Articoli

I meccanismi psicologici su cui si muove la persuasione

I meccanismi psicologici su cui si muove la persuasione

 

 

Sulla base degli studi di psicologia sociale, combinati a quelli relativi alle tecniche di comunicazione, molti studiosi specializzati nell’informazione hanno teorizzato alcuni postulati che cercano di descrivere il comportamento di chi riceve un qualunque tipo di messaggio, in particolare un messaggio persuasivo.

Riconosciuto, infatti, che la maggior parte della comunicazione può essere ricondotta ad un gioco di persuasione, i ricercatori hanno focalizzato i propri interessi sul messaggio stesso, analizzandone il tipo di trasmissione, di ricezione, di decodificazione e di assimilazione, per vedere se, questa fonte, che presenta argomenti e fatti, riesce a produrre un qualche effetto sul ricevente.

Un’ulteriore precisazione che bisogna sottolineare, è che non può verificarsi nessuna persuasione se non sussistono le premesse oggettive, del contesto ambientale, sociale, culturale, e quelle soggettive, proprie del ricevente. Non si può persuadere chi non ha la disposizione a lasciarsi convincere. È proprio su questo presupposto che gli studi si sono rivolti più ad orientare gli animi, piuttosto che a dirigere i messaggi stessi.

Ulteriori studi sui meccanismi comunicativi condotti da William McGuire dell’Università di Yale, sostengono che la persuasione stessa si divide in un processo a sei fasi:

  1. la presentazione del messaggio, dove il ricevente viene messo in grado di essere raggiunto dal messaggio
  2. l’attenzione, che il ricevente deve prestare al messaggio
  3. la comprensione dei contenuti, assicurata da un codice trasmissione adeguato (si evitano linguaggi specialistici, o di difficile comprensione)
  4. l’accettazione da parte del ricevente della posizione sostenuta dal messaggio, nella quale si instaura una sorta di sintonia col messaggio ricevuto
  5. la memorizzazione della nuova opinione, in maniera da farla propria
  6. il conseguente comportamento

Se una sola di queste fasi non si attua appieno, non si verificherà alcuna persuasione[1].

Esistono però altre teorie sulle vie percorse dalla persuasione. Secondo il modello della probabilità di elaborazione (ELM, elaboration likelihood model) di R. Petty, gli atteggiamenti possono modificarsi attraverso due percorsi differenziati:

  1. percorso centrale, agisce sulla capacità, consiste in un’elaborazione attenta e di riflessione accurata sulle argomentazioni e sulle informazioni contenute nel messaggio persuasivo
  1. percorso periferico, agisce sul livello di motivazione, riguarda un processo di cambiamento basato su elementi che non sono direttamente pertinenti al tema, cioè i cosiddetti segnali periferici, ad esempio, l’attrattiva della fonte, la durata e la semplicità del messaggio, la sua piacevolezza.

Spesso, per far passare un messaggio persuasivo, viene usata una strategia che fa ricorso all’attivazione di paure, che fanno leva sul fatto di minacciare delle conseguenze indesiderabili qualora l’individuo non adotti il comportamento suggerito dal messaggio.

Un espediente molto usato in pubblicità consiste nella reiterazione del messaggio, dando luogo a quello che gli psicologi chiamano effetto di mera esposizione, che contribuisce a rendere più familiare, e quindi più accettabile, il messaggio proposto.

Altre componenti, prese in prestito dai pubblicitari, riguardano la fonte emittente, cioè, fanno appello all’autorevolezza e alla credibilità di chi veicola il messaggio. Questa via persuasiva è supportata da un certo livello di expertise, cioè una costruzione fittizia di professionalità nell’emittente. Anche la struttura stessa del messaggio offre importanti appigli per veicolare la persuasione.

La lividezza del messaggio, innanzi tutto, in cui la costruzione del discorso, i colori, i suoni, concorrono a rendere il messaggio più facilmente percepibile. L’ordine di argomenti, dove gli studi effettuati sulla memoria e sul livello di attenzione, hanno evidenziato due importanti effetti utili a questo proposito:

  • di fronte ad una serie di informazioni contigue, le persone tendono a ricordare meglio le prime (effetto primacy) e le ultime (effetto recency), mentre quelle poste nella parte centrale dell’esposizione vengono meno facilmente registrate nel ricordo.

Ulteriori elementi riguardanti la persuasione sono stati forniti dagli studi effettuati dallo psicologo sociale americano Robert Cialdini, che ha osservato dei professionisti della persuasione, cercando di capire le tecniche usate da questi per forzare le resistenze delle persone, inducendole ad accondiscendere.

Queste tecniche (il colpo basso, il piede nella porta, la porta in faccia) cercano di indurre il ricevente ad acconsentire ad una proposta, facendo leva su alcuni vantaggi iniziali, che poi non vengono rispettati, o sul principio di reciprocità, che è alla base del sentimento di obbligo che ciascuno di noi sente per qualcuno che ci offre qualcosa, per cui fanno apparire una richiesta come una concessione.

Nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa si è sviluppato un altro effetto; l’agenda setting. Questo fenomeno nasce dall’assunto che i media descrivono la realtà presentando al pubblico una sorta di ordine di priorità delle questioni relative all’informazione. L’esposizione dei media non influenzerebbe quindi, direttamente gli atteggiamenti, ma l’importanza da attribuire alle questioni.

Quando le persone attribuiscono molta importanza a un dato evento, aumenta la probabilità che prestino maggiore attenzione alle notizie che lo riguardano, considerandone in maniera approfondita, tutti gli aspetti. In pratica, indurre l’effetto agenda setting, significa agire sulle risorse cognitive necessarie a produrre opinioni stabili, prima ancora che sulla direzione delle opinioni stesse.

Fra i principali strumenti di persuasione legati più strettamente all’oratoria si possono evidenziare quattro elementi principali:

? l’originalità, l’argomento più persuasivo è sempre quello più nuovo

? lo stile, appannaggio delle tecniche di retorica

? la logica dell’argomento persuasivo

? la pertinenza, in quanto essere persuasivi significa riconoscere istantaneamente, e far riconoscere all’interlocutore, nuove relazioni di pertinenza fra gli argomenti

Anche l’esempio del gesto-persuasione, è un’ottimo strumento. Esso viene veicolato dal principio di imitazione che si genera nel ricevente. In effetti, la forza persuasiva di un gesto, anche semplice, se fatto nella giusta circostanza, può essere irresistibile.

Per essere efficace, il gesto deve essere necessariamente studiato, e la sua pertinenza viene affidata all’inventiva di chi lo escogita, tenendo conto anche del fatto che esso non può reggere alcune situazioni limite, nel veicolare un messaggio persuasivo, come la divisione tra ragione ed emozione, tra immaginazione e realtà.

Un ultimo aspetto della strada che percorre la persuasione sta nella semplicità, nella brevità concisa ma efficace, del messaggio stesso; ne sono esempio gli slogan, gli aforismi, i motti di spirito, costituiti da frasi concettose e sintetiche, orecchiabili e suggestive, destinate a rimanere impresse nella mente, e quindi, a persuadere l’ascoltatore.

Per citare Aristotele, “bisogna sembrare di parlare non ad arte, ma naturalmente; questo, infatti, è persuasivo, mentre quello è l’opposto. Infatti si diffida da chi parla astutamente cosi’ come si diffida dai vini adulterati”.  

[1] www.ilcounseling.it/persuasione.htm

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


La psicologia e il processo di comunicazione

La psicologia e il processo di comunicazione

 

Credo sia utile cominciare col definire cosa sia la psicologia della comunicazione. In questo termine definiamo la disciplina che studia i processi mentali che guidano la trasmissione di pensieri tra esseri umani e che, in particolare attraverso l’uso del sistema linguistico o di atri sistemi segnici formali, sia diretti, sia mediati da strumenti e mezzi, ne studia i meccanismi di generazione (codificazione) e di ricezione (decodificazione)[1].    

 

Nell’ambito della psicologia della comunicazione possiamo distinguere altre discipline quali la psicologia del linguaggio che studia i processi di generazione e di elaborazione del linguaggio stesso, la psicologia della percezione che studia in particolare i processi percettivi, la psicologia della comunicazione di massa che studia invece tutti quei fenomeni di comunicazione mediati da mezzi che si frappongono tra il mittente ed il destinatario della comunicazione, generando situazioni di comunicazione di un soggetto verso molti altri.

Nell’ambito della comunicazione tout court possiamo ulteriormente distinguere la comunicazione con fini persuasivi con l’obiettivo di indurre nel destinatario della stessa un cambiamento di atteggiamento o azioni di stampo comportamentale (nel cui ambito e’ compresa la comunicazione commerciale, cioè la pubblicità), e la comunicazione senza fini persuasivi, ovvero quella comunicazione che puo’ essere di ordine informativo o gratuito.

 Dal punto di vista della psicologia, analizzare la comunicazione significa comprendere quali siano i processi mentali che ad essa soggiacciono; e’ spesso dato per scontato che un testo proposto arrivi indisturbato ed intatto da chi lo produce a chi lo riceve, o che le uniche variabili di interferenza siano relative al testo stesso o alle competenze linguistiche ed enciclopediche di chi lo produce e di chi lo riceve, ma in realtà il processo e’ più complesso e ricco di sfumature[2][3].

Se da un lato la complessità del messaggio deve essere adeguata alle capacita’ di comprensione ed al linguaggio dei soggetti con i quali si comunica, dall’altro, perchè un messaggio abbia successo, deve superare le nostre soglie di attenzione e di motivazione per essere elaborato[4].

Nell’ambito della produzione dei testi, entrano in gioco processi mentali come la memoria, la scelta delle argomentazioni. L’elaborazione di un testo è una vera operazione strategica, che, nella sua stessa codificazione, implica una serie di decodificazioni possibili. Il testo prodotto non è solo un pensiero, ma lo sviluppo di un modello mentale. La codifica, quindi, è essa stessa un processo.

La decodifica invece, implica da parte del destinatario, un operazione di ricostruzione del significato, che non sarà necessariamente quella voluta dal mittente, ma potrà discostarsi in base alle esperienze ed alle conoscenze che caratterizzano il se’ di ogni individuo.

I modelli mentali, pur differenziandosi da soggetto a soggetto, possono avere, nell’ambito di una cultura condivisa, diversi elementi comuni. L’insieme delle associazioni linguistiche, delle conoscenze condivise e delle competenze si trovano a confronto durante un normale processo di comunicazione. Quindi il processo di comunicazione si configura come un confronto tra modelli mentali[5].

Quanto detto finora vale per qualunque forma di comunicazione, indipendentemente dallo scopo che si pone. La comunicazione persuasiva, di cui quella commerciale è un’appendice, presenta maggiori peculiarietà.

Partendo dalle considerazioni sul tema sviluppate da Hovland, Janis e Kelley nel 1953 possiamo individuare le variabili della persuasione:

  • attenzione
  • comprensibilità
  • convincimento (convincente e interessante)
  • memorizzazione

Questi fattori sono influenzati da quattro variabili indipendenti:

  • variabile della fonte (chi e’ il mittente)
  • variabile del messaggio (che cosa e’ detto)
  • variabile del ricevente (chi riceve il messaggio)
  • variabili del mezzo (quale mezzo e’ usato)[6][7]

E’ stato lungamente dibattuto il problema che vede contrapporsi due concetti importanti nell’ambito della ricerca sulla comunicazione; persuadere e convincere. Già Kant, nella Critica della ragion pura, distingueva tra questi due elementi, che indicano due differenti processi psicologici.

Convincere implica una forma di adesione razionale e superficiale del soggetto, mentre la persuasione implica necessariamente una forma di adesione profonda, legata agli aspetti emotivi e comportamentali del soggetto. L’oggettività della convinzione si scontra contro la soggettività della persuasione[8].

La convinzione si basa sul solo aspetto cognitivo, l’informazione mantiene un contenuto oggettivo e credibile, con dati anche controllabili, ma al di la’ della veridicità, quello che realmente influenza il destinatario è il come l’informazione sia costruita.

Il funzionamento della persuasione e’ diverso; anche essa necessita di elementi cognitivi, pero’ risulta fondamentale l’aspetto emotivo (l’insieme di contenuti e di contorno), ad esempio alcune tipologie di immagini, che possono suscitare una reazione emotiva.

Questo fattore non è imputabile all’informazione, che deve essere oggettiva e razionale, quanto piuttosto alla comunicazione, che risulta essere un fenomeno di trasmissione dei pensieri, molto più coinvolgente e manipolatorio[9]. E’ soprattutto attraverso la comunicazione, attraverso l’integrazione di elementi cognitivi ed emotivi, che si può condizionare l’agire umano.

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


[1] Vannoni D, Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria, 2003, pp. 4

[2] Vannoni D., Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria,

[3] , pp. 20-22

[4] Idem

[5] Idem

[6] Vannoni D., Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria,

[7] , pp. 25-30

[8] Fabris G., La pubblicita’: teorie e prassi., Franco Angeli, 1992, pp. 48

[9] www.internetica.it/manipolazione.htm

I Canali della Comunicazione

I canali della comunicazione

Foto di Pezibear da Pixabay

 

Ripensando ad un dialogo vivace e recente vissuto con qualcuno, cosa ci ha colpito in modo particolare?

Il contenuto, espresso tramite i vocaboli densi di significato, i verbi con i loro tempi, gli aggettivi che hanno colorito il discorso? Oppure ci ha colpito maggiormente la voce espressa attraverso il suo volume, la sua velocità piuttosto che il ritmo accelerato o lento? È possibile che non sono state tanto le parole o la voce a rimanerci impresse, bensì l’espressione del volto di chi parlava[1].

Sicuramente è l’insieme della comunicazione a lasciare il segno. Questo “insieme” può essere scomposto in tre canali:

? comunicazione verbale

? comunicazione paraverbale

? comunicazione non verbale

 

L’elemento costitutivo della comunicazione verbale è il vocabolario linguistico. Questo tipo di comunicazione prende il nome di comunicazione digitale, in quanto, facendo riferimento ad una analogia informatica, per trasferire il significato si è dovuto codificarlo simbolicamente, come avviene appunto, nella trasmissione digitale di dati.

Le lingue del mondo, da questo punto di vista, non sono altro che la codificazione simbolica di parole utili a trasferire il medesimo contenuto coerentemente con il contesto culturale dato – il paese di appartenenza10.

Usare le parole senza voce è ovviamente impossibile. Per questa ragione si definiscono paraverbali l’insieme dei segnali messi in atto, nella comunicazione  verbale, a livello fisiologico, ovvero l’insieme delle modalità con le quali si manifesta la nostra voce; registro, volume, velocità, timbro, ritmo, cadenza, tono, modulazione, dizione.

A seconda di come si usa la voce, si generano stati d’animo diversi nell’interlocutore. La voce viene registrata dal nostro cervello come un’informazione che prescinde dal contenuto dei messaggi che essa porta con sè, la voce dovrebbe essere curata quanto il contenuto stesso. Una bella impostazione vocale, ben modulata, calda, avvolgente sicuramente può ammaliare e conquistare, cosi’ come ci allontana una voce stridente e priva di calore.

Non siamo purtroppo, abituati a dare il giusto peso alla voce nell’interazione con gli altri, e per questo la potenzialità persuasiva spesso si perde. La voce viene usata cosi’ come viene, invece di governarla consapevolmente.

La caratteristica fondamentale del persuadere è quella di saper modulare la voce; alzarne il volume per abbassarlo subito dopo, quando si desideri sottolineare una frase; rallentarne la velocità per evidenziarne concetti complessi, oppure accelerarla per sfuggire all’attenzione dell’interlocutore. Non si tratta di snaturazione, ma semplicemente di una migliore conoscenza e utilizzo delle nostre capacità.

Il terzo canale della comunicazione è quello del non verbale. In questa categoria rientrano i linguaggi del corpo e i suoi derivati – espressione facciale, mimica, abbigliamento, postura, sguardo, gestualità, movimento. È estremamente facile manipolare la parola, non è però altrettanto semplice governare le espressioni del corpo. Il corpo parla e rivela chi siamo.

La connessione tra mente e corpo è a tal punto stretta che, intervenendo sull’una, si modifica necessariamente l’altro, e viceversa; indurre in noi o altri un diverso stato d’animo produce immediatamente un nuovo atteggiamento del corpo. Allo stesso modo, agire dall’esterno, dal corpo appunto, sforzandoci di assumere atteggiamenti fisici di apertura ed energia, influenza positivamente la psiche[2].

Imparare a leggere i segnali del corpo diventa decisivo, se si vuole conoscere la reale disposizione d’animo dell’interlocutore. Conoscere ciò che pensa chi ci sta davanti, a dispetto di ciò che dice, ci mette in una posizione di vantaggio, per poter effettuare una più mirata ed efficace azione persuasiva nei suoi confronti.

Secondo uno studio dell’americano A. Mehrabian, nella fase iniziale di conoscenza con una persona, il linguaggio del corpo (non verbale) gioca un ruolo di fondamentale importanza; tramite gesti, posture e contatto visivo, esso incide sul processo comunicativo con una percentuale del 55%. Per il 38% incidono invece il tono della voce e tutte le componenti paraverbali, mentre il significato letterale delle parole espresse influisce solo per il 7%[3].

Da questo punto  di vista, sembrerebbe che ciò che diciamo non ha praticamente importanza rispetto a come lo diciamo; solo un misero 7% del peso della comunicazione si ascrive al contenuto, contro ben il 93% che dipende da elementi non strettamente verbali. Questo risultato porta a riflettere sul fatto che ciò che veramente conta nella comunicazione, e quindi nella capacità di influenzare, è soprattutto il “come” viene detto, piuttosto che il “che cosa”.

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich 


 

[1] Pirovano F., La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 31 10 Idem

[2] Pirovano F., La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 36

[3] Signorini G, L’arte di persuadere, teorie, dinamiche e modelli della persuasione, Bologna, Pendragon, 2004, pp. 256

La teoria della comunicazione

La teoria della comunicazione

 

Il comunicare sottintende una trasmissione di informazioni di vario tipo, informazioni che possono riguardare fatti, pensieri, stati d’animo, istruzioni, codici< L’esigenza di trasmettere queste informazioni è riconducibile alla necessità di soddisfare dei bisogni, da quelli primari, fisiologici, che riguardano la sopravvivenza organica e della specie, a quelli secondari, di natura sociale e psichica.

Se è vero che per gli individui più primitivi lo status è connesso alla qualità di forza fisica e di sprezzo del pericolo, è altrettanto vero che nella società moderna questi bisogni vengono soddisfatti anche da altri valori, che possono andare dal possesso di un titolo, al denaro, alla bellezza fisica, all’importanza sociale, all’autorevolezza.

È proprio in questo quadro che si è sviluppata l’esigenza di poter influenzare, se non addirittura pilotare, la risposta dell’interlocutore all’emissione del messaggio. Quando si è capito che la risposta alla propria richiesta di soddisfacimento del bisogno poteva essere in un qualche modo guidata, diretta, indirizzata al soddisfacimento del bisogno stesso, è iniziata, nella storia dell’evoluzione umana, la ricerca di quegli elementi che potevano produrre quella influenza determinante, la persuasione, appunto.

Tutti, prima o poi, abbiamo desiderato almeno una volta di poter leggere nel pensiero di chi ci sta di fronte – cliente, amico o partner – al fine di ottenere da lui il pieno consenso. Questo consenso significa molto di più del semplice “aver ragione”; infatti, la capacità di influenzare gli altri non è la capacità di imporre le proprie ragioni, bensì quella di scoprire quali siano le leve motivazionali altrui che, se sollecitate, possono metterci nelle condizioni di guidare chi ci sta di fronte all’”acquisto” delle nostre ragioni.

La persuasione, allora non è l’arte di far fare agli altri ciò che loro non vogliono fare; è invece la capacità di motivarli ad ascoltarci, a riflettere sulle nostre ragioni senza chiudersi o difendersi a priori[1].

Persuadere”, “influenzare“, “sedurre”, “guidare” sono parole che presuppongono una interazione con gli altri, una comunicazione, che esiste in quanto relazione. L’attuarsi della comunicazione prevede che vi siano due soggetti in gioco; un emittente ed un ricevente.

Ciò significa che la parola comunicazione definisce una dinamica relativa ad un contenuto (parole, gesti, sguardi) che passa da un polo all’altro, è quindi bidirezionale. Questo presuppone il fatto che vi sia un feedback, ovvero una risposta, da parte del soggetto a cui la comunicazione è stata diretta: il feedback può essere di tipo verbale (una frase di risposta) o non verbale (un gesto, un’occhiata, una pausa di silenzio).

Il termine comunicazione ha un chiaro significato di “mettere al corrente” qualcuno, coinvolgendolo[2]. Nei secoli il termine “comunicare” è stato oggetto di notevoli mutamenti, in conseguenza dell’evoluzione del linguaggio, a partire da un originario significato di mettere in comune degli oggetti, idee, pensieri. Solo in epoca più recente si è aggiunto il significato di mettere in comune delle idee, tale accezione rappresenta sicuramente un senso più vicino a quello attuale.

Pur avendo sempre una base volontaria, la comunicazione non sempre contiene solo elementi coscienti e controllati da chi la emette, e non necessariamente porta ad un’interpretazione univoca in chi la riceve.

Poiché i pensieri e le emozioni che si vogliono trasmettere non possono essere trasferiti cosi’ come vengono pensati, si necessità di un sistema di traduzione (un linguaggio).

Esiste una pluralità di elementi che concorre a dar vita alla comunicazione. C’è un contenuto, che dovrebbe corrispondere al significato di ciò che passa da una parte all’altra; vi è una forma, che equivale alle modalità attraverso le quali è gestito e articolato il messaggio. Vi sono elementi linguistici, verbali, gestuali, toni di voce e pause di silenzio, espressioni e ritmo di parlata.

La comunicazione è un concetto indispensabile per la società, ma soprattutto per la psicologia applicata alla società: non esiste argomento in cui i processi comunicativi non giochino un ruolo fondamentale, anche se l’interesse per uno studio specifico è emerso solo di recente nella disciplina.

La comunicazione ha degli effetti pragmatici, vale a dire comportamentali, sui soggetti che vengono da essa raggiunti. L’interesse degli studiosi della Scuola di Palo Alto (California) è rivolto proprio a quanto appena detto. L’attenzione è focalizzata sul rapporto emittente-ricevente in quanto mediato dalla comunicazione; l’analisi riguarda sia l’effetto della comunicazione sul ricevente, sia l’effetto che la ricezione del ricevente produce sull’emittente.

Gli autori basano la loro elaborazione teorica su alcune proprietà semplici della comunicazione che hanno natura di assiomi, i quali servono ad illustrare certe caratteristiche di funzionamento della comunicazione interpersonale.

La principale proprietà del comportamento consiste nel fatto che non può avere un suo opposto. Non è possibile non avere un comportamento. Indipendentemente dal fatto che ognuno di noi sia in movimento oppure fermo, parli o resti in silenzio, dorma o agisca, viene percepito da chiunque lo circondi come una persona che è in uno stato specifico. Ognuno, dunque, comunica uno stato agli altri che lo percepiscono.

Il silenzio, ad esempio, è spesso un segnale che ha una forte valenza comunicazionale; può trasmettere collera, indifferenza, imbarazzo, sgomento, indignazione< Non si può quindi, non comunicare[3].

La comunicazione trasmette sempre un’informazione. Allo stesso tempo, però, essa impone un comportamento. L’informazione è, di fatto, una notizia; si trasmette un contenuto. Il comportamento è, invece, dettato dalla relazione tra i due comunicanti. L’impostazione e la natura di tale relazione corrisponde al tipo di messaggio che viene trasmesso.

Si può dire, quindi, che ogni comunicazione presenta un aspetto di contenuto e uno di relazione, in modo tale che il secondo classifica il primo ed è, quindi, metacomunicazione, (comunicazione sulla comunicazione)8.

Il terzo assioma introduce il concetto di punteggiatura, affermando che “la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti”. Questo significa che i nostri scambi comunicativi non costituiscono una sequenza interrotta, ma sono organizzati come se seguissero una sorta di punteggiatura: in tal modo è possibile identificare le sequenze di chi parla e di chi risponde, definire ciò che si considera come causa di un comportamento distinguendolo dall’effetto.

Il quarto assioma specifica che “gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico”. Il linguaggio numerico riguarda l’uso di parole, dispone di una sintassi logica e di estrema efficacia, per cui è lo strumento privilegiato per trasmettere dei contenuti.

Il linguaggio analogico, invece, consiste di tutte le modalità della comunicazione non verbale (gesti, espressioni del viso, inflessioni della voce, sequenza del ritmo e cadenza delle parole), che servono soprattutto a trasmettere gli aspetti riguardanti la relazione tra i partecipanti. L’attività di comunicare comporta la capacità di coniugare questi due linguaggi, nonché di tradurre dall’uno all’altro i messaggi da trasmettere e quelli ricevuti.

Il quinto assioma, infine, sostiene che “tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza”. Abbiamo un’interazione simmetrica, caratterizzata dall’uguaglianza, quando il comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro; se viene comunicato un atteggiamento di simpatia, in tal caso, le stesso caratteristiche saranno messe in evidenza dal partner, nel tentativo di minimizzare le differenze.

Le relazioni complementari sono caratterizzate invece dalla differenza esistente tra le persone; un partner assume una posizione superiore o predominante, l’altro occupa la posizione corrispondente, inferiore o sottomessa.

Appartengono a questa seconda categoria anche i rapporti stabiliti dal contesto sociale e culturale; è il caso dei rapporti tra padre e figlio, tra insegnante e alunno, tra medico e paziente. Nella maggior parte dei casi queste relazioni asimmetriche non vengono imposte in modo esplicito, ma ciascun soggetto si comporta in modo da presupporre il comportamento dell’altro, offrendogli al tempo stesso le ragioni perché tale asimmetria esista e perduri nel tempo.

Nella comunicazione, la simmetria e la complementarietà non sono in sè “buone” o “cattive”; entrambe svolgono delle funzioni importanti e sono necessarie nelle relazioni “sane”, ovviamente alternandosi ed operando in settori diversi.

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


[1] Pirovano F., La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore 2004, pp. 5

[2] Amietta G.B., Bentivenga S., Teoria della comunicazione, Stampa alternativa, Viterbo 1995, pp. 20

[3] Pirovano F., La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 16 8 Idem

Psicologia della comunicazione persuasiva: Introduzione

Introduzione 

Racchiuse in queste parole di Packard, al tempo insegnante di giornalismo all’Università di New York, vi era il pensiero di tutta un’epoca, quella a cavallo degli anni cinquanta, nella quale soprattutto la pubblicità che si proponeva di influenzare il comportamento dei cittadini, veniva usata in molti campi e presentava una grande varietà di tecniche ingegnose.  

Con il passare degli anni e dei decenni, la pubblicità ha continuato, ovviamente, ad avere il medesimo scopo. Quello che e’ cambiato, ed e’ evoluto ad altissimi livelli, e’ il ruolo che essa possiede nella società di oggi. E’ l’evolversi del sua invisibile persuasione, delle tecniche e tattiche sempre meno osservabili e sempre più influenzabili, a renderla una delle leve più importanti, complesse ed usate del marketing odierno.

Qualunque azienda, grande o piccola che sia, deve necessariamente affrontare ed affidarsi a questa politica, nata in tempi lontani. Anche gli antichi fenici erano soliti lasciare grandi scritte sulle rocce che sovrastavano le strade commerciali.

Da qui sono state rinvenute altre forme primordiali di pubblicità, fino ad arrivare ad una data storica; il primo annuncio pubblicitario stampato in lingua inglese del 1473[1]. Questi cenni storici, danno un’idea delle lontane origini della pubblicità e dell’importanza che essa ha sempre rivestito a prescindere dai modelli economici oggi esistenti.

Chiunque infatti, consapevolmente o meno, sfodera questa politica per raggiungere i propri scopi; sotto questo profilo, la pubblicità potrebbe essere definita un’arma psicologica a vari livelli, utilizzata da ognuno di noi.

Nell’uso comune non si parlo’ di pubblicità fino all’inizio del Novecento, quando il termine propaganda venne utilizzato per descrivere le tattiche di persuasione impiegate durante la prima guerra mondiale e quelle utilizzate in seguito dai regimi totalitari.

Propaganda fu definita originariamente la disseminazione di idee e opinioni di parte, spesso attraverso il ricorso a menzogne e inganni, ma quando si inizio’ a studiare l’argomento in maggiore dettaglio, molti si accorsero che la propaganda non era prerogativa dei regimi “malvagi” e totalitari, e che spesso essa non si riduceva soltanto a ingegnosi inganni.

La parola si e’ dunque evoluta fino a significare “suggestione” o “influenza” sulle masse attraverso la manipolazione di simboli e della psicologia dell’individuo.

La propaganda comporta l’abile uso di immagini, slogan e simboli che sfruttano i nostri pregiudizi e le nostre emozioni; e’ la comunicazione di un particolare punto di vista, con l’obiettivo di indurre il destinatario del messaggio ad accettare “volontariamente” questa posizione come se fosse la propria[2].

L’evoluzione della propaganda ha avuto il suo culmine con la diffusione della pubblicità. La fondamentale importanza che essa riveste nel mondo d’oggi, ha contribuito alle accuse di alcuni studiosi, definendola la causa della perdita della “sovranità” del consumatore.

Con questo esordio, si vuole intraprendere una strada ben precisa che analizza l’agire della pubblicità sui consumatori, ma soprattutto si tenterà di capire la dinamica delle strategie persuasive sulla psicologia dell’individuo.

Quindi, accanto al ruolo, assegnato alla pubblicità, di “manipolatrice” dei consumatori, si affianca quello di “illuminatrice” degli stessi, dal momento che viene definita come “la grande autrice del mercato moderno”, mettendo a disposizione dei consumatori un mercato in cui vi è massima libertà di scelta tra i prodotti e servizi concorrenti[3].

Negli ultimi sessant’anni molti psicologi sociali hanno studiato usi ed abusi quotidiani della persuasione, e hanno condotto migliaia di esperimenti per verificare le innumerevoli ipotesi sugli effetti di tale tipo di comunicazione. In questo modo e’ stato possibile individuare le tecniche di persuasione più efficaci e comprendere cosa rende persuasivo un messaggio.

In questo lavoro ho cercato di analizzare il modo in cui le dinamiche della comunicazione persuasiva si mettano in pratica nella realtà di tutti i giorni, attraverso una leva, apparentemente semplicissima – la pubblicità.

Sono partita dal processo della comunicazione, predisposizione fondamentale per la costruzione del messaggio, attraversando il campo della pubblicità, come contesto privilegiato in cui questa forma di comunicazione si realizza, per arrivare, infine, all’arte della persuasione vera e propria, analizzandone gli strumenti, le strategie e le dinamiche.

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich


 

[1] L’enciclopedia, La biblioteca di Repubblica, L’Espresso S.p.A., Divisione La Repubblica, 2003, vol. 16, pp. 681-682

[2] Una discussione sulla natura della propaganda e della persuasione in una democrazia e’ in

A.R. Pratkins e M.E. Turner, Persuasion and Democracy, 1996, pp. 187-205

[3] Lazzeri G. Aspetti qualitativi e quantitativi della pubblicità; conseguenze sui

consumatori e loro autotutela, in La pubblicità e il sistema dell’informazione, ERI, Torino 1984


Social privacy: come tutelarsi dai social network

SOCIAL PRIVACY: COME TUTELARSI NELL’ERA DEI SOCIAL NETWORK

PREMESSA:

DALLA VITA DIGITALE A QUELLA REALE

Il mondo delle reti sociali (da Facebook a Twitter, da Linkedin a Instagram) è in cambiamento incessante e il Garante per la protezione dei dati personali ne segue con attenzione gli sviluppi allo scopo di tutelare con efficacia giovani e adulti.

I social network offrono vantaggi significativi e immediati: semplificano i contatti, rendono possibili scambi di informazioni con un numero enorme di persone. Queste comunità online, però, amplificano i rischi legati a un utilizzo improprio o fraudolento dei dati personali degli utenti, esponendoli a danni alla reputazione, a furti di identità, a veri e propri abusi.

Non esistono più, infatti, barriere tra la vita digitale e quella reale: quello che succede on-line sempre più spesso ha impatto fuori da Internet, nella vita di tutti i giorni e nei rapporti con gli altri.

Proprio con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza degli utenti e offrire loro ulteriori spunti di riflessione e strumenti di tutela, il Garante ha deciso di aggiungere nuovi contenuti alla guida ai social network pubblicata nel 2009, mantenendone però la struttura agile che ne ha favorito in questi anni la diffusione e il facile utilizzo.

FACEBOOK & CO – I SOCIAL NETWORK

I social network (a volte definiti social media per enfatizzare il loro impatto non solo come reti sociali ma come veri e propri media auto-organizzati) sono “piazze virtuali”, cioè dei luoghi in cui via Internet ci si ritrova condividendo con altri fotografie, filmati, pensieri, indirizzi, amici e tanto altro. I social network sono lo strumento di condivisione per eccellenza e rappresentano straordinarie forme di comunicazione, anche se comportano dei rischi per la sfera personale degli individui coinvolti.

I primi social network sono nati in ambito universitario, tra colleghi che non si volevano “perdere di vista” e che desideravano “fare squadra” una volta entrati nel mondo del lavoro. Facebook, per citare uno dei più famosi, agli inizi era esattamente la traduzione virtuale dell’annuario, ovvero del “libro delle fotografie” della scuola. Una bacheca telematica dove ritrovare i colleghi di corso e scambiare con loro informazioni. Le più recenti evoluzioni della tecnologia consentono ai social network di integrarsi sempre più con i telefoni cellulari, trasformando i messaggi che pubblichiamo on-line in una sorta di sms multiplo che giunge istantaneamente a tutti i nostri amici.

Gli strumenti predisposti dalle reti sociali ci permettono di seguire i familiari che vivono in un’altra città.

Espandono la nostra possibilità di comunicare, anche in ambito politico e sociale, trasformandoci in agenti attivi di campagne a favore di quello in cui crediamo. Possono facilitare lo scambio di conoscenze tra colleghi e tra colleghi e impresa.

Ai tradizionali social network si sono aggiunte numerose piattaforme di messaggistica sociale istantanea (come WhatsApp), la cui crescita è andata di pari passo con la rapidissima diffusione di smartphone e di altri strumenti (dai tablet ai phablet, alle cosiddette tecnologie indossabili come occhiali e orologi “intelligenti”) che consentono la connessione alla rete in mobilità. I social network sono strumenti che danno l’impressione di uno spazio personale, o di piccola comunità. Si tratta però di un falso senso di intimità che può spingere gli utenti a esporre troppo la propria vita privata e professionale, a rivelare informazioni confidenziali, orientamenti politici, scelte sessuali, fede religiosa o condizioni di salute, provocando gravi “effetti collaterali”, anche a distanza di anni, che non devono essere sottovalutati. Tra l’altro, l’idea di impunità trasmessa dalla possibilità di utilizzare messaggi che si “autodistruggono” o di nascondersi dietro forme di anonimato può favorire in rete atteggiamenti aggressivi o violenti, in particolare verso le persone più giovani e indifese.

ALCUNI DEI SOCIAL NETWORK PIÙ DIFFUSI NEL MONDO

Facebook, Google Plus+, VKontakte, Qzone, WhatsApp, LinkedIn, Badoo, Twitter, LINE, WeChat, SinaWeibo, Orkut, Snapchat, Vine, Tencent QQ, Instagram, MySpace, Ask.fm, Tumblr.

IL GARANTE E LA PRIVACY SU INTERNET

La dignità della persona e il diritto alla riservatezza non perdono il loro valore su Internet. La tutela dei dati personali nel mondo interconnesso, per quanto più difficile, è pur sempre possibile, anche grazie alla collaborazione tra i Garanti della privacy, non soltanto europei, ma anche di altri Paesi.

L’Autorità italiana interviene direttamente in caso di violazioni di propria competenza. Ma è anche costantemente impegnata per rafforzare gli strumenti a difesa degli utenti e per aumentare la loro consapevolezza sui loro diritti e doveri on-line.

AVVISI AI NAVIGANTI VITA DIGITALE – VITA REALE

Non esiste più una separazione tra la vita “on-line” e quella “off-line”.

Quello che scrivi e le immagini che pubblichi sui social network hanno quasi sempre un riflesso diretto sulla tua vita di tutti i giorni, e nei rapporti con amici, familiari, compagni di classe, colleghi di lavoro. Ed è bene ricordare che l’effetto può non essere necessariamente immediato, ma ritardato nel tempo.

IL RICORDO DEL FAR WEST

Il web è spesso raccontato come un luogo senza regole dove ogni utente può dire o fare quello che vuole.

In realtà, le stesse regole di civile convivenza, così come le norme che tutelano, ad esempio, dalla diffamazione, dalla violazione della tua dignità, valgono nella vita reale come sui social network, in chat o sui blog. Non esistono zone franche dalle leggi e dal buon senso.

PER SEMPRE… O QUASI

Quando inserisci i tuoi dati personali su un sito di social network, ne perdi il controllo. I dati possono essere registrati da tutti i tuoi contatti e dai componenti dei gruppi cui hai aderito, rielaborati, diffusi, anche a distanza di anni. A volte, accettando di entrare in un social network, concedi al fornitore del servizio la licenza di usare senza limiti di tempo il materiale che inserisci on-line… le tue foto, le tue chat, i tuoi scritti, le tue opinioni.

IL MITO DELL’ANONIMATO

Non è poi così difficile risalire all’identità di coloro che pubblicano testi, immagini, video su Internet con l’intento di danneggiare l’immagine o la reputazione di un’altra persona. L’anonimato in rete può essere usato per necessità, ma mai per commettere reati: in questo caso le autorità competenti hanno molti strumenti per intervenire e scoprire il “colpevole”.

LA PRIVACY E IL RISPETTO DEGLI ALTRI

Quando metti on-line la foto di un tuo amico o di un familiare, quando lo “tagghi” (inserisci, ad esempio, il suo nome e cognome su quella foto), domandati se stai violando la sua privacy. Nel dubbio chiedigli il consenso. Non lasciarti trascinare dagli hater, dai troll, nel gioco perverso dei gruppi “contro qualcuno”: la prossima volta potresti essere tu la vittima.

NON SONO IO!

Attenzione ai falsi profili.

Basta la foto, il tuo nome e qualche informazione sulla tua vita per impadronirsi on-line della tua identità. Sono già molti i casi di attori, politici, personaggi pubblici, ma anche di gente comune, che hanno trovato su social network e blog la propria identità gestita da altri.

GIOCARE E FARSI MALE

Molti giovani, ma non soltanto loro, pensano che l’adozione di alcuni piccoli stratagemmi, come l’invio di messaggi che si “autodistruggono” dopo la lettura, possa metterli al riparo dai rischi di un uso inappropriato del materiale che viene così condiviso.

Questa falsa sicurezza può spingerti a scambiare, senza pensarci troppo, messaggi sessualmente espliciti (sexting), insulti gratuiti o semplicemente inopportuni.

Tutto quello che è condiviso, però, può sempre essere in qualche maniera salvato e riutilizzato. Se stai giocando, attento a non farti male.

E IL CONTO IN BANCA?

Attento alle informazioni che rendi disponibili on-line.

La data e il luogo di nascita bastano per ricavare il tuo codice fiscale. Altre informazioni potrebbero aiutare un malintenzionato a risalire al tuo conto in banca o addirittura al tuo nome utente e alla password.

DISATTIVAZIONE O CANCELLAZIONE?

Se decidi di uscire da un social network spesso ti è permesso solo di “disattivare” il tuo profilo, non di “cancellarlo”. I dati, i materiali che hai messo on-line, potrebbero essere comunque conservati nei server, negli archivi informatici dell’azienda che offre il servizio.

Leggi bene cosa prevedono le condizioni d’uso e le garanzie di privacy offerte nel contratto che accetti quando ti iscrivi.

LE LEGGI APPLICATE

La maggior parte dei social network ha sede all’estero, e così i loro server. In caso di disputa legale o di problemi insorti per violazione della privacy, non sempre si è tutelati dalle leggi italiane ed europee. Se desideri essere più sicuro sul rispetto dei tuoi diritti, sappi che le società che ti offrono i loro servizi da sedi dislocate in uno dei Paesi dell’Unione Europea devono sempre rispettare la normativa comunitaria e in essi è presente un’autorità di protezione dati (Data Protection Authority) che potrà intervenire, anche tramite il Garante, nel caso subissi violazioni alla tua privacy.

CHI PUÒ FARE COSA

Rifletti bene prima di inserire on-line dati che non vuoi vengano diffusi o che possano essere usati a tuo danno. Segnala al Garante della privacy e alle altre autorità competenti le eventuali violazioni affinché possano intervenire a tua tutela.

Ma ricorda: il miglior difensore della tua privacy sei innanzitutto tu.

LA LOGICA ECONOMICA: NIENTE È GRATIS

Le aziende che gestiscono i social network generalmente si finanziano vendendo pubblicità mirate. Il valore di queste imprese è strettamente legato anche alla loro capacità di analizzare in dettaglio il profilo degli utenti, le abitudini e i loro hobby, ma anche le condizioni di salute e l’orientamento politico o sessuale, le reti di contatti, per poi rivendere le informazioni a chi se ne servirà per promuovere offerte commerciali specifiche o per sostenere campagne di vario genere. Le informazioni raccolte su di te sono infatti usate per monitorare e prevedere i tuoi acquisti, le tue scelte, i tuoi comportamenti.

E ricorda: anche nel web, dietro l’offerta di un servizio “gratuito”, si nasconde lo sfruttamento per molteplici scopi dei tuoi dati.

CI SONO AMICI E AMICI

Nelle amicizie esistono differenti livelli di relazione a seconda che ci si rapporti con amici stretti o semplici conoscenti, compagni di classe o professori, partner commerciali o datori di lavoro. Sui social network spesso poniamo tutti sullo stesso piano, rischiando di scrivere o mostrare la cosa sbagliata alla persona sbagliata. Impara a distinguere chi aggiungi alla tua rete di “amici” in base all’uso che ne fai. Se il social network a cui sei iscritto te lo consente, decidi quali tipi di informazioni possono essere consultate dai differenti tipi di amici.

LA REPUTAZIONE DELLE IMPRESE

Anche le società che offrono servizi on-line e di social network hanno una reputazione da mantenere di fronte all’opinione pubblica.

Gran parte del loro valore di mercato e del numero di iscritti dipende anche dalla loro “immagine”.

Se una società adotta comportamenti scorretti nei confronti degli utenti o non risponde con celerità a richieste di aiuto – ad esempio contro il cyberbullismo e la diffamazione – parlane con gli altri utenti e segnalalo alle autorità competenti.

TI SEI MAI CHIESTO? SEI UN RAGAZZO/A:

Se sapessi che il vicino di casa o il tuo professore possono accedere al tuo profilo e al tuo diario on-line, scriveresti le stesse cose e nella stessa forma?

Sei sicuro che le foto e le informazioni che pubblichi ti piaceranno anche tra qualche anno?

Prima di caricare/postare la “foto ridicola” di un amico, ti sei chiesto se a te farebbe piacere trovarti nella stessa situazione?

I membri dei gruppi ai quali sei iscritto possono leggere le informazioni riservate che posti sul tuo profilo?

Sei sicuro che mostreresti “quella” foto con il tuo ex anche al tuo nuovo ragazzo/a?

Vuoi veramente far sapere a chiunque dove ti trovi (si chiama geolocalizzazione) e chi stai incontrando in ogni momento della giornata?

Prima di inviare, anche per gioco, un video sexy al tuo nuovo compagno, hai considerato che potrebbe essere condiviso con i suoi amici o con degli sconosciuti?

SEI UN GENITORE:

Hai spiegato a tuo figlio che non deve toccare il fornello acceso, lo hai educato ad attraversare la strada, a “non prendere caramelle dagli sconosciuti”… ma gli hai insegnato a riconoscere i segnali di pericolo della rete?

Gli hai insegnato a difendersi dalle aggressioni di potenziali provocatori o molestatori on-line? A non raccontare a tutti, anche a sconosciuti, particolari della sua vita privata e di quella degli amici?

Hai mai provato a navigare insieme a tuo figlio? Gli hai chiesto di mostrarti come si usa Internet e le reti sociali alle quali è iscritto?

Se vedi tua figlia turbata, le chiedi come è andata la giornata con i suoi gruppi sui social network?

Provi mai a farti spiegare dai tuoi figli quali sono gli argomenti di discussione più interessanti sui social network in quel momento? Ti informi se i tuoi figli hanno conosciuto nuovi amici in chat?

Hai cercato di capire se sono stati vittime di cyberbullismo o stalking o se fanno sexting?

Sai come funzionano le “app” sociali e di messaggistica istantanea che i tuoi figli hanno caricato sullo smartphone?

Conosci i rispettivi vantaggi e gli svantaggi che una persona ha nel collegarsi a un social network con la propria identità riconoscibile o in forma anonima? Ne hai discusso con i tuoi figli?

CERCHI LAVORO:

Sai che le società di selezione del personale cercano informazioni sui candidati utilizzando i principali motori di ricerca on-line o accedendo direttamente ai profili pubblicati sui social network?

Ti sei chiesto se le foto che hai pubblicato sui social network e i post che hai inserito potranno danneggiarti nella ricerca del tuo prossimo lavoro?

Le informazioni contenute nel curriculum che hai spedito all’azienda corrispondono a quelle che hai pubblicato su Internet, magari sul tuo profilo?

Quello che racconti della tua vita nelle tue “chiacchiere on-line” è coerente con le tue aspirazioni professionali? Lo sai che a volte basta cliccare un “mi piace” sui social network per essere “analizzati ed etichettati” in base alle proprie opinioni politiche, sessuali o religiose, con eventuali ripercussioni anche sul contesto lavorativo?

SEI UN UTENTE “ESPERTO”:

Hai verificato come sono impostati i livelli di privacy della tua identità?

Hai violato il diritto alla riservatezza di qualcuno pubblicando “quel” materiale?

Hai commesso un reato mostrando quelle foto a tutti, scrivendo quei post?

Hai verificato chi detiene la “licenza d’uso”, le “royalty” e la proprietà intellettuale della documentazione, delle immagini o dei video che hai inserito on-line?

Prima di installare sul tuo smartphone o sul tuo tablet una nuova “app”, hai verificato a quali dati personali accede il programma? E per quale motivo?

SEI UN PROFESSIONISTA:

Il gruppo di persone abilitate a interagire con la tua identità corrisponde al target professionale che ti sei prefissatodi raggiungere?

I gruppi ai quali sei iscritto sui social network possono avere effetti negativi sul tuo lavoro?

Se vieni contestato on-line da un componente iscritto alla tua rete sul social network, sei preparato a reagire in maniera appropriata?

Hai valutato se stai condividendo informazioni con qualcuno che può danneggiarti?

Sai che numerosi servizi di chat – inclusi quelli offerti dai siti di social network – permettono di registrare e conservare il contenuto della conversazione avvenuta con gli altri utenti?

Quando offri un servizio ai tuoi clienti, chiedi di essere retribuito per il tuo lavoro. Ti sei mai domandato come paghi i servizi “gratuiti” e le “app” che utilizzi su Internet?

 

10 CONSIGLI PER NON RIMANERE INTRAPPOLATI

  1. PENSARCI BENE, PENSARCI PRIMA

Pensa bene prima di pubblicare i tuoi dati personali (soprattutto nome, indirizzo, numero di telefono) in un profilo utente, o di accettare con disinvoltura le proposte di amicizia.

Ricorda che immagini e informazioni che posti in rete possono riemergere, complici i motori di ricerca, a distanza di anni.

Fai attenzione a quello che fai on-line e alle informazioni che condividi (in particolare se riguardano la tua salute o altri aspetti ancora più intimi) anche in forum o chat, perché potrebbe avere “effetti collaterali” sulla tua vita reale.

  1. NON SENTIRTI TROPPO SICURO

Prendi opportune precauzioni per tutelare la tua riservatezza, ma non illuderti di essere sempre al sicuro. Le foto e i video che scambi privatamente, magari di contenuto esplicito, possono essere sempre copiati e inoltrati ad altre persone “fuori dal giro dei tuoi amici”. Non esistono, tra l’altro, messaggi che si autodistruggono con assoluta certezza.

  1. SERRA LA PORTA DELLA TUA RETE E DEL TUO SMARTPHONE

Aggiorna l’antivirus del tuo smartphone. Usa login e password diversi da quelli utilizzati su altri siti web, sulla posta elettronica e per la gestione del conto corrente bancario on-line. Fai attenzione, inoltre, quando clicchi su uno dei tanti indirizzi internet abbreviati (ad esempio url tipo t.co, bit.ly oppure goo.gl) pubblicati sui social network, e verifica che non ti conducano a siti fasulli usati per rubarti i dati o per farti scaricare programmi con virus. Se possibile crea pseudonimi differenti in ciascuna rete cui partecipi. Non mettere la data di nascita (in particolare se sei minorenne) o altre informazioni personali nel nickname: così potrai rendere più difficile “tracciarti” o molestarti.

  1. RISPETTA GLI ALTRI

Astieniti dal pubblicare informazioni personali e foto relative ad altri (magari “taggandone” i volti) senza il loro consenso.

Sui social network e nella messaggistica istantanea uno scherzo o una semplice ripicca può facilmente degenerare in un grave abuso, facendoti rischiare anche sanzioni penali.3

  1. ATTENZIONE ALL’IDENTITÀ

Non sempre parli, chatti e condividi informazioni con chi credi tu. Chi appare come bambino potrebbe essere un adulto e viceversa. Sempre più spesso vengono create false identità (sia di personaggi famosi, sia di persone comuni) per semplice gioco, per dispetto o per carpire informazioni riservate. Basta la tua foto e qualche informazione sulla tua vita… e il prossimo “clonato” potresti essere tu.

  1. OCCHIO AI CAVILLI

Informati su chi gestisce il social network e quali garanzie offre rispetto al trattamento dei dati personali. Ricorda che hai diritto di sapere come vengono utilizzati i tuoi dati: cerca sotto “privacy” o “privacy policy”.

Accertati di poter recedere facilmente dal servizio e di poter cancellare (eventualmente anche di poter salvare e trasferire) tutte le informazioni che hai pubblicato sulla tua identità.

Leggi bene il contratto e le condizioni d’uso che accetti quando ti iscrivi a un social network. Controlla con attenzione anche le frequenti modifiche che vengono introdotte unilateralmente dal fornitore del servizio: capita spesso che i social network comunichino di aver cambiato i livelli di privacy che tu hai scelto per la tua identità solo alla fine di una lunga nota.

  1. ANONIMATO, MA NON PER OFFENDERE

Se lo ritieni opportuno, pubblica messaggi sotto pseudonimo o in forma anonima per tutelare la tua identità, non per offendere o violare quella degli altri.

Difendi la libertà di parola, non di insulto. Ricordati he in caso di violazioni non è poi così difficile risalire agli autori di messaggi anonimi postati su Internet.

  1. FATTI TROVARE SOLO DAGLI AMICI

Se non vuoi far sapere a tutti dove sei stato o dove ti trovi, ricordati di disattivare le funzioni di geolocalizzazione presenti sulle “app” dei social network, così come sullo smartphone e sugli altri strumenti che utilizzi per collegarti a Internet.

  1. SEGNALA L’ABUSO E CHIEDI AIUTO

Se noti comportamenti anomali e fastidiosi su un social network, se vedi che un tuo amico è insultato e messo sotto pressione da individui o gruppi, non aspettare e segnala subito la situazione critica al gestore del servizio affinché possa intervenire immediatamente. A tale scopo, alcuni social network rendono accessibile agli utenti, sulle pagine del proprio sito, un’apposita funzione (una sorta di pulsante “panic button”) per chiedere l’intervento del gestore contro eventuali abusi o per chiedere la cancellazione di testi e immagini inappropriate.

In caso di violazioni, segnala subito il problema al Garante e alle altre autorità competenti. Se sei tu la vittima di commenti odiosi a sfondo sessuale, di cyberbullismo o di sexting, se stanno violando la tua privacy, non aspettare che la situazione degeneri ulteriormente e chiedi aiuto alle persone a te care e alle autorità compenti.

  1. PIÙ SOCIAL PRIVACY, MENO APP E SPAM

Controlla come sono impostati i livelli di privacy del tuo profilo: chi ti può contattare, chi può leggere quello che scrivi, chi può inserire commenti alle tue pagine, che diritti hanno gli utenti dei gruppi ai quali appartieni. Limita al massimo la disponibilità di informazioni, soprattutto per quanto riguarda la reperibilità dei dati da parte dei motori di ricerca.

Controlla quali diritti di accesso concedi alle App che installi sul tuo smartphone o sul tuo tablet affinché non possano utilizzare i tuoi dati personali (contatti, telefonate, foto…) senza il tuo consenso. Se non desideri ricevere pubblicità, ricordati che puoi rifiutare il consenso all’utilizzo dei dati per attività mirate di pubblicità, promozioni e marketing.


© Il personal Branding – Marika Fantato


 

Personal branding: conclusioni

Conclusioni

Con la diffusione dei social network si è assistito a un progressivo spostamento delle nostre relazioni sociali dalla dimensione reale a quella virtuale della nostra esperienza, che sono andate legandosi in maniera sempre più stretta. Le tassonomie introdotte per organizzare queste nostre relazioni hanno contribuito a disegnare complessi grafi sociali e determinato cambiamenti nel modo di concepire la nostra identità in rapporto agli altri.

Si è molto dibattuto sul carattere pubblico o privato della nostra presenza nelle piattaforme social e non è facile arrivare a una definizione netta perché ogni servizio a cui accettiamo di aderire presenta differenti ribalte.

Una caratteristica distintiva di questo genere di relazioni è che i servizi social ci permettono di controllare con una certa precisione la visibilità di ogni nostra azione sociale. Siamo noi utenti a controllare e decidere quanto può divenire pubblico e quanto può restare privato. 

Anche se nel web tutti possono dire qualunque cosa di tutti (E-reputation), muoversi efficientemente in un social network può richiedere competenze anche più complesse rispetto quelle di un blog. Chi possiede queste competenze è avvantaggiato tanto nella vita personale quanto in quella lavorativa.

Posso ipotizzare dalle analisi fatte, che la competitività lavorativa è diventata ancora maggiore con il web, dove qualsiasi informazione viaggia in tempo reale e dal momento che tutto è cambiato è mutata anche la comunicazione e la condivisione.

I profili Facebook incentrati sull’utente stesso oggi sono diventati basilari per la self expression ovvero per esprimersi e comunicare con i propri contatti.

LinkedIn come gli altri social è uno degli strumenti per rendersi riconoscibili e distinguibili in una certa situazione o in questo caso posizione lavorativa.

Oggi con il web che incalza sempre di più nelle nostre vite abbiamo solo un’idea: alla base di tutto c’è quello che si vuole comunicare di sé stessi puntando sui propri punti di forza per apparire al meglio e migliori degli altri.

Come ho detto nel primo capitolo, il personal marketing è il processo con il quale una persona si può posizionare in modo distintivo sul mercato nell’ambito della sua professione e carriera lavorativa quindi deve basarsi su dei valori (idealismo, forza interiore, coraggio, perseveranza, fiducia e determinazione) e deve avere determinate caratteristiche personali (autostima, self efficacy, intelligenza emotiva, innovazion collaboratività, apertura mentale e pensiero sistemico).

Il Personal Branding rappresenta un cambio di prospettiva da quello che tu percepisci di te stesso a quello che percepiscono gli altri di te: una sorta di umanizzazione di noi sul web.

Ognuno di noi è possessore di un proprio nome e cognome: alcuni, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie, riescono a trasformare il proprio in un Brand da esporre sul mercato. Quando entriamo in contatto con amici, parenti o clienti e questi chiamano il nostro nome, automaticamente accostano il nome ad un insieme di caratteristiche ed emozioni che influenzano il modo di rapportarsi di questi soggetti nei nostri confronti; questo meccanismo è parte del fenomeno di Personal Branding, molto spesso in uno stadio inconsapevole cioè di primo livello.

Il Personal Branding è per tutti, dai liberi professionisti, soggetti con la voglia di sviluppare una loro attività professionale, soggetti desiderosi di cambiare professione o in cerca di impiego, a soggetti soddisfatti della loro attività professionale, ma desiderosi di migliorarla.

Il miglior Personal Brand nasce nel momento in cui il soggetto decide di mettersi in discussione svolgendo su sé stesso un analisi di tipo SWOT identificando in questo modo i propri punti di forza e debolezza (fondamentali da conoscere per definire la propria identità) e le opportunità di crescita e le minacce del settore nel quale si ha piacere di affermare il proprio marchio: ne sono l’esempio i due casi riportati di Clio e la Ferragni.

È naturalmente indispensabile essere competenti nel campo in cui si vuole affermare il Brand ma non solo, anche la reputazione condiziona il business, per questo è importante che il Personal Brander cerchi di agire sulla consapevolezza personale, sull’espressione di sé e sulla creazione di relazioni.

Le fasi più complesse del Personal Branding non sono tanto quelle di identificazione e sviluppo quanto il mantenimento nel tempo, a questo proposito è fondamentale essere sempre aggiornati e cercare di accrescere continuamente le proprie competenze investendo sulla propria formazione.

Alla luce di tutto ciò credo quindi, sia necessario riflettere con più attenzione sul tipo di relazioni sociali che costruiamo sui social network, per capire come questi strumenti influenzino il modo in cui i soggetti che li utilizzano costruiscono la propria immagine. Questo non soltanto perché i social network stanno diventando sempre di più il palcoscenico in cui presentiamo noi stessi e il nostro saper fare agli altri, ma soprattutto perché siamo noi, con le nostre azioni, a costruire, plasmare e determinare l’aspetto di questo palcoscenico.

Se pensiamo che ognuno di noi tramite il personale nome e cognome è in possesso di un potenziale marchio, ovvero il proprio marchio, possiamo già immaginare la mole di concorrenza che dobbiamo fronteggiare per affermare il nostro, ma è proprio in questo caso che la devianza è la chiave del successo perché se si è in grado di distinguersi e quindi diversificarsi dalla massa specializzandosi su di un argomento ed offrendo contenuti originali, il successo del proprio brand personale è assicurato.

È indispensabile, come già detto, rivolgersi a nicchie di mercato perché in questo modo ci sono maggiori possibilità che il Brand venga conosciuto dal pubblico, ma non solo, in questo modo il Brander ha maggior tempo a disposizione per imparare a gestire la propria attività e prepararsi al mercato di massa affermando gradualmente la propria presenza. Un elemento altrettanto importante per stimolare la conoscenza altrui del marchio è tramite il networking ossia parlare e ancora parlare con le persone sia nel contesto offline, sfruttando il luogo di lavoro per conversare, sia nell’online chattando con i membri della Rete.

Come sostiene Centenaro[1]:

Non ha più importanza dove la conversazione stia avvenendo, ma che la conversazione stia effettivamente avvenendo.”

In questo modo sarà molto più semplice generare una piccola community attorno al marchio e divenire per questa una micro celebrità.

Con il presente elaborato ho cercato di mettere in luce come il fenomeno del Personal Branding, pur essendo ancora poco conosciuto dagli estranei al settore, sia portatore di ottimi vantaggi ed occasioni se sviluppato e comunicato correttamente nel contesto online ed offline. Ho cercato di rendere questi aspetti ancora più visibili testimoniando casi reali di successo di Brand personali online.

Se ci si dedica alla propria passione con costanza, diviene inevitabile la realizzazione personale.

I risultati emersi dalle analisi sono stati davvero interessanti e positivi: indipendentemente dal settore di appartenenza è emerso l’importanza dei contenuti da pubblicare, del costante utilizzo dei social media per entrare in contatto con la propria community, ma soprattutto l’importanza dell’autenticità come elemento chiave per rapportarsi nella Rete.

L’obiettivo di questa tesi è di essere un utile spunto per coloro che, anche se non sicuri di entrare attivamente nel mondo della Rete, desiderano essere soddisfatti della loro vita poiché della loro passione vogliono farne fonte di serenità e guadagno.

Vorrei concludere con un’ultima riflessione: con i social network ci siamo abituati a condividere informazioni con amici e parenti, allontanando l’idea iniziale dell’internet come “non luogo”. Ci siamo rappresentati nella Rete con le stesse credenziali possedute offline e immettendo molti aspetti della nostra vita privata, sebbene rappresentassimo molteplici ribalte della nostra identità sociale o faccia.

Facebook recentemente ha lanciato una nuova app chiamata Rooms, dei forum di discussione dove le relazioni, i contatti, il nome non sono più importanti: le persone esistono perché esistono i loro interessi e non i loro connotati fisici. Lo scopo  di queste stanze è far tornare a condividere i propri pensieri con persone che hanno gli stessi interessi.

Un ritorno all’anonimato dunque, che rappresenta un deciso passo indietro verso il passato. Sono tornate le chat alle quali si accede tramite nickname, senza che questo possa essere ristretto o controllato in nessun modo. Un sistema che, nell’epoca dei profili Facebook ancorati a nomi e persone fisiche, sembrava ormai andato in disuso. Invece sembra che il social più utilizzato al mondo abbia preferito stringere i controlli da una parte proprio perché sapeva di starli per allentare dall’altra.

Sembra quasi di voler eliminare uno stereotipo molto fastidioso, quello di Facebook come violazione della privacy: non a quella delle foto che volontariamente mettiamo online, ma del controllo che viene fatto dei nostri dati e del nostro materiale cancellato, non sempre al di sopra di ogni sospetto come invece sarebbe dovuto essere.

Sui social che hanno delle regole implicite da seguire i soggetti cercano di mettere in scena la parte migliore di sé stessi, per aumentare la credibilità e avere una buona reputazione; ora con il ritorno di nickname/pseudonimi e dell’anonimato in queste chat le persone si sentiranno più libere anche di non indossare più delle maschere.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] Centenaro L., Personal Branding con i Social media, 2010.

Confronto tra Cliomakeup e Chiara Ferragni

Confronto tra Cliomakeup e Chiara Ferragni

Clio e Chiara sono due donne che hanno saputo, grazie al loro talento, sfruttare il momento, il mercato e i mezzi a disposizione.

Per quanto hanno sicuramente dei punti in comune come personaggi, credo che sia proprio la base ad essere diversa: Clio fornisce un “servizio”, la Ferragni ha un talento diciamo “intangibile”, il suo corpo il suo espetto esteriore, ed è diventata un’imprenditrice di sé stessa.

Esse si presentano con due stili comunicativi e due strategie di Personal Branding leggermente diversi: Chiara è cambiata, mentre Clio è rimasta coerente.

Entrambe però insegnano qualcosa e grazie alla loro personalità di Rete hanno in comune il fatto di aver cominciato quando erano solo delle ragazze di provincia, mettendosi alla prova davanti alla telecamera (Clio) e alla fotocamera (Chiara).

La differenza principale è quella riguardante i contenuti del blog: Clio scrive un blog ricco di foto e video-tutorial, ma anche con contenuti di testo in forma di articoli che terminano sempre con una domanda ai lettori del tipo Cosa ne pensate?, un modo per interagire e avere dei confronti al di là di trasmettere un contenuto visivo; mentre la Ferragni ha un blog interamente dedicato ai contenuti visivi, racconta la sua storia e le sue esperienze professionali attraverso le immagini.

Un’altra sostanziale differenza è la condivisione con i fan e gli utenti in Facebook di foto di Clio che la ritraggono con i suoi familiari e nella sua quotidianità, segno della sua spontaneità che l’ha caratterizzata dall’inizio e per tutto il suo percorso, perciò viene meno la linea di confine tra online e offline. Al contrario anche se spontanea, Chiara condivide meno foto personali, ma più foto professionali: se la spontaneità nelle immagini nei luoghi della sua città l’hanno resa famosa, la fama e il successo oggi, la fanno apparire un po’ più impostata e meno frizzante/spontanea. Chiara oggi sia sul blog che su Instagram rappresenta ogni giorno una ribalta nuova, indossando diverse maschere che non le impediscono però di farsi vedere per quello che è in realtà.

Entrambe postano foto e si taggano nei lavori che stanno facendo, dalle sfilate ai servizi fotografici, per tenere aggiornati i fans sulla loro vita professionale: una sorta di curriculum visivo, in modo da avere maggiore visibilità e mantenere la loro credibilità online.

Concludendo, i contenuti dei blog che gestiscono sono diversi, ma entrambe utilizzano molto la strategia del visual content per trasmettere emozioni e valori rappresentando due esempi perfettamente riusciti di Personal Branding.


© Il personal Branding – Marika Fantato


 

Analisi TheBlondeSalad.com

Analisi TheBlondeSalad.com

La sua biografia:

She inherited from her mother the passion for fashion and photography and already when she was a teenager she became popular on the first online communities, where she shared photos she was taking with her friends. In 2009, when blogs were not yet the today phenomenon, she launched TheBlondeSalad.com, to express herself and relate to

360°. [1]

Analizzando il testo quello che emerge per prima cosa è la sua passione. Come tutti i blogger di successo, alla base del lavoro di Chiara vi è una passione che la porta a diventare esperta e competente in qualcosa che si lega all’argomento moda: la fotografia.

Poi c’è l’esperienza sul campo, sul web, che ha permesso a Chiara Ferragni di guadagnarsi un nome autorevole, quale bene di valore assoluto.

Si è guadagnata notorietà nelle community dedicate alle foto e alla moda. Ha fidelizzato i fan e i lettori prima e poi ha aperto un blog. Infatti Chiara Ferragni era già famosa e quando è nato TheBlondeSalad.com il pubblico era già al suo “cospetto”.

Quello che ha reso famosa Chiara è il fatto di aver coltivato una passione per anni, guadagnando autorevolezza nelle community dedicate a un argomento ben preciso e aprendo un blog quando nessuno lo faceva. In altre parole è stata pioniere, ha creato e non ha seguito.

Con uno sguardo un po’ più critico possiamo analizzare il blog di Chiara affermando che il suo aspetto (è una bellissima ragazza) l’ha agevolata molto: lei più che parlare di moda ha lanciato il primo outfit blog italiano. Ha sfruttato inizialmente l’effetto passaparola e quello che la gente ama: “spiare” la vita di un’altra persona nei social. Non dimentichiamo poi che la Ferragni ha avuto un ragazzo che ha gestito tutto, che ha visto molto lungo e che secondo me è stato l’ideatore di The Blond Salad: Riccardo Pozzoli, attualmente il suo ex fidanzato, che gestisce tutto del blog e ha un’agenzia di comunicazione che si occupa di marketing per un sacco di aziende nel mondo moda e lusso. Anche da sola avrebbe avuto seguito, ma mettere fin da subito Chiara nel mercato medio-alto è stata un’intuizione di self marketing non da poco. Da questo punto di vista la Ferragni non è una blogger, ma un brand vero e proprio.

Tornando all’analisi del blog la sua particolarità è l’assenza completa di informazioni personali: cosa le piace davvero? cosa sogna? quali sono i suoi progetti per il futuro? ha paura? è felice? Questo è uno dei punti che la rendono un fenomeno sociale: è riuscita a diventare famosissima senza dire nulla. Ha avuto il pregio di proporre ogni giorno un outfit sempre diverso, con foto di qualità molto buona che mostrano una ragazza bella, sorridente, non in posa, che non cerca di fare la sexy, nè di essere particolarmente fuori dalle righe, ma solo spontanea.

Chiara Ferragni ha il merito di aver creato una sorta di industria che si basa su di lei, e di essere riuscita a diventare un’icona, senza essersi mai posta come un modello da seguire. Si è sempre distinta per la sua passione per la moda, ma non si è mai definita un’esperta.

Ha quindi creato un business grazie al quale ora ha grandi introiti economici e fama e grazie al quale molti altri blogger, anche più preparati di lei, hanno potuto percorrere la stessa strada lavorativa: ha aperto, almeno in Italia, un mercato dei fashionblog. Ha fatto un eccellente lavoro di Personal Branding e non ha mai fatto altro che farsi scattare fotografie, senza mai porsi come guru della moda.

Quello che si può notare è che il suo blog è ricco esclusivamente di visual content, con foto delle sfilate,  outfit per ogni occasione e una sezione dedicata allo shop online della CF collection.

A mio parere però un blog pieno di sole foto e pochi contenuti di valore, prima o poi dovrà essere rivisto come un blog anche di cultura, con contenuti di storia della moda ad esempio.

Chiara è la ragazza fashion che scatta foto di sé stessa con abiti alla moda per promuoversi come brand allo stesso modo nella vita online e offline. Lo faceva prima di diventare famosa e continua a farlo oggi che è diventata un fenomeno del web. Le marche che le fanno indossare i propri abiti vedono l’identificazione del marchio nella modella Chiara: una sorta di umanizzazione del brand con la modella, che aumenta la sua visibilità e credibilità.

Dai commenti dei fan emerge che Chiara è sicuramente una bella ragazza, che indossa look da diecimila euro e che vive delle esperienze straordinarie, ma rimane quella della porta accanto. Gli utenti infatti cercano una persona come loro, che viva delle belle esperienze e le racconti e Chiara lo fa attraverso le foto, ma in maniera professionale. Chiara, da quando ha aperto il blog, ha postato tutti i giorni e questo fa la differenza. Se va ad un evento o ad un party, si mette subito a scrivere il post e la foto da pubblicare il giorno dopo.

Ci si chiede da cosa è dipeso il successo online di Chiara e lo possiamo attribuire al fattore x, a quel quid in più che lei ha saputo valorizzare, oltre a trovarsi nel posto giusto nel momento giusto.

Le critiche negative, i flame, gli haters non sono stati fattori negativi per la reputazione di Chiara. Per arginare gli attacchi Chiara e lo staff che gestisce i suoi profili e blog, hanno moderato i commenti, che invece all’inizio erano liberi, non tanto per le critiche a Chiara, ma perché le persone iniziavano ad insultarsi tra di loro e ad offendere altri commentatori. Ho notato inoltre che i commenti costruttivi, anche se negativi, vengono pubblicati. Ad esempio se qualcuno scrive: “Chiara, oggi il tuo look mi fa proprio schifo, preferivo quello di ieri”, non lo cancellano.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] http://www.theblondesalad.com/about

Il caso della fashion blogger Chiara Ferragni

Il caso della fashion blogger Chiara Ferragni

Foto di Free-Photos da Pixabay

Chiara Ferragni ha iniziato la sua avventura da fashion blogger nel 2009, quando era studentessa di Giurisprudenza alla Bocconi di Milano, è riuscita nella non facile impresa di arrivare a guadagnare qualcosa come otto milioni di dollari all’anno e diventare un fenomeno che va ben oltre la sua cliccatissima pagina web.

Inizia con un account Flickr e apre solo in seguito il blog. In Italia la si conosce per essere il volto di The Blonde Salad, uno dei fashion blog più popolari e famosi del mondo, visitato da tutti coloro che vogliono tenersi aggiornati sulle ultime tendenze della moda o da chi è in cerca di ispirazione per i propri outfit.

La ventisettenne cremonese è riuscita nel corso di pochi anni a trasformare il suo blog in un business da milioni di dollari, che l’ha portata non solo a diventare uno dei volti di Guess, ma anche ad apparire in veste di giudice a Project Runway, il popolare talent show americano dedicato agli stilisti. Business of Fashion, uno dei più importanti siti web che si occupano del mondo della moda, l’ha definita una delle personalità più influenti nella moda internazionale, pronta a presenziare a tutte le più importanti kermesse dell’anno, da Cannes alle première dei film più attesi.

The Blonde Salad rappresenta  il 30% dei suoi introiti: il resto arrivano dalle partnership e, sopratutto, dalla linea di moda che porta il suo nome, lanciata circa un anno fa. La Ferragni ha trasformato il suo blog in un vero e proprio brand globale, usando la propria popolarità come base per lanciare la sua carriera di stilista e modella.

The Blonde Salad continua a essere la sua vetrina, più che uno strumento per fare soldi: il blog infatti, continua ad essere visitatissimo, ma lei è meno occupata a usarlo come fonte di guadagno, lo usa come uno strumento di marketing e di branding.

È la sua presenza sui social media, in particolare il suo account Instagram che conta quasi 3 milioni di follower, che fa aumentare la sua fama. Ogni giorno pubblica una foto che mostra come è vestita, insieme a qualche dramma personale, lo scorso giugno la fine della storia con il suo fidanzato le ha fatto superare il milione di follower e la gente può seguirla praticamente in diretta. I Brand inoltre la invitano per presentare eventi e la pagano per pubblicizzare su Instagram determinati prodotti.

Chiara Ferragni è definita un fenomeno sociale perché si è fatta largo in un mondo estremamente concorrenziale.

Ma perché i blogger sono così popolari? Come si crea tutto questo successo?

Gli hashtag#, ossia delle sorte di etichette date a ciò che viene condiviso per contraddistinguere ed individuare i temi e/o soggetti trattati, è sicuramente un buon modo. Ma lo strumento fondamentale sono i social, in cui occorre essere sempre continuativamente presenti. Le piattaforme più utilizzate sono: Facebook, Twitter e Instagram, a seguire Google+, YouTube e Pinterest.

Chiara in quanto brand utilizza la content strategy e usando Instagram si è ritagliata un ruolo importante, condividendo contenuti visivi utili e interessanti per i suoi follower. Ha acquisito quindi credibilità e autorevolezza nel settore in cui opera, infatti raccontare per immagini la storia di sé stessi e della propria professione aggiunge un valore emozionale al racconto.

A differenza di altri fashion blogger, la Ferragni, usa Facebook come un canale secondario, infatti la sua pagina contiene soprattutto foto importate dal profilo Instagram. Su Twitter, invece, Chiara Ferragni è nettamente la blogger più seguita con più di 200.000 followers. La maggior parte dei suoi tweet contiene link al blog o a foto su Instagram o alcuni dei suoi hashtag di riferimento come #theblondesaladneverstops.


© Il personal Branding – Marika Fantato