ve ne sono altri che possono agire come fattori di protezione, sia a livello individuale che sociale.

Ad esempio il supporto sociale da parte dei colleghi è particolarmente importante quando ci si trova nella condizioni di dover gestire le proprie emozioni sul lavoro. Ciò risulta particolarmente evidente quando si entra far parte di una nuova realtà lavorativa in cui si deve definire il proprio ruolo e si è maggiormente soggetti a influenza sociale ( Katz, 1980; Turner & Oakes, 1986,).

Altra risorsa, questa volta sul piano personale, è l’identificazione di ruolo ( Brotheridge & Lee, 2002 ). Se il lavoratore infatti s’identifica adeguatamente con il ruolo che ricopre, tenderà maggiormente a essere autentico rispetto a quelle che sono le aspettative ( Ashforth & Tomiuk, 2000), ed a agire adeguatamente rispetto alle richieste (Ashforth & Humphrey,1993), rendendo così meno difficoltoso gestire le emozioni.

Il lavoro emozionale appare quindi come una realtà sfaccettata e perciò anche di difficile contestualizzazione, tuttavia molteplici studi portati avanti nel tempo hanno permesso di individuare gli ambiti lavorativi più a rischio.

 

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Antecedenti del lavoro emozionale

Antecedenti del lavoro emozionale

 

Dopo aver dato un breve quadro di quello che si intende per lavoro emozionale, è importante definire quali aspetti sembrano facilitare l’insorgenza del fenomeno.

I primi studi identificavano la frequenza delle interazioni con i clienti come la principale causa di sviluppo del suo sviluppo, successivamente sono state messe in luce anche altre variabili.

Il fenomeno sembra risentire della varietà di emozioni che  l’individuo deve esprimere sul lavoro, quando aumenta la quantità di emozioni da manifestare si assiste a un maggior lavoro dal punto di vista emozionale per la persona (Iñigo, 2001). Anche la durata, così come l’intensità dell’interazione incidono: le relazioni più lunghe con l’interlocutore fanno si che la conversazione sia meno standardizzata, così facendo si ottengono maggiori informazioni sul proprio interlocutore ed è possibile che egli trapeli una maggior quantità di emozioni rendendosi più vulnerabile (Iñigo, 2001). A fronte di queste condizioni la persona dovrà prestare maggior attenzione alla gestione delle proprie emozioni, maggiormente quando sperimenta stati affettivi negativi che impongono un più alto grado di attenzione nelle propri espressioni sul lavoro.

Infine altro aspetto che appare influente, è riconducibile alla caratteristica del contesto: ad esempio lavori in cui, il proprio ruolo professionale viene esplicitato da alcuni indicatori ( es. indossare una divisa), sembra incidere sul livello di lavoro emozionale. Questo appare evidente anche quando vigono differenze di status tra gli interlocutori, dato che, nel caso in cui la persona con la quale s’interagisce ricopra un ruolo più altro, il livello d’ attenzione richiesta per la gestione delle emozioni tenderà ad aumentare ( Morris & Feldman, 1997 ).

 

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La gestione delle emozioni: Il lavoro emozionale

La gestione delle emozioni: Il lavoro emozionale

 

In precedenza,  si sottolineava l’importanza che la stabilità emotiva gioca nel determinare il malessere o lo stato di salute del lavoratore. In questa sezione ci s’interesserà delle caratteristiche emozionali del lavoro, trattando più nello specifico della componente emotiva  e  approfondendo un aspetto di fondamentale importanza per la salute dei lavoratori, ovvero la gestione delle emozioni.

L’espressione delle emozioni ha, infatti, un ruolo centrale all’interno della vita lavorativa , queste hanno un peso sulle condotte individuali e di gruppo, possono avere effetti più o meno auspicabili e a volte possono generare comportamenti che vanno a discapito sia del singolo, che dell’organizzazione per cui lavora.

Nelle parti a seguire, si mira a evidenziare le differenti strategie di gestione delle emozioni messe in atto per far fronte alle richieste che le norme e il contesto lavorativo impongono, con l’obiettivo di indagarne gli effetti sullo stato di benessere del lavoratore.

Il lavoro emozionale

Nelle scorse due decadi, il ruolo delle emozioni nei luoghi di lavoro ha assunto sempre maggior interesse da parte degli studiosi. In particolare i ricercatori si sono concentrati sulle modalità di gestione di specifiche emozioni in ambito lavorativo, dando origine al concetto di lavoro emozionale (Hochschild, 1983).

Il concetto appare quindi relativamente nuovo, nel 1983 Hochschild pubblica il libro “The menaged head” basato principalmente sulla sua esperienza con le hostess di volo, durante le sue ricerche, egli aveva infatti notato che le emozioni mostrate dalle hostess durante il loro lavoro con i passeggeri erano diverse da quelle che realmente sperimentavano (ad esempio veniva loro richiesto di sorridere sempre, indipendentemente dal comportamento più o meno cortese dei clienti). Proprio a partire dalla rilevazione di questa discrepanza, Hochshild decide di coniare il termine lavoro emozionale definendolo: “ il controllo dei sentimenti per creare manifestazioni corporee e facciali osservabili pubblicamente.” Ciò rappresentò una svolta importante, mentre, infatti a livello individuale il conflitto emotivo era già da tempo riconosciuto, in questo caso, per la prima volta, si parla di conflitto emozionale dovuto a richieste fatte sul luogo di lavoro.

A dispetto di questa prima definizione del costrutto, le ricerche l’hanno sviluppato, gli studi sul tema sono aumentati nel tempo, poi quello di Hochscild, diversi contributi teorici hanno tentato di definire il concetto, Morris e Feldman (1996) e Grandey (2000). Nonostante la divergenza di opinioni sulla natura del lavoro emozionale è stato accordato, che con questo termine, ci si riferisce alla gestione ed espressione delle emozioni in linea con le richieste dell’ambiente circostante e delle aspettative (Diefendorff, Croce & Gosserand 2005), cioè in conformità con le display rules, le regole implicite o esplicite che l’organizzazione pone e che servono a guidare e dirigere il comportamento del lavoratore. Queste regole si riferiscono all’accordo implicito esistente tra lavoratore e la realtà nella quale opera, che implica che la persona debba regolare le proprie emozioni in relazione alle circostanze.

Il panorama appare comunque complesso, alcune teorie si sono focalizzate sul lavoro, e si concentrano sulla presenza del lavoro emozionale in una specifica mansione, indagandone le regole del comportamento, la durata, la frequenza, l’intensità, la varietà delle emozioni espresse e la dissonanza emotiva (Morris e Feldman, 1996). Altri al contrario, hanno utilizzato un approccio focalizzato sul lavoratore, che esamina il processo di gestione delle emozioni vissute in prima persona (Kruml e Geddes, 2000). Recentemente, le ricerche hanno sottolineato l’importanza delle differenze individuali, in quanto variabili fondamentali per spiegare le conseguenze del lavoro emozionale, un lavoro che richiede un alto livello di espressione emotiva non ha necessariamente lo stesso effetto su tutti i lavoratori, lo stesso processo di gestione delle emozioni al lavoro varia da individuo a individuo. Hochscild individua due principali strategie che regolamentano tale regolamentazione: Deep Acting e Surface Acting, che verranno affrontate in modo approfondito in seguito.

 

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Il ruolo delle differenze individuali sul benessere e il malessere lavorativo

Il ruolo delle differenze individuali sul benessere e il malessere lavorativo

Le persone e le loro caratteristiche individuali, hanno un ruolo cruciale nella definizione del proprio benessere al lavoro. La tematica risulta ampliamente studiata, molte indagini sono state fatte in merito e sono diversi gli aspetti da considerare nel tentativo di costruire un quadro che metta in luce come tali differenze possano influire significativamente sul lavoro.

Iniziando dalle caratteristiche proprie della personalità del lavoratore, l’instabilità emotiva di alcune persone potrebbe considerarsi un elemento di vulnerabilità alla base dello sviluppo dei sentimenti di esaurimento emotivo tipici del burnout, e dall’ atro canto, la stabilità emotiva può agire come barriera, dando luogo a forme di resistenza che impediscono lo sviluppo del work engagement. Anche altre caratteristiche della personalità sembrano però avere un proprio ruolo sul benessere del singolo. Kobasa, Ouellette & Di Placido, 2001, in Garrosa, Jaimez, Ling & Gonzàlez, 2008, hanno mostrato l’effetto benefico che la personalità definita come Hardy o Hardinees . Questa risulta caratterizzata dalla qualità di credere fortemente in sé stessi, in ciò che si fa (Maddy,1970, in Garrosa et al., 2008) , vedere anche nelle situazioni maggiormente stressanti delle conseguenze positive e avere la percezione di poter intervenire sul corso degli eventi e infine la tendenza a vedere nelle situazioni di cambiamento una possibilità di mettere in gioco sé stessi e le proprie capacità. Relativamente ad esempio al contesto sanitario, lo studio di Garrosa, Moreno , Liang e Gonzàlez ( 2008) su un campione di 473 infermiere di tre ospedali generali di Madrid, ha confermato questo risultato, rilevando come le persone con un alto grado di hardiness, (quindi fortemente coinvolte nel loro lavoro,con un alto senso di controllo e forte sentimento di sfida), dimostrano di essere in minor misura rispetto ai loro colleghi, soggetti a stress dovuto alla sindrome di burnout. Gli autori continuano, enfatizzando l’importanza dei fattori di personalità nella spiegazione della sindrome.

Su questa linea, un’indagine svoltasi in Messico, di Herrera, Viveros e Brizio (2013) analizzando un campione di 129 professionisti tra medici e infermieri, del reparto oncologico ospedaliero, conferma come la personalità resistente mitiga l’effetto del burnout sul lavoro.

Il malessere generato dall’esaurimento, così come lo stato di benessere caratteristico del work engagement, sembrano essere associati a caratteristiche della persona diametralmente opposte. Lo studio di Langelaan, Bakker, Van Doornen e Scaufeli ( 2006) mostra come il burnout risulti caratterizzato oltre, che come già detto in precedenza dall’instabilità emotiva, da bassi livelli di estroversione, al contrario un lavoratore con un alto livello di work engagement mostra un’alta estroversione e stabilità emotiva.

Le differenze individuali sono state indagate anche in termini di autostima, self efficacy e ottimismo, è emerso come sottolineato da Scheufeli e Salanova (2014) che il burnout risulti avere un effetto negativo su tutti questi fattori. Lo stato di esaurimento è collegato, continuano a riportare i due ricercatori, con fattori disposizionali di inattività, come un locus of control esterno, ( cioè la tendenza ad attribuire le cause degli eventi alle situazioni esterne non riconducibili propriamente a se stessi) e strategie di coping di fronte allo stress di tipo passivo.

Totalmente opposta risulta invece la tendenza del work engagmet che risulta riconducibile a fattori  che sottolineano la natura propositiva dei lavoratori (Scheufeli e Salanova, 2014).

Ciò si manifesta in una forte disposizione verso l’obiettivo e in una buona capacità di gestione delle proprie abilità per raggiungere gli alti standard che questi lavoratori tendono ad auto imporsi. Da quanto esplicitato fino ad ora, appare evidente che le peculiarità proprie delle persone hanno un certo peso nel definire lo stato di benessere auspicabile per ogni lavoratore.

Risulta evidente quindi, che nello stato di benessere del lavoratore entrino in gioco un vasto numero di variabili tra le quali le caratteristiche del lavoro che personali assumono un ruolo determinante in questo senso. Tutti questi fattori sono quindi da tenere in considerazione se, come nel presente elaborato, ci si propone di indagare le condizioni che facilitano e sono di ostacolo al raggiungimento di tale stato.

Con questo scopo, nel successivo capitolo verrà presentata una panoramica della tematica del lavoro emozionale, al fine di mostrare come anche la gestione delle emozioni nel contesto lavorativo possa influenzare il malessere e il benessere delle persone.

 

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Antecedenti di esaurimento emotivo e burnout

Antecedenti di esaurimento emotivo e burnout

Data l’importante diffusione del fenomeno nell’ambito sanitario, ci si è interrogati su quali fossero i fattori che potessero spiegare lo sviluppo della sindrome.

I diversi studi, hanno mostrato come, gli antecedenti possano essere legati al lavoro e alla persona. Per quanto concerne il lavoro, sono state individuate alcune variabili dipendenti dal contesto e dalle organizzazioni, all’interno delle quali si svolge il lavoro i meccanismi difensivi utilizzati per farvi fronte.

Lee e Ashforth (1996), individuano nello stess dovuto al ruolo (conflitto, ambiguità) nelle richieste sul lavoro (il monte ore settimanale, il contato diretto con la clientela), nella mancanza di appoggio e supporto da parte dei colleghi e supervisori e nella scarsità di autonomia concessa al lavoratore, le dimensioni che sembrano essere maggiormente in relazione con l’esaurimento emotivo.

A livello individuale si riscontrano delle conseguenze in termini d’ansietà, aggressività verbale e fisica, rabbia, paura. Tali condizioni negative si riflettono inevitabilmente anche sulle organizzazioni dato che questi stati portano ad avere un atteggiamento negativo verso i propri colleghi in prima istanza, tuttavia, anche verso il lavoro e i propri clienti, portando con sé problematiche di adattamento al proprio ruolo e una serie di atteggiamenti negativi (assenteismo, ritardi, mancato svolgimento dei propri compiti, scarsa produttività e un allontanamento da quelli che sono gli obiettivi dell’organizzazione) che vanno a inficiare sulla qualità del lavoro e la produttività complessiva. (Preciado, Pando & Vázquez, 2004).

Date tali considerazioni, si può concludere che, l’esaurimento emotivo e più in generale il burnout generino uno stato di malessere per la persona, mettendo a rischi il suo benessere psicofisico.

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