Variabili “aggiuntive” nella TPB

Variabili “aggiuntive” nella TPB

La TRA e la TPB sono state applicate con successo allo studio di un numero considerevole di comportamenti umani. Alcuni studiosi sostengono che un aspetto controverso di questi due modelli riguardala loro cosiddetta “sufficienza”; le variabili comprese nella TPB sarebbero infatti “sufficienti” a prevedere il comportamento umano deliberato. Tuttavia, varie ricerche hanno mostrato che ciò non è sempre realistico, e hanno individuato una serie di ulteriori predittori in grado di aumentare la capacità predittiva della TPB. Tra questi vi sono: la doppia componente dell’atteggiamento valutativa ed affettiva, la salienza delle credenze, il comportamento passato e l’abitudine, l’autoefficacia percepita (quale ulteriore specificazione della variabile del controllo comportamentale percepito), la norma morale, la norma descrittiva e ingiuntiva, la self-identity, l’identità sociale, le emozioni anticipate e altri ancora. Le principali aree di sviluppo della TPB sono andate verso due direzioni:

  • l’introduzione di nuovi predittori a partire dalla ri-concettualizzazione dei principali costrutti teorici (Ajzen, 2002; Hagger e Chatzisarantis, 2005);
  • l’introduzione di nuove variabili che possono risultare utili come ulteriori previsori del modello (Conner e Armitage, 1998).

Le componenti dell’intenzione

L’intenzione comportamentale (BI) è uno dei costrutti centrali nella TPB, essa coglie i fattori motivazionali che influenzano il comportamento, rende conto di quanto le persone sono disposte a provare e di quanto vogliano sforzarsi per eseguire il comportamento (Ajzen, 1991). Negli studi sulla TRA e sulla TPB, la BI è stata operazionalizzata in modi diversi. Warshaw e Davis (1985) hanno distinto tra le misure di: -intenzione comportamentale (behavioral intention), misurabile con item come “Intendo mettere in atto il comportamento X” e – “auto-previsione” (self-prediction),  misurabile con item come “Quanto è probabile che tu metta in atto il comportamento X?”. Bagozzi e Richard (1992) invece, hanno suggerito che gli atteggiamenti debbano essere in primo luogo trasformati in desideri (item come “Voglio mettere in atto quel comportamento X”) i quali a loro volta sviluppano l’intenzione di agire che dirige l’azione. E’ stata proposta l’esistenza di un fattore di secondo ordine (motivazione) che potrebbe rendere conto delle tra diverse componenti dell’intenzione appena descritte.

Le componenti dell’atteggiamento

Le ricerche sugli atteggiamenti che hanno usato scale del differenziale semantico (Osgood, Suci e Tannenbaum, 1957) hanno permesso di distinguere anche per la TRA e la TPB tra due diverse componenti dell’atteggiamento:

-affettiva o sperimentale; -cognitiva o strumentale.

Ajzen e Fishbein (2005) hanno suggerito che per misurare l’atteggiamento nell’ambito della TPB bisogna considerare contemporaneamente item che rendono conto sia della componente sperimentale e sia di quella strumentale. Per mantenere la parsimonia del modello della TPB, è stato suggerito di distinguere tra un costrutto di ordine superiore (l’atteggiamento) e due componenti dell’atteggiamento di ordine inferiore (affettiva e cognitiva) (Ajzen, 2002).

Le componenti della norma soggettiva

Numerosi ricercatori hanno sostenuto che bisogna prestare maggiormente attenzione al concetto di influenza normativa nell’ambito della TRA e della TPB (Conner e Armitage, 1998). Godin e Kok (1996) e Armitage e Conner (2001) hanno fatto notare come la norma soggettiva sia il predittore più debole delle intenzioni nella TPB. Nella metanalisi sulla TPB di Armitage e Conner (2001) la norma soggettiva (SN) risulta essere il predittore più debole di BI, soprattutto quando tale costrutto è rilevato con un item singolo; nei casi in cui si utilizzano misure multi-item, la SN è risultata essere un predittore un po’ più potente dell’intenzione comportamentale, benché ancora più debole rispetto all’atteggiamento e al controllo comportamentale percepito.

Un’altra spiegazione dello scarso potere predittivo delle misure normative nella TRA e nella TPB riguarda il modo in cui sono concettualizzate le norme. Secondo Cialdini, Kallgren e Reno (1991) le misure normative usate in questi modelli sono espressione di norme sociali ingiuntive poiché riguardano l’approvazione sociale di altri che motiva l’azione attraverso la ricompensa o la punizione, e si devono distinguere rispetto alle norme sociali descrittive, che descrivono la percezione di ciò che altri fanno. Le norme descrittive indicano ciò che è tipico in una determinata situazione; sapere che un comportamento è diffuso diventa una prova che si tratta di un’azione efficace e adattiva: ??se tutti lo fanno, significa che è una cosa sensata da fare>> (Tronu, Fornara, Carrus e Bonnes, 2012). Le norme ingiuntive invece, si riferiscono alle credenze su ciò costituisce una condotta moralmente approvata o disapprovata e dunque, diversamente dalle norme descrittive, le quali specificano cosa viene fatto, le norme ingiuntive specificano cosa deve essere fatto. In un esperimento sul littering (la pratica di gettare rifiuti per terra) di Reno, Cialdini e Kallgren (1993) (citata in Tronu et al., 2012) è stato dimostrato sperimentalmente che le norme descrittive sono capaci di influenzare il comportamento solo nel contesto in cui vengono attivate, mentre le norme ingiuntive sono influenti anche in contesti diversi da quello di attivazione. Sembrerebbe che le norme descrittive agiscano comunicando qual è il comportamento appropriato nel determinato luogo in cui vengono esperite (influenza luogo-specifica), mentre le norme ingiuntive avrebbero una valenza cross-situazionale poiché riguarderebbero la percezione delle condotte approvate all’interno di una determinata cultura (Tronu et al. , 2012).

Ajzen e Fishbein (2005) suggeriscono di considerare la SN e la norma descrittiva indicatori di un unico concetto sottostante, cioè la pressione sociale, che rappresenta quindi un fattore di ordine superiore.

Le  norme morali o personali (moral norms, NM)

Sul valore esplicativo e predittivo delle norme sociali, sono emersi pareri contrastanti all’interno della psicologia sociale. Alcuni studiosi sostengono che il concetto di norma sociale sia cruciale per la comprensione del comportamento umano; esistono infatti differenti tipi di influenza sociale normativa, che possono rivestire ruoli più o meno importanti a seconda dei comportamenti analizzati. Valori e atteggiamenti condivisi da persone per noi significative stanno alla base delle norme sociali, tuttavia, secondo alcuni, queste sarebbero troppo generali per governare il comportamento (Tronu et al., 2012); questo avverrebbe solo quando le norme sociali vengono adottate a livello individuale, divenendo norme personali o morali. Con norme morali si intendono le percezioni dell’individuo che riguardano la correttezza o scorrettezza morale legata al fatto di mettere in atto un comportamento; tali norme rendono conto del “… senso personale di… responsabilità legata al fatto di eseguire o di rifiutare di eseguire un certo comportamento” (Ajzen, 1991).

Nei cosiddetti comportamenti pro-ambientali o ecologici, si fa spesso riferimento anche alle norme personali o morali. Il comportamento ecologico è stato spesso concettualizzato come un comportamento pro-sociale o altruistico e comunque connesso con la moralità. Esso cioè appare determinato dalla misura in cui una persona ha fatto propri determinati valori e ha deciso di rispettare specifiche norme morali a questi associate.

La concezione della qualità ambientale come bene pubblico (Bonnes et al., 2006) ha favorito l’uso del Modello di Attivazione della Norma (Norm Activation Model, NAM, Schwartz, 1977) come frame teorico per la previsione dei comportamenti proambientali; questa teoria postula infatti che il comportamento pro-sociale delle persone sia direttamente influenzato dalle cosiddette “norme personali o morali”. Il NAM introduce le norme personali  come determinanti causali dirette del comportamento prosociale e la loro attivazione dipende da due variabili, cioè la Awareness of Consequences (AC, Consapevolezza delle conseguenze) e la Ascription of Responsibilities (AR, Attribuzione a sé della Responsabilità). La prima si riferisce alla consapevolezza delle conseguenze negative per gli altri se non si interviene per contrastarle, mentre la seconda implica l’attribuzione a sé della responsabilità di agire per contrastare le conseguenze negative di un problema. Nel caso dei comportamenti ambientali, la AC si riferisce alla consapevolezza che questi possano avere delle ripercussioni negative per tre distinte categorie di oggetti valutati, vale a dire il sé (AC egoistica), gli esseri umani (AC altruistica) e l’ambiente naturale (AC biosferica), mentre la AR riguarderebbe l’attribuzione a sé della responsabilità di intervenire per limitare il danno ambientale (Tronu et al., 2012). Si tratta dunque di componenti di matrice prettamente cognitiva.

Beck e Ajzen (1991) hanno incluso una misura di norma morale nelle loro analisi sulle azioni disoneste ed hanno trovato che tale costrutto aumenta significativamente la quota di varianza spiegata delle intenzioni (del 3-6%) e che quindi sono in grado di dare un contributo significativo alla previsione delle intenzioni. Negli 11 studi sulla TPB considerati da Conner e Armitage (1998) la norma morale ha aumentato in media del 4% la varianza spiegata delle intenzioni. Tali risultati implicano che la norma morale potrebbe essere un utile predittore aggiuntivo nella TPB, almeno per quei comportamenti per i quali le considerazioni morali sono importanti.

Identità di sé (self-identity, S-I)

La messa in atto di un comportamento ecologico come l’acquisto di prodotti alimentari biologici, può essere influenzata dai significati normativi, più o meno condivisi a livello sociale, ad esso associati. Un determinato comportamento, e le sue conseguenze, possono infatti risultare più o meno in linea con l’adesione a certi valori e norme sociali. Come detto (si veda par. 2.4.4), Schwartz (1977) definisce le norme morali come aspettative del sé (self-expectations) basate su valori interiorizzati. Valori e norme sociali non costituiscono semplici criteri di riferimento normativo alla base dei comportamenti, piuttosto essi sono organizzati, assieme con altri aspetti psicologici, a definire il concetto di sé e di identità personale di un individuo (Bonnes et al., 2006). Nello studio dei comportamenti ecologici, gli studi empirici hanno concentrato la propria attenzione anche su l’identità di sé (self-identity) (oltre che sull’identità sociale e sull’identità di luogo). Il concetto di S-I è di origine sociologica, introdotto da Stryker (1987) a partire dalle idee di Mead (1934) e di James (1890); la S-I può essere definita come la parte saliente del sé di un attore rispetto ad un certo comportamento. Riflette il grado in cui un attore soddisfa i criteri richiesti da un certo ruolo sociale, ad esempio, “una persona che si preoccupa di questioni ambientali” (Sparks e Shepherd, 1992).

L’identità di sé viene intesa come un insieme di identità di ruolo (ruoli sociali assunti dall’individuo) che riflettono, appunto, i vari ruoli occupati da una persona nella struttura sociale (ad esempio figlio/a, genitore, impiegato/a, etc.). Queste identità sono fortemente normative sia in senso descrittivo che prescrittivo, infatti esse suggeriscono come agire e cosa pensare in determinate situazioni. Chi occupa (e si identifica) con un certo ruolo sociale è quindi portato ad assumere certi atteggiamenti, e a mettere in atto i comportamenti prescritti da quel ruolo. Nel legame tra identità di sé (ruolo) e comportamento, si ritiene che il principio che lega una certa identità di sé alla messa in atto di un particolare comportamento sia quello dell’esistenza di significati comuni ai due elementi (Bonnes et al., 2006). Ossia, in relazione ad una certa identità di sé, i comportamenti che hanno maggiore probabilità di essere messi in atto sono quelli che condividono con l’identità in questione una serie di significati sociali. Ad esempio, è molto probabile che chi si ritiene un “consumatore verde” acquisti del cibo biologico, perché tale comportamento è coerente (in termini di significato) con l’identità di sé come “consumatore verde” (Sparks e Sherpherd, 1992).

Diversi autori hanno proposto la self-identity come ulteriore predittore indipendente nella TRA e nella TPB. Ad esempio, un lavoro di Sparks e Shepherd (1992) ha mostrato come l’identità di sé come consumatore verde (green consumer) influenzi l’intenzione di consumare cibo biologico, assieme ad altri costrutti quali atteggiamenti e norme soggettive. Risultati simili sono emersi in uno studio di Terry, Hogg e White (1999) sulla raccolta differenziata dei rifiuti in ambito domestico. Sono necessari comunque ulteriori studi che identifichino le caratteristiche dei comportamenti o le condizioni (ad esempio, per prevedere il mantenimento di un certo comportamento) in cui la S-I rappresenta un’aggiunta utile tra i predittori nella TPB.

Il comportamento passato (past behaviour, PB)

L’influenza del comportamento passato (PB) sul comportamento futuro è una questione che ha suscitato molto interesse tra gli studiosi (per una rassegna si veda Eagly e Chaiken, 1993). Alcuni studiosi, in base ai risultati ottenuti che mostrano come il PB sia il predittore migliore del comportamento futuro ritengono che molti comportamenti siano determinati dal comportamento precedente, piuttosto che da cognizioni, come ipotizzato dalla TRA e dalla TPB (Sutton, 1994). Ajzen (1991) sostiene che l’introduzione nel modello del PB rappresenta un test della sufficienza della TPB e che i suoi effetti dovrebbero essere mediati dal PBC; la ripetizione di un comportamento infatti dovrebbe portare a migliorare la percezione del controllo su tale comportamento.

Il comportamento passato dovrebbe avere un’alta correlazione con il controllo comportamentale percepito. Alcuni altri studi hanno evidenziato anche un effetto indipendente del PB sul comportamento nella TPB (vedi Conner & Armitage, 1998).

Conner e McMillan (1999) sostengono che l’aggiunta del PB nella TPB è giustificata da una prospettiva comportamentista, dove il comportamento è visto essere influente tramite l’abitudine (comportamento che viene messo in atto con elevata frequenza ed in contesti stabili), un fattore che non è considerato dai concetti della TPB. Essi affermano che  questo avviene perché ripetute performance di un particolare comportamento lo trasferiscono dall’influenza di processi consci, descritti nella TPB, a quella dei processi automatici che intervengono in presenza di specifici segnali (Dean, Raats e Sherpherd, 2012).

La metanalisi di Ouellette e Wood (1998) mostra che PB spiega in media un ulteriore 13% della varianza del comportamento dopo aver considerato BI e PBC.  Concludendo, PB non può essere l’unico predittore del comportamento futuro (cioè gli individui non eseguono un comportamento solo perché l’hanno eseguito in passato), anche se bisogna riconoscere che l’acquisizione di un’abitudine ad agire può spiegare l’effetto del PB su comportamento futuro.

 


© L’acquisto di prodotti alimentari biologici. Analisi di modelli estesi della Teoria del Comportamento Pianificato  – Dott. Filippo Barretta