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Il Counseling: Conclusioni

Il Counseling: Conclusioni

Il lavorare assiduamente e il districarmi nel mondo del Counseling ha apportato alla mia persona una consistente crescita sia personale che professionale. Dopo mille letture e svariati confronti tra i più disparati testi letterari di questo approccio, solo avventurandomi a trecentosessanta gradi tra le discipline e le esperienze maturate nel mio corso di studi, sono riuscito a costruire quello che per me fosse il Counseling, ovvero “un modo di essere”. Molto intriganti sono stati i percorsi disciplinari che ho attraversato, a partire dalla psicologia, passando per la pedagogia e proseguendo poi per la sociologia, filosofia, e così via. Tutte le discipline, singolarmente e nell’insieme, mi hanno aperto la strada verso nuovi orizzonti che hanno permesso al mio ragionare cognitivo ed al mio sentire emotivo di comprendere che in fondo la pratica del Counseling rientra in una visione sistemica che abbraccia tutti gli aspetti della vita.

Per prima cosa, nella stesura di questo elaborato, si è voluto fare chiarezza su due aspetti fondamentali senza i quali non sarebbe stato possibile descrivere l’approccio al Counseling nella sua interezza. Il primo riguarda la volontà di voler differenziare in maniera generale ma esaustiva, tre figure professionali (Psicoterapeuta, Psicologo e Counselor) che operano nell’ambito della relazione d’aiuto; il secondo è relativo alla classificazione di tale attività all’interno delle professioni non regolamentate e disciplinate dalla legge n. 4 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013.

Dopo aver descritto, invece, la storia e la nascita del Counseling delineandone i vari tratti peculiari, non è stato difficile inciampare nella bellezza e nella particolarità dei diversi approcci teorici e metodologici. Ognuno di essi muove dagli stessi principi base espressi dal carismatico psicologo umanista Carl Rogers e si evolve poi a seconda della teoria di riferimento per poi ritornare nuovamente a quello che è comune a tutti: “aiutare l’altro ad aiutarsi”. Aiutare dunque l’individuo ad acquisire quella tendenza intrinseca che spinge all’autorealizzazione e ad utilizzare le proprie risorse in modo costruttivo, in presenza di condizioni facilitanti. Da questo ne deriva dunque il ruolo del Counselor: facilitare il “cliente” attraverso la relazione d’aiuto affinché entri in pieno contatto con se stesso e con il mondo circostante, per vivere a pieno la propria vita consapevolmente e in sintonia con gli altri, attraverso relazioni sane ed efficaci.

Essenziale, per comprendere al meglio l’applicabilità del Counseling nelle varie aree d’intervento, è stato descrivere in maniera pragmatica tutti gli elementi che caratterizzano la relazione di aiuto come l’empatia, l’ascolto attivo, il colloquio con le sue fasi ed il setting, l’apertura al cambiamento, l’osservazione fenomenologica e tutto quanto già esplicitato in questo elaborato.

È proprio dall’attività pratica, infatti, che nei diversi contesti di vita ha luogo “la relazione”, quell’ “­­incontro-non incontro” che determina l’esperienza del contatto o meno, a seconda delle proprie resistenze personali ed in base alla qualità della comunicazione. D’altronde funzionale o disfunzionale che sia una comunicazione ci deve essere: “Comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro” (Watzlawick et al., 1997).

La persona per natura “comunica”, così come connaturato è il bisogno che ha di essere riconosciuta; attraverso la relazione con l’altro si rispecchia e trova la propria identità, stabilisce la propria forma all’interno di ordine sociale. Qualora questo non avviene si vive nella solitudine, si rischia di cadere in quel circolo vizioso che porta ad attuare sempre le stesse modalità relazionali disfunzionali, condannando l’essere all’infelicità, all’alienazione, alla perdita di senso della stessa vita. In tal senso è stato significativo incorrere nell’approccio strategico, il quale propone una tipologia di Counseling a rottura di tale “circolo vizioso”, per restituire all’altro secondo i principi della relazione d’aiuto, quelle strategie utili e funzionali a ristabilire un equilibrio personale proprio e sociale. Tra le varie tecniche dell’approccio strategico, così come anche per quelle derivanti da altre metodologie di Counseling, il  problem solving strategico elaborato da Giorgio Nardone testimonia una certa efficacia, ma allo stesso tempo restituisce all’attività del Counselingquella apertura all’innovazione, all’evoluzione teorica, metodologica e pragmatica.

Il Counseling è una pratica che può essere applicata a qualsiasi circostanza della vita. Infatti, come abbiamo già visto, la relazione d’aiuto può apportare un sano equilibrio anche all’interno delle difficili dinamiche familiari che si originano all’interno della relazione tra genitori e figli (in particolare quelli adolescenti), oppure tra i manager aziendali e i dipendenti.

Tale attività può assumere un ruolo fondamentale anche all’interno di progetti rivolti alla responsabilità verso la comunità, e un esempio lo troviamo proprio all’interno di questa tesi di laurea, nell’ipotesi progettuale presentata come “C.A.O.S”. Abbiamo visto, infatti, che il Counseling, all’interno di questo progetto, assume una duplice importanza: sia per quanto riguarda l’applicabilità della professione d’aiuto svolta dalla figura del Counselor all’interno delle varie attività di C.A.O.S; sia per quanto concerne il coordinamento dell’intero servizio e delle risorse di rete e di volontariato, le quali rappresentano l’asse portante che sostiene il Centro d’Ascolto, Orientamento e Servizi Per il cittadino.

 


L’importanza del Counseling nel centro di ascolto e nella rete

L’importanza del Counseling nel centro di ascolto

L’attività di Counseling all’interno di C.A.O.S assume una duplice importanza sia per quanto riguarda l’accoglienza, l’ascolto attivo e l’instaurazione di una relazione di aiuto con il singolo individuo, sia per quanto riguarda la comunicazione, la relazione e la gestione delle risorse umane che costituiscono la rete di volontariato. Infatti il cuore pulsante che muove l’intera equipe di volontari è l’interazione che si viene a creare tra le parti ed il campo che prende forma a seconda dell’ambiente e delle interazioni stesse.

Emerge dunque che di fondamentale importanza è la qualità delle relazioni che si riesce ad intessere con l’altro, una qualità che viene determinata da una relazione autentica e da obiettivi comuni condivisi. Attraverso l’attività di counseling ci si prefigge dunque di adottare una continua supervisione per tutte le professionalità coinvolte nel progetto, di formare costantemente tutti i volontari (che sono parte attiva in C.A.O.S) e di tenere costantemente salda la rete di rapporti costituitasi tra il centro, i volontari (tutti), le istituzioni e le autorità territoriali.

Il ruolo del Counselor nella gestione e nel coordinamento delle risorse di rete

Il ruolo del Counselor nel centro d’ascolto è di vitale importanza perché consente di tracciare continuamente quel “Filo Di Arianna”, che guida l’intera organizzazione verso obiettivi condivisi e ben definiti. Per ottenere un servizio chiaro ed efficace vi è costante bisogno di gestire al meglio le risorse impiegate, nonché di coordinare le varie attività affinché queste possano essere realmente funzionali e riescano a rispecchiare l’etica del progetto in essere. Il counselor, nella fattispecie, funge da mediatore e facilitatore della comunicazione tra le parti coinvolte in una determinata attività. La maggior parte delle problematiche inerenti l’attualizzazione o meno di una determinata azione derivano infatti, dall’interruzione del contatto o dalle interferenze che invadono un canale di comunicazione.

Proprio per questo, qualora possibile, bisogna svolgere un lavoro costante volto alla promozione della sinergia di gruppo, mentre quando questo non è possibile, come nel caso delle relazioni con le istituzioni, bisogna saper ben interagire e rappresentare quanto si muove dietro l’intero progetto.  Ogni singola parte del contesto ha bisogno dunque di un punto di riferimento che lo connetta continuamente con l’intero campo d’azione, e allo stesso tempo ha bisogno della giusta attenzione in modo da entrare in relazione anche con se stesso, con quella parte interiore da cui emergono risorse e capacità proprie. Prima di entrare in contatto con gli altri e sinergicamente lavorare d’insieme, il counselor va a creare quel giusto spazio in cui entrando in contatto con se stessi ci si apre alla relazione autentica anche con l’altro diverso da sé.

In sostanza il ruolo del facilitatore è quello di riuscire a far viaggiare di pari passo l’esigenze del gruppo con quelle della singola persona in modo da rafforzare quel campo dove, secondo Lewin, “il tutto è più della somma delle parti” (Rheinberg, 2012), e dove la relazione con l’altro apre alla solidarietà creativa protesa al benessere della comunità.

 


Centro d’Ascolto e Counseling

Centro d’Ascolto e Counseling

Ascoltare le esigenze personali di chi vive una particolare condizione di vita e orientare, verso la giusta direzione e nel rispetto delle proprie scelte personali, chiunque voglia rendere la propria vita ed i propri rapporti relazionali, qualitativamente migliori. Accade talvolta che una persona, seppur voglia uscire da una situazione di disagio e di disadattamento sociale, venga dominata dalle resistenze al contatto, da una difficoltà relazionale che lo porta a vivere in maniera insana il suo essere “uomo tra gli uomini”.

È allora che il semplice ascolto attivo e non giudicante può restituire all’altro quell’occasione di apertura al mondo relazionale, dal quale costruire insieme attraverso la relazione di aiuto, un percorso, un orientamento costernato da valide ed efficaci strategie d’intervento. Attraverso la relazione autentica il Counselor consente al cliente di diventare protagonista, parte attiva di un progetto in cui è la persona stessa a tracciare le linee di una nuova situazione di vita, scelta consapevolmente ed orientata alla crescita personale e protesa al raggiungimento di un maggior benessere.

Famiglie in C.A.O.S.

Tra le risorse da utilizzare sinergicamente attraverso la costruzione ed il coordinamento di una rete di volontari, vi sono tutte quelle famiglie che nel loro piccolo già prestano un servizio di volontariato o che hanno intenzione di farlo ma che non sanno come rendersi utili. Qualsiasi famiglia che aderisce ai principi di C.A.O.S., diviene una risorsa inesauribile nonché punto di riferimento e sostegno per il prossimo. Quante volte ad esempio potremmo donare qualcosa di cui non facciamo più uso, qualsiasi cosa che per altri potrebbe assumere un valore diverso. Eppure spesso per paura di fare un’offesa all’altro o per mancanza di fiducia o presenza di forti pregiudizi verso i “finti bisognosi”, preferiamo cestinare oggetti riutilizzabili e di estrema necessità per altri. Quante famiglie si scambiano favori improvvisandosi baby sitter, baby parking o nidi in famiglia, provvedendo temporaneamente all’assistenza e all’accudimento di quei bambini i cui genitori hanno esigenza di “lasciare” per lavoro o per altre situazioni importanti, e che non possono permettersi di rivolgersi a privati. Si potrebbe creare una squadra di genitori che organizzati in una funzionale turnazione potrebbero sia fornire che ricevere questa tipologia di servizio. Alcune famiglie più fortunate potrebbero inoltre fornire assistenza accogliendo i bambini di quelle famiglie con problematiche di salute o temporaneamente immerse in una situazione di non serenità, (che ovviamente non rientrano nelle pratiche di gestione dei servizi sociali territoriali), evitando inutili traumi e disagi ai minori e sostenendo allo stesso tempo gli stessi genitori in un ruolo difficile, fondamentale e non del tutto scontato. Proprio dalla famiglia emergono i primi valori fondamentali dell’essere ed emerge quel bisogno di riconoscimento, quell’occasione di potersi specchiare nell’altro, nasce dunque la relazione, l’incontro con l’alterità. È questo incontro che consente di sperimentare la propria esistenza e che apre la via che conduce alla strutturazione della propria identità. Se non vi è accudimento, riconoscimento e spinta verso l’esplorazione del mondo, non è facile intraprendere un sano cammino di crescita personale e di adattamento al mondo, si rischia di vivere nella solitudine. Per questi e per i più disparati motivi la famiglia assume un valore inestimabile. Proprio partendo da questa consapevolezza, dalla condivisione di valori ed ideali propri e dalla supervisione di esperti in educazione, comunicazione e relazione, si può trasformare una qualsiasi famiglia in un potente mezzo di volontariato e di utilità sociale, e restituire alla comunità stessa una risorsa inestimabile e una testimonianza concreta di vita.

Mediatore linguistico e culturale

Nell’era della multiculturalità il nostro paese ancora non sembra adeguarsi all’elevato numero di stranieri che convivono all’interno delle nostre città e della nostra cultura. Vi sono sempre più persone straniere emarginate per il solo non conoscere della lingua, tanti sono i casi in cui non si riesce ad usufruire degli ammortizzatori sociali solo per la mancata conoscenza delle leggi o per la difficoltà incontrata a causa della burocrazia. Per questi e per tanti altri motivi, tutti i cittadini sia italiani che stranieri, possono dedicare un piccolo spazio del proprio tempo per sostenere coloro che incontrano le difficoltà suindicate. Fondamentale sarebbe la presenza di un mediatore linguistico e culturale anche per la sola assistenza nella compilazione di documenti, o per agevolare le difficoltà derivanti da una comunicazione che incontra gli ostacoli della sola differenza linguistica e culturale.

Esperti della professione di aiuto

In una semplice relazione di ascolto talvolta emergono difficoltà, problematiche e disagi di natura patologica. L’operazione più semplice ed in linea con l’etica di C.A.O.S, è quella di demandare la persona assistita alle ASL territoriali o alle istituzioni di competenza. Sappiamo tutti le liste chilometriche da sfogliare prima di avere un primo contatto con le istituzioni preposte ad una determinata problematica, così come è facile immaginare come sia facile abbandonare l’idea di farsi aiutare da parte della persona che si rivolge al centro d’ascolto. Siccome molti sono gli esperti della professione di aiuto, e molti sono disponibili a dedicare un piccolo spazio alla solidarietà (soprattutto i professionisti in erba), opera reale e fattibile sarebbe quella di organizzare e coordinare una rete di professionisti e sostenitori di tale progetto (Psicologi, educatori, infermieri, medici, etc.) che con il loro intervento possano fornire un valido supporto nell’assistenza fisica e psicologica in tutte quelle particolari situazioni dove l’urgenza non attende i termini della burocrazia e dove la salute viene prima del compenso economico.

Aziende ed attività commerciali

Molte sono le persone che effettuano una richiesta di lavoro e molte sono le energie investite dalle aziende e dalle attività commerciali nella ricerca e nella selezione del personale relativamente alle posizioni aperte. Molto utile e funzionale sarebbe rendere C.A.O.S una sorta di agenzia interinale dove raccogliere i vari curriculum da far pervenire alle aziende che ricercano figure professionali da inserire. In questo modo si realizzerebbe un proficuo incontro tra domanda e offerta dove il servizio verrebbe quantificato ad un costo pari a zero. Questo in quanto l’obiettivo del centro è quello di aiutare le persone, partendo da una concreta ed effettiva analisi dei bisogni della persona che ovviamente deve essere in linea con il profilo richiesto. Questa analisi risulta ancor più valida se si considera l’attuale crisi che negli ultimi anni ha messo in ginocchio validi ed onesti lavoratori che tentano ad ogni modo di reagire cercando di acquisire, attraverso il lavoro, una certa dignità ed una propria autonomia economica ed integrazione sociale.

Comuni, Asl, comunità e società cooperative del terzo settore

 Attraverso il coordinamento di un equipe professionale si potrebbe creare un lavoro sinergico e di rete per entrare in contatto con le istituzioni territoriali e società del terzo settore, con lo scopo di aiutare a snellire le procedure burocratiche ed ampliare la possibilità di collocazione in “strutture idonee” di tutte quelle persone prese in carico per il recupero ed il reinserimento, che presentano problematiche quali tossicodipendenze, ludopatia, maltrattamenti,emarginazione sociale, etc. Infatti la problematica principale relativa ai tempi assurdi per il collocamento dei soggetti svantaggiati in idonee strutture deriva dalla mancanza di tempo e di personale da parte delle istituzioni che si perdono nel ricercare strutture adatte e nell’effettuare sopralluoghi per verificarne effettivamente i requisiti legislativi. L’aiuto dei professionisti volontari consiste nel gestire una rete che possa far conoscere tutte le strutture e le risorse del luogo e del territorio circostante, ed organizzare visite e sopralluoghi in tempi sicuramente più contenuti di quelli richiesti nella prassi istituzionale.

Giovani volontari, animatori, artisti di strada, musicisti

In una società sempre più tecnologica e carente di relazioni umane, caratterizzata e bombardata da un’infinità di messaggi dal valore educativo del tutto discutibile, sicuramente una risposta sana, in contrapposizione al sistema, sarebbe quella di creare una realtà aggregativa e ludico ricreativa basata sui principi del volontariato. Attraverso tale realtà è possibile interagire in un territorio di riferimento apportando un alto valore sociale aggiunto: sia come concreta testimonianza di contatto e di sana vita relazionale, sia come promozione di attività volte al sostenimento e sostentamento del volontariato (nella fattispecie del centro C.A.O.S). in pratica si tratta di formare un gruppo di volontariato che opera nell’organizzazione e nella realizzazione di eventi territoriali e non, con lo scopo di animare il territorio apportando un originale contributo sostenuto da una nobile causa.


Il modello delle 4 C

IL MODELLO DELLE “4C”

Foto di truthseeker08 da Pixabay

 

Il Modello delle “4C” è uno strumento molto utile per valutare oggettivamente l’efficacia di molte forme di comunicazione. Le “4C” sono: Comprensione, Credibilità, Connessione e Contagiosità.

Comprensione

Per migliorare la comprensione è importante che il messaggio sia il più chiaro possibile, pertanto è fondamentale ripeterlo spesso e semplificarlo attraverso esempi, metafore ed analogie. Le domande che confermano o meno se la prima C sta funzionando sono: Il pubblico può cogliere l’idea principale del discorso? Cosa deve comunicare istantaneamente il messaggio che voglio trasmettere?

Connessione Emotiva

Ciò significa che il pubblico ha capito il messaggio, e che le parole usate hanno per lui un significato e gli evocano una risposta emotiva.

Credibilità

Le persone possono comprendere il messaggio ma non avere fiducia in chi parla, quindi il messaggio non viene preso in considerazione perché esse capiscono che sono manipolate.

Contagiosità

Le persone, oltre a comprendere il messaggio, connettersi emotivamente con esso e crederci, devono recepire un messaggio energico, innovativo ed entusiasmante che possa essere facilmente e velocemente diffuso e che motivi il pubblico ad agire con una risposta emozionale positiva.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

I 5 punti cardine di una comunicazione efficace

I 5 punti cardine di una comunicazione efficace [1]

Quando sono pronto per ragionare con un uomo, impiego un terzo del mio tempo a pensare a me stesso e a quello che devo dire e due terzi a pensare a lui e a quello che dirà.” Abraham Lincoln

Una comunicazione è efficace quando è chiara, carismatica, credibile e persuasiva. I punti cardine della comunicazione efficace sono:

 

  1. ASCOLTO ATTIVO

La capacità di saper ascoltare è un’opportunità per imparare dagli altri, un’opportunità di crescita. Aiuta a costruire un rapporto di rispetto e di fiducia, è importantissimo per avere una comunicazione efficace, arricchisce la propria vita e quella degli altri. Il livello della capacità di ascolto indica quanto un individuo è centrato su se stesso o sugli altri: se il focus è su se stesso è probabile che si tenda a tagliare fuori gli altri, senza dare loro la giusta attenzione e considerazione. Se il centro è sugli altri quasi sicuramente l’individuo è un buon ascoltatore, e questo gli permetterà di recepire i messaggi più profondi che sfuggono alle persone che non ascoltano.

 

  1. COMUNICAZIONE NON VERBALE

Il linguaggio non verbale è il linguaggio del corpo; include le espressioni facciali, i gesti, le posture, il contatto oculare, la tensione muscolare ed il respiro. Esso veicola gran parte del messaggio che si vuole trasmettere. Sviluppare la capacità di comprendere ed utilizzare la comunicazione non verbale aiuta ad entrare più facilmente in sintonia con gli altri e ad esprimere idee in maniera più efficace. Un modo per migliorare la comunicazione non verbale e comunicare efficacemente consiste nell’utilizzare un linguaggio del corpo aperto, caratterizzato da sorrisi, muscoli rilassati e viso espressivo.

 

Fig. 10 – Comunicazione efficace – https://image.slidesharecdn.com/presentazionecomunicazionesana-090623164310-phpapp01/95/presentazione-comunicazione-efficace-1-728.jpg?cb=1249394198

 

  1. COMUNICAZIONE PARAVERBALE

Il paraverbale si riferisce al modo in cui parliamo, ed include parametri come il tono della voce, la velocità, il timbro ed il volume. I leader di successo sanno motivare ed ispirare il loro pubblico perché sanno come modulare al meglio la loro voce, trasmettendo passione, facendo risaltare un’idea o un concetto attraverso il corretto uso delle pause, variando il volume della loro voce per enfatizzare una parola o una frase.

 

  1. COMUNICAZIONE ASSERTIVA

L’assertività è la capacità di sapere esprimere e far valere le proprie opinioni e le proprie idee usando i giusti modi e le giuste parole. Una persona che sa comunicare in maniera efficace sa come fare arrivare il proprio messaggio facendolo rispettare, e rispettando le altre persone.

 

  1. LINGUAGGIO PERSUASIVO

Questa abilità è legata al modo in cui una persona riesce a comunicare pensieri, bisogni, esperienze ed opinioni. Per riuscire ad affascinare un interlocutore durante una conversazione, a toccare le sue corde emotive, bisogna chiedersi cosa sta funzionando, cosa non sta funzionando e perché.

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

[1] https://www.ipermind.com/comunicazione-efficace/

La Triade negoziale Il negoziato

La Triade negoziale: Il negoziato.

 

In una situazione di crisi, in senso lato, la questione fondamentale è capire se esista uno spazio di contrattazione (negoziato). La soluzione tattica equivale ad un fallimento negoziale.

Al contrario il successo negoziale è raggiunto con la stabilizzazione dell’incidente attraverso “contenimento verbale” (ovvero tenere il soggetto occupato tramite scambi verbali continui), trattenendo le forze dell’ordine dall’effettuare “interventi” pericolosi, guadagnando tempo per la raccolta di informazioni e l’arrivo di risorse, e prevenendo ulteriori perdite di vite.

L’intervento negoziale comprende quattro fasi principali (Hammer e Rogan, 1997; Rogan, 1997; Womack e Walsh, 1997):

  1. trattare con le emozioni;
  2. stabilire una comunicazione;
  3. identificare l’evento scatenante;
  4. problem solving.

1) È una competenza indispensabile per un negoziatore, poiché le emozioni intense sono una caratteristica delle situazioni di crisi (Noesner e Webster, 1997; Rogan, 1997; Webster, 1998a).
Tuttavia, rispondere alle emozioni di una persona sulla base delle circostanze può non essere produttivo. Per esempio, durante una situazione in cui un soggetto si è barricato nella sua casa e minaccia di suicidarsi, il negoziatore tenta di dimostrare empatia dicendo “So come ti senti”. Ma il soggetto non crede che il negoziatore abbia mai cercato di suicidarsi; indipendentemente dal fatto che questo sia vero o no, questa è la realtà che percepisce il soggetto.

Un approccio alternativo potrebbe essere quello di affermare “Non sono mai stato nella tua situazione prima, ma immagino che tu ti senta molto depresso e solo”. In questo modo il negoziatore dimostra che sta cercando di capire la situazione dal punto di vista del soggetto in crisi.

  • Importante è il contenuto della comunicazione, così come il tono di voce del negoziatore. Col contenuto si può informare il soggetto che si sta cercando di capire. La comunicazione deve essere deliberata, metodica e, soprattutto, non giudicante, in modo che il soggetto percepisca che i suoi sentimenti, valori, pensieri, opinioni sono ritenuti degni di attenzione.

L’accettazione non comporta che il negoziatore sia d’accordo con i valori del soggetto e il disaccordo può essere comunque trasmesso, per esempio, con una affermazione del tipo “Da quello che stai dicendo, posso immaginare come tua moglie ti abbia fatto arrabbiare tanto da ucciderla, avrebbe fatto arrabbiare anche me, ma non penso che avrei fatto quello che hai fatto tu”.

  • È fondamentale nel gettare le basi per la soluzione dei problemi, in quanto evidenzia il conflitto che deve essere risolto nel processo di negoziazione. Il soggetto, a causa di un alto livello di emotività, è spesso confuso a proposito dell’impatto dell’evento scatenante.

Per esempio, in un possibile scenario, un soggetto depresso è stato informato dalla sua ex-moglie che vuole ottenere la custodia completa dei loro figli, impedendogli di vederli. Egli risponde barricandosi in casa con i figli, rifiutandosi di uscire e di rilasciarli.

Il punto focale, a cui agganciarsi da parte del negoziatore, è la perdita prevista dei figli. Il negoziatore allora gli fornisce una giustificazione per questo comportamento e minimizza i suoi intenti ostili, dicendogli, per esempio “Tu non vuoi fare del male ai tuoi figli, sei preoccupato per loro e vuoi proteggerli”. Questo serve per alleviare il conflitto interno, disinnescare le emozioni negative, impostare le basi per il problem solving (Dalfonzo, 2002).

  • Le emozioni sono controllate, la comunicazione è stata stabilita, l’evento scatenante è stato identificato e discusso. Ora il negoziatore esplora con il soggetto alternative e soluzioni concrete.

Anche questo processo si svolge in fasi (D’Zurilla e Goldfried, 1971; Goldfried e Davison, 1994):

  • definizione del problema
  • brainstorming delle possibili soluzioni
  • eliminazione di soluzioni inaccettabili
  • scelta di una soluzione accettabile sia per il negoziatore che per il soggetto
  • programmare l’attuazione
  • realizzazione del piano

Il soggetto ha cognizioni distorte nella percezione di sé e della situazione; esse influenzano la sua reazione agli eventi e il suo pensiero disfunzionale lo porta a stress emotivo. A volte queste distorsioni incidono sulle prospettive per la soluzione dei problemi e devono, quindi, essere affrontate dal negoziatore.

Si può fare l’esempio di un tossicodipendente in crisi di astinenza che tenta una rapina in farmacia, ma la polizia, avvisata, circonda il luogo. Il soggetto diventa depresso, minaccia di uccidersi perché non vuole andare in carcere.

Il suo pensiero distorto gli presenta solo due opzioni: essere libero o andare in prigione.

Il negoziatore gli offre un’altra scelta, la possibilità di essere inviato presso una struttura di recupero. Questa proposta reindirizza il pensiero del soggetto, che ora vede una soluzione più accettabile.

Il modello BCSM.

Il Behavioral Change Stairway Model (BCSM) sviluppato dall’F.B.I. delinea il processo di costruzione e relazione che coinvolge il negoziatore e il soggetto (Dalfonzo, 2002; Noesner e Webster, 1997; Webster, 1998a, 1998b).

Questo modello è stato costantemente convalidato nella risoluzione di una vasta gamma di situazioni di crisi (Dalfonzo, 2002; Flood, 2003). Esso si compone di cinque tappe: ascolto attivo, empatia, rapporto, influenza, cambiamento comportamentale.

La progressione attraverso queste fasi si verifica in modo sequenziale e cumulativo. In particolare, il negoziatore procede in sequenza dalla fase uno alla cinque ma, per stabilire un rapporto (fase tre) con il soggetto, l’ascolto attivo e l’empatia devono essere messe in atto, e mantenute, durante tutto il processo. La riuscita del processo, e quindi dell’ultima fase, può avvenire solo quando le precedenti siano state effettuate con successo (Vecchi et al., 2005).

Fase uno : ascolto attivo

La maggior parte delle persone in una situazione di crisi hanno il desiderio di essere ascoltate e comprese. Le competenze di ascolto attivo sono componenti essenziali del BCSM e formano il fondamento dell’intervento di crisi.

L’ascolto attivo è composto da un nucleo centrale e tecniche supplementari.

Il nucleo centrale comprende:

  • Mirroring: consiste nel ripetere le ultime parole o il succo del discorso del soggetto, poiché ciò gli dimostra che il negoziatore è attento. Inoltre, evidenzia le preoccupazioni specifiche e i problemi dell’individuo che devono essere affrontati nel processo negoziale.
  • Parafrasare: consiste nel riaffermare il contenuto di ciò che il soggetto ha detto con le parole del negoziatore. È il tentativo da parte del negoziatore di mettersi nella prospettiva dell’altro.
  • Etichettatura emozionale: identifica le emozioni del soggetto. Anche se il negoziatore inizialmente non identifica o identifica in modo sbagliato un’emozione, questo sforzo comunque dimostra alla persona in crisi che il negoziatore sta cercando di capire la situazione e tenta di disinnescare l’emotività (Es.:“Sembri arrabbiato”, “Sento frustrazione nella tua voce”).
  • Riepilogare: il negoziatore ricapitola sia il contenuto, sia l’emozione espressa dal soggetto. Questo non solo chiarifica ciò che egli sta vivendo, ma rinforza il tentativo del negoziatore di vedere la situazione dal punto di vista dell’altro. Un esempio di sintesi potrebbe essere “Vorrei essere sicuro di capire quello che stai dicendo, hai perso il lavoro senza alcun motivo apparente (parafrasi) e questo ti fa arrabbiare (etichettatura emozionale)”.

Fase due : empatia

L’empatia è un naturale sottoprodotto di un efficace ascolto attivo.

Essa implica la comprensione dei sentimenti e delle motivazioni dell’altro.

Per dimostrare empatia è importante il tono della voce (Romano, 2002). Il tono permette all’altro di percepire il significato di ciò che dice il negoziatore; il tono riflette preoccupazione e autenticità, ma anche emozione, contegno, sincerità.

La competenza empatica riguarda “l’essere in grado di sperimentare affettivamente e personalmente le emozioni di un’altra persona, (…) porsi cognitivamente nel ruolo di un altro ed essere capace di assumere l’altrui prospettiva” (Davis, 1980). A questo si collega l’empatia relazionale, che è la capacità di sentire e pensare l’altro come parte imprescindibile del rapporto, capirne il ruolo e lo spazio occupato. La figura seguente visualizza tale rapporto (Zara, 2006).

Fin qui il rapporto è stato a senso unico; la persona in crisi ha parlato e il negoziatore ha utilizzato l’ascolto attivo e ha dimostrato empatia.

Si apre una fase di maggiore fiducia, in cui il soggetto è più probabile che ascolti, e accetti, ciò che il negoziatore ha da offrire. Quest’ultimo, in collaborazione col primo, comincia ad elaborare argomenti logici per spiegare, giustificare, attenuare o scusare il comportamento errato dell’altro e affrontare il suo pensiero distorto attraverso una riformulazione positiva della situazione. Gli fornisce anche giustificazioni per permettergli di “salvare la faccia”, minimizzazioni per sminuire il suo comportamento negativo. Insieme tenderanno a ridurre le differenze reali o percepite e a trovare un terreno comune.

Fase quattro : influenza

Ora un rapporto è stato stabilito e il soggetto è disposto ad accogliere i suggerimenti del negoziatore per modificare il suo comportamento.

Nel linguaggio del negoziatore, egli ha “ottenuto il giusto”; ora entrambi lavoreranno insieme per individuare soluzioni non violente.

Fase cinque : cambiamento comportamentale

Se le precedenti quattro fasi sono state completate con successo, è molto probabile che il soggetto modifichi il proprio comportamento, poiché ha instaurato un rapporto positivo col negoziatore.

Per concludere con successo questo processo, il negoziatore non deve avere troppa fretta di passare da una fase all’altra, né saltarne alcune per raggiungere un prematuro problem solving.

 

 

 

© Lo strumento della negoziazione nelle situazioni di crisi. – Dott. Gabriele Candotti