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La comunicazione persuasiva: Conclusione

La Comunicazione Persuasiva: Conclusione

 

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In questa tesi ho esplorato la credibilità e l’efficacia dei tentativi di confezionare e vendere prodotti, idee, comportamenti, attraverso abili tattiche di persuasione. Ho cercato di capire e di trasmettere le proporzioni di un fenomeno in continua ascesa; la comunicazione persuasiva, non più vincolata solo ai “consigli per gli acquisti”, è diventata un fattore indispensabile in molti settori professionali.

A livello personale, molti ritengono di essere in gran parte immuni da tentativi spesso sfacciati, proprio per via della loro ovvietà. Un sondaggio d’opinione ha dimostrato che una schiacciante maggioranza di persone ritiene che gli spot televisivi contengano argomenti menzogneri. I risultati indicano che più le persone sono istruite, più diventano scettiche, e che le persone scettiche ritengono che il loro scetticismo li metta al riparo dalla persuasione.

Il semplice fatto di pensare di essere immuni dalla persuasione, non significa necessariamente esserne immuni. Ad esempio, è dimostrato che i tentativi di educare i bambini  sulla pubblicità e i suoi scopi, portano ad un maggior scetticismo nei confronti della pubblicità, ma che questo scetticismo raramente si traduce in un desiderio minore per le marche pubblicizzate. Analogamente, molti adulti tendono ad acquistare un determinato prodotto per il solo fatto che viene pesantemente pubblicizzato[1].

Risultati simili sono stati dimostrati anche per coloro che, “conoscendo tutti i trucchi dei pubblicitari”, ritengono di essere al riparo dalla persuasione. Le comunicazioni dei mass media non sono tanto coinvolgenti o interessanti da indurci a seguirle con attenzione ma, paradossalmente, proprio per questa ragione sono più persuasive.

In questi casi, nonostante siamo consapevoli di essere la preda dell’ideatore dell’annuncio, non tentiamo con tutte le nostre forze di confutare il messaggio, e di conseguenza finiamo spesso con il lasciarci persuadere.

Quindi è doveroso considerare che il fatto di essere consapevoli dell’intento persuasivo, non significa non essere persuasi. Questo è possibile poichè essere consapevoli dell’intento persuasivo è un fattore conscio, mentre essere persuasi rientra nello spazio inconscio.   

I ricercatori hanno identificato un effetto detto della “terza persona”, ossia la tendenza a credere che i mezzi di comunicazione di massa influenzino più gli altri che noi stessi[2].

Eppure, la realtà dei fatti fa pensare che i tentativi di persuasione siano estremamente efficaci, dal momento che i successi in questo campo abbondano.

La capacità di influenzare gli altri non è la capacità di imporre le proprie ragioni, bensi’ quella di scoprire quali siano le leve motivazionali altrui che, se sollecitate, possono metterci nelle condizioni di guidare chi ci sta di fronte “all’acquisto” delle nostre ragioni[3].

Le persone, però, non sono solo riceventi delle comunicazioni persuasive, ma anche le fonti di tali messaggi. Molte professioni richiedono un alto grado di abilità persuasive; non solo il commercio, il diritto e la politica, ma anche la medicina, la scienza e l’insegnamento.

Analogamente, per coloro che lavorano per candidati politici o a sostegno di cause sociali o di iniziative di beneficenza, il successo nel procacciare voti, nell’ottenere firme in calce a una petizione, nel raccogliere fondi o nel diffondere informazioni dipende dalle rispettive facoltà di persuasione.

Concretizzando, si potrebbe dire che mettiamo in atto un tentativo di persuasione ogni qual volta elogiamo o critichiamo un oggetto, difendiamo o attacchiamo un’idea, propugniamo o avversiamo una posizione. La persuasione è diventata una capacità indispensabile per far funzionare le cose della vita nel modo migliore.

Infatti, l’uso che si fa delle informazioni – cosi’ come di ogni altra cosa – dipende soprattutto da chi le adopera e non tanto dalle informazioni in sè. Perciò, la persuasione non è l’arte di far fare agli altri ciò che loro non vogliono fare; è invece la capacità di motivarli all’ascolto, di convincerli ad essere convinti.

“Perciò è detto che se conosci gli altri e te stesso, non sarai in pericolo anche in centinaia di battaglie; se non conosci gli altri ma conosci te stesso, ne vincerai una e perderai l’altra; se non conosci gli altri nè te stesso, ogni battaglia ti sarà letale”. (Sun Tzu) 

 

Bibliografia

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[1] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino, 2003, pp. 437

[2] Davidson W, The third-person, in Public Opinion Quarterly, 1983, pp. 1-15

[3] Pirovano F, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2003, pp. 5

 


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La persuasione subliminale

La persuasione subliminale

 

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Il tema della persuasione subliminale ha avuto un forte impatto sull’immaginario collettivo ed è stato oggetto di dibattiti sin dalla sua apparizione, e ancora oggi, nè gli scienziati nè gli esperti di marketing sono giunti ad una conclusione definitiva.

Partendo dall’inizio, per percezione subliminale si intende la possibilità di recepire informazioni attraverso stimoli sensoriali che risultano al di sotto della soglia percettiva cosciente. In parole semplici, si parla di percezione subliminale quando uno stimolo non avvertibile in maniera cosciente perchè troppo debole, troppo confuso o troppo rapido, viene comunque percepito[1].

L’interesse per la persuasione subliminale risale ai primi del novecento, e nasce grazie ai sorprendenti risultati degli esperimenti condotti dal neurologo Otto Poetzel (riportati anche nell’edizione del 1919 de L’interpretazione dei sogni di Freud).

Poetzel sottoponeva dei soggetti a delle proiezioni di immagini per brevissime frazioni di secondo e poi chiedeva loro di disegnare ciò che avevano visto. Il giorno successivo, esaminava i loro sogni, scoprendovi quegli elementi o particolari delle immagini proiettate che il soggetto non aveva rilevato consciamente il giorno prima e che non aveva riportato nei suoi disegni91.

I risultati portavano alla luce il fatto che l’uomo vede e sente molto di più di quanto egli consapevolmente crede di vedere e sentire, e anche quando egli vede e sente senza saperlo rimane presente ed agisce nella sua memoria subconscia.

Questi risultati aprirono la strada ad una serie di studi sul fenomeno della percezione subliminale. Un esperimento recente che rappresenta un ulteriore testimonianza dell’esistenza della percezione subliminale, è quello condotto da Knust, Wilson e Zajonc nel 1996. Questo studio ha rilevato che i soggetti, dovendo scegliere tra due immagini neutre, preferivano quella a cui erano stati precedentemente esposti in forma subliminale.

Tutti questi studi riguardano il fenomeno della percezione subliminale; per quanto riguarda invece la persuasione subliminale, ovvero gli effetti che hanno gli stimoli percepiti in maniera subliminale sul comportamento, l’attenzione dei scienziati si è concentrata su questo fenomeno a partire dalla seconda metà degli anni ’50 del secolo scorso, in seguito al noto esperimento del pubblicitario James Vicary.

Questo fu il primo tentativo di usare la comunicazione subliminale come tecnica persuasiva. Vicary sottopose per sei settimane il pubblico ignaro di un cinema di Fort Lee, (New Jersey), a delle proiezioni subliminali che contenevano i messaggi “Eat popcorn” e “Drink Coke”. Le frasi apparivano ogni cinque secondi per un terzo di millisecondo, e quindi per un tempo troppo breve per poter essere percepite consciamente dagli spettatori.

Ciononostante, la cronaca riporta che le vendite di popcorn aumentarono del 58%, mentre quelle di coca-cola salirono del 18%.

L’opinione pubblica fu molto colpita da questi risultati e l’idea che la comunicazione subliminale potesse essere usata per manipolare il pensiero e il comportamento delle persone si diffuse velocemente, mettendo in allarme anche le autorità giudiziarie.

Vicary, messo alle strette, confessò in un’intervista del 1962, di aver inventato tutto per fare pubblicità alla sua agenzia pubblicitaria che verteva in grandi difficoltà.

Questo, però, non calmò le acque. Negli anni successivi, in tutto il mondo, in Belgio, in Gran Bretagna, e negli Stati Uniti vennero presi provvedimenti legali per vietare l’uso della pubblicità subliminale.

I ricercatori e gli studiosi di psicologia si dimostrarono molto scettici riguardo al potere della persuasione subliminale. C’erano moltissime ricerche che confermarono l’esistenza della percezione subliminale, ma queste avevano utilizzato stimoli semplici, non era ancora stato dimostrato un effettivo impatto dei messaggi subliminali sulle scelte e i comportamenti delle persone.

Come riportano molti autori (Moore 1988; Pratkanis 1992; Merikle 2000), è sicuramente vero che gli esseri umani percepiscono anche stimoli di cui non sono consapevoli, ma non è conosciuto in maniera definitiva se tali percezioni abbiano poi un reale effetto sulle motivazioni e sul comportamento. Se, quindi, è stata dimostrata l’esistenza della percezione subliminale, non è ancora stata dimostrata la possibilità di una persuasione subliminale.

Di recente, si è arrivati alla conclusione che la percezione subliminale non sia percezione in assenza di sensibilità allo stimolo, ma che piuttosto consista in una dissociazione tra l’oggettiva percezione dello stimolo e la consapevolezza soggettiva della percezione avvenuta. In pratica, si tratta di una percezione in assenza di consapevolezza[2].

In primo luogo, esistono prove della percezione subliminale, ossia di un’elaborazione minimale dell’informazione al di sotto della soglia della coscienza. In secondo luogo, nessuno di questi lavori presenta prove chiare a supporto dell’ipotesi che i messaggi subliminali siano capaci di influenzare il comportamento.

Come afferma lo psicologo cognitivo Timothy Moore:

Non esiste una documentazione empirica di effetti subliminali sufficientemente forti da indurre comportamenti particolari o da modificare la motivazione. Inoltre, tale nozione è contraddetta da molte ricerche ed è incompatibile con le concezioni dell’elaborazione dell’informazione, dell’apprendimento e della motivazione che sono state sviluppate sperimentalmente[3].

Nonostante gli psicologi continuassero a pubblicare i risultati di studi che dimostravano l’infondatezza scientifica della possibilità di modificare il comportamento delle persone per via subliminale, tale credenza continuava ad esistere.

In una serie di quattro libri di successo, Wilson Brian Key contribuì a dare larga diffusione alla credenza circa l’efficacia persuasiva della comunicazione subliminale, portando all’attenzione la possibilità di un uso generalizzato delle strategie subliminali[4].

Key sostiene che tali tecniche non sono limitate alla televisione o al cinema. Messaggi accuratamente occultati, il cui obiettivo è indurre all’eccitazione sessuale, sono presenti spesso nelle fotografie e nelle immagini della pubblicità, della stampa e dei cartoni animati. Inoltre, denunciava l’esistenza di un complotto internazionale tra pubblicitari e governanti per controllare le menti dei consumatori attraverso l’uso di tecniche subliminali.

Key ha condotto degli esperimenti a sostegno dell’efficacia della seduzione subliminale. Nella maggior parte degli studi però, è assente un gruppo di controllo o di confronto. Scoprire che il 62% dei soggetti avverte una sensazione di eccitazione, romanticismo o soddisfazione nel guardare uno spot sul gin in cui la parola “sesso” viene nascosta nei cubetti di ghiaccio, non dice nulla sull’efficacia dell’inserimento di riferimenti sessuali.

Cosa accadrebbe se la parola “sesso” venisse cancellata dai cubetti? Il 62% dei soggetti, forse, continuerebbe a sentirsi romantico e soddisfatto. Forse il loro numero aumenterebbe, forse diminuirebbe. Senza termini di confronto non possiamo sapere. Gli esperimenti non sono riusciti a confermare le congetture di Key a proposito della seduzione subliminale[5].

Come sintetizza bene Pratkanis, furono condotti nove importanti esperimenti per valutare l’efficacia dei messaggi subliminali, e tutti e nove ne dimostrarono la totale infondatezza.

“Di fatto, e a discapito di quanto si scriva sui libri, sui giornali, le tattiche di influenza subliminale non si sono dimostrate efficaci. Certamente, come tutto ciò che riguarda la scienza, qualcuno un giorno potrà forse sviluppare una tecnica subliminale che funzioni, cosi’ come in futuro un chimico riuscirà forse a trasformare il piombo in oro. Personalmente, io non acquisterei piombo legandomi a questa speranza”[6].  

Come emerge chiaramente da quanto detto fin ora, il tema della persuasione subliminale è ancora avvolto in una grande confusione, soprattutto a causa dell’ultimo esperimento condotto.

Secondo una nuova ricerca condotta da alcuni studiosi  dell’Università di Nijmegen, in Olanda, la pubblicità subliminale sarebbe efficace per la promozione di un brand, se certe condizioni sono rispettate.

In un primo studio, i ricercatori hanno invitato un gruppo di 61 volontari a contare una stringa di “B” mostrata su no schermo, mentre, a loro insaputa, venivano fatti apparire flash della durata di 23 millisecondi.

Il messaggio che veniva mostrato a un gruppo conteneva le parole “Lipton Ice”, mentre all’altro gruppo veniva passato un messaggio privo di senso: “Nipeic Tol”.

Al termine di questo primo test, venne chiesto ai volontari di indicare quanta sete avessero e di scegliere quale bevanda preferissero tra il Lipton Ice Tea e un brand di acqua minerale locale, la Spa Rood. Coloro che si erano definiti assetati, tendevano a preferire il Lipton Ice Tea, ma solo se avevano ricevuto il messaggio subliminale.

In un secondo studio, i ricercatori olandesi avevano a disposizione un nuovo campione di 105 volontari. La metà di questi fu invitata a mangiare un cibo molto salato, prima che il test precedente fosse ripetuto. Il dato interessante è che l’80% di coloro che avevano sete e furono esposti alla pubblicità subliminale del Lipton Ice Tea, hanno scelto quel prodotto.

Invece, solo il 20% di quelli che avevano ricevuto come messaggio subliminale il “Nipeic Tol”, hanno preferito il Lipton. Inoltre, più uno dei volontari aveva sete, e più alta era la probabilità che scegliesse il noto brand produttore di tè. Il prossimo obiettivo di questi ricercatori, sarà riuscire a determinare quanto a lungo perdura l’effetto di una pubblicità subliminale[7].

Per concretizzare, possiamo dire che ciò che la ricerca scientifica ci permette di asserire con certezza riguardo al fenomeno della persuasione subliminale è che il fenomeno esiste, ma si presenta soltanto in particolari condizioni controllate.

Queste includono, ad esempio, la definizione della soglia percettiva individuale per ciascun soggetto sperimentale e un ambiente controllato e privo di ulteriori forme di stimolazione. Condizioni, che, com’è ovvio, difficilmente abbiamo nella vita normale, dove ci sono interferenze e sovrapposizione di altri stimoli, è l’agire è determinato da processi decisionali complessi ed articolati[8].

Si è visto inoltre, che la percezione subliminale, quando avviene, riflette comunque l’abituale modo di interpretare gli stimoli di ciascun soggetto, e che quindi sia, in qualche modo, filtrata dagli schemi e dalle credenze degli individui; gli effetti, infatti, sono molto più intensi e di maggior durata se gli stimoli sono ritenuti significativi ed importanti dai soggetti che li ricevono. Tutto ciò riduce notevolmente il potere manipolatorio, paventato da molti, che è stato attribuito ai messaggi subliminali[9].

Infine, credere alla persuasione subliminale soddisfa un’esigenza avvertita da molti individui. Nella nostra età della pubblicità e della propaganda, le persone hanno scarse informazioni sulla natura della persuasione. Il risultato è che molti si sentono confusi e sconcertati di fronte ai processi sociali fondamentali.

La persuasione subliminale è presentata come una forza irrazionale che sfugge al controllo di colui che riceve il messaggio. Come tale, essa assume una qualità “soprannaturale”, in grado di giustificare e spiegare il motivo per cui le persone spesso vengono persuase a intrattenere comportamenti apparentemente irrazionali.

Nonostante lo scetticismo degli scienziati, l’interesse per il fenomeno non è andato scemando. L’affascinante idea della possibilità di manipolare e controllare le menti – soprattutto in relazione al potere dei mass media e della politica – rimane interessante per molte professioni. Il dibattito rimane ancora aperto.


[1] Merikle P, Skanes H, Subliminal self-help audiotapes: a search for Placebo Effect, manoscritto non pubblicato, University of Waterloo, London, Ontario 1991  91 www.psicolab.net/index.asp

[2] www.psicolab.net/index.asp

[3] Moore T, Subliminal advertising, in Journal of Marketing, 1982, pp. 38-47

[4] Key W.B., Subliminal seduction, Englewood Cliffs, NY, 1989

[5] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino 2003, pp. 385

[6] www.vertici.com/rubriche/approfondimenti.htm

[7] www.marketingroutes.com/pubblicità-subliminale-funziona

[8] www.disinformazione.it/messaggisubliminali.htm

[9] www.encanta.it/psicologia.htm

 

 


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Il messaggio persuasivo e la sua formulazione

Il messaggio persuasivo e la sua formulazione

 

 

Per essere persuasivo, un messaggio deve essere capito, e quindi, deve essere chiaro, ma non solo questo. Deve essere accattivante e attraente soprattutto per l’impatto visivo.

I responsabili del marketing, da circa un secolo, usano le confezioni per pilotare le decisioni dei consumatori, da quando, alla fine dell’Ottocento, la Quaker Oats cominciò ad inscatolare l’orzo macinato in un contenitore decorato dalla figura di un quacchero che avrebbe dovuto suggerire la purezza e la consistenza dei suoi cereali. Nel 1898, si rafforzò l’immagine di sano alimento per la colazione dei cereali, aggiungendo ad ogni scatola una copia dell’opuscolo The Road to Wellville, – “la strada per la città del benessere” – le vendite decollarono.  

Il disegno delle confezioni è uno stimolo cosi’ efficace che le marche generiche cercano di approfittarne facendo in modo che le loro confezioni – il colore delle etichette, la forma del contenitore – assomiglino alle marche nazionali più vendute.

Altre tecniche di stimolo usate per incoraggiare i consumatori sono il prezzo, l’immagine del negozio e la marca. Ciascuna di esse suggerisce la qualità del prodotto secondo regole proprie. Quanto più il prezzo è alto, tanto maggiore è la qualità. Può essere vero se si parla di Rolls Royce, ma non necessariamente nel caso dei vini, delle medicine o delle scarpe da ginnastica.

Lo stesso paio di jeans ha un aspetto migliore in un grande magazzino rinomato che nel mercato. Le marche conosciute a livello nazionale sono automaticamente ritenute superiori alle marche dei grandi magazzini e a quelle generiche.

Come il prodotto, anche le persone possono essere confezionate. Le prime informazioni che raccogliamo a proposito di una persona (sesso, età, attrattive fisiche, status sociale) sono, di solito associate a stereotipi che guidano il pensiero.

Le persone di elevata posizione sociale, individuate dall’abbigliamento o dalle maniere, sono a priori rispettate e stimate. Ugualmente, le persone di bell’aspetto sono ritenute di maggior successo, più sensibili, rispetto alle persone fisicamente meno attraenti.

Ritornando alla pubblicità, i pubblicitari John Caples e David Ogilvy sostengono che le pubblicità sono più efficaci quando contengono materiale abbondante e irresistibile, un messaggio lungo con molti argomenti[1].

È ovvio che un messaggio del genere è più efficace di un messaggio breve con argomenti deboli, quando però il messaggio viene letto. Secondo le ricerche della psicologia sociale, quando le persone non riflettono su una questione, i messaggi lunghi, indipendentemente dal fatto che contengano argomenti deboli o forti, sono i più persuasivi[2].

Un’altra tecnica di persuasione spesso impiegata consiste nel caricare un messaggio di simboli e clichè tecnici corretti, che informano il ricevente che il messaggio è accettabile e attendibile. Alcuni politici, ad esempio, appaiono spesso con la bandiera o invocano dio, come per dire: “la mia posizione è patriottica e religiosa, dunque merita di essere accettata”.

I segnali di stimolo, possono essere falsi. Ci sono poche ragioni per presumere che le immagini di marca e gli stereotipi abbiano qualche fondamento nei fatti. Un altro problema è che le tecniche di stimolo possono essere facilmente falsificate e manipolate.

Le scatole dei cereali possono essere ridisegnate in modo da avere un aspetto sempre più salutare, risate e applausi possono essere doppiati in una trasmissione, i politici possono essere allenati a trasudare manierismi accattivanti, le attrattive fisiche possono essere migliorate attraverso il trucco o la chirurgia. L’essenza della pubblicità è una confezione ben disegnata.

Nel mondo pubblicitario, i professionisti usano molti sistemi di persuasione. Un vecchio trucco è “Se non avete nulla da dire, cantatelo!” in altre parole, una moderata distrazione, (fornita da una canzone, da un’immagine), può ostacolare la formulazione di obiezioni e accentuare l’efficacia di un messaggio persuasivo.

La canzone fa sentire felice la gente, e spesso questa felicità in qualche modo potenzia l’efficacia del messaggio, attraverso pensieri positivi che vengono associati al prodotto. Altre volte, il motivo rimane in mente a ricordarci il nome del marchio. In altri casi, un motivo orecchiabile o l’invadenza dello spot può attirare la nostra attenzione su di esso in misura sufficiente a impedirci di cambiare canale, con il risultato minimo di ascoltare il messaggio pubblicitario.

Tuttavia, quando i pubblicitari dicono “Se non avete nulla da dire, cantatelo!”, di solito intendono dire che una canzone o una scena d’amore piccante o qualsiasi altro elemento irrilevante, può distrarci al punto da interrompere la naturale formazione di contro argomentazioni a un messaggio debole e incongruente[3].

Non tutti i pubblicitari però, sono d’accordo col detto “cantatelo!”. Nei consigli che indirizza ai colleghi pubblicitari, David Ogilvy88 chiama “artdirectorite” questo tipo di licenza creativa e invita i colleghi ad astenersene.

Recentemente i pubblicitari televisivi hanno introdotto una tecnica nuova e più sottile che può distrarre e disturbare l’elaborazione dei messaggi; la compressione dei tempi. Per risparmiare sui costi dei media, i pubblicitari possono comprimere uno spot televisivo di trenta secondi facendolo girare al 120% della sua velocità normale. Da un punto di vista psicologico, gli spot compressi sono più difficili da confutare.

Una serie di studi compiuti da Denny Moore, studioso di psicologia del consumatore, conferma la relazione tra compressione dei tempi, distrazione e persuasione. Scopri’ che i soggetti non erano altrettanto in grado di produrre obiezioni se messi di fronte ad un messaggio accelerato e che la compressione di un messaggio fatto di argomenti forti riduce la persuasione, mentre potenzia l’impatto persuasivo di un messaggio contenente argomenti deboli.

Sono in uso una varietà di tattiche per distrarre dall’elaborazione di un messaggio. Questa distrazione, se moderata, può condurre ad una maggiore persuasione[4].


[1] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino 2003, pp.214

[2] Caples J, Tested advertising methods, Prentice Hall, 1974

[3] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino 2003, pp. 247 88 Ogilvy, La pubblicità, pp. 88

[4] Fabi C, Marbach G, L’efficacia della pubblicità, ISEDI, Torino 2000, pp. 170

 

 


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Strategie di persuasione nella comunicazione diretta

Strategie di persuasione nella comunicazione diretta

 

 

La comunicazione diretta sembra quella che ha maggiore influenza e che permette l’adattabilità immediata al feedback del destinatario. Inoltre, coinvolge in maniera più evidente tutti gli aspetti della comunicazione e di relazione del mittente. L’influenza e la persuasione che possono scaturire da un contatto diretto con un venditore, sono nettamente più efficaci ed efficienti.

La comunicazione commerciale diretta, sia essa alla presenza del consumatore o attraverso mezzi interattivi, si basa su un principio fondamentale: il destinatario non deve mai rendersi conto del fatto che sta subendo una manipolazione, in caso contrario tenderà a rifiutare il testo ed eventualmente anche a percepire negativamente tutto il contesto della comunicazione.

Lo studio più completo e recente in questo settore è quello del già citato Cialdini. Questo autore ha studiato molte forme di persuasione diretta e le ha organizzate in sette principi fondamentali:

? gli automatismi

? il coinvolgimento

? la reciprocità

? la validazione sociale

? la piacevolezza[1]

? la scarsità

? l’autorità

Alcuni di questi principi sono già stati analizzati nei capitoli precedenti. Molti fanno parte della vita comune di tutti i giorni e toccano un’area più vasta di quella legata alla vendita di un prodotto, cioè quella dei rapporti interpersonali.

I principi di automatismo

Il principio di automaticità è fondamentale e si basa sul fatto che le persone usino euristiche o scorciatoie del pensiero per fare processi. Quando le persone agiscono automaticamente o senza pensarci sono molto più suscettibili alle tecniche di persuasione.

In genere si utilizzano euristiche in un processo di acquisto o di riacquisto quando le persone sono poco motivate. Secondo Langer (1989) le persone passano gran parte del tempo di una giornata in uno stato di scarso pensiero cosciente, in quanto le azioni abituali che vengono compiute non lo richiedono e subentra quindi una selettività per cui solo alcune azioni o oggetti del mondo esterno richiedono piena attenzione e consapevolezza per poter essere valutate o fatte, mentre per tutto il resto si mettono in atto processi automatizzati.

L’esperimento di Ellen Langer illustra bene come una sola parola possa attivare il meccanismo di persuasione. In coda ad una fotocopiatrice, chiedendo a qualcuno di lasciarli fare delle fotocopie, otteneva un si nel 95% dei casi, dicendo “Scusi, ho 5 pagine. Posso usare la fotocopiatrice, perché ho una grande fretta?”, ma solo il 63% dei casi dicendo “Scusi, ho 5 pagine.

Posso usare la fotocopiatrice?”

Il perché era la parola chiave che faceva scattare una risposta automatica di acquiescenza. Non era tanto ciò che veniva detto dopo ad essere importante, bensì la parola stessa. Se la domanda era “Scusi, ho 5 pagine. Posso usare la fotocopiatrice  perché devo fare delle copie?”, non veniva aggiunta alcuna giustificazione per il lasciapassare. Con la fotocopiatrice si possono fare solo delle copie, eppure la percentuale di successo balzava di nuovo al 93%[2].

La maggior parte delle tecniche persuasive individuate da Cialdini si basano fondamentalmente su processi euristici del destinatario, il quale, per poter resistere alla pressione persuasiva, ha come unica possibilità l’abbandono del pensiero euristico.

Il principio del coinvolgimento

Su questo concetto si basa una delle tecniche di vendita proposte da Cialdini, ovvero la tecnica del piede nella porta. Questo tipo di persuasione funziona ponendo al destinatario prima una piccola richiesta, seguita da una più grande, ad esempio, dopo un piccolo questionario, si procede con un’operazione di vendita. Molti venditori confidano sul fatto che dopo un piccolo acquisto si tenderà a farne uno più costoso.

Il principio di reciprocità

Si basa sul concetto di scambio, se qualcuno fa un favore a qualcun altro, quest’ultimo si sentirà in qualche modo obbligato a restituirlo. Cialdini fa notare che le persone tendono a restituire proporzionalmente di più di quanto hanno ricevuto.

L’esempio è la tecnica del solo un penny. Questa tecnica funziona attraverso la richiesta di qualcosa di minimo, che sembra essere difficilmente rifiutabile da parte del destinatario. Cialdini fa notare che con questo sistema non diminuisce la quantità del denaro versato come invece ci si potrebbe attendere. Si è peraltro evidenziato, che questa tecnica funziona sia nella comunicazione diretta faccia a faccia, sia attraverso il telemarketing.

Il principio di validazione sociale

Questo principio si basa su un’operazione euristica che può essere messa in atto a fronte di un successo o di un desiderio percepito come socialmente condiviso da molte altre persone[3].

La fama porta per molti versi al crescere del consenso in un meccanismo che si autoalimenta. Ciò vale sia per i personaggi che per i prodotti. Molte tecniche relative a questo principio vengono utilizzate nella vita quotidiana, dai musicisti di strada che riempiono i cappelli di monete per far credere di aver ricevuto apprezzamento da molte persone, alle risate finte nelle commedie televisive; sono tutti esempi dell’utilizzo del principio di validazione sociale.

La validità di un’idea aumenta con il numero di persone che la supportano, in quanto l’opinione degli altri può essere estremamente informativa, specialmente nelle condizioni di ambiguità e di incertezza[4].

Sullo stesso principio si basa la tecnica del presentare al destinatario una lista di nomi di persone (famose) che hanno supportato una determinata idea, fattore che può essere di grande impatto ed efficacia.

Il principio della piacevolezza

Si basa sul fatto che la piacevolezza può essere direttamente proporzionale all’influenza o alla persuasione, ovvero all’aumentare della piacevolezza aumenta anche il potere persuasivo. La piacevolezza viene relegata da Cialdini a due aree di base, la bellezza e la simpatia.

Anche l’attrazione fisica ha un peso importante, legato ad un processo euristico (si tende a ritenere che alla bellezza fisica si accompagni anche la gentilezza, l’onestà, l’intelligenza, la socievolezza), generalizzando quindi un singolo tratto per implicarne altri.

Uno studio sulla comunicazione politica negli Stati Uniti, condotto da Efran e Patterson nel 1976, ha dimostrato che i politici ritenuti fisicamente belli, arrivavano ad avere il doppio  dei voti rispetto agli altri.

Il principio della scarsità

Prevede che gli oggetti di cui si percepisce la penuria siano considerati di maggior valore da parte dei destinatari, questo è dovuto anche al fatto che nel mercato del consumo di massa, le persone spesso individuano la loro unicità attraverso il possesso di oggetti unici o rari.

Per creare questo effetto, le aziende possono contenere la produzione di alcuni prodotti (facendo pochi pezzi, dedicati a collezionisti), oppure possono limitare la distribuzione (usando solo alcuni punti vendita).

Il principio di autorità

Come già accennato nei capitoli precedenti, la percezione dell’autorità nel mittente può essere un forte fattore di influenza.

Si deve comunque considerare che, se il destinatario non è a conoscenza del ruolo autorevole del mittente prima della comunicazione, quest’ultimo può utilizzare simboli e segni di status sociale per affermare implicitamente la propria autorità o il proprio potere (oggetti, comportamenti, atteggiamenti).

 


[1] Cialdini R, Le armi della persuasione. Come e perchè si finisce col dire di si, Firenze 1989, Giunti/Barbera, pp. 70

[2] www.xenu.com-it.net/libri/cults/singer08.htm

[3] Vannoni D, Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria 2003, pp. 45-49

[4] http://www.internetica.it/manipolazione.htm

 


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I fattori della comunicazione persuasiva

I fattori della comunicazione persuasiva

 

 

 

Ritornando allo schema della comunicazione persuasiva, bisogna distinguere quali sono le caratteristiche dei differenti fattori che si devono prendere in considerazione.

? IL MITTENTE – colui da cui sembra partire la comunicazione. Nel processo comunicativo, tale soggetto può essere una fonte diretta, ovvero, un amico o un venditore, o una rappresentazione attraverso un testimonial o uno speaker nella pubblicità, o una fonte indiretta; non trasmette direttamente un testo, ma guida l’attenzione.     

Nell’ambito delle decisioni di acquisto, si è individuato che le fonti personali di influenza (amici, parenti) sono quelle più efficaci. Le caratteristiche dell’emittente influenzano profondamente l’elaborazione del testo ed il peso che il soggetto gli attribuisce; possono avere un ruolo emotivo nella comunicazione.

Diverse caratteristiche sembrano essere coinvolte nel rendere una fonte persuasiva, in particolare modo Hovland e Weiss, in un loro famoso esperimento del 1951, individuavano le fonti esperte, credibili o attraenti come le più efficaci, ma possiamo individuare ulteriori caratteristiche quali l’essere conosciuta o popolare, tipizzare il destinatario, avere il potere di premiare o punire il destinatario in qualche modo. Ognuna di queste caratteristiche influenza gli atteggiamenti ed il comportamento con processi differenti.

? La credibilità influisce a livello cognitivo sull’interiorizzazione della comunicazione e può quindi condurre più facilmente ad una modificazione della struttura cognitiva;

? l’attraenza porta invece, attraverso un processo fondamentalmente emotivo, all’identificazione con il mittente e quindi alla possibile condivisione o accettazione dei valori, delle emozioni e dei contenuti di testo;

? il potere può invece portare a processi di compiacenza, ovvero ad adesioni (a volte solo in pubblico o in presenza del mittente) con i contenuti e le argomentazioni proposte nella comunicazione[1][2].

 

? IL TESTO – oltre ai fattori emotivi, la comunicazione persuasiva contiene una serie di argomentazioni che il comunicatore deve interpretare. Bisogna presentare le argomentazioni in un determinato ordine e prevenire le contro argomentazioni da parte del destinatario.

La ricerca sull’apprendimento e sulla memoria indica che gli argomenti estremi (i primi e gli ultimi) sono ricordati meglio di quelli di mezzo – le argomentazioni più importanti, quindi, non dovrebbero mai stare in mezzo. Questo fattore non è una scoperta recente, lo è la sua spiegazione in termini psicologici.

Sulle prime argomentazioni agisce infatti l’oblio proattivo (fattore che tende a preservare in memoria le prime informazioni recuperate a discapito delle ultime, e che tende quindi a renderle più efficaci), mentre sulle argomentazioni presentate per ultime agisce l’oblio retroattivo, (fattore che tende a preservare le ultime informazioni a discapito delle prime e che quindi tende a renderle più persuasive). Sulle informazioni intermedie agiscono entrambe le tipologie di oblio, aumentando quindi la probabilità di dimenticarle[3].

Possiamo quindi dire che le prime informazioni sono quelle che destano maggiormente l’attenzione, fattore che poi diminuisce con il procedere del testo, mentre le informazioni finali tendono invece ad essere più ricordate, a discapito delle argomentazioni intermedie.

Se il destinatario ha una posizione nei confronti dell’argomentazione opposta a quella del mittente, le argomentazioni forti devono essere poste prima, per ridurre il numero di contro argomentazioni, mentre nel caso in cui quelle iniziali siano troppo deboli, si può creare un livello di contro argomentazioni tale che le argomentazioni forti, poste al fondo, non saranno più credute.

È importante porre le argomentazioni forti prima, se i consumatori hanno poco interesse all’aggetto principale del testo, in quanto se poste inizialmente possono comunque far crescere l’interesse, almeno verso il testo stesso.

L’ordine delle argomentazioni è importante quando il testo è lungo, dettagliato e con molte argomentazioni (cosa che in pubblicità non esiste, tranne nella televendita), mentre in testi brevi e semplici l’ordine è meno critico. Sugli spot da trenta secondi incide però la possibilità che gli stessi vengano elaborati a basso coinvolgimento, ripetuti, per aumentare attraverso la ridondanza, la memorizzazione e il ricordo[4].

? IL DESTINATARIO – è la figura centrale di ogni processo di comunicazione persuasiva. Ovviamente, i fattori generalizzabili non sono molti. Le ricerche ipotizzano che le donne, sembrino in generale, più influenzabili degli uomini, e gli uomini lo sono quando le argomentazioni principali sono invece legate al mondo femminile.

In generale, la teoria della personalità e della persuasione di McGuire (1968) prevede che la persuasione sia composta da tre principi fondamentali:

? il principio di mediazione: una serie di fattori psicologici quali la percezione, la comprensione, la condivisione, la memorizzazione, il ricordo e la decisione mediano la persuasione. Questi fattori possono essere influenzati dalla personalità dell’individuo, ma principalmente ne sono considerati due, la ricezione (composta da percezione e comprensione) e la resa (composta dall’essere d’accordo o meno con le argomentazioni proposte),

? il principio combinatorio – prevede che la ricezione e la resa siano legati in modo opposto, ovvero la percezione cresce e l’emozione decresce, in conseguenza cambia l’atteggiamento in funzione di una relazione moltiplicativa. Ad entrambi gli estremi, la persuasione è molto bassa.

? il principio del peso situazionale – la ricezione e l’emotività non hanno sempre lo stesso peso. Sono quindi le caratteristiche individuali i fattori di maggiore influenza da parte del destinatario ed è difficile, nelle ricerche di mercato, giungere ad approssimazioni effettive di come sia realmente percepita, elaborata e memorizzata la comunicazione[5].

? IL MEZZO – che veicola la comunicazione può influenzare nettamente la resa del messaggio. Ad esclusione della radio, quasi tutti i messaggi hanno un impatto visivo oltre a quello verbale, e questo fattore crea già di per sè una forte discriminante nei processi di elaborazione.

La prima distinzione possibile riguarda i mezzi personali e quelli non personali. La comunicazione personale ha più probabilità di essere persuasiva in quanto è più flessibile e adattabile al destinatario attraverso il processo di interazione. Il venditore che conosce bene il prodotto, adatta la comunicazione al pensiero del destinatario, potendo inoltre, trattare direttamente le contro argomentazioni.

Questi vantaggi mancano alla comunicazione mediata. Un problema fondamentale è il sovraffollamento delle comunicazioni commerciali sui mass media, col risultato di annoiare gli spettatori e di impedire al singolo testo pubblicitario di essere efficace[6].

 

[1] Vannoni D, Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria,

[2] , pp. 28

[3] Idem, pp. 34-37

[4] Cavazza N, La persuasione, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 121

[5] Cialdini R, Le armi della persuasione. Come e perchè si finisce col dire di si, Firenze,

Giunti-Barbera, 1989, pp. 163

[6] Idem

 


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Gli strumenti della persuasione

Gli strumenti della persuasione

 

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A questo punto della tesi, sarebbe opportuno conoscere quali sono gli strumenti pratici che consentono l’esercizio della persuasione, non dimenticando che la vera efficacia di queste tecniche è raggiunta quando il risultato di una vendita o di una negoziazione è soddisfacente per ambedue le parti in gioco.

Robert Cialdini, psicologo sociale che si occupa della psicologia della persuasione, ha individuato sei principali strumenti di persuasione:

  • Reciprocità – le persone tendono a ricambiare un favore.
  • Impegni accettati – quando qualcuno accetta di impegnarsi per un obiettivo, un progetto, è più facile che onori gli impegni che si assume. Sino al punto paradossale che se viene rimossa la motivazione e l’incentivo dopo che ha accettato, l’impegno permane.
  • Dare il buon esempio – le persone tendono a rifare ciò che vedono fare agli altri. A volte imparano da buoni e fidati maestri, altre comportandosi come belle pecorelle.
  • Autorità – le persone tendono ad obbedire a figure autoritarie, questo accade anche quando vengono impartite istruzioni molto discutibili.
  • Simpatia – le persone si fanno  convincere facilmente da chi gli piace, anche fisicamente, e da chi gli sta simpatico.
  • Carenza – la percezione di carenza genera la domanda. Ecco perchè spesso vengono fatte offerte per un tempo limitato o in numero limitato[1].

Oltre a questa “lista” individuata da Cialdini, gli strumenti della persuasione sono ancora tanti e variegati; dall’uso magistrale delle domande, alla capacità di aprirci e far si’ che l’interlocutore si apra con noi, ad esempio, attraverso la condivisione di informazioni riservate , o l’utilizzo di termini e frasi particolarmente dotate di potere persuasivo, o ancora l’abile utilizzazione degli elementi di comunicazione non verbale, il linguaggio del corpo.

L’abilità di porre le domande giuste si rivela preziosa, se si vuole essere persuasivi, poiché consente di ottenere valide ed utilissime precisazioni circa il punto di vista dell’interlocutore. Questa abilità permette di determinare quali sono i valori dell’interlocutore, e su questa base, di guidare la conversazione.

Avere le idee chiare su quello che pensa e vuole chi ci sta davanti è un fattore indispensabile per formulare una proposta soddisfacente, a tal fine  è importantissimo stabilire quali siano i suoi valori.

Ponendo semplici domande, rivolte in senso generale, oppure domande contestualizzate, per scoprire quali siano i valori portanti relativamente ad una specifica dimensione della vita.

Un secondo strumento sono le parole “potenti”. Esiste un certo numero di termini che ha un impatto particolarmente efficace su coloro che si desidera persuadere:

  • Il nome – Dale Carnegie diceva che non esiste sulla faccia della terra parola più potente e incisiva del nostro nome. Esso si ricollega, anzitutto, alla nostra infanzia, quando l’abbiamo sentito pronunciare ripetutamente. È stato dimostrato da studi condotti negli Stati Uniti, che pronunciare il nome di una persona all’inizio o alla fine di una frase esercita un irresistibile effetto persuasivo.
  • Per favore e grazie – al secondo posto per importanza dopo il nome, in termini di “quoziente di persuasività” si situano i termini per favore e grazie.

Anche queste parole risalgono all’infanzia, e appunto per questo, sono efficaci nel processo persuasivo.

  • Altre parole – esistono molte altre parole dotate di capacità persuasiva, da utilizzare – naturalmente in modo pertinente in relazione al contesto che interessa. L’elenco generico delle più efficaci:

benessere/salute/felice/sicurezza/giusto/migliorare/eccitante/ profitto/divertente/meritare/scoperta/amore/libero/vantaggio /valore/risultati/nuovo/facile/fiducia/denaro/potere/garantito /vero/tu/vitale/gioia/investimento/comfort/dimostrato/opport unità/crescita.

  • La tecnica del time-pressure – si rivela particolarmente utile nel caso in cui l’interlocutore, o il cliente, riveli una certa lentezza nel prendere una decisione. Il compito del persuasore è portare avanti, accelerare il processo.

Ad esempio, nell’acquisto di una casa è facilissimo sentirsi dire che a quella stessa casa sono interessate anche altre persone e che se non facciamo velocemente una buona proposta d’acquisto, rischiamo di vedercela portare via sotto gli occhi.

Immediatamente, quella che era una bella casa, diventa la casa dei nostri sogni e veniamo presi dall’ansia di concludere al più presto la trattativa. In tal caso, l’agente immobiliare non ha fatto altro che utilizzare lo strumento del timepressure.

  • Gli altri filtri della persuasione – i contenuti della nostra personalità si sviluppano a seconda di come recepiamo il mondo esterno. Tutti possiedono un sistema di filtraggio, che fa vivere ogni esperienza in modo diversificato, e su questa base permette di organizzare l’evoluzione della nostra personalità.

Tale sistema possiede tre tipi di filtri:

? i valori

? i criteri

? le credenze

Conoscere il ruolo che giocano i valori, i criteri e le credenze, consente di comprendere come affrontare e trasformare i conflitti in momenti positivi di confronto costruttivo, come calibrare al meglio i nostri interlocutori, per stabilire con essi un rapporto profondo, e come cercare di giungere alla struttura profonda dell’interiorità di chi ci è di fronte, partendo da una struttura superficiale che – se siamo in grado di leggerla – può fornire indizi molto interessanti sulla personalità dei destinatari delle azioni persuasive[2].

 

 

[1] www.wiki.ugidotnet.org

[2] Pirovano F, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 77-81


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I principi della dinamica persuasiva

I principi della dinamica persuasiva

 

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Parlare di principi della comunicazione persuasiva significa cercare di identificare quelle caratteristiche imprescindibili e quelle peculiarità d’azione necessarie a trasformare una comunicazione ordinaria in comunicazione di influenza[1].

A questo scopo, è opportuno analizzare in concreto le leggi della persuasione sviluppate da Robert B. Cialdini, che si dimostrano essere tanto vere quanto le esperienze pratiche da cui sono state tratte.

Se vediamo una bella cosa, che ci colpisce, e subito dopo una meno bella, quest’ultima ci sembrerà più brutta di quanto non sarebbe stata se l’avessimo percepita per prima. In altri termini, l’evento che precede, condiziona l’evento successivo, se posto vicino ad esso nel tempo e nello spazio[2].

Questa tecnica viene chiamata principio del contrasto, caratterizzata dal fatto che mettendo a confronto due cose relativamente diverse una dopo l’altra, ne percepiamo maggiormente la differenza.

Un esempio utile viene dal quotidiano: se entriamo in un negozio di vestiti e troviamo abiti che costano mediamente 1.000 euro, belli, eleganti e firmati, e successivamente la commessa ce ne propone uno bello, elegante e firmato, diverso, al prezzo di 700 euro, sicuramente il vantaggio del secondo ci sembrerà maggiore di quanto non lo sarebbe stato se ce lo avessero presentato per primo.

Dal punto di vista commerciale, i venditori sanno bene che è molto più vantaggioso presentare prima il prodotto poi’ costoso, e successivamente, ma naturalmente sempre a prezzo maggiorato anche se di poco inferiore al precedente, quello che realmente ci interessa vedere; questo allora sarà subito percepito come più conveniente rispetto al precedente.

Il secondo principio è il principio della coerenza. Su questo principio si basa uno dei presupposti della comunicazione persuasiva; “Ciò che mi dici è presupposto di ciò che ti risponderò”.

Questo presupposto rappresenta uno dei nuclei centrali della comunicazione persuasiva. Il segreto del successo stà nell’adeguare le proprie azioni alla mappa mentale dell’interlocutore. È possibile ottenere questo risultato ascoltando e osservando attentamente ogni parola e atteggiamento che giustifichi , in qualche modo, ciò che andremo a rispondere e a fare.

Dal punto di vista linguistico, è molto utile costruirsi mentalmente la frase “proprio per questo<”; essa infatti ci costringe a individuare, nelle parole dell’interlocutore, gli elementi chiave che potrebbero comunque giustificare la nostra risposta.

Tale presupposto assume il punto di vista del persuasore. Come si è detto, proprio perchè l’interlocutore si vincola a ciò che dice, secondo il principio di coerenza, il bravo influenzatore sfrutta questa situazione psicologica a proprio favore, rispondendo adeguatamente, con il rinforzo dell’obbligazione morale[3].

Il principio della coerenza è estremamente potente e, su questo lavora la tecnica persuasiva del “proprio per questo”. L’incoerenza è socialmente condannata e questo fa si’ che si faccia il possibile per non apparire incoerenti, a costo di perdere l’opportunità della ragione.

Al contrario, chi è coerente appare fermo, rigoroso e giusto al punto tale che si preferisce il politico che la pensa diversamente da noi, ma non cambia posizione, rispetto a quello che è vicino alla nostra linea politica, ma la interpreta secondo convenienza a seconda dei casi.

Arrivando al terzo fattore che è il principio della sintonia, arriviamo alla sensazione di similarità con chi ci è di fronte. Tutti noi tendiamo ad acconsentire con più facilità alle richieste che ci vengono da persone che suscitano la nostra simpatia, con cui percepiamo una sintonia immediata.

Ma quali sono i fattori che entrano in causa quando inconsciamente decidiamo che una persona ci piace o no?

Il primo fattore in uso è sicuramente la bellezza. Associata nelle campagne pubblicitarie al prodotto da pubblicizzare, biglietto d’ingresso spendibile in tante e diverse situazioni, la bellezza ci predispone a fidarci di chi ci sta di fronte, come se il bello si declinasse in affidabilità e serietà.

La situazione si ripete per le persone che ci sono simili. Se qualcuno ci somiglia, istintivamente decidiamo anche che la sua scala di valori deve equivalere alla nostra. Lo stesso ambiente di provenienza, gli stessi interessi, lo stesso modo di vestire, sono tutti elementi che ai nostri occhi fanno acquistare credibilità al nostro interlocutore.

Va riconosciuta la forza persuasiva che il principio della sintonia possiede. Si chiama “errore logico” il meccanismo psicologico che ci fa associare a una certa qualità, che riconosciamo in un individuo, il possesso di un’altra qualità, diversa, che noi inconsapevolmente associamo alla prima.

L’associazione è indebita, ma a noi pare del tutto naturale[4].

Il quarto ed ultimo principio è quello dell’autorità. Spesso accade che le campagne pubblicitarie vedano la partecipazione di personaggi noti, ritenuti “una autorità” in quel particolare settore – ad esempio calciatori che pubblicizzano articoli sportivi. Bisogna sottolineare come i simboli dell’autorità possono essere manipolati e contraffatti da chi ha tutto l’interesse ad utilizzare la forza persuasiva per i propri fini.

 

[1] Pirovano F, La comunicazione persuasiva, De Vecchi Editore, 2004, pp. 51

[2] , De Vecchi Editore, 2004, pp. 65-67

[3] , De Vecchi Editore, 2004, pp. 70

[4] , de Vecchi Editore, 2004, pp. 73-75

 


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Emozione e persuasione

Emozione e persuasione

 

Sia nei contesti sociali, che in quelli individuali, l’emozione gioca un ruolo attivo e determinante. Il processo di comunicazione stesso è fortemente interrelato a questo fattore, tanto da far supporre che l’emozione stessa possa essere una delle basi fondamentali della comunicazione persuasiva.

Spesso il termine emotivo e il termine affettivo sono utilizzati come sinonimi, indicando con questi sia le componenti fisiche, sia quelle mentali dell’emozione. Altri due termini specificano infatti questa differenza; il termine sensazione si riferisce fondamentalmente all’aspetto fisico dell’emozione, o anche ad antecedenti che la scatenano, mentre il termine sentimento si riferisce all’aspetto mentale[1][2].

Definiamo invece stato emotivo la dinamica interna provata quando si vive un’emozione, includendo sia gli aspetti fisici che quelli mentali. Gli stati emotivi non possono essere osservati direttamente dagli altri, ma possono essere inferiti attraverso una serie di segni e di comportamenti che l’individuo mette in atto (l’inflessione della voce, le espressioni facciali, la postura e i movimenti del corpo)[3].

Possiamo quindi considerare l’emozione come un pattern complesso di modificazioni che includono un’eccitazione fisiologica, sentimenti, processi cognitivi e relazioni comportamentali in risposta a una situazione che è percepita dal soggetto come importante per il mantenimento del suo equilibrio e del suo benessere[4].

Analizzando la situazione sotto l’aspetto pubblicitario, è possibile distinguere vari modi di persuasione utilizzando le emozioni. Uno di questi è far leva sulla paura.

Talvolta i ricorsi alla paura sono basati su preoccupazioni legittime; il fumo causa il cancro; il sesso non sicuro aumenta la probabilità di contrarre l’Aids; non usare lo spazzolino e il filo interdentale può portare a dolorose malattie dentali.

Spesso però, l’uso dell’arma della paura si fonda su terrori oscuri ed irrazionali. Talvolta un regime incute paura terrorizzando i propri cittadini, come nella Germania di Hitler, nell’Unione Sovietica di Stalin, e in innumerevoli altri tempi e luoghi.

L’arma della paura è efficace in quanto allontana i nostri pensieri da una considerazione più attenta delle questioni all’ordine del giorno e li incanali verso i programmi che promettono di liberarci dalla paura.

Considerando l’uso della paura nel contesto di un messaggio persuasivo, è necessario citare il ricercatore che ha conseguito i maggiori risultati in quest’area, Howard Leventhal[5].

Gli esperimenti condotti da Leventhal dimostrarono che i messaggi che incutono paura, ma che nello stesso tempo contengono istruzioni specifiche su come, quando e dove agire sono molto più efficaci delle raccomandazioni che omettono istruzioni del genere. Dimostrarono anche che gli appelli ad alto contenuto di paura sono più efficaci di quelli a basso contenuto. Dai risultati venne dimostrato che il ricorso alla paura raggiunge il massimo dell’efficacia quando:

  • spaventa a morte la gente
  • offre una raccomandazione specifica utile a vincere la minaccia che suscita spavento
  • l’azione raccomandata è ritenuta utile per ridurre la minaccia
  • colui che riceve il messaggio crede di essere in grado di realizzare l’azione raccomandata.

Ecco come funziona: l’attenzione del ricevente viene dapprima concentrata su una paura che provoca dolore; in una simile condizione di terrore è difficile pensare a qualcosa che non sia il modo di liberarsi della paura stessa. L’ulteriore mossa del propagandista consiste nell’offrire un modo per sottrarsi alla paura: una risposta semplice e fattibile che è proprio quello che il propagandista voleva dal ricevente fin dall’inizio[6] 

Una secondo espediente molto usato è il ricorso alla tecnica del non è tutto, che viene comunemente usata negli spot in cui vengono venduti articoli per cucina o per la casa. Questa tecnica è stata studiata in una serie di brillanti esperimenti condotti da Jerry Burger[7].

Lo stratagemma consiste nel descrivere prima un prodotto e metterlo in vendita. Ma prima che possiate decidere se lo volete o meno, viene aggiunto un altro articolo, compreso nel prezzo. Ora bisogna contraccambiare, ovvero fare l’acquisto.

La tecnica si poggia su due processi psicologici di base. La richiesta iniziale più onerosa, instaura un effetto contrasto simile a quello che si produce con le esche, la concessione immediata da parte del richiedente richiama immediatamente la regola della reciprocità.

I venditori di automobili conoscono il valore della terza tecnica, chiamata porta in faccia. Spesso gonfiano il prezzo di partenza di un’auto appiccicandovi sopra una targhetta che fa salire il prezzo anche di svariate migliaia di dollari, per poi graziosamente scontare questo sovrapprezzo all’inizio delle trattative. Ora tocca al compratore rendere il favore e pagare quell’auto più di quanto avrebbe avuto intenzione di fare.

Queste tecniche, che sottostanno sotto il nome della regola della reciprocità, sono efficaci come strumento di persuasione in quanto pilotano i nostri pensieri e ci motivano ad agire sulla base di questi ultimi. La motivazione primaria è evitare il senso di disagio che nasce dal trasgredire la regola[8]. 


[1] Vannoni D, Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, UTET Libreria,

[2] , pp. 187-189

[3] Idem

[4] Idem

[5] Leventhal H, Findings and theory in the study of fear communications, NY, Accademic Press, 1970, pp. 119-186

[6] www.yetiarts.com

[7] Burger J, Increasing compliance by improving the deal, in Journal of Social Psycology, 1986, pp. 277-283

[8] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino, 2003, pp. 330-338


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I modelli persuasivi

I modelli persuasivi

 

 

All’inizio degli anni sessanta, il famoso psicologo Albert Bandura avviò un ampio programma di ricerca sul rapporto tra modelli televisivi e aggressività, sull’influenza dei modelli mediatici[1].

In un tipico esperimento, i bambini potevano vedere attraverso uno schermo televisivo, un adulto intento a picchiare una bambola di plastica. I bambini avevano in seguito, l’opportunità di giocare con diversi giocattoli interessanti, tra cui una di queste bambole. I risultati dimostrarono che i bambini erano portati a ripetere quello che avevano visti fare in precedenza.

Molte ricerche successive hanno confermato i risultati iniziali di Bandura. È stato dimostrato che i modelli aggressivi influenzano l’aggressività tanto dei maschi quanto delle femmine, condizionando il comportamento, ed insegnando ad aggredire indipendentemente dal fatto che il modello sia un personaggio dei cartoni animati o una persona reale.

Il potere della persuasione dei modelli non è sfuggito ai pubblicitari. Gli spot da trenta secondi sono pieni di gente grassottella che dimagrisce con l’aiuto della dieta giusta, di casalinghe che impressionano i mariti con una casa pulita, e con l’aiuto di un detersivo pubblicizzato, di giovani coppie che se la spassano grazie ad un carta di credito, di bambole Barbie vestite all’ultima moda.

Questi modelli non vengono solo prodotti, ma rinforzano valori (magro è bello) e insegnano stili di vita (le casalinghe devono compiacere i mariti, per avere successo le ragazzine devono seguire la moda, essere fisicamente attraenti, e basta poco – una pillola dimagrante).

I modelli mediatici sono efficaci soprattutto per due ragioni. La prima è che insegnano nuovi comportamenti. Ad esempio, un bambino impara concretamente come si fa a sparare guardando telefilm polizieschi. Naturalmente, il fatto di sapere come si fa, non significa necessariamente che lo si faccia.

Ma cos’è che ci induce a comportarci come i modelli dei media?  Un fattore importante è la convinzione che le ricompense ricevute da un modello per un determinato comportamento saranno anche le nostre. Ecco perchè i pubblicitari usano spesso modelli “proprio come noi” e li collocano in situazioni familiari come la casa, l’ufficio, la scuola o il supermercato.

Questo ci porta alla seconda ragione della persuasività dei modelli mass mediali; essi sono un segno che certi comportamenti sono legittimi e appropriati. Guardare una casalinga lavare il pavimento ci convince che quest’occupazione è uno stile di vita appropriato per le donne (ma non necessariamente per gli uomini)[2].

Quali sono, infine, le caratteristiche che rendono più persuasivo un modello proposto dai mass media e dalla pubblicità?

Il complesso delle ricerche mostra che un modello ha il massimo dell’efficacia quando ha prestigio, potere e status, quando viene ricompensato per aver messo in pratica il comportamento oggettivo dell’apprendimento, quando fornisce informazioni utili su come mettere in pratica tale comportamento e quando è di aspetto gradevole e competente nell’affrontare i problemi della vita. In altre parole, il modello è una fonte credibile e attraente62.

[1] Bandura A, Aggression; a social learning analysis, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1973

[2] Pratkanis A, Aronson E, L’età della propaganda, Il Mulino, 2003, pp. 206-208 62 Idem


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Il linguaggio della pubblicità

Il linguaggio della pubblicità

 

 

Come già accennato, il messaggio pubblicitario è un messaggio multiplo, fatto di immagini, musica, gesti e soprattutto parole, materiale linguistico proveniente dalla lingua comune, dai linguaggi tecnico-specialistici, dalla lingua della letteratura, dal gergo dei giovani, dalle lingue straniere e anche, in minor parte, dai dialetti italiani.

A seconda del target a cui è rivolto o del contesto in cui appare un annuncio pubblicitario, il copywriter in questione tenterà di operare una scelta linguistica oculata in merito all’ideazione dello slogan.

Come fa osservare la Chiantera1, molte agenzie pubblicitarie si fanno oggi affiancare in questo loro compito da linguisti e semiologi che, in quanto professionisti del linguaggio, possiedono gli strumenti ideali per capire in anticipo se una certa parola collocata in un certo contesto potrà fare la fortuna di un certo prodotto.

Questo dimostra che, nonostante l’importanza delle componenti di musica e di immagine nel messaggio pubblicitario sia andata sempre aumentando negli ultimi anni, l’attenzione alla lingua rimane viva tra i pubblicitari.

Sul linguaggio pubblicitario esiste un’ampia letteratura, cosicchè molti dei suoi aspetti sono stati ripetutamente indagati. Linguisti e non linguisti hanno studiato i messaggi pubblicitari al fine di coglierne, ad esempio, le caratteristiche grammaticali, sintattiche e stilistiche e spesso si sono trovati in disaccordo in merito al giudizio qualitativo da attribuire a questo particolarissimo codice linguistico.

Le parole più amate dal pubblicitario sono le parole-choc, e lo slogan è il coronamento dei suoi sforzi, lo slogan è infatti la “quintessenza della pubblicità”2.

Mario Medici3 ha parlato di un “alto numero di meriti generali e specifici” che il tanto “vituperato” linguaggio pubblicitario possiede. Egli afferma che “la comunicazione pubblicitaria ha dimostrato e sollecitato senza contaminazioni le capacità e le possibilità dell’italiano come lingua moderna, agile e funzionale, in una serie di spinte e controspinte settoriali, utilitarie, letterarie, usuali, sociopsicologiche, in un dilatato e accelerato processo di europeizzazione”.

La Altieri Biagi definisce il linguaggio pubblicitario una lingua “venduta”4, in cui “la merce” proposta è il discorso stesso e per la costruzione del quale il copywriter si mette alla ricerca di “esche” linguistiche allettanti”, non esitando a catturare la terminologia prestigiosa della scienza della tecnica, a riprodurre le manipolazioni tipiche della lingua letteraria, talvolta a sfruttare i moduli della lingua colloquiale, con le sue ridondanze, le sue approssimazioni lessicali, la sua sintassi zoppicante”.

Parlando di slogan e di messaggi pubblicitari, nel momento stesso in cui vengono concepiti, sono imbevuti di una certa cultura tipica di un determinato ambiente geografico, sociale e linguistico. Il linguaggio pubblicitario si fa di volta in volta portavoce ed espressione di desideri e necessità, che possono essere ritenute fondamentali da alcune persone e assolutamente superflue da altre.

Uno stesso prodotto ugualmente appetibile agli occhi di popoli diversi e lontani deve, in certi casi, essere pubblicizzato secondo tecniche e strategie anche molto differenti.

Il pubblicitario deve possedere una conoscenza approfondita non solo della lingua ma anche della cultura del pubblico a cui si rivolge e deve quindi saper intuire e andare a toccare quei tasti in grado di esercitare un forte potere di attrazione – il più delle volte inconscia – su un certo target.

Possono quindi sorgere dei problemi qualora un testo pubblicitario nato in seno ad una certa cultura debba essere tradotto in un’altra lingua; il più delle volte non è sufficiente riportare nel nuovo testo gli equivalenti linguistici della lingua di arrivo, ma è necessario adattare il messaggio per ricreare le stesse implicazioni sociali e culturali e cercare di ottenere simili effetti sonori, linguistici e visivi.

Col passare degli anni, la pubblicità ha conquistato una dignità artistica, è diventata lo specchio della società e della cultura; non solo possiede il potere di influenzare le persone, ma in modo sottile riesce ad influenzare i comportamenti e i modi di dire.

Recentemente sono state individuate da esperti pubblicitari sette regole necessarie per riconoscere e creare una pubblicità efficace, che colpisca l’obiettivo:

  1. sorprendere lo spettatore
  2. comunicare una cosa sola
  3. provocare emozione
  4. essere semplice ma non banale
  5. essere sempre originale
  6. dare valore alla marca
  7. rompere le regole

Una pubblicità efficace è capace di creare emozioni, di raccontare storie coinvolgenti, di essere ricordata dalla grande massa. Esattamente come il cinema, ma con molti metri di pellicola in meno. Piace perchè il linguaggio pubblicitario è universale, è una testimonianza della società e delle sue caratteristiche.

L’obiettivo non è soltanto di vendere un dato prodotto; configura modelli di comportamento, definisce sistemi e valori, crea punti di vista e opinioni, prende dalla cultura di massa quegli spunti ed elementi che sono più funzionali alla creazione e all’amplificazione dei consumi.

Sceglie frammenti ed istanze che si possono accordare con le sue esigenze per poi ricomporle in un disegno coerente e compiuto5.

Nella società, nell’interazione tra individui, assume sempre più importanza la capacità di convincere, di far mutare le opinioni e gli atteggiamenti degli altri. Ciò vale sia nei rapporti interpersonali sia nella comunicazione di massa (pubblicità), finalizzata a creare una preferenza per un prodotto o per un’idea.

Per comprendere questi fenomeni, bisogna partire dalla definizione di atteggiamento e di opinione, e di come si formano.

  • Gli atteggiamenti costituiscono sia un orientamento favorevole o sfavorevole verso un particolare oggetto, concetto o situazione, sia la disposizione a reagire in modo predeterminato a questo oggetto, situazione, o ad altre connesse. Sia l’orientamento che la disposizione alla risposta hanno aspetti emotivi, inconsci, aspetti razionali. Spesso si manifesta un atteggiamento verso una persona o una situazione senza rendersene pienamente conto.
  • Le opinioni costituiscono una preferenza, ma anche una aspettativa, una previsione e, a differenza dell’atteggiamento che spesso è a livello inconscio, è razionalizzata dal soggetto e può essere espressa verbalmente.

Atteggiamenti e opinioni sono strettamente connessi; se si odia una persona si esprime un atteggiamento negativo, e si tende a prevederne un cattivo comportamento55.

Brown (Social Psychology, 1965, Free Press) ha ipotizzato che ogni individuo desidera che le proprie opinioni e il proprio comportamento siano coerenti; se scopre elementi contrastanti, opera in modo da ridurre tali elementi, modificando le opinioni o il proprio comportamento (Teoria della Coerenza).

Per cambiare atteggiamento o opinione l’individuo valuta la comunicazione che riceve dando valore non solo alle argomentazioni, ma anche alla credibilità della fonte e alle emozioni che la comunicazione gli suscita.

Le emozioni suscitate dalla comunicazione hanno grande importanza ed efficacia nella persuasione, non solo se sono positive, come la gioia, ma anche se sono negative, come la paura. L’appello alla paura è in effetti molto usato nella comunicazione di massa, in materia sanitaria, nelle campagne di prevenzione, nelle prediche religiose e nelle campagne politiche.

Per far cambiare un atteggiamento o un opinione bisogna perciò prima creare un atteggiamento positivo nei propri confronti, di simpatia o almeno di coerenza.

Bisogna poi creare un sentimento di stima e di autorevolezza esprimendo le opinioni in modo chiaro, senza creare eccessive dissonanze con la visione del problema dell’interlocutore. Si deve saper fare appello, quando è necessario, alle emozioni, per incidere più profondamente nell’atteggiamento inconscio.

Ogni linguaggio pubblicitario funziona alla stessa maniera. Ha un preciso obiettivo, quello di persuadere il destinatario del messaggio.

Come ha detto Gillo Dorfles “il linguaggio pubblicitario è parente dell’argomentazione retorica persuasiva”. Per ottenere l’effetto persuasione si ricorre a precise leggi psicologiche, a discipline come la semiotica e la psicolinguistica che i pubblicitari conoscono e che debbono saper utilizzare nel modo più efficace per diffondere un prodotto.

Non a caso vengono richiamate le categorie analitiche della sociologia della comunicazione e della semiotica per utilizzare al meglio i segni visivi, verbali, sonori e a loro articolazione interna.

Si parla, appunto, di stimolazione cognitiva, per sapere come ottenere un alto livello di attenzione, e di stimolazione affettiva per indicare l’azione esercitata da un messaggio sulle emozioni.

Gli studi e le ricerche condotte per analizzare le variabili del messaggio (le caratteristiche emotive o razionali del contenuto, i dispositivi stilistici usati per rendere persuasivo un discorso, gli aspetti relativi all’organizzazione della comunicazione) hanno permesso di concludere che il ricorso alla chiave emotiva è più efficace di quella logica o razionale per indurre un effetto di adesione/persuasione da parte del ricevente.

La pubblicità oggi opera per slogan e frasi brevissime; distillati di parole pensate, calibrate e limitate per scaricarsi direttamente sull’inconscio e garantire l’entrata diretta in circolo di stimoli emotivi elementari.

Questa profonda evoluzione favorita dal sorgere di nuove discipline che hanno permesso al messaggio pubblicitario di diventare sempre più raffinato, sia a livello epistemologico che operativo impone, ovviamente, un analogo affinamento dei criteri e degli strumenti a disposizione di chi ne debba valutare senso e implicazioni6.

Siamo forse entrati in una nuova era del capitalismo che Galbraith definisce “la fiera capovolta”7, dove non è più il consumatore a determinare il ritmo della produzione, bensi’, è il produttore a creare nel consumatore il desiderio di determinati prodotti?

Ciò spiegherebbe l’idea comunemente accettata della “fabbrica dei desideri”; di una pubblicità che sa creare bisogni voluttuari, capace di persuadere e di convincere, creando il mito dell’avere, dove il comprare un prodotto significa possedere anche l’aureola di benessere, successo e bellezza costruita intorno ad esso.

I due “meccanismi di difesa” principali sono l’autostima e l’addestramento delle facoltà critiche. La costruzione della propria autostima si basa sulla valorizzazione delle proprie esperienze positive, condotta regolarmente, abituandosi a sviluppare un atteggiamento positivo.

L’addestramento delle facoltà critiche è un processo culturale continuo in cui l’individuo deve continuamente porsi delle domande sulle comunicazioni e gli stimoli che riceve, cercando di individuarne la reale validità, al di là di condizionamenti emotivi e prescindendo dalla fonte8.

Questi meccanismi creano una sorta di vaccinazione nei riguardi dei luoghi comuni e delle banalità culturali, possono consentire all’individuo di difendersi meglio dalla comunicazione “coercitiva” o dall’indebita influenza , senza limitarlo nell’accettazione del contributo derivante dall’interazione con gli altri che deriva da un corretto scambio di informazioni e di opinioni9.

 


1 Chiantera 1989:30

2 Galliot 1954

3 Medici 1973:7

4 Altieri Biagi 1979

5 Macello C, L’arte di comunicare, Milano 1995, pp. 38 55 www.benessere.com/psicologia.htm.

6 www.iap.it

7 Galbraith K, Il nuovo stato industriale, Einaudi, 1968

8 www.benessere.com/psicologia/htm.

9 Fabi C, Marbach G., L’efficacia della pubblicità, ISEDI, Torino, 2000, pp. 183-196

 


© Psicologia della comunicazione persuasiva – Dott.ssa Romina Sinosich