Conseguenze dello stress 

Conseguenze dello stress 

Foto di John Hain da Pixabay

Condizioni di stress psicosociale di diversa origine si esprimono con una gamma sintomatica che tocca tutti i sistemi funzionali dell’organismo, dal Sistema Nervoso Centrale (SNC) al Neurovegetativo, Cardiovascolare, Endocrino, Immunologico, Gastro Intestinale (GI),etc. Data questa diffusione e gli effetti biologici della risposta di stress, non sorprende che l’impatto della condizione di stress sulla salute sia rilevante. Molto calzante, a tal proposito, è la circonlocuzione usata dagli autori anglosassoni per esprimere tale condizione: “inability to cope”, cioè “incapacità a farcela”, tendente proprio a sottolineare questa situazione dell’individuo che, indipendentemente da ogni variabile (come la sua personalità, il supporto sociale, il modo di affrontare le vicissitudini della vita) si sente intrappolato, schiacciato in una morsa dalla quale non riesce a liberarsi (Sibilia, 2010).

Le conseguenze dello stress variano da persona a persona e possono presentarsi in vario modo. A tal riguardo Anchisi e Dessy (2008) scrissero in un articolo che gli studi sugli effetti negativi dello stress andrebbero adeguatamente vagliati perché parte sono studi sugli effetti negativi di alcuni sentimenti, parte sono invece studi sulle conseguenze degli stati perduranti di attivazione propri della sindrome ansiosa o del PTSD. La distinzione ha un’importanza pratica rilevante, perché consente di intervenire in modo mirato sui fattori di stress. In effetti, mentre taluni eventi esterni risultano statisticamente stressogeni, come ad esempio un lutto o la perdita del lavoro, altri causano stress solo a coloro che li affrontano con un punto di vista inadeguato e con idee pregiudiziali. Nel primo caso si tratta di riconoscere il potere stressogeno di tali eventi, per essere preparati ad affrontarli più efficacemente. Nel secondo caso si tratta di modificare idee e punti di vista disfunzionali, che, a parità di condizioni ambientali esterne, determinano ansia e stress solo in alcuni soggetti, mentre altri ne sono esenti (Anchisi e Dessy, 2008).

Le manifestazioni patologiche dello stress sono di tre tipi: psicologiche, fisiologiche e comportamentali. Le reazioni psicologiche riguardano l’incidenza che le cause esterne dello stress sull’umore del soggetto: si tratta di reazioni emotive eccessive. Il soggetto, anziché sfruttare la particolare attivazione provocata dallo stress per affrontare gli eventi, reagisce in modo esplosivo o, al contrario, rimane inibito e “implode” su se stesso, risultando in ogni caso sconvolto. L’irritazione si trasforma in un atteggiamento di abituale ostilità e rancore; mentre l’inibizione dà luogo a frustrazione, ad ansia cronica e anche a forme gravi di depressione. I segni iniziali dello stress patologico sono ad esempio: irritabilità e affaticabilità, senso di inefficacia, perdita di motivazione, difficoltà a concentrarsi, diminuzione della memoria e della creatività, aumento del numero degli errori commessi. Le reazioni fisiologiche allo stress sono reazioni a spirale, in un processo in cui ciascun fattore si connette strettamente agli altri, che influenza e da cui è influenzato (Anchisi e Dessy, 2008).

Gli ormoni dello stress sono, in prima battuta, adrenalina e noradrenalina, la cui azione è di rendere più pronta ed energica la reazione difensiva nei confronti degli stressor esterni. In seconda battuta entrano in circolo gli ormoni cortico-surrenali, che aumentano la resistenza nel tempo e rendono più duratura la risposta alle sollecitazioni ambientali. Il soggetto avverte dalla facile affaticabilità, alla tensione muscolare; dai disturbi del sonno, alle palpitazioni, alla dispnea, alla colite (colon irritabile). Ma anche vere e proprie malattie a base organica possono essere innescate o aggravate dallo stress, come molte allergie e malattie della pelle, l’ipertensione essenziale, la retto-colite emorragica. E vi è ormai anche un certo grado di evidenza che vi sia una partecipazione dei fattori psicologici nell’insorgere o nell’aggravarsi delle malattie coronariche e tumorali (Anchisi e Dessy, 2008).

Le reazioni comportamentali sono facilmente individuabili e rappresentano il primo fattore diagnostico per identificare i soggetti sotto stress: sono persone sempre di fretta, precipitose, impazienti, irritabili. Alla luce di ciò Rosenman e Friedman (1974) hanno definito il Tipo A per designare quel tipo di persone che, trovandosi abitualmente sotto stress, hanno una maggiore possibilità di sviluppare i disturbi e le malattie precedentemente elencate con maggiore probabilità rispetto alle altre persone.

Ponendo attenzione alle ricerche presenti in letteratura in merito alle conseguenze dello stress, secondo Compare e colleghi (2007) si può considerare la relazione tra stress psicologico e malattia cardiaca. I pazienti cardiopatici presentano spesso un considerevole disagio emozionale, in termini di rabbia, ansia, paura e depressione. Per queste ragioni, in anni recenti, la comunità medica ha sempre più riconosciuto il bisogno di interventi efficaci per la riduzione dello stress in modo da migliorare la salute emotiva e la riabilitazione fisiologica nei pazienti con cardiopatia e per facilitare la prevenzione della malattia in soggetti a rischio (Compare et al., 2007). Una dimostrazione su scala mondiale dell’interazione tra stress e infarto cardiaco è stata fornita dal cosiddetto Studio INTERHEART, in cui sono stati interrogati 30.000 tra pazienti che avevano subito un infarto e controlli sani in 52 paesi. Lo studio nasce dalla constatazione che, sebbene oltre l’80% del peso globale delle malattie cardiovascolari ricada sui paesi più poveri, la conoscenza dei fattori di rischio viene in gran parte dai paesi più sviluppati. Succede così che l’effetto degli stessi fattori di rischio sulle malattie coronariche in molte regioni del mondo sia pressoché misterioso. La presenza di stress psicologico è associata ad un incremento del rischio del 40%  (Yusuf et al., 2006).

Diversi studi hanno invece indagato lo stress come fattore di alcuni casi di alopecia areata. Infatti prima dell’insorgenza della caduta dei capelli in alcuni casi sono emersi dei traumi acuti, un significativo numero di eventi stressanti e patologie psichiatriche diagnosticate e particolari condizioni psicologiche e familiari. Mentre altri lavori evidenziano come gli stress emozionali non giochino alcun ruolo nella patogenesi dell’alopecia areata (Madani et Shapiro,2000). Alla luce di ciò sarebbe opportuno avviare ulteriori ricerche per una maggiore chiarificazione.

Inoltre, negli ultimi anni, sempre più ricerche hanno tentato di far luce sui disturbi somatici derivati da stress psicologico tramite studi di neuroimaging. Per esempio Atmaca e collaboratori (2011) hanno cercato di indagare il ruolo svolto dal complesso amigdala ippocampo nella genesi del disturbo di somatizzazione. Attraverso la MRI (risonanza magnetica strutturale) un gruppo di ricercatori ha rilevato che i pazienti con disturbi di somatizzazione avevano i volumi dell’amigdala destra e sinistra significativamente inferiori rispetto al gruppo di controllo, mentre nello stesso studio non è stata riscontrata alcuna differenza nell’ippocampo, nel volume totale del cervello e nel volume della sostanza grigia e bianca (Atmaca et al, 2011). Altri studi di neuroimaging hanno invece evidenziato una disfunzione dell’ippocampo nella fibromialgia e ridotte dimensioni del lobo parietale nei soggetti affetti da disturbi dissociativi (Compare e Grossi, 2012).È bene aggiungere che a seguito delle scoperte sulla plasticità neuronale alcuni ricercatori hanno reso noto il ruolo chiave svolto dallo lo stress e dagli ormoni legati allo stress (come i glucocorticoidi e mineralcorticoidi) nel rimodellamento delle connessioni neuronali nell’ippocampo, nella corteccia prefrontale e nell’amigdala (Mcewen e Gianaros, 2011). Il risultato è stato un’architettura dinamica del cervello che può essere modificata dall’esperienza (Mcewen, 2011).

Pertanto di fronte a un evento stressante, l’organismo utilizza le proprie capacità difensive fisiche, modulate dai fattori psichici, per mettere in atto una risposta. Le principali fonti di stress, sia positivo che negativo si riscontrano soprattutto nell’ambito del lavoro in cui, secondo quanto si evince dagli studi presenti in letteratura, prevale una visione nociva dello stress (Bolognini et al., 1994). Beeher e Newman (1978) lo descrivono come una condizione nella quale i fattori legati al lavoro interagiscono con il lavoratore e ne alterano gli equilibri psicosomatici. Non a caso spesso, nei contesti organizzativi si parla di stress lavoro-correlato. Peruzzi (2011), in un suo articolo, riporta che il rapporto di ricerca “Work-related Stress” pubblicato dall’Osha nel 2000 distingue tre principali approcci alla definizione e studio dello “stress lavoro-correlato”: l’approccio “tecnico” (Cox, 1978), “fisiologico” (Selye,1950) e “psicologico” (Cooper, Marshall, 1976; Osha 2000). L’approccio “tecnico” concepisce lo stress lavorativo come una caratteristica propria dell’ambiente di lavoro, misurabile, quindi, sulla base di parametristrettamente oggettivi. Come precisa Symonds (1947), “lo stress è ciò che accade all’uomo, non ciò che accade nell’uomo; è un insieme di cause, non un insieme di sintomi” (Osha, 2000).

L’approccio “fisiologico”, al contrario, definisce lo stress lavorativo come l’attività umana individuale di adattamento ai cambiamenti avversi e nocivi del contesto esterno ed interno, articolata nelle tre fasi dell’allarme, resistenza ed esaurimento (Osha, 2000). Infine l’Autore (Peruzzi, 2011) continua scrivendo che l’approccio psicologico definisce invece lo stress lavorativo come uno stato psicologico parte di un più ampio processo di interazione dinamica tra il lavoratore e il suo ambiente di lavoro. Particolarmente utile per comprendere l’articolazione di tale processo è il modello costruito da Cooper e Marshall

(1976). Quest’ultimi identificarono le fonti di stress che circondano l’individuo nel luogo di lavoro (ad esempio, modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ruolo nell’organizzazione), i sintomi dello stress, siano essi individuali (pressione alta, depressione, alcolismo, irritabilità etc.) o collettivi/organizzativi (elevato assenteismo, elevato ricambio della forza lavoro, relazioni industriali difficili, scarso controllo della qualità), e le patologie che a tali sintomi possono conseguire (cardiopatia coronarica, malattia psichica, infortuni gravi e frequenti, apatia) (Cooper e Marshall,1976; Osha, 2000). In ultima rassegna Peruzzi (2011) asserisce che ad una definizione più precisa e funzionale di stress lavoro-correlato si perviene, tuttavia, se si integra il sistema descrittivo di Cooper con l’ulteriore prospettiva d’analisi elaborata da Cox, Griffiths e Rial-Gonzales all’interno del rapporto Osha del 2000 e costituita dal cd. modello “dual pathway hazardharm” sul rapporto tra fattori di rischio e danno alla salute (Osha, 2000).

La conseguenza cardine dello stress in ambito lavorativo è rappresentata dalla sindrome da Burnout.


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza