Articoli

Approccio centrato sulla persona: i contributi di Carl Rogers

Approccio centrato sulla persona: i contributi di Carl Rogers

 

 

“Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentale positiva. Più l’individuo è capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le false facciate con cui ha affrontato la vita e più si muove in una direzione positiva, di miglioramento” (Rogers, 1961).

Come precedentemente accennato la nascita del counseling viene attribuita allo psicologo statunitense Carl Rogers, che con il suo particolare “approccio centrato sulla persona” ha fornito un indispensabile contributo nell’ambito della psicologia umanistica nonché delineato la struttura del Counseling. Tale approccio sottende una visione olistica e ottimista della natura umana che si basa sul rispetto della persona e sulla fiducia nelle sue potenzialità di recuperare il proprio equilibrio, una visione dell’uomo come agente di scelte, libero e spontaneo. Per Rogers ogni persona ha una tendenza intrinseca che spinge all’autorealizzazione e ad utilizzare le proprie risorse in modo costruttivo, in presenza di condizioni facilitanti.

A tale tendenza viene associata dunque una volontà naturale di vivere, di migliorarsi, di conservarsi e modificarsi, e questo traspare dalle stesse parole dello psicologo statunitense: “non condivido il punto di vista tanto diffuso secondo cui l’uomo è un essere fondamentalmente irrazionale i cui impulsi, se non fossero controllati, condurrebbero alla distruzione sua e degli altri. Il comportamento dell’uomo è invece squisitamente razionale e si orienta, con una complessità sottile e ordinata, verso le mete che l’organismo gli pone” (Rogers, 1961). La tendenza attualizzante è insita nell’uomo, e consente di direzionare con successo i propri processi decisionali e esistenziali sulla scorta di risorse e capacità proprie, che riorganizzate in modo positivo, portano a risposte più adeguate ed efficaci, e ad un sano sviluppo personale.

Per Rogers, infatti, la natura dell’uomo e della sua personalità “è positiva nella sua natura-socievole, direzionata in avanti, ragionevole e realistica” (Idem). La tendenza attualizzante è presente in ogni uomo e attraverso un clima favorevole, permette ad ogni individuo il pieno sviluppo e la propria autorealizzazione attraverso l’autoregolazione. Il fine della terapia è dunque quello di creare le condizioni favorevoli che permettano alla tendenza attualizzante di operare così che la persona possa crescere verso la propria autorealizzazione.

Rogers non nega la psicopatologia, però vede disfunzionale utilizzare la diagnosi come etichetta che fa perdere di vista la persona e crea “la profezia che si autodetermina”. Il metodo terapeutico di Rogers viene detto anche “non direttivo” o “centrato sul cliente”. Non direttivo in quanto il terapeuta rispetta la tendenza ad autodeterminarsi del cliente limitandosi a creare le condizioni che possano facilitare la crescita, processo in cui a “crescere” non è in realtà solo il cliente ma anche il terapeuta stesso. Terapeuta e Cliente sono quindi in una situazione paritaria e la terapia è vista come un incontro tra due persone che fanno un percorso di crescita insieme. A riprova della fertilità di un clima favorevole e della tendenza auto-realizzante troviamo le seguenti parole: “Sulla base delle mie esperienze, ho notato che se posso contribuire a creare un clima contrassegnato da genuinità, apprezzamento e comprensione, allora avvengono cose molto stimolanti. Gruppi e persone si muovono, in un clima simile, dalla rigidità verso la flessibilità, da un esistere statico a un vivere dinamico, dalla dipendenza verso l’autonomia, dalla difensività verso l’auto-accettazione, da un essere ovvio e scontato verso una creatività imprevedibile. Diventano in tal modo una prova vivente di una tendenza alla realizzazione” (Idem). In definitiva, affinché si verifichi il cambiamento nella persona, vi deve essere un clima di accettazione, empatia e fiducia. Rogers sottolinea la necessità di sicurezza e calore umano nel rapporto terapeutico e l’importanza di instaurare una modalità relazionale accogliente e facilitante. È importante che la persona sia motivata ad intraprendere un percorso e che percepisca nel terapeuta quelle che Rogers ha definito come le tre condizioni necessarie e sufficienti che il terapeuta deve possedere affinché si manifesti il cambiamento: accettazione positiva incondizionata, empatia e congruenza.

Attraverso un’accettazione incondizionata che abbassa le difese e neutralizza la resistenza al cambiamento, e una comprensione empatica si da vita ad una autentica relazione di aiuto.

Per Rogers avere considerazione per una persona vuol dire accettarla così com’è nella sua specificità e prestargli fin dall’inizio un’attenzione sincera, in modo da costruire con la stessa una relazione autentica dalla quale poter insieme partire per raggiungere la strada del cambiamento. L’accoglienza è la porta che da accesso alla comunicazione. Se non mi sento accolto resto bloccato in partenza o per molto tempo e in tal modo la comunicazione non ha luogo, la relazione muore sul nascere. È alquanto difficile accogliere l’altro nella giusta maniera, così come è altrettanto difficile avere in concessione dall’altro più di un varco d’accesso alla propria sofferenza interiore. L’accoglienza è il primo gradino di una relazione, è attenzione privilegiata rivolta ad una persona, è andare incontro all’altro e riconoscerlo. La vera accoglienza è apertura, disponibilità all’altro. Accogliere significa dunque accettare incondizionatamente. Sappiamo tutti ad esempio quanto un sorriso semplice e sincero possa essere importante soprattutto in una particolare fase della vita.  Abbiamo tutti bisogno di essere accolti così “come siamo”, nonostante le mille e più sfaccettature di una personalità che mai, nella sua interezza, riesce a mostrarsi all’altro. La maggior parte delle relazioni in genere falliscono proprio a causa di un’erronea valutazione, vengono sfaldate proprio da un’avvertita presenza del giudizio. È alquanto facile classificare l’altro ed etichettarlo in categorie conosciute e rassicuranti. Il sentirsi catalogati però raffredda un incontro e rende difficile la comunicazione.

L’accettazione e l’ascolto attivo sono fondamentali; solo nel momento in cui si accetta l’altro, con atteggiamento positivo e privo di pregiudizio, si imbocca la strada che porta al cambiamento.

Attraverso l’accettazione positiva incondizionata si possono ristabilire, assieme al cliente, le condizioni di autostima e di sicurezza perdute e pervenire ad una più obiettiva rielaborazione delle proprie esperienze e dei propri sentimenti. Proprio attraverso questo lavoro personale si perviene a comprendere e meglio ristabilire le condizioni necessarie per superare quel disagio o malessere che ha interrotto o modificato il normale modo di vivere della persona in difficoltà. Attraverso l’ascolto attivo e partecipativo prende forma quell’atto volontario che oltrepassa le parole e nel quale si partecipa mettendo in gioco se stessi, aprendo mente e cuore fino a comprendere in profondità ciò che l’altro dice e ciò che l’altro è. L’ascolto attivo ci impegna a voler realmente comprendere l’altro in riferimento alle sue idee e ai suoi sentimenti. L’ascolto autentico dell’altro esige accettazione, coinvolgimento, partecipazione e riconoscimento. Non ci può essere ascolto senza un riconoscimento dell’altro in quanto tale, del suo essere diverso da me nella sua esclusiva e propria unicità. Ascoltare attivamente significa immaginare noi stessi nella situazione vissuta dall’altro, relazionarsi in maniera empatica, mettersi nei panni dell’altro rispettando la distinzione tra se e l’altro, è comprendere l’altro, i suoi vissuti, i suoi punti di vista, senza identificarsi con lo stesso; l’ascolto attivo è il momento in cui chi ascolta “riflette” il contenuto del messaggio dell’altro dimostrando concretamente non solo di averne capito il vero senso, ma anche di averne accettato il contenuto senza giudizi (Gordon, 2014). Il Counselor comprende i sentimenti del cliente, vede e vive il mondo del cliente come lo stesso lo percepisce, anche se è diverso dal suo modo di esperire, rispetta la diversità dell’altro e tiene conto della differenza dell’altro da sé, sta con quello che la persona porta, rimane nel “qui ed ora”, rispetta lo schema di riferimento del cliente, cioè come la persona vede se stessa, gli altri, il mondo, rispetta i suoi tempi e rimanda la sua comprensione all’altro, nel modo in cui l’altro può comprenderlo, mantenendo la distanza necessaria che gli consente di rimanere indipendente, di essere una persona separata che capisce, ma non si lascia coinvolgere dall’emozione dell’altro. Fondamentale nell’approccio rogersiano e il contesto o setting psicoterapeutico, attraverso il quale, il terapeuta cerca di capire come il paziente stesso si rappresenta con il mondo che gli sta attorno. In questo contesto si creano le condizioni per una migliore percezione di sé e per la correzione delle idee falsate di sé, permettendo al soggetto di costruirne di più congrue all’espressione dei propri bisogni, favorendo la capacità di coping (processo che nasce da interazioni che superano o sfidano le risorse di un soggetto e che è formato da molteplici componenti, quali la valutazione cognitiva degli eventi, le reazioni di disagio, le risorse personali e sociali, etc.), e restituendogli il senso di efficacia nella soluzione dei problemi. Un altro aspetto essenziale nella psicologia rogersiana è la congruenza. Essere congruente significa essere in accordo con se stessi e saper esprimere i propri bisogni, aspirazioni, sentimenti. Tutto ciò presuppone di prendersi il tempo per riflettere, comprendere ciò che l’altro è in grado di ascoltare, saper scegliere il momento e prestare attenzione al modo in cui lo si dice. Il terapeuta è nella relazione una persona reale e trasparente, autentica, capace di esperire la realtà interna ed esterna senza distorcerla, conosce se stesso e i propri limiti, è in contatto con i propri sentimenti e presta attenzione a non proiettare sugli altri. In un clima facilitante in cui siano presenti accettazione positiva incondizionata ed empatia la persona sperimenta “un’esperienza emozionale correttiva”, inizia a lasciar emergere le emozioni, impara a simbolizzare correttamente le esperienze, aumenta la congruenza e il concetto di sé diventa più fluido; la persona diventa poco alla volta più consapevole ed accettante; sensazioni, emozioni, stati d’animo possono gradualmente entrare a far parte della sua immagine di sé e così egli perviene ad una maggiore unità ed integrazione. Da questo modo di intendere la cura, verso un cliente che “lui più di tutti sa”, prende forma il Counseling di Carl Rogers.

 


 

La nascita del Counseling

La nascita del Counseling

 

 

Prima di addentrarci nel vivo dell’argomentazione mi sembra doveroso fare chiarezza dinanzi ad una storica diatriba che vede in causa alcune figure professionali, in particolare quella dello psicologo, dello psicoterapeuta e del Counselor, il cui fine comune è rivolto ad “aiutare”, secondo modalità e tecniche diverse, “la persona”. Si può intuire facilmente la difficoltà nel delineare la sottile linea di confine esistente tra i diversi ambiti ed è per questo che mi limiterò esclusivamente a descrivere sinteticamente le tre distinte professioni, lasciando liberamente captare al lettore le relative differenze.

Lo psicoterapeuta è un professionista che tratta pazienti con disagio e sofferenza psichica all’interno di un quadro disarmonico della personalità. Può risolvere problematiche psicologiche ed emotive permanenti, strutturali della personalità o legate a forme di dipendenza patologica. Laureato in psicologia o medicina, ha seguito una scuola di specializzazione di quattro anni nell’ambito delle psicoterapie.

Lo psicologo è un professionista abilitato mediante un anno di tirocinio e il superamento di un esame di stato al libero esercizio della professione. Si muove nell’ambito del disagio, può effettuare una diagnosi mediante l’ausilio di testistica adeguata. Laureato in psicologia, nel corso di studio ha scelto una specializzazione (es. psicologia clinica, dello sviluppo, etc.).

Il Counselor è un operatore della salute che tratta clienti con profilo di personalità armonico e livelli di benessere ed equilibrio psichico nella norma, che presentano disagi legati alla realtà presente. La figura del Counselor richiede una buona conoscenza della personalità umana e un training professionale che garantisca il superamento di quella tendenza dell’io ad “esercitare un Counseling sulla base dei propri, più o meno rigidi, pregiudizi” (Rollo May, 1991).

Il Counseling si fonda sull’ipotesi che momenti di difficoltà e di crisi facciano parte della normalità della vita e che sia possibile sostenere il rilancio della normale capacità di risposta della persona, prima di pensare ad interventi di cura. Fino ai nostri tempi, la persona che si trovava a vivere una particolare condizione di vita poteva trovare sostegno e cura solo attraverso un mirato intervento di tipo psicologico o psicoterapeutico. Spesso però dinanzi al timore di essere etichettati come personalità problematiche o a causa di negativi stereotipi e pregiudizi ancor tutt’oggi, presenti nella cultura popolare, si finiva col restare soli con il proprio disagio accettando di convivere con la propria sofferenza (Mazzara, 1997).

Oggi invece, attraverso un crescente sviluppo nell’area del Counseling, si inizia a denotare il Counselor come una figura professionale che attraverso la “relazione d’aiuto” restituisce alla persona in difficoltà quella possibilità di affrontare in maniera decisa i normali problemi della vita e che consente di alimentare nuovamente quel desiderio di riprenderne il controllo. Il Counseling, dunque, non è terapia ma “relazione d’aiuto”, rivolta a quelle persone che desiderano un momento d’ascolto per comprendere meglio i loro problemi, compiere scelte, cambiare le situazioni problematiche della loro vita. L’intervento di Counseling può essere definito come la possibilità di offrire un orientamento, un sostegno a singoli individui o a gruppi, per i quali si favorisce lo sviluppo e l’utilizzazione di potenzialità proprie. Uno degli aspetti fondamentali per comprendere l’ampia diffusione del Counseling, non solo in Italia, ma soprattutto su scala europea, è sicuramente legato ad un interrogativo: la sofferenza psichica è necessariamente condizione di malattia?

 La possibilità di differenziare una sofferenza psichica di natura esistenziale da una che affondi le sue radici in elementi distorti o patologici della personalità, rappresenta un quesito a cui è veramente impossibile dare una riposta certa. La cultura occidentale sembra aver creato nel tempo una concezione di sofferenza legata ad ogni modo ad un qualcosa che ha del patologico, sofferenza quindi associata ad una condizione di malattia che rimanda e giustifica l’intervento terapeutico. In realtà non sempre la sofferenza è la risultante di un disagio psichico ingestibile dalla persona che ne soffre, anzi spesso ci si ritrova dinnanzi a quella sofferenza che ha a che fare con la ricerca e la crescita della persona e che, con Jung e Hillmann, sarebbe più corretto far rientrare nelle cosiddette malattie dell’anima, intendendo con questo termine quella ricerca di senso e di integrazione delle varie componenti dello psichismo anche al di fuori di concezioni fideistiche o trascendentali.

In definitiva il Counseling, indipendentemente dal tipo di orientamento utilizzato, si pone al fianco di colui che sceglie, attraverso una propria lettura della sua esistenza, di riprendere in mano la propria vita o semplicemente di migliorarne alcuni aspetti personali e relazionali, al fine di garantire un migliore adattamento dello stesso con il proprio ambiente. Infatti, alla base di una qualsiasi attività di Counseling, il Counselor sarà proiettato verso la costruzione di una relazione empatica autentica, non considerando l’altro come un paziente ma “cliente”, prenderà parte a quel modo di essere e di vivere che rende la persona unica e libera, per delinearne insieme la strada che si è scelto di seguire.

La prima attestazione dell’uso del termine Counseling per indicare un’attività rivolta a problemi sociali o psicologici trova la sua origine nel 1908 (F. Parsons). Ma la nascita ufficiale risale al 1942, negli Stati Uniti, con la pubblicazione del libro di Rogers “Counseling and Psycotherapye agli anni settanta in Europa, in particolare in Gran Bretagna, sia come servizio di orientamento sia come strumento di supporto nei servizi sociali e nel volontariato. Uno dei suoi primi campi di applicazione su vasta scala è stato il reinserimento dei reduci di guerra nella società civile statunitense dopo la seconda guerra mondiale, dovendo sopperire alla contingente necessità di offrire sostegno e consulenza secondo modalità più rapide, ma non per questo meno efficaci della psicoterapia. Lo sviluppo del Counseling negli Stati Uniti avviene poi in determinati ambiti, come l’orientamento scolastico rivolto agli studenti al termine delle scuole superiori, quello professionale rivolto prevalentemente a ex-lavoratori che necessitano di una nuova collocazione, o ancora l’assistenza sociale e infermieristica. Tale sviluppo viene influenzato da varie correnti culturali e di pensiero, alcune antecedenti di parecchio la sua nascita ufficiale: non solo le psicoterapie comportamentiste e psicoanalitiche, ma soprattutto quelle a orientamento umanistico-esistenziale, con il sostanziale contributo dei movimenti olistici finalizzati alla prevenzione dei problemi psicologici e basati sull’abbandono dei modelli centrati sulla psicopatologia in favore di criteri orientati alla salute e alla prevenzione psichica. Il primo programma, varato negli Stati Uniti nel 1885 dal movimento di orientamento e guida professionale e teso a indirizzare e ottimizzare le scelte di chi termina le scuole superiori, riscuote un tale successo da stimolare una serie di cambiamenti normativi a supporto della pratica dell’orientamento. Sempre tra i prodromi del Counseling possiamo citare i test di abilità mentale, sviluppati fin dal 1917, per valutare l’idoneità dei soldati impegnati nella prima guerra mondiale, o i primi test attitudinali, dal 1920, per misurare i reali interessi professionali. È nei primi anni Cinquanta che si assiste invece al tentativo di spiegare i processi di sviluppo e di gestione della carriera e le modalità con cui gli individui prendono una certa direzione piuttosto che un’altra, per giungere poi a studiare i meccanismi decisionali: ed è appunto in questo ambito che comincia ad affermarsi un primo utilizzo del Counseling in senso moderno. Grazie allo sviluppo delle teorie della personalità promosse dalla ricerca psicoanalitica e più in generale psicoterapeutica, il Counseling diventa un intervento sempre più rivolto ai problemi personali e sociali. Ma è con la psicologia umanistico-esistenziale, e in particolare con autori come Carl Rogers e Rollo May, che si sviluppa questo tipo specifico di relazione d’aiuto. Se infatti fino a quel momento i paradigmi e le tecniche applicate in psicoterapia fanno riferimento soprattutto al modello psicoanalitico e a quello comportamentista, cominciano a farsi strada temi cari all’esistenzialismo, come la libertà di scelta, l’importanza del dialogo Io-Tu, l’impegno del singolo, la responsabilità, la necessità di riportare l’individuo al centro del proprio mondo riconoscendogli potenzialità di autodeterminazione, crescita e trasformazione. Nel frattempo, sempre negli Stati Uniti, nel 1946 nasce la Division of Counseling and Guidance dell’American Psychological Association (APA), che nel 1951 diventa Division of Counseling Psychology. Tale divisione organizza tra il 1949 e il 1987 quattro congressi rimasti di fondamentale importanza nella definizione di che cos’è il Counseling, della sua formazione e della sua pratica negli Usa. Sempre nel 1951 si costituisce l’American Personnel and Guidance Association, che l’anno dopo diventa American Association of Counseling and Development. Nel 1963, all’insegna del motto “prevenire è meglio che curare”, vengono sanciti per legge, il principio e la necessità di riorganizzare territorialmente i servizi psichiatrici, per poter prevenire i problemi psicologici non solo negli ospedali, ma anche nei centri di igiene mentale delle piccole comunità. Avendo ormai capito che i fattori ambientali influenzano il comportamento e che un intervento a livello comunitario può aiutare sia il singolo sia la società nel suo complesso, i problemi di salute mentale vengono messi in relazione con elementi di stress sociale, come la povertà o il razzismo. Il vantaggio dei nuovi centri, che offrono una serie di servizi e sono facilmente accessibili da parte dei residenti di una certa zona, è di poter essere sostenuti all’interno della propria comunità, ma soprattutto di sottolineare l’importanza della prevenzione. Si passa dunque, a poco a poco, da un modello centrato sulla malattia a uno orientato alla salute dell’individuo, portando negli anni Settanta allo sviluppo della cosiddetta “psicologia del benessere”, fondata su una concezione evolutiva e sostanzialmente positiva dell’essere umano, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e di accrescere la competenza della società in relazione alla salute. Il concetto di crisi perde parte della valenza negativa o quantomeno problematica e ci si focalizza maggiormente su quella di “transizione” o passaggio, come alternativa possibile e occasione di cambiamento.

La professione del Counselor approda in Europa alla fine degli anni Cinquanta attraverso la Gran Bretagna, ed è proprio questo Paese che può rappresentare un utile riferimento per un confronto con la situazione italiana. Il Counseling, all’epoca, viene utilizzato soprattutto all’interno di ambulatori, consultori e centri giovanili, anche se già fin dagli anni Venti e Trenta ne esistevano esempi nel sistema della pubblica istruzione, soprattutto come orientamento scolastico nei college, e del volontariato. È solo negli anni Settanta che nascono le prime associazioni per la gestione della professione: nel 1971 viene istituito a Londra lo Standing Council for the Advancement of Counseling (SCAC), che riunisce organizzazioni di volontariato, enti statali e organizzazioni professionali in una sorta di forum per la condivisione di informazioni e contatti. Nel giro di pochi anni viene pubblicato un primo elenco di servizi locali e documenti con le norme etiche sul Counseling e nel 1976 lo SCAC si trasforma in British Association for Counseling (BAC), introducendo criteri di formazione e accreditamento per rendere il Counseling sempre più professionale. Nel 2000 la BAC è diventata BACP (British Association for Counseling and Psychotherapy), arrivando così a distinguere con maggiore chiarezza gli ambiti delle due professioni: il cambio di nome riconosce che il Counselor e gli psicoterapeuti desiderano appartenere a una professione unica, che possa incontrare la comunanza di interessi degli uni e degli altri. Il numero dei Counselor iscritti alla BAC e poi alla BACP è cresciuto esponenzialmente: dai 1.000 del 1977 ai 16.446 del 2000, per arrivare agli oltre 35.000 di oggi e questo dà l’idea di quanto il Counseling si sia sviluppato in Gran Bretagna, fino al punto di poterne parlare come di una “istituzione sociale” (Di Fabio, 2005). Anche se la professione continua a non essere formalmente regolata e la legge non pone limiti alla sua pratica, la BACP richiede ai suoi membri accreditati che abbiano un diploma o abbiano conseguito un master in counseling con un minimo di quattrocentocinquanta ore di formazione; il corso deve basarsi su un modello teorico di riferimento e garantire un equilibrio tra teoria, pratica e sviluppo personale, con un preciso sistema di valutazione e di supervisione. Oltre alla formazione per diventare Counselor professionisti indipendenti, in Gran Bretagna vengono proposti corsi di counselling skills, insieme di abilità che possono essere applicate ad altre professioni (insegnanti, assistenti sociali), mentre per diventare Counselor psicologico è necessario seguire un master universitario triennale, cui si accede avendo la laurea in psicologia. Tale titolo è riconosciuto dalla British Psychological Society (BPS) come una specializzazione in psicologia che permette l’iscrizione all’albo degli psicologi britannici. Poiché in Gran Bretagna anche la psicoterapia non è regolata per legge (possono accedere alla professione, tra l’altro, persone che non sono laureate in medicina o psicologia) il Counseling presenta notevoli aree di sovrapposizione con questa professione e il dibattito sulle similitudini tra l’una e l’altra è aperto.

La European Association for Counselling (EAC) è nata nel 1991 con la finalità di promuovere lo sviluppo e il riconoscimento del Counseling a livello europeo, nonché di stabilire gli standard formativi comuni tra le varie associazioni dei differenti paesi. Nel 2010, l’ingresso nell’EAC della Russia e dell’Italia (quest’ultima tramite il Coordinamento Italiano delle Associazioni di Counseling prima e di Federcounseling dopo) ha dato un nuovo impulso all’associazione.

Questa la definizione di Counseling adottata dall’EAC nel 1995: “Il counseling è un processo interattivo tra uno (o più) counselor e uno (o più) clienti – individui, famiglie, gruppi o istituzioni – che affronta in una modalità olistica temi sociali, culturali, economici e/o emozionali. Il counseling può occuparsi di affrontare e risolvere problemi specifici, favorire un processo decisionale, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo, promuovere e accrescere la conoscenza e la consapevolezza di sé e permettere di elaborare emozioni, pensieri, percezioni, oltre che conflitti interni ed esterni. L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti l’opportunità di lavorare, con modalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse, sia come individui sia come membri della società più vasta”.

All’interno del panorama italiano la diffusione del Counseling appare lenta e sicuramente in ritardo rispetto al contesto anglosassone. Esaminando i due contesti, del resto, si nota che la realtà italiana appare diversa se comparata al mondo anglosassone. La Seconda Guerra Mondiale e il periodo successivo hanno segnato per l’Italia un vero e proprio passaggio storico durante il quale un paese prevalentemente agricolo si è trasformato in una nazione urbanizzata e industrializzata. Un elemento di forte differenziazione tra la cultura italiana e quella anglosassone sembra essere la famiglia e la sua diversa concezione. In Italia il fenomeno dell’abbandono delle campagne a favore delle città e la nascita dei grandi centri urbani determina il passaggio da una famiglia di tipo patriarcale a una di tipo nucleare caratterizzata dalla riduzione del numero dei componenti e da una maggiore responsabilizzazione per ognuno di essi. In questo processo il ruolo del nucleo familiare rimane indubbiamente centrale, ma si assiste ad una chiusura sempre più spiccata degli elementi che lo compongono al loro interno, data la frequente mancanza di collegamenti con l’esterno. È infatti alla famiglia che lo Stato delega le più varie responsabilità sociali e culturali piuttosto che offrirle sostegno: la tendenza dello Stato risulta quella non di aiuto alle famiglie con la creazione di servizi, ma piuttosto la richiesta alle famiglie di autogestirsi nel tentativo di non sovraccaricare le strutture pubbliche. L’abitudine a rivolgere tutte le proprie attenzioni all’interno e la mancanza di servizi dedicati non facilita la richiesta d’aiuto al di fuori della famiglia stessa.

Il Counseling, che troverà spazio d’azione dell’ambito dei contesti comunitari, lavorativi e ospedalieri, inizia a diffondersi in Italia nel 1990 in particolare con l’avvio della campagna informativa sull’AIDS e sulla sua diffusione. La pratica del Counseling in ambito socio-sanitario si è affermata proprio con la legge n. 135 del 1990, che ha sancito l’importanza dei colloqui di Counseling prima e dopo il test per l’HIV. Da questo, che costituisce uno dei primi ambiti di applicazione, molti altri contesti hanno mostrato interesse nei confronti del counseling, ma la sua diffusione risulta ancora incerta e non regolamentata. Tra le azioni a favore della sua diffusione nel contesto italiano si rintraccia l’inserimento del Counseling tra le nuove professioni a opera del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), atto che sicuramente ha permesso di aprire un varco per il futuro di questa attività. Dal 2001 si è assistito, in Italia, ad una realtà di grande significato in tema di offerta formativa e di potenzialità in termini di costruzione dell’identità professionale del Counselor, ossia la nascita dell’AURAC (Associazione universitari relazione d’aiuto e Counseling) con la finalità da un lato di raccordare e implementare l’apertura di centri di Counseling universitari, dall’altro di supervisionare e fare da elemento propulsivo per la creazione di percorsi formativi universitari in grado di facilitare l’affermazione del Counseling e della relazione d’aiuto, con solide competenze psicologiche, condivisibili a vari livelli di professionalità. Negli ultimi anni, in Italia, il Counseling si è radicato in maniera veramente significativa e di conseguenza sono nate diverse associazioni di settore come: l’ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità); la SICO (Società Italiana di Counseling); il CNCP (Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti); l’AICO (Associazione Italiana di Counseling); il REICO (Registro Italiano dei Counselor). Tutte queste associazioni hanno finalità dichiarate di promozione della materia e di formazione dei soci. Infine, nell’ambito della disciplina del Counseling, la professione del Counselor viene inserita all’interno della legge n. 4 del 14 gennaio del 2013, che disciplina le professioni non regolamentate. Tra gli obblighi, il Counselor dovrà riportare gli estremi della legge in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, per esempio è possibile utilizzare questa formula “Professionista di cui alla Legge n. 4 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013” sotto i dati anagrafici e i contatti della vostra carta intestata o nella firma elettronica dell’e-mail. L’inadempimento a quest’obbligo è perseguito come pratica commerciale scorretta e sanzionata ai sensi del Codice del consumo (Dlgs 206/2005). Coloro che esercitano la professione possono costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Le suddette associazioni professionali saranno inserite nel sito internet del Ministero dello Sviluppo Economico (art.2.7). La legge 4/2013 vieta alle associazioni di adottare denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi. Tra gli adempimenti delle associazioni: adottare un codice di condotta, promuovere la formazione permanente dei propri iscritti, vigilare sulla condotta professionale degli associati, stabilire le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del codice. È prevista anche l’attivazione di uno sportello per i consumatori, al quale rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti. Gli associati non possono esercitare attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, a meno che non siano iscritti al relativo albo professionale. Gli iscritti potranno utilizzare il riferimento all’associazione come marchio/attestato di qualità dei propri servizi su richiesta autorizzata da parte dell’associazione. Sempre a tutela dei consumatori, le associazioni dovranno fornire attraverso il sito web tutte le informazioni utili: atto costitutivo e statuto, identificazione delle attività professionali cui l’associazione si riferisce, struttura organizzativa dell’associazione, requisiti per l’iscrizione. Nel caso in cui rilascino marchi di qualità dovranno pubblicare anche il codice di condotta, elenco degli iscritti, sedi regionali dell’associazione. Il Counselor può esercitare, ai sensi della legge 4/2013, anche senza essere iscritto alla relativa associazione professionale. Il Counselor che raggiunge gli standard previsti dalla norma tecnica UNI (di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida CEN 14 del 2010) può ottenere una certificazione da parte di un organismo terzo indipendente, accreditato presso l’Ente nazionale di accreditamento.

 


 

Il counseling: introduzione

Il counseling: Introduzione

 

 

Il contenuto di questo elaborato risulta strettamente correlato alle complesse dinamiche che nella quotidianità la persona si trova ad affrontare, dal momento in cui per natura sociale, si ritrova ad interagire in una fitta rete di rapporti e di relazioni con “l’altro, diverso da sé”.

Ci si ritrova dunque a districarsi in un gioco in cui la comunicazione non risulta poi sempre chiara ed efficace. Nascono talvolta determinate incomprensioni che si susseguono ad errate modalità di lettura degli eventi che comportano una comunicazione alterata, distorta e inefficace, ed in qualche modo una sofferenza psichica e interiore. Tali sofferenze, seppur a volte possono sembrare banali, finiscono col generare “sotto mentite spoglie”, un blocco psicologico, una mancanza di fiducia nella propria persona e in quelle abilità che per natura, per esperienza o per dono, sembrano appartenere alla stessa e restituirle un certo primato tra gli esseri viventi. In taluni casi ad interrompere questa rete di rapporti intervengono cause di natura patologica. Emerge dunque, per determinate persone, la necessità di ricorrere ad un trattamento terapeutico, dove una figura medica specializzata possa elaborare un percorso volto a ripristinare quel sistema comunicativo interrotto o perlomeno tentare di alleviarne la sofferenza. Altre volte si è soltanto vittime di un forte stress, di alcune incomprensioni o di un temporaneo appannaggio della visione della vita, dovuto ad importanti esperienze traumatiche, a delusioni o semplicemente al contenimento dei sempre più crescenti e frenetici ritmi imposti dal sistema e dalla rete sociale.

Proprio questo è il punto cruciale! Proprio da quest’ultima considerazione nasce il mio personale interesse per il Counseling. Al dì là di questo avventurarmi in tale disciplina e del relativo coinvolgimento emotivo per l’argomento in questione, tenterò di illustrare gli aspetti generali del Counseling e i tratti peculiari della figura del Counselor, percorrendo le vie tracciate dai diversi approcci teorici e modelli di riferimento, rivolgendo particolare attenzione ad alcune tecniche ed aree d’intervento della relazione d’aiuto.

Verranno affrontate tematiche sociali complesse ed attuali, come ad esempio quelle riguardanti il rapporto tra adolescenza e genitorialità, nonché la difficile gestione delle risorse umane e dei conflitti che affiorano nelle diverse realtà industriali tra la dirigenza e i subordinati. Verrà infine descritta un’ipotesi progettuale dove di vitale importanza sarà l’apporto del Counseling, ed essenziale da parte del Counselor, la gestione ed il coordinamento dell’intero progetto e non meno delle risorse di rete attive e coinvolte nello stesso. La vera essenza di questa esposizione vuole dunque essere il tentativo di restituire alla persona in difficoltà un messaggio di speranza, di un cammino fatto insieme, di un viaggio, seppur breve, verso il ritrovamento di quella forza, di quell’energia che da sempre contraddistingue l’essere umano come unico nel suo genere. Tutto questo è possibile attraverso il Counseling. Counseling, dunque, inteso come “relazione d’aiuto”, comunicare fluido senza interferenze o rumori, esperire l’altro attraverso una relazione empatica. È dal pieno contatto che nasce la relazione autentica, quell’armonica danza dove l’uno si prende cura dell’altro, e dove insieme si traccia un percorso che arricchisce entrambi e che consente alla persona in difficoltà di liberare l’anima da un malessere, da un disagio, che compromette quel vivere pienamente e serenamente il proprio “qui ed ora”.

 

 


La comunicazione persuasiva: Conclusione

La Comunicazione Persuasiva: Conclusione

 

Image by Free-Photos from Pixabay

 

In questa tesi ho esplorato la credibilità e l’efficacia dei tentativi di confezionare e vendere prodotti, idee, comportamenti, attraverso abili tattiche di persuasione. Ho cercato di capire e di trasmettere le proporzioni di un fenomeno in continua ascesa; la comunicazione persuasiva, non più vincolata solo ai “consigli per gli acquisti”, è diventata un fattore indispensabile in molti settori professionali.

A livello personale, molti ritengono di essere in gran parte immuni da tentativi spesso sfacciati, proprio per via della loro ovvietà. Un sondaggio d’opinione ha dimostrato che una schiacciante maggioranza di persone ritiene che gli spot televisivi contengano argomenti menzogneri. I risultati indicano che più le persone sono istruite, più diventano scettiche, e che le persone scettiche ritengono che il loro scetticismo li metta al riparo dalla persuasione.

Il semplice fatto di pensare di essere immuni dalla persuasione, non significa necessariamente esserne immuni. Ad esempio, è dimostrato che i tentativi di educare i bambini  sulla pubblicità e i suoi scopi, portano ad un maggior scetticismo nei confronti della pubblicità, ma che questo scetticismo raramente si traduce in un desiderio minore per le marche pubblicizzate. Analogamente, molti adulti tendono ad acquistare un determinato prodotto per il solo fatto che viene pesantemente pubblicizzato[1].

Risultati simili sono stati dimostrati anche per coloro che, “conoscendo tutti i trucchi dei pubblicitari”, ritengono di essere al riparo dalla persuasione. Le comunicazioni dei mass media non sono tanto coinvolgenti o interessanti da indurci a seguirle con attenzione ma, paradossalmente, proprio per questa ragione sono più persuasive.

In questi casi, nonostante siamo consapevoli di essere la preda dell’ideatore dell’annuncio, non tentiamo con tutte le nostre forze di confutare il messaggio, e di conseguenza finiamo spesso con il lasciarci persuadere.

Quindi è doveroso considerare che il fatto di essere consapevoli dell’intento persuasivo, non significa non essere persuasi. Questo è possibile poichè essere consapevoli dell’intento persuasivo è un fattore conscio, mentre essere persuasi rientra nello spazio inconscio.   

I ricercatori hanno identificato un effetto detto della “terza persona”, ossia la tendenza a credere che i mezzi di comunicazione di massa influenzino più gli altri che noi stessi[2].

Eppure, la realtà dei fatti fa pensare che i tentativi di persuasione siano estremamente efficaci, dal momento che i successi in questo campo abbondano.

La capacità di influenzare gli altri non è la capacità di imporre le proprie ragioni, bensi’ quella di scoprire quali siano le leve motivazionali altrui che, se sollecitate, possono metterci nelle condizioni di guidare chi ci sta di fronte “all’acquisto” delle nostre ragioni[3].

Le persone, però, non sono solo riceventi delle comunicazioni persuasive, ma anche le fonti di tali messaggi. Molte professioni richiedono un alto grado di abilità persuasive; non solo il commercio, il diritto e la politica, ma anche la medicina, la scienza e l’insegnamento.

Analogamente, per coloro che lavorano per candidati politici o a sostegno di cause sociali o di iniziative di beneficenza, il successo nel procacciare voti, nell’ottenere firme in calce a una petizione, nel raccogliere fondi o nel diffondere informazioni dipende dalle rispettive facoltà di persuasione.

Concretizzando, si potrebbe dire che mettiamo in atto un tentativo di persuasione ogni qual volta elogiamo o critichiamo un oggetto, difendiamo o attacchiamo un’idea, propugniamo o avversiamo una posizione. La persuasione è diventata una capacità indispensabile per far funzionare le cose della vita nel modo migliore.

Infatti, l’uso che si fa delle informazioni – cosi’ come di ogni altra cosa – dipende soprattutto da chi le adopera e non tanto dalle informazioni in sè. Perciò, la persuasione non è l’arte di far fare agli altri ciò che loro non vogliono fare; è invece la capacità di motivarli all’ascolto, di convincerli ad essere convinti.

“Perciò è detto che se conosci gli altri e te stesso, non sarai in pericolo anche in centinaia di battaglie; se non conosci gli altri ma conosci te stesso, ne vincerai una e perderai l’altra; se non conosci gli altri nè te stesso, ogni battaglia ti sarà letale”. (Sun Tzu) 

 

Bibliografia

Allport G., La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, Firenze 1973

Aaker D, Myers J., Management della pubblicità, Franco Angeli1998

Ailes R., You are the message, NY, Doubleday 1988

Amietta G, Bentivenga S., Teoria della comunicazione, Stampa alternative, Viterbo 1995

Colley R., Gli obiettivi della pubblicità, ETAS KOMPASS, Milano 1968

Cavazza N., La persuasione, Il Mulino, Bologna 1996

Cialdini R., Le armi della persuasione, Firenze, Giunti-Barbera 1989

Dilenschneider R., Power & Influence, NY, Prentice-Hall 1990

Davidson W., The third-person, in Public Opinion Quarterly, 1983

Fabris G., La pubblicità: teorie e prassi, Franco Angeli 1992

Fox S., The mirror makers, NY, Morre 1984

Fabi C, Marbach H., L’efficacia della pubblicità, ISEDI, Torino 2000

Galbraith K., Il nuovo stato industriale, Einaudi 1968

Key W., Subliminal seduction, Englewood Cliffs, NY 1989

Lazzeri G., Aspetti qualitative e quantitative della pubblicità, ERI, Torino 1984

Lee A, Lee E., The fine art of propaganda, NY, 1939

Macello C., L’arte di comunicare, Milano, 1995

Merikle P, Skanes H., Subliminal self-help audiotapes: a search for Placebo Effect, University of Waterloo, London, Ontario

Packard V., I persuasori occulti, Einaudi Editore, Torino 1989

Pratkanis A, Tuner M., Persuasion & Democracy, 1996

Pirovano F., La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004

Piattelli Palmarini M., L’arte di persuadere, Il Mulino, 2005

Preston L., The tangled web they weare: truth, falsity and advertisers, University of Wisconsin Press, 1994

Pratkanis A, Aronson E., L’età della propaganda, Il Mulino, 2003

Petty R, Cacioppo J., The elaboration likelihood model of persuasion, NY, Academic Press, 1986

Signorini G., della L’arte di persuadere; teorie, dinamiche e modelli della  persuasione, Bologna, Pendragon 2004

Vannoni D., Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria, 2003

Siti internet

www.marketingroutes.com/pubblicitàsubliminalefunziona

www.psicolab.com/index.asp

www.internetica.it/manipolazione.htm

www.ilcounseling.it/persuasione.htm

www.ilcounseling.it/articoli.htm

www.giuffrè.it

www.benessere.com/psicologia.htm

www.iap.it

www.yetiarts.com

www.wiki.ugidotnet.org

www.xenu.comit.net/libri.htm

www.vertici.com/rubriche/approfondimenti.htm

www.disinformazione.it/messaggisubliminali.htm

www.encanta.it/psicologia.htm

 


[1] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino, 2003, pp. 437

[2] Davidson W, The third-person, in Public Opinion Quarterly, 1983, pp. 1-15

[3] Pirovano F, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2003, pp. 5

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

La persuasione subliminale

La persuasione subliminale

 

Image by Free-Photos from Pixabay

 

Il tema della persuasione subliminale ha avuto un forte impatto sull’immaginario collettivo ed è stato oggetto di dibattiti sin dalla sua apparizione, e ancora oggi, nè gli scienziati nè gli esperti di marketing sono giunti ad una conclusione definitiva.

Partendo dall’inizio, per percezione subliminale si intende la possibilità di recepire informazioni attraverso stimoli sensoriali che risultano al di sotto della soglia percettiva cosciente. In parole semplici, si parla di percezione subliminale quando uno stimolo non avvertibile in maniera cosciente perchè troppo debole, troppo confuso o troppo rapido, viene comunque percepito[1].

L’interesse per la persuasione subliminale risale ai primi del novecento, e nasce grazie ai sorprendenti risultati degli esperimenti condotti dal neurologo Otto Poetzel (riportati anche nell’edizione del 1919 de L’interpretazione dei sogni di Freud).

Poetzel sottoponeva dei soggetti a delle proiezioni di immagini per brevissime frazioni di secondo e poi chiedeva loro di disegnare ciò che avevano visto. Il giorno successivo, esaminava i loro sogni, scoprendovi quegli elementi o particolari delle immagini proiettate che il soggetto non aveva rilevato consciamente il giorno prima e che non aveva riportato nei suoi disegni91.

I risultati portavano alla luce il fatto che l’uomo vede e sente molto di più di quanto egli consapevolmente crede di vedere e sentire, e anche quando egli vede e sente senza saperlo rimane presente ed agisce nella sua memoria subconscia.

Questi risultati aprirono la strada ad una serie di studi sul fenomeno della percezione subliminale. Un esperimento recente che rappresenta un ulteriore testimonianza dell’esistenza della percezione subliminale, è quello condotto da Knust, Wilson e Zajonc nel 1996. Questo studio ha rilevato che i soggetti, dovendo scegliere tra due immagini neutre, preferivano quella a cui erano stati precedentemente esposti in forma subliminale.

Tutti questi studi riguardano il fenomeno della percezione subliminale; per quanto riguarda invece la persuasione subliminale, ovvero gli effetti che hanno gli stimoli percepiti in maniera subliminale sul comportamento, l’attenzione dei scienziati si è concentrata su questo fenomeno a partire dalla seconda metà degli anni ’50 del secolo scorso, in seguito al noto esperimento del pubblicitario James Vicary.

Questo fu il primo tentativo di usare la comunicazione subliminale come tecnica persuasiva. Vicary sottopose per sei settimane il pubblico ignaro di un cinema di Fort Lee, (New Jersey), a delle proiezioni subliminali che contenevano i messaggi “Eat popcorn” e “Drink Coke”. Le frasi apparivano ogni cinque secondi per un terzo di millisecondo, e quindi per un tempo troppo breve per poter essere percepite consciamente dagli spettatori.

Ciononostante, la cronaca riporta che le vendite di popcorn aumentarono del 58%, mentre quelle di coca-cola salirono del 18%.

L’opinione pubblica fu molto colpita da questi risultati e l’idea che la comunicazione subliminale potesse essere usata per manipolare il pensiero e il comportamento delle persone si diffuse velocemente, mettendo in allarme anche le autorità giudiziarie.

Vicary, messo alle strette, confessò in un’intervista del 1962, di aver inventato tutto per fare pubblicità alla sua agenzia pubblicitaria che verteva in grandi difficoltà.

Questo, però, non calmò le acque. Negli anni successivi, in tutto il mondo, in Belgio, in Gran Bretagna, e negli Stati Uniti vennero presi provvedimenti legali per vietare l’uso della pubblicità subliminale.

I ricercatori e gli studiosi di psicologia si dimostrarono molto scettici riguardo al potere della persuasione subliminale. C’erano moltissime ricerche che confermarono l’esistenza della percezione subliminale, ma queste avevano utilizzato stimoli semplici, non era ancora stato dimostrato un effettivo impatto dei messaggi subliminali sulle scelte e i comportamenti delle persone.

Come riportano molti autori (Moore 1988; Pratkanis 1992; Merikle 2000), è sicuramente vero che gli esseri umani percepiscono anche stimoli di cui non sono consapevoli, ma non è conosciuto in maniera definitiva se tali percezioni abbiano poi un reale effetto sulle motivazioni e sul comportamento. Se, quindi, è stata dimostrata l’esistenza della percezione subliminale, non è ancora stata dimostrata la possibilità di una persuasione subliminale.

Di recente, si è arrivati alla conclusione che la percezione subliminale non sia percezione in assenza di sensibilità allo stimolo, ma che piuttosto consista in una dissociazione tra l’oggettiva percezione dello stimolo e la consapevolezza soggettiva della percezione avvenuta. In pratica, si tratta di una percezione in assenza di consapevolezza[2].

In primo luogo, esistono prove della percezione subliminale, ossia di un’elaborazione minimale dell’informazione al di sotto della soglia della coscienza. In secondo luogo, nessuno di questi lavori presenta prove chiare a supporto dell’ipotesi che i messaggi subliminali siano capaci di influenzare il comportamento.

Come afferma lo psicologo cognitivo Timothy Moore:

Non esiste una documentazione empirica di effetti subliminali sufficientemente forti da indurre comportamenti particolari o da modificare la motivazione. Inoltre, tale nozione è contraddetta da molte ricerche ed è incompatibile con le concezioni dell’elaborazione dell’informazione, dell’apprendimento e della motivazione che sono state sviluppate sperimentalmente[3].

Nonostante gli psicologi continuassero a pubblicare i risultati di studi che dimostravano l’infondatezza scientifica della possibilità di modificare il comportamento delle persone per via subliminale, tale credenza continuava ad esistere.

In una serie di quattro libri di successo, Wilson Brian Key contribuì a dare larga diffusione alla credenza circa l’efficacia persuasiva della comunicazione subliminale, portando all’attenzione la possibilità di un uso generalizzato delle strategie subliminali[4].

Key sostiene che tali tecniche non sono limitate alla televisione o al cinema. Messaggi accuratamente occultati, il cui obiettivo è indurre all’eccitazione sessuale, sono presenti spesso nelle fotografie e nelle immagini della pubblicità, della stampa e dei cartoni animati. Inoltre, denunciava l’esistenza di un complotto internazionale tra pubblicitari e governanti per controllare le menti dei consumatori attraverso l’uso di tecniche subliminali.

Key ha condotto degli esperimenti a sostegno dell’efficacia della seduzione subliminale. Nella maggior parte degli studi però, è assente un gruppo di controllo o di confronto. Scoprire che il 62% dei soggetti avverte una sensazione di eccitazione, romanticismo o soddisfazione nel guardare uno spot sul gin in cui la parola “sesso” viene nascosta nei cubetti di ghiaccio, non dice nulla sull’efficacia dell’inserimento di riferimenti sessuali.

Cosa accadrebbe se la parola “sesso” venisse cancellata dai cubetti? Il 62% dei soggetti, forse, continuerebbe a sentirsi romantico e soddisfatto. Forse il loro numero aumenterebbe, forse diminuirebbe. Senza termini di confronto non possiamo sapere. Gli esperimenti non sono riusciti a confermare le congetture di Key a proposito della seduzione subliminale[5].

Come sintetizza bene Pratkanis, furono condotti nove importanti esperimenti per valutare l’efficacia dei messaggi subliminali, e tutti e nove ne dimostrarono la totale infondatezza.

“Di fatto, e a discapito di quanto si scriva sui libri, sui giornali, le tattiche di influenza subliminale non si sono dimostrate efficaci. Certamente, come tutto ciò che riguarda la scienza, qualcuno un giorno potrà forse sviluppare una tecnica subliminale che funzioni, cosi’ come in futuro un chimico riuscirà forse a trasformare il piombo in oro. Personalmente, io non acquisterei piombo legandomi a questa speranza”[6].  

Come emerge chiaramente da quanto detto fin ora, il tema della persuasione subliminale è ancora avvolto in una grande confusione, soprattutto a causa dell’ultimo esperimento condotto.

Secondo una nuova ricerca condotta da alcuni studiosi  dell’Università di Nijmegen, in Olanda, la pubblicità subliminale sarebbe efficace per la promozione di un brand, se certe condizioni sono rispettate.

In un primo studio, i ricercatori hanno invitato un gruppo di 61 volontari a contare una stringa di “B” mostrata su no schermo, mentre, a loro insaputa, venivano fatti apparire flash della durata di 23 millisecondi.

Il messaggio che veniva mostrato a un gruppo conteneva le parole “Lipton Ice”, mentre all’altro gruppo veniva passato un messaggio privo di senso: “Nipeic Tol”.

Al termine di questo primo test, venne chiesto ai volontari di indicare quanta sete avessero e di scegliere quale bevanda preferissero tra il Lipton Ice Tea e un brand di acqua minerale locale, la Spa Rood. Coloro che si erano definiti assetati, tendevano a preferire il Lipton Ice Tea, ma solo se avevano ricevuto il messaggio subliminale.

In un secondo studio, i ricercatori olandesi avevano a disposizione un nuovo campione di 105 volontari. La metà di questi fu invitata a mangiare un cibo molto salato, prima che il test precedente fosse ripetuto. Il dato interessante è che l’80% di coloro che avevano sete e furono esposti alla pubblicità subliminale del Lipton Ice Tea, hanno scelto quel prodotto.

Invece, solo il 20% di quelli che avevano ricevuto come messaggio subliminale il “Nipeic Tol”, hanno preferito il Lipton. Inoltre, più uno dei volontari aveva sete, e più alta era la probabilità che scegliesse il noto brand produttore di tè. Il prossimo obiettivo di questi ricercatori, sarà riuscire a determinare quanto a lungo perdura l’effetto di una pubblicità subliminale[7].

Per concretizzare, possiamo dire che ciò che la ricerca scientifica ci permette di asserire con certezza riguardo al fenomeno della persuasione subliminale è che il fenomeno esiste, ma si presenta soltanto in particolari condizioni controllate.

Queste includono, ad esempio, la definizione della soglia percettiva individuale per ciascun soggetto sperimentale e un ambiente controllato e privo di ulteriori forme di stimolazione. Condizioni, che, com’è ovvio, difficilmente abbiamo nella vita normale, dove ci sono interferenze e sovrapposizione di altri stimoli, è l’agire è determinato da processi decisionali complessi ed articolati[8].

Si è visto inoltre, che la percezione subliminale, quando avviene, riflette comunque l’abituale modo di interpretare gli stimoli di ciascun soggetto, e che quindi sia, in qualche modo, filtrata dagli schemi e dalle credenze degli individui; gli effetti, infatti, sono molto più intensi e di maggior durata se gli stimoli sono ritenuti significativi ed importanti dai soggetti che li ricevono. Tutto ciò riduce notevolmente il potere manipolatorio, paventato da molti, che è stato attribuito ai messaggi subliminali[9].

Infine, credere alla persuasione subliminale soddisfa un’esigenza avvertita da molti individui. Nella nostra età della pubblicità e della propaganda, le persone hanno scarse informazioni sulla natura della persuasione. Il risultato è che molti si sentono confusi e sconcertati di fronte ai processi sociali fondamentali.

La persuasione subliminale è presentata come una forza irrazionale che sfugge al controllo di colui che riceve il messaggio. Come tale, essa assume una qualità “soprannaturale”, in grado di giustificare e spiegare il motivo per cui le persone spesso vengono persuase a intrattenere comportamenti apparentemente irrazionali.

Nonostante lo scetticismo degli scienziati, l’interesse per il fenomeno non è andato scemando. L’affascinante idea della possibilità di manipolare e controllare le menti – soprattutto in relazione al potere dei mass media e della politica – rimane interessante per molte professioni. Il dibattito rimane ancora aperto.


[1] Merikle P, Skanes H, Subliminal self-help audiotapes: a search for Placebo Effect, manoscritto non pubblicato, University of Waterloo, London, Ontario 1991  91 www.psicolab.net/index.asp

[2] www.psicolab.net/index.asp

[3] Moore T, Subliminal advertising, in Journal of Marketing, 1982, pp. 38-47

[4] Key W.B., Subliminal seduction, Englewood Cliffs, NY, 1989

[5] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino 2003, pp. 385

[6] www.vertici.com/rubriche/approfondimenti.htm

[7] www.marketingroutes.com/pubblicità-subliminale-funziona

[8] www.disinformazione.it/messaggisubliminali.htm

[9] www.encanta.it/psicologia.htm

 

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

Il messaggio persuasivo e la sua formulazione

Il messaggio persuasivo e la sua formulazione

 

 

Per essere persuasivo, un messaggio deve essere capito, e quindi, deve essere chiaro, ma non solo questo. Deve essere accattivante e attraente soprattutto per l’impatto visivo.

I responsabili del marketing, da circa un secolo, usano le confezioni per pilotare le decisioni dei consumatori, da quando, alla fine dell’Ottocento, la Quaker Oats cominciò ad inscatolare l’orzo macinato in un contenitore decorato dalla figura di un quacchero che avrebbe dovuto suggerire la purezza e la consistenza dei suoi cereali. Nel 1898, si rafforzò l’immagine di sano alimento per la colazione dei cereali, aggiungendo ad ogni scatola una copia dell’opuscolo The Road to Wellville, – “la strada per la città del benessere” – le vendite decollarono.  

Il disegno delle confezioni è uno stimolo cosi’ efficace che le marche generiche cercano di approfittarne facendo in modo che le loro confezioni – il colore delle etichette, la forma del contenitore – assomiglino alle marche nazionali più vendute.

Altre tecniche di stimolo usate per incoraggiare i consumatori sono il prezzo, l’immagine del negozio e la marca. Ciascuna di esse suggerisce la qualità del prodotto secondo regole proprie. Quanto più il prezzo è alto, tanto maggiore è la qualità. Può essere vero se si parla di Rolls Royce, ma non necessariamente nel caso dei vini, delle medicine o delle scarpe da ginnastica.

Lo stesso paio di jeans ha un aspetto migliore in un grande magazzino rinomato che nel mercato. Le marche conosciute a livello nazionale sono automaticamente ritenute superiori alle marche dei grandi magazzini e a quelle generiche.

Come il prodotto, anche le persone possono essere confezionate. Le prime informazioni che raccogliamo a proposito di una persona (sesso, età, attrattive fisiche, status sociale) sono, di solito associate a stereotipi che guidano il pensiero.

Le persone di elevata posizione sociale, individuate dall’abbigliamento o dalle maniere, sono a priori rispettate e stimate. Ugualmente, le persone di bell’aspetto sono ritenute di maggior successo, più sensibili, rispetto alle persone fisicamente meno attraenti.

Ritornando alla pubblicità, i pubblicitari John Caples e David Ogilvy sostengono che le pubblicità sono più efficaci quando contengono materiale abbondante e irresistibile, un messaggio lungo con molti argomenti[1].

È ovvio che un messaggio del genere è più efficace di un messaggio breve con argomenti deboli, quando però il messaggio viene letto. Secondo le ricerche della psicologia sociale, quando le persone non riflettono su una questione, i messaggi lunghi, indipendentemente dal fatto che contengano argomenti deboli o forti, sono i più persuasivi[2].

Un’altra tecnica di persuasione spesso impiegata consiste nel caricare un messaggio di simboli e clichè tecnici corretti, che informano il ricevente che il messaggio è accettabile e attendibile. Alcuni politici, ad esempio, appaiono spesso con la bandiera o invocano dio, come per dire: “la mia posizione è patriottica e religiosa, dunque merita di essere accettata”.

I segnali di stimolo, possono essere falsi. Ci sono poche ragioni per presumere che le immagini di marca e gli stereotipi abbiano qualche fondamento nei fatti. Un altro problema è che le tecniche di stimolo possono essere facilmente falsificate e manipolate.

Le scatole dei cereali possono essere ridisegnate in modo da avere un aspetto sempre più salutare, risate e applausi possono essere doppiati in una trasmissione, i politici possono essere allenati a trasudare manierismi accattivanti, le attrattive fisiche possono essere migliorate attraverso il trucco o la chirurgia. L’essenza della pubblicità è una confezione ben disegnata.

Nel mondo pubblicitario, i professionisti usano molti sistemi di persuasione. Un vecchio trucco è “Se non avete nulla da dire, cantatelo!” in altre parole, una moderata distrazione, (fornita da una canzone, da un’immagine), può ostacolare la formulazione di obiezioni e accentuare l’efficacia di un messaggio persuasivo.

La canzone fa sentire felice la gente, e spesso questa felicità in qualche modo potenzia l’efficacia del messaggio, attraverso pensieri positivi che vengono associati al prodotto. Altre volte, il motivo rimane in mente a ricordarci il nome del marchio. In altri casi, un motivo orecchiabile o l’invadenza dello spot può attirare la nostra attenzione su di esso in misura sufficiente a impedirci di cambiare canale, con il risultato minimo di ascoltare il messaggio pubblicitario.

Tuttavia, quando i pubblicitari dicono “Se non avete nulla da dire, cantatelo!”, di solito intendono dire che una canzone o una scena d’amore piccante o qualsiasi altro elemento irrilevante, può distrarci al punto da interrompere la naturale formazione di contro argomentazioni a un messaggio debole e incongruente[3].

Non tutti i pubblicitari però, sono d’accordo col detto “cantatelo!”. Nei consigli che indirizza ai colleghi pubblicitari, David Ogilvy88 chiama “artdirectorite” questo tipo di licenza creativa e invita i colleghi ad astenersene.

Recentemente i pubblicitari televisivi hanno introdotto una tecnica nuova e più sottile che può distrarre e disturbare l’elaborazione dei messaggi; la compressione dei tempi. Per risparmiare sui costi dei media, i pubblicitari possono comprimere uno spot televisivo di trenta secondi facendolo girare al 120% della sua velocità normale. Da un punto di vista psicologico, gli spot compressi sono più difficili da confutare.

Una serie di studi compiuti da Denny Moore, studioso di psicologia del consumatore, conferma la relazione tra compressione dei tempi, distrazione e persuasione. Scopri’ che i soggetti non erano altrettanto in grado di produrre obiezioni se messi di fronte ad un messaggio accelerato e che la compressione di un messaggio fatto di argomenti forti riduce la persuasione, mentre potenzia l’impatto persuasivo di un messaggio contenente argomenti deboli.

Sono in uso una varietà di tattiche per distrarre dall’elaborazione di un messaggio. Questa distrazione, se moderata, può condurre ad una maggiore persuasione[4].


[1] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino 2003, pp.214

[2] Caples J, Tested advertising methods, Prentice Hall, 1974

[3] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino 2003, pp. 247 88 Ogilvy, La pubblicità, pp. 88

[4] Fabi C, Marbach G, L’efficacia della pubblicità, ISEDI, Torino 2000, pp. 170

 

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

Strategie di persuasione nella comunicazione diretta

Strategie di persuasione nella comunicazione diretta

 

 

La comunicazione diretta sembra quella che ha maggiore influenza e che permette l’adattabilità immediata al feedback del destinatario. Inoltre, coinvolge in maniera più evidente tutti gli aspetti della comunicazione e di relazione del mittente. L’influenza e la persuasione che possono scaturire da un contatto diretto con un venditore, sono nettamente più efficaci ed efficienti.

La comunicazione commerciale diretta, sia essa alla presenza del consumatore o attraverso mezzi interattivi, si basa su un principio fondamentale: il destinatario non deve mai rendersi conto del fatto che sta subendo una manipolazione, in caso contrario tenderà a rifiutare il testo ed eventualmente anche a percepire negativamente tutto il contesto della comunicazione.

Lo studio più completo e recente in questo settore è quello del già citato Cialdini. Questo autore ha studiato molte forme di persuasione diretta e le ha organizzate in sette principi fondamentali:

? gli automatismi

? il coinvolgimento

? la reciprocità

? la validazione sociale

? la piacevolezza[1]

? la scarsità

? l’autorità

Alcuni di questi principi sono già stati analizzati nei capitoli precedenti. Molti fanno parte della vita comune di tutti i giorni e toccano un’area più vasta di quella legata alla vendita di un prodotto, cioè quella dei rapporti interpersonali.

I principi di automatismo

Il principio di automaticità è fondamentale e si basa sul fatto che le persone usino euristiche o scorciatoie del pensiero per fare processi. Quando le persone agiscono automaticamente o senza pensarci sono molto più suscettibili alle tecniche di persuasione.

In genere si utilizzano euristiche in un processo di acquisto o di riacquisto quando le persone sono poco motivate. Secondo Langer (1989) le persone passano gran parte del tempo di una giornata in uno stato di scarso pensiero cosciente, in quanto le azioni abituali che vengono compiute non lo richiedono e subentra quindi una selettività per cui solo alcune azioni o oggetti del mondo esterno richiedono piena attenzione e consapevolezza per poter essere valutate o fatte, mentre per tutto il resto si mettono in atto processi automatizzati.

L’esperimento di Ellen Langer illustra bene come una sola parola possa attivare il meccanismo di persuasione. In coda ad una fotocopiatrice, chiedendo a qualcuno di lasciarli fare delle fotocopie, otteneva un si nel 95% dei casi, dicendo “Scusi, ho 5 pagine. Posso usare la fotocopiatrice, perché ho una grande fretta?”, ma solo il 63% dei casi dicendo “Scusi, ho 5 pagine.

Posso usare la fotocopiatrice?”

Il perché era la parola chiave che faceva scattare una risposta automatica di acquiescenza. Non era tanto ciò che veniva detto dopo ad essere importante, bensì la parola stessa. Se la domanda era “Scusi, ho 5 pagine. Posso usare la fotocopiatrice  perché devo fare delle copie?”, non veniva aggiunta alcuna giustificazione per il lasciapassare. Con la fotocopiatrice si possono fare solo delle copie, eppure la percentuale di successo balzava di nuovo al 93%[2].

La maggior parte delle tecniche persuasive individuate da Cialdini si basano fondamentalmente su processi euristici del destinatario, il quale, per poter resistere alla pressione persuasiva, ha come unica possibilità l’abbandono del pensiero euristico.

Il principio del coinvolgimento

Su questo concetto si basa una delle tecniche di vendita proposte da Cialdini, ovvero la tecnica del piede nella porta. Questo tipo di persuasione funziona ponendo al destinatario prima una piccola richiesta, seguita da una più grande, ad esempio, dopo un piccolo questionario, si procede con un’operazione di vendita. Molti venditori confidano sul fatto che dopo un piccolo acquisto si tenderà a farne uno più costoso.

Il principio di reciprocità

Si basa sul concetto di scambio, se qualcuno fa un favore a qualcun altro, quest’ultimo si sentirà in qualche modo obbligato a restituirlo. Cialdini fa notare che le persone tendono a restituire proporzionalmente di più di quanto hanno ricevuto.

L’esempio è la tecnica del solo un penny. Questa tecnica funziona attraverso la richiesta di qualcosa di minimo, che sembra essere difficilmente rifiutabile da parte del destinatario. Cialdini fa notare che con questo sistema non diminuisce la quantità del denaro versato come invece ci si potrebbe attendere. Si è peraltro evidenziato, che questa tecnica funziona sia nella comunicazione diretta faccia a faccia, sia attraverso il telemarketing.

Il principio di validazione sociale

Questo principio si basa su un’operazione euristica che può essere messa in atto a fronte di un successo o di un desiderio percepito come socialmente condiviso da molte altre persone[3].

La fama porta per molti versi al crescere del consenso in un meccanismo che si autoalimenta. Ciò vale sia per i personaggi che per i prodotti. Molte tecniche relative a questo principio vengono utilizzate nella vita quotidiana, dai musicisti di strada che riempiono i cappelli di monete per far credere di aver ricevuto apprezzamento da molte persone, alle risate finte nelle commedie televisive; sono tutti esempi dell’utilizzo del principio di validazione sociale.

La validità di un’idea aumenta con il numero di persone che la supportano, in quanto l’opinione degli altri può essere estremamente informativa, specialmente nelle condizioni di ambiguità e di incertezza[4].

Sullo stesso principio si basa la tecnica del presentare al destinatario una lista di nomi di persone (famose) che hanno supportato una determinata idea, fattore che può essere di grande impatto ed efficacia.

Il principio della piacevolezza

Si basa sul fatto che la piacevolezza può essere direttamente proporzionale all’influenza o alla persuasione, ovvero all’aumentare della piacevolezza aumenta anche il potere persuasivo. La piacevolezza viene relegata da Cialdini a due aree di base, la bellezza e la simpatia.

Anche l’attrazione fisica ha un peso importante, legato ad un processo euristico (si tende a ritenere che alla bellezza fisica si accompagni anche la gentilezza, l’onestà, l’intelligenza, la socievolezza), generalizzando quindi un singolo tratto per implicarne altri.

Uno studio sulla comunicazione politica negli Stati Uniti, condotto da Efran e Patterson nel 1976, ha dimostrato che i politici ritenuti fisicamente belli, arrivavano ad avere il doppio  dei voti rispetto agli altri.

Il principio della scarsità

Prevede che gli oggetti di cui si percepisce la penuria siano considerati di maggior valore da parte dei destinatari, questo è dovuto anche al fatto che nel mercato del consumo di massa, le persone spesso individuano la loro unicità attraverso il possesso di oggetti unici o rari.

Per creare questo effetto, le aziende possono contenere la produzione di alcuni prodotti (facendo pochi pezzi, dedicati a collezionisti), oppure possono limitare la distribuzione (usando solo alcuni punti vendita).

Il principio di autorità

Come già accennato nei capitoli precedenti, la percezione dell’autorità nel mittente può essere un forte fattore di influenza.

Si deve comunque considerare che, se il destinatario non è a conoscenza del ruolo autorevole del mittente prima della comunicazione, quest’ultimo può utilizzare simboli e segni di status sociale per affermare implicitamente la propria autorità o il proprio potere (oggetti, comportamenti, atteggiamenti).

 


[1] Cialdini R, Le armi della persuasione. Come e perchè si finisce col dire di si, Firenze 1989, Giunti/Barbera, pp. 70

[2] www.xenu.com-it.net/libri/cults/singer08.htm

[3] Vannoni D, Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria 2003, pp. 45-49

[4] http://www.internetica.it/manipolazione.htm

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

I fattori della comunicazione persuasiva

I fattori della comunicazione persuasiva

 

 

 

Ritornando allo schema della comunicazione persuasiva, bisogna distinguere quali sono le caratteristiche dei differenti fattori che si devono prendere in considerazione.

? IL MITTENTE – colui da cui sembra partire la comunicazione. Nel processo comunicativo, tale soggetto può essere una fonte diretta, ovvero, un amico o un venditore, o una rappresentazione attraverso un testimonial o uno speaker nella pubblicità, o una fonte indiretta; non trasmette direttamente un testo, ma guida l’attenzione.     

Nell’ambito delle decisioni di acquisto, si è individuato che le fonti personali di influenza (amici, parenti) sono quelle più efficaci. Le caratteristiche dell’emittente influenzano profondamente l’elaborazione del testo ed il peso che il soggetto gli attribuisce; possono avere un ruolo emotivo nella comunicazione.

Diverse caratteristiche sembrano essere coinvolte nel rendere una fonte persuasiva, in particolare modo Hovland e Weiss, in un loro famoso esperimento del 1951, individuavano le fonti esperte, credibili o attraenti come le più efficaci, ma possiamo individuare ulteriori caratteristiche quali l’essere conosciuta o popolare, tipizzare il destinatario, avere il potere di premiare o punire il destinatario in qualche modo. Ognuna di queste caratteristiche influenza gli atteggiamenti ed il comportamento con processi differenti.

? La credibilità influisce a livello cognitivo sull’interiorizzazione della comunicazione e può quindi condurre più facilmente ad una modificazione della struttura cognitiva;

? l’attraenza porta invece, attraverso un processo fondamentalmente emotivo, all’identificazione con il mittente e quindi alla possibile condivisione o accettazione dei valori, delle emozioni e dei contenuti di testo;

? il potere può invece portare a processi di compiacenza, ovvero ad adesioni (a volte solo in pubblico o in presenza del mittente) con i contenuti e le argomentazioni proposte nella comunicazione[1][2].

 

? IL TESTO – oltre ai fattori emotivi, la comunicazione persuasiva contiene una serie di argomentazioni che il comunicatore deve interpretare. Bisogna presentare le argomentazioni in un determinato ordine e prevenire le contro argomentazioni da parte del destinatario.

La ricerca sull’apprendimento e sulla memoria indica che gli argomenti estremi (i primi e gli ultimi) sono ricordati meglio di quelli di mezzo – le argomentazioni più importanti, quindi, non dovrebbero mai stare in mezzo. Questo fattore non è una scoperta recente, lo è la sua spiegazione in termini psicologici.

Sulle prime argomentazioni agisce infatti l’oblio proattivo (fattore che tende a preservare in memoria le prime informazioni recuperate a discapito delle ultime, e che tende quindi a renderle più efficaci), mentre sulle argomentazioni presentate per ultime agisce l’oblio retroattivo, (fattore che tende a preservare le ultime informazioni a discapito delle prime e che quindi tende a renderle più persuasive). Sulle informazioni intermedie agiscono entrambe le tipologie di oblio, aumentando quindi la probabilità di dimenticarle[3].

Possiamo quindi dire che le prime informazioni sono quelle che destano maggiormente l’attenzione, fattore che poi diminuisce con il procedere del testo, mentre le informazioni finali tendono invece ad essere più ricordate, a discapito delle argomentazioni intermedie.

Se il destinatario ha una posizione nei confronti dell’argomentazione opposta a quella del mittente, le argomentazioni forti devono essere poste prima, per ridurre il numero di contro argomentazioni, mentre nel caso in cui quelle iniziali siano troppo deboli, si può creare un livello di contro argomentazioni tale che le argomentazioni forti, poste al fondo, non saranno più credute.

È importante porre le argomentazioni forti prima, se i consumatori hanno poco interesse all’aggetto principale del testo, in quanto se poste inizialmente possono comunque far crescere l’interesse, almeno verso il testo stesso.

L’ordine delle argomentazioni è importante quando il testo è lungo, dettagliato e con molte argomentazioni (cosa che in pubblicità non esiste, tranne nella televendita), mentre in testi brevi e semplici l’ordine è meno critico. Sugli spot da trenta secondi incide però la possibilità che gli stessi vengano elaborati a basso coinvolgimento, ripetuti, per aumentare attraverso la ridondanza, la memorizzazione e il ricordo[4].

? IL DESTINATARIO – è la figura centrale di ogni processo di comunicazione persuasiva. Ovviamente, i fattori generalizzabili non sono molti. Le ricerche ipotizzano che le donne, sembrino in generale, più influenzabili degli uomini, e gli uomini lo sono quando le argomentazioni principali sono invece legate al mondo femminile.

In generale, la teoria della personalità e della persuasione di McGuire (1968) prevede che la persuasione sia composta da tre principi fondamentali:

? il principio di mediazione: una serie di fattori psicologici quali la percezione, la comprensione, la condivisione, la memorizzazione, il ricordo e la decisione mediano la persuasione. Questi fattori possono essere influenzati dalla personalità dell’individuo, ma principalmente ne sono considerati due, la ricezione (composta da percezione e comprensione) e la resa (composta dall’essere d’accordo o meno con le argomentazioni proposte),

? il principio combinatorio – prevede che la ricezione e la resa siano legati in modo opposto, ovvero la percezione cresce e l’emozione decresce, in conseguenza cambia l’atteggiamento in funzione di una relazione moltiplicativa. Ad entrambi gli estremi, la persuasione è molto bassa.

? il principio del peso situazionale – la ricezione e l’emotività non hanno sempre lo stesso peso. Sono quindi le caratteristiche individuali i fattori di maggiore influenza da parte del destinatario ed è difficile, nelle ricerche di mercato, giungere ad approssimazioni effettive di come sia realmente percepita, elaborata e memorizzata la comunicazione[5].

? IL MEZZO – che veicola la comunicazione può influenzare nettamente la resa del messaggio. Ad esclusione della radio, quasi tutti i messaggi hanno un impatto visivo oltre a quello verbale, e questo fattore crea già di per sè una forte discriminante nei processi di elaborazione.

La prima distinzione possibile riguarda i mezzi personali e quelli non personali. La comunicazione personale ha più probabilità di essere persuasiva in quanto è più flessibile e adattabile al destinatario attraverso il processo di interazione. Il venditore che conosce bene il prodotto, adatta la comunicazione al pensiero del destinatario, potendo inoltre, trattare direttamente le contro argomentazioni.

Questi vantaggi mancano alla comunicazione mediata. Un problema fondamentale è il sovraffollamento delle comunicazioni commerciali sui mass media, col risultato di annoiare gli spettatori e di impedire al singolo testo pubblicitario di essere efficace[6].

 

[1] Vannoni D, Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria,

[2] , pp. 28

[3] Idem, pp. 34-37

[4] Cavazza N, La persuasione, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 121

[5] Cialdini R, Le armi della persuasione. Come e perchè si finisce col dire di si, Firenze,

Giunti-Barbera, 1989, pp. 163

[6] Idem

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

Gli strumenti della persuasione

Gli strumenti della persuasione

 

Foto di Photo Mix da Pixabay

 

A questo punto della tesi, sarebbe opportuno conoscere quali sono gli strumenti pratici che consentono l’esercizio della persuasione, non dimenticando che la vera efficacia di queste tecniche è raggiunta quando il risultato di una vendita o di una negoziazione è soddisfacente per ambedue le parti in gioco.

Robert Cialdini, psicologo sociale che si occupa della psicologia della persuasione, ha individuato sei principali strumenti di persuasione:

  • Reciprocità – le persone tendono a ricambiare un favore.
  • Impegni accettati – quando qualcuno accetta di impegnarsi per un obiettivo, un progetto, è più facile che onori gli impegni che si assume. Sino al punto paradossale che se viene rimossa la motivazione e l’incentivo dopo che ha accettato, l’impegno permane.
  • Dare il buon esempio – le persone tendono a rifare ciò che vedono fare agli altri. A volte imparano da buoni e fidati maestri, altre comportandosi come belle pecorelle.
  • Autorità – le persone tendono ad obbedire a figure autoritarie, questo accade anche quando vengono impartite istruzioni molto discutibili.
  • Simpatia – le persone si fanno  convincere facilmente da chi gli piace, anche fisicamente, e da chi gli sta simpatico.
  • Carenza – la percezione di carenza genera la domanda. Ecco perchè spesso vengono fatte offerte per un tempo limitato o in numero limitato[1].

Oltre a questa “lista” individuata da Cialdini, gli strumenti della persuasione sono ancora tanti e variegati; dall’uso magistrale delle domande, alla capacità di aprirci e far si’ che l’interlocutore si apra con noi, ad esempio, attraverso la condivisione di informazioni riservate , o l’utilizzo di termini e frasi particolarmente dotate di potere persuasivo, o ancora l’abile utilizzazione degli elementi di comunicazione non verbale, il linguaggio del corpo.

L’abilità di porre le domande giuste si rivela preziosa, se si vuole essere persuasivi, poiché consente di ottenere valide ed utilissime precisazioni circa il punto di vista dell’interlocutore. Questa abilità permette di determinare quali sono i valori dell’interlocutore, e su questa base, di guidare la conversazione.

Avere le idee chiare su quello che pensa e vuole chi ci sta davanti è un fattore indispensabile per formulare una proposta soddisfacente, a tal fine  è importantissimo stabilire quali siano i suoi valori.

Ponendo semplici domande, rivolte in senso generale, oppure domande contestualizzate, per scoprire quali siano i valori portanti relativamente ad una specifica dimensione della vita.

Un secondo strumento sono le parole “potenti”. Esiste un certo numero di termini che ha un impatto particolarmente efficace su coloro che si desidera persuadere:

  • Il nome – Dale Carnegie diceva che non esiste sulla faccia della terra parola più potente e incisiva del nostro nome. Esso si ricollega, anzitutto, alla nostra infanzia, quando l’abbiamo sentito pronunciare ripetutamente. È stato dimostrato da studi condotti negli Stati Uniti, che pronunciare il nome di una persona all’inizio o alla fine di una frase esercita un irresistibile effetto persuasivo.
  • Per favore e grazie – al secondo posto per importanza dopo il nome, in termini di “quoziente di persuasività” si situano i termini per favore e grazie.

Anche queste parole risalgono all’infanzia, e appunto per questo, sono efficaci nel processo persuasivo.

  • Altre parole – esistono molte altre parole dotate di capacità persuasiva, da utilizzare – naturalmente in modo pertinente in relazione al contesto che interessa. L’elenco generico delle più efficaci:

benessere/salute/felice/sicurezza/giusto/migliorare/eccitante/ profitto/divertente/meritare/scoperta/amore/libero/vantaggio /valore/risultati/nuovo/facile/fiducia/denaro/potere/garantito /vero/tu/vitale/gioia/investimento/comfort/dimostrato/opport unità/crescita.

  • La tecnica del time-pressure – si rivela particolarmente utile nel caso in cui l’interlocutore, o il cliente, riveli una certa lentezza nel prendere una decisione. Il compito del persuasore è portare avanti, accelerare il processo.

Ad esempio, nell’acquisto di una casa è facilissimo sentirsi dire che a quella stessa casa sono interessate anche altre persone e che se non facciamo velocemente una buona proposta d’acquisto, rischiamo di vedercela portare via sotto gli occhi.

Immediatamente, quella che era una bella casa, diventa la casa dei nostri sogni e veniamo presi dall’ansia di concludere al più presto la trattativa. In tal caso, l’agente immobiliare non ha fatto altro che utilizzare lo strumento del timepressure.

  • Gli altri filtri della persuasione – i contenuti della nostra personalità si sviluppano a seconda di come recepiamo il mondo esterno. Tutti possiedono un sistema di filtraggio, che fa vivere ogni esperienza in modo diversificato, e su questa base permette di organizzare l’evoluzione della nostra personalità.

Tale sistema possiede tre tipi di filtri:

? i valori

? i criteri

? le credenze

Conoscere il ruolo che giocano i valori, i criteri e le credenze, consente di comprendere come affrontare e trasformare i conflitti in momenti positivi di confronto costruttivo, come calibrare al meglio i nostri interlocutori, per stabilire con essi un rapporto profondo, e come cercare di giungere alla struttura profonda dell’interiorità di chi ci è di fronte, partendo da una struttura superficiale che – se siamo in grado di leggerla – può fornire indizi molto interessanti sulla personalità dei destinatari delle azioni persuasive[2].

 

 

[1] www.wiki.ugidotnet.org

[2] Pirovano F, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 77-81


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


I principi della dinamica persuasiva

I principi della dinamica persuasiva

 

Foto di skeeze da Pixabay

 

Parlare di principi della comunicazione persuasiva significa cercare di identificare quelle caratteristiche imprescindibili e quelle peculiarità d’azione necessarie a trasformare una comunicazione ordinaria in comunicazione di influenza[1].

A questo scopo, è opportuno analizzare in concreto le leggi della persuasione sviluppate da Robert B. Cialdini, che si dimostrano essere tanto vere quanto le esperienze pratiche da cui sono state tratte.

Se vediamo una bella cosa, che ci colpisce, e subito dopo una meno bella, quest’ultima ci sembrerà più brutta di quanto non sarebbe stata se l’avessimo percepita per prima. In altri termini, l’evento che precede, condiziona l’evento successivo, se posto vicino ad esso nel tempo e nello spazio[2].

Questa tecnica viene chiamata principio del contrasto, caratterizzata dal fatto che mettendo a confronto due cose relativamente diverse una dopo l’altra, ne percepiamo maggiormente la differenza.

Un esempio utile viene dal quotidiano: se entriamo in un negozio di vestiti e troviamo abiti che costano mediamente 1.000 euro, belli, eleganti e firmati, e successivamente la commessa ce ne propone uno bello, elegante e firmato, diverso, al prezzo di 700 euro, sicuramente il vantaggio del secondo ci sembrerà maggiore di quanto non lo sarebbe stato se ce lo avessero presentato per primo.

Dal punto di vista commerciale, i venditori sanno bene che è molto più vantaggioso presentare prima il prodotto poi’ costoso, e successivamente, ma naturalmente sempre a prezzo maggiorato anche se di poco inferiore al precedente, quello che realmente ci interessa vedere; questo allora sarà subito percepito come più conveniente rispetto al precedente.

Il secondo principio è il principio della coerenza. Su questo principio si basa uno dei presupposti della comunicazione persuasiva; “Ciò che mi dici è presupposto di ciò che ti risponderò”.

Questo presupposto rappresenta uno dei nuclei centrali della comunicazione persuasiva. Il segreto del successo stà nell’adeguare le proprie azioni alla mappa mentale dell’interlocutore. È possibile ottenere questo risultato ascoltando e osservando attentamente ogni parola e atteggiamento che giustifichi , in qualche modo, ciò che andremo a rispondere e a fare.

Dal punto di vista linguistico, è molto utile costruirsi mentalmente la frase “proprio per questo<”; essa infatti ci costringe a individuare, nelle parole dell’interlocutore, gli elementi chiave che potrebbero comunque giustificare la nostra risposta.

Tale presupposto assume il punto di vista del persuasore. Come si è detto, proprio perchè l’interlocutore si vincola a ciò che dice, secondo il principio di coerenza, il bravo influenzatore sfrutta questa situazione psicologica a proprio favore, rispondendo adeguatamente, con il rinforzo dell’obbligazione morale[3].

Il principio della coerenza è estremamente potente e, su questo lavora la tecnica persuasiva del “proprio per questo”. L’incoerenza è socialmente condannata e questo fa si’ che si faccia il possibile per non apparire incoerenti, a costo di perdere l’opportunità della ragione.

Al contrario, chi è coerente appare fermo, rigoroso e giusto al punto tale che si preferisce il politico che la pensa diversamente da noi, ma non cambia posizione, rispetto a quello che è vicino alla nostra linea politica, ma la interpreta secondo convenienza a seconda dei casi.

Arrivando al terzo fattore che è il principio della sintonia, arriviamo alla sensazione di similarità con chi ci è di fronte. Tutti noi tendiamo ad acconsentire con più facilità alle richieste che ci vengono da persone che suscitano la nostra simpatia, con cui percepiamo una sintonia immediata.

Ma quali sono i fattori che entrano in causa quando inconsciamente decidiamo che una persona ci piace o no?

Il primo fattore in uso è sicuramente la bellezza. Associata nelle campagne pubblicitarie al prodotto da pubblicizzare, biglietto d’ingresso spendibile in tante e diverse situazioni, la bellezza ci predispone a fidarci di chi ci sta di fronte, come se il bello si declinasse in affidabilità e serietà.

La situazione si ripete per le persone che ci sono simili. Se qualcuno ci somiglia, istintivamente decidiamo anche che la sua scala di valori deve equivalere alla nostra. Lo stesso ambiente di provenienza, gli stessi interessi, lo stesso modo di vestire, sono tutti elementi che ai nostri occhi fanno acquistare credibilità al nostro interlocutore.

Va riconosciuta la forza persuasiva che il principio della sintonia possiede. Si chiama “errore logico” il meccanismo psicologico che ci fa associare a una certa qualità, che riconosciamo in un individuo, il possesso di un’altra qualità, diversa, che noi inconsapevolmente associamo alla prima.

L’associazione è indebita, ma a noi pare del tutto naturale[4].

Il quarto ed ultimo principio è quello dell’autorità. Spesso accade che le campagne pubblicitarie vedano la partecipazione di personaggi noti, ritenuti “una autorità” in quel particolare settore – ad esempio calciatori che pubblicizzano articoli sportivi. Bisogna sottolineare come i simboli dell’autorità possono essere manipolati e contraffatti da chi ha tutto l’interesse ad utilizzare la forza persuasiva per i propri fini.

 

[1] Pirovano F, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 51

[2] , De Vecchi Editore, 2004, pp. 65-67

[3] , De Vecchi Editore, 2004, pp. 70

[4] , de Vecchi Editore, 2004, pp. 73-75

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich