Valutazione delle performance: ruolo della voce strumentale e non-strumentale nella giustizia distributiva e procedurale

Il ruolo della voce strumentale e non-strumentale nel modulare la giustizia distributiva e procedurale nella valutazione della performance.

Abstract

La presente relazione ha lo scopo di analizzare l’articolo di Koorsgard e Roberson (1995), che illustra il ruolo della variabile “voce”, ovvero la possibilità degli esaminati di esprimere la propria opinione durante il processo di presa di decisione, nel modulare la percezione della giustizia distributiva e procedurale. L’analisi procederà individuando le implicazioni pratiche dello studio nella decisione delle procedure da adottare.

1) Introduzione

Recentemente è stato dimostrato che la giustizia distributiva, definita come la percezione dell’equità di distribuzione delle risorse, e la giustizia procedurale, ovvero la percezione dell’equità delle procedure usate per prendere delle decisioni, sono indipendentemente associate alle attitudini verso la decisione e l’organizzazione (Folger, 1987).

Nei termini della selezione la giustizia distributiva può essere definita come la percezione dell’imparzialità del valutatore nel prendere la decisione finale, e quindi, della distribuzione delle stesse risorse nella decisione dei risultati del processo di selezione, o più semplicemente, è legata alla condizione di essere o meno assunti. La giustizia procedurale, invece, fa un passo indietro nel processo, e identifica la percezione del candidato riguardo le procedure utilizzate nel corso della selezione. In particolare, la giustizia sarà percepita, più che dall’equità della decisione in sè, dalla correttezza della procedura utilizzata. Questo significa che la procedura andrà ad influenzare le attitudini verso la decisione finale.

Secondo Leventhal (1980) i soggetti solitamente valutano la giustizia procedurale con un sistema di valutazione che fa riferimento alle soddisfazione, o alla violazione, di alcune regole. Gilliland (1993) individua dieci regole, ovvero:

    1. la connessione con il compito
    1. la possibilità di mostrare le proprie capacità
    1. l’opportunità di avere una seconda chance
    1. la coerenza
    1. la presenza di feedback
    1. la conoscenza delle informazioni
    1. la corretteza
    1. l’adeguatezza del trattamento
    1. la comunicazione a due vie
    1. l’adeguatezza delle domande

La presente relazione vuole soffermarsi in particolare su due di queste: ovvero la comunicazione a due vie e la presenza di un feedback finale.

Ci sono, infatti, delle variabili che intervengono in questi processi e sono ingrado di modulare la percezione dei candidati circa la giustizia procedurale e distributiva, una di queste è la “voce”, che verrà illustrata più approfonditamente nel prossimo paragrafo, per avere un giusto frame teorico di riferimento completo.

La voce può essere definita come la possibilità di far sentire la propria opinione e attraverso di essa, sperare di avere almeno una possibilità di influenzare le decisioni prese dall’alto.

L’importanza di questo processo è lampante e può essere ricercata persino nel senso comune, in quanto nessuno riterrebbe giusto essere giudicato senza prima essere ascoltato. Diventa quindi rilevante la parte giocata dalla voce nella considerazione che il giudicato avrà, non solo riguardo la decisione finale, ma anche riguardo alla correttezza dei procedimenti attraverso i quali la decisione è stata presa, oltre che modificare la sua disposizione verso chi lo giudica.

Nel contesto della valutazione delle prestazioni, le analisi prese in considerazione assumono particolare rilevanza, sia nella progettazione dell’intervento valutativo che dello svolgimento dello stesso, come sarà illustrato nelle conclusioni.

2) La giustizia procedurale nella valutazione delle performance: il ruolo della voce strumentale e non-strumentale nella discussione della valutazione della performance, di Korsgaard, M.; Roberson, L., (1995).

2.1 Quadro teorico di riferimento

Sono molte le variabili che sono state ipotizzate come causa di una percezione di equità più o meno forte, e una di queste è la variabile “voce”.

Con questo nome si intende indicare la possibilità per i subordinati che subiranno la decisione, di offrire informazioni utili per la presa di decisione. Nonostante il suo peso sia consistente, rimangono dubbi circa cosa si intenda per “voce” nella valutazione delle performance. La voce è una forma di partecipazione subordinata, citata spesso come un mezzo per aumentare la soddisfazione con il processo di apprendimento.

Attualmente, ci sono due ragioni per le quali la voce viene valutata, l’effetto strumentale e l’effetto non strumentale.

La spiegazione strumentale dell’effetto della voce, asserisce che la voce porti alla percezione di controllo indiretto sulle decisioni dove il controllo diretto sarebbe impossibile (Shapiro, 1993; Thibaut e Walker, 1975). Questo significa che la voce influenza le attitudini delle persone riguardo una decisione perché in qualche modo, esse avvertono di aver avuto una possibilità di influenzare la decisione.

Ovviamente, per dimostrare l’effetto strumentale è necessario che la percezione di avere un influenza vada oltre la mera possibilità di esprimere la propria opinione.

Nella spiegazione non-strumentale la voce viene considerata intrinsecamente, che influenzi o meno la decisione finale. Questo significa che la voce è una cosa desiderata per se stessa, e per questo genera attitudini favorevoli. Questo tipo di voce è tenuta in considerazione perché indicativa dello status di una persona all’interno del gruppo o dell’organizzazione. La distinzione chiave fra i due meccanismi di voce è la percezione del potenziale di influenza, che non tiene di fatto in conto il reale impatto della voce sulla decisione finale. Di fatto, le ricerche condotte “nora non sono riuscite a dimostrare la dominanza di un meccanismo sull’altro (Shapiro, 1993).

Concettualmente, la voce strumentale e non-strumentale sembrano essere connesse. La voce non strumentale, la mera opportunità di essere ascoltati, a prescindere dalle conseguenza, è una condizione necessaria per la percezione della voce strumentale, i potenziale di influenza che si ottiene esprimendo la propria opinione. Di conseguenza, per distinguere tra le due, è necessario dimostrare l’effetto della voce non-strumentale attraverso l’effetto del potenziale percepito di poter influenzare qualcuno (Shapiro, 1993).

Il duplice meccanismo della voce potrebbe avere un impatto sulla giustizia distributiva e procedurale.

L’effetto non strumentale della voce, ad esempio, che indica lo status di una persona, potrebbe avere rilevanza maggiore sulle relazioni a lungo termine con il manager, piuttosto che sulla decisione immediata (Lind e Tayler, 1988).

L’effetto strumentale, per contro, potrebbe essere legato maggiormente alla decisione della specifica situazione.

Integrando in questo modo i due principi si può comprendere meglio il legame fra la giustizia procedurale e quella distributiva.

Secondo Folger (1987), la percezione dell’equità delle procedure impatta la percezione della giustizia dei risultati.

Il meccanismo strumentale della voce può spiegare questo collegamento: la voce nelle procedure di decisione permette di avere un modo indiretto per controllare o assicurare una decisione più equa. In aggiunta a questo, la voce genera attitudini positive in quanto viene desiderata di per se stessa, ottenendo quindi , sullo stato d’animo verso chi prende la decisione, un effetto diretto, attraverso la voce non-strumentale, e indiretto, attraverso la voce strumentale.

3. Obiettivi

Gli obiettivi della ricerca presa in esame sono di esaminare e comparare le due possibile spiegazioni date alla voce nella valutazione della performance. L’influenza di queste due componenti sulla giustizia procedurale vengono esaminate, controllando parallelamente l’influsso sulla giustizia distributiva.

Le conseguenze attese sono che la giustizia procedurale, misurata attraverso la percezione della voce strumentale e non, sarà relazionata unicamente alle attitudini verso il management. Inoltre, gli autori ipotizzano che la percezione della voce strumentale non strumentale sarà relazionata alle posizioni circa la valutazione e verso il manager che effettua la valutazione.

4. Metodo

Partecipanti e setting

I dati che vengono riportati nell’articolo preso in considerazione, sono stati raccolti come parte di uno studio più grande che riguardava le attitudini verso la valutazione delle performance.

I partecipanti sono 168 manager impiegati in tre divisioni di un’organizzazione.

L’età media è di 37,6 anni e la media degli anni passati nell’organizzazione è di 11,4.

La politica della compagnia verso la valutazione della performance coinvolgeva valutazioni annuali dei manager da parte dei loro superiori, usando un modello standard e un incontro tra manager e superiori per rivedere insieme le valutazioni. Il modello standard era costituito da tre sezioni: una valutazione del raggiungimento degli obiettivi, commenti aperti, e punteggi su sei diverse dimensioni del management. Inoltre, il modello conteneva una valutazione complessiva delle performance basato su queste valutazioni.

Gli avanzamenti di carriera erano determinai dalla valutazione complessiva delle performance. Interviste di valutazione annuali venivano condotte durante l’arco dell’anno. I dati a cui fa riferimento l’articolo erano stati raccolti poco dopo queste valutazioni.

Misure predittive

Voce: vengono usate due misure di voce subordinata nella sessione di valutazione. strumentale e non strumentale.

La voce strumentale è riferita alla percezione dei manager di potenziale influenza sul processo di valutazione La voce non strumentale è riferita ai contributi dei manager alla discussione della valutazione.

La valutazione della voce non strumentale presenta una sfida in quanto la partecipazione nella discussione di valutazione potrebbe rappresentare una forma di influenza indiretta.

La misura delle due, per tanto, è stata misurata con una correlazione non uguale a zero tra la voce strumentale e non strumentale.

Giustizia distributiva: quattro item sono stati dedicati allo studio della percezione di giustizia distributiva, basandosi sull’affermazione (Folger, 1987; Greenberg, 1986) della stessa come un assenso con, e una percezione di, equità nei punteggi attribuiti dai superiori alle performance.

Criteri di misura

Soddisfazione per le valutazioni: due item misuravano la soddisfazione per le valutazioni.

Fiducia nei manager: la posizione dei partecipanti verso i loro superiori è stata valutata nei termini del livello di “ducia nei loro superiori.

5. Risultati

I risultati indicano che l’ipotesi che ci siano due meccanismi di voce, è stata parzialmente supportata dal fatto che entrambe le componenti della voce erano legate alla soddisfazione per la valutazione finale. La percezione della voce strumentale e non strumentale si è dimostrata predittiva della soddisfazione per la valutazione ricevuta.

La fiducia, invece, si è dimostrata relazionata solo con la voce non strumentale, invece che per entrambe come atteso.

L’impatto delle componenti della voce su soddisfazione e fiducia è risultato simile all’impatto differenziale della giustizia procedurale e distributiva sulla soddisfazione e sulla fiducia.

Questo indica che la voce può avere due scopi, influenzando sia le differenti percezioni di equità che le diverse posizioni verso i superiori. La distinzione fra le varie conseguenze dell’equità è quindi una funzione chiave per comprendere più a fondo l’importanza che la voce ha sugli individui.

Alcune inconsistenze sono state riscontrate tra i risultati dell’articolo e la letteratura presa in considerazione. In particolare, Folger e Konovsky(1989) avevano concluso che la giustizia procedurale fosse maggiormente relazionata alle posizioni verso il management rispetto alla giustizia distributiva

La ricerca sulla partecipazione nella valutazione della performance ha prodotto effetti poco chiari, a cause del mancato riconoscimento della complessità del fenomeno (Pasmore e Fagans, 1992).

Le scoperte dello studio preso in considerazione in questa relazione possono essere di aiuto per chiarire in parte questa complessità: nei risultati, infatti è evidente come la “partecipazione” possa circoscrivere la voce strumentale e non-strumentale, pur evidenziando come le due non siano intercambiabili negli effetti che producono.

6. Implicazioni pratiche

Alla luce dello studio preso in considerazione è possibile evidenziare una serie di implicazioni pratiche che si possono adottare durante la decisione della procedura da adottare per effettuare una valutazione delle prestazioni. In particolare, sarà possibile disegnare interventi ad hoc, variandoli in base ai risultati desiderati.

Se le procedure intendono intensificare la considerazione e migliorare le attitudini verso il management e l’organizzazione, allora la partecipazione, la voce sia strumentale che non, può essere utilizzata in modo pertinente. Questo tipo di procedure deve essere utilizzata attentamente, perché se viene ridotta l’aspettativa di poter avere un’influenza, ma questa aspettativa non viene realizzata, gli impiegati potrebbero essere ancora più risentiti di come sarebbero stati se non fosse stata data loro la possibilità di esprimersi (Cohen, 1985; Folger 1986). Le ricerche svolte hanno inoltre dimostrato che l’opinione espressa da un individuo dovrebbe essere riconosciuta e tenuta in considerazione da chi prende la decisione, in modo che l’effetto della voce possa essere efficace (Tyler, 1987).

Shapiro (1993), ha identificato le azioni manageriali dividendole tra strumentali e non strumentali, come ad esempio esprimere le opinioni degli impiegati ai superiori, o considerando e loro opinioni verbalmente, che aumentano la positività della percezione della considerazione che gli impiegati ritengono che le loro opinioni possano aver avuto.

In particolare, nel caso si voglia inserire la voce all’interno di un processo di valutzione, si possono ritenere più valide alcune procedure di testing rispetto ad altre, procedure che prevedano un contatto tra valutatore e valutato. Esempi validi di procedure adatte possono essere l’intervista, che più delle altre prevede un faccia a faccia con l’intervistato e permette quindi di dargli modo di esprimere le proprie opinioni ed avere così la percezione di avere un influsso sul processo di valutazione. Più in generale, però è possibile applicare questo metodo a molteplici metodologie di testing, a patto di prevedere uno scambio diretto tra valutatore e valutato, e che prevedano una parte finale di restituzione, che tenga in conto quanto detto dal valutato durante i colloqui valutativi.

7. Conclusioni

La voce si è dimostrata essere un’importante interveniente nei processi di percezione della giustizia procedurale e distributiva. Sia l’uso strumentale che l’uso non strumentale possono arricchire il processo di valutazione, parallelamente per le parti in gioco. Se dal punto di vista della dirigenza, la voce è un valido strumento per accrescere il commitment verso l’organizzazione, la considerazione che i valutati hanno dei valutatori; dal punto di vista dei valutati può essere utile perché permette di accrescere la soddisfazione e la percezione di giustizia distributiva e procedurale.

L’uso non-strumentale della voce, può aumentare la soddisfazione rispetto all’organizzazione, ai manager e al processo di valutazione.

Per quanto riguarda l’uso strumentale della voce, i soggetti che notano la discrepanza tra le aspettative che avevano prima di essere valutati e la valutazione che hanno ricevuto possono modificare la loro autostima, la loro sensazione di autoefficacia. L’inclusione, nella presentazione dei risultati, dell’opinione espressa durante la valutazione, opinione che può anche essere non condivisa, ma che viene presa in seria considerazione, può essere uno strumento valido per diminuire la discrepanza tra le aspettative del candidato e i risultati, o perlomeno può spiegare in modo più accurato il perché della discrepanza, nel caso ci sia.

Questo può a sua volta trasformarsi per il candidato in un utile strumento per la crescita personale, che lo aiuti nel processo di auto-miglioramento, contemporaneamente aumentando l’efficacia del processo di valutazione.

Bibliografia

  • Cohen, R.L. (1985). Procedural justice and participation. Human relations, 38(7): 634-663.
  • Folger, R. (1986). Rethinking equity theory: A referent condition model. Pp. 145-162 in H. W.
  • Bierhoff, R.L. Cohen and J. Greenberg (Eds.), Justice in social relations. New York: Plenum.
  • Folger, R. (1987). Distributive and procedural justice in the workplace. Social Justice Research, 1(2): 143- 159.
  • Gilliland, S. W. (1993). The perceived fairness of selection systems: An organizational perspective. Academy of Management Review, 18 (4). 694-734.
  • Greenberg J. (1986). Determinants of perceived fairness of performance evaluations. Journal of Applied Psychology, 71: 34-342.
  • Korsgaard, M.A., Roberson, L. (1995). Procedural Justice in Performance Evaluation: the Role of Instrumental and Non-instrumental Voice in Performance Appraisal Discussionn. Journal of Management, 18 (4). 657-669.
  • Leventhal, G.S. (1980). What Should Be Done with Equity ?eory? New Approaches to the Study of Faimess in Social Relationships. In: K.J. Gergen, M.S. Greenbers, and R.H. Willis, eds., Social Exchange: Advances in theory and Research. New York: Plenum.
  • Shapiro, D. (1993). Reconciling theoretical differences among procedural justice research by reevaluating what it means to have one’s views “considered”: Implications for third party managers. Pp. 51-78 in R. Cropanzano (Ed.), Justice in the workplace: Approaching famess in human resource managemet. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
  • Thibaut, J.W. & Walker, L. (1975). Procedural justice: A psychological analysis. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
  • Tyler, T.R. (1987). Conditions leading to value expressive effects in judgments of procedural justice: A test of four models. Journal of Personality and Social Psychology, 52: 333-344.

    © Il ruolo della voce strumentale e non-strumentale nel modulare la giustizia distributiva e procedurale nella valutazione della performance. – Anna Rosso

Strumenti per misurare il benessere soggettivo: PANAS

Strumenti per misurare il benessere soggettivo: Positive Affect and Negative Affect Scales (PANAS)

Il PANAS (Watson et al., 1988) è uno degli strumenti più utilizzati per valutare gli stati affettivi positivi e negativi.

Il PANAS misura due dimensioni distinte e indipendenti: l’affetto positivo e l’affetto negativo.

Il questionario è composto da 20 aggettivi, 10 per la scala di affetto positivo (PA) e 10 per la scala di affetto negativo (NA).

La sottoscala PA riflette il grado in cui una persona si sente entusiasta, attiva e determinata; la sottoscala NA fa riferimento ad alcuni stati spiacevoli generali come la rabbia, la colpa e la paura.

Il soggetto deve valutare quanto si sente generalmente nel modo descritto dall’aggettivo, rispondendo su una scala Likert a 5 punti (1= per nulla, 2=poco, 3=moderatamente, 40abbastanza, 5=molto). Esempi di aggettivi sono “interessato”, “entusiasta”, “deciso”, “angosciato”, “ostile” e “nervoso”.

La versione originale è stata sviluppata e validata da Watson, Clark e Tellegen nel 1988 e possiede proprietà psicometriche eccellenti: il coefficiente di consistenza interna della sottoscala PA varia da .86 a .90 e quello della sottoscala NA varia da .84 a .87. Inoltre, il test presenta una buona validità convergente e divergente.

Le due sottoscale presentano una bassa correlazione (da -.12 a -.23) e questa caratteristica è in linea con la teoria che i due fattori, PA e NA, siano indipendenti tra loro.

Le due sottoscale presentano anche una buona fedeltà test-retest.

Il PANAS è stato tradotto in parecchie lingue, la versione italiana è stata validata da Terracciano (Terracciano, McCrae, & Costa, 2003) su un campione di 600 soggetti e ha replicato le caratteristiche psicometriche dello studio americano.

Negli ultimi anni sono numerose le ricerche che hanno utilizzato questo strumento in diverse aree: è stato utilizzato per indagare l’eventuale correlazione tra l’affetto positivo e negativo e la qualità del sonno (Norlander, Johansson, & Bood, 2005); per analizzare la relazione tra stili di attribuzione (interno o esterno) per le situazioni positive e negative e un punteggio alto o basso al PANAS (Sanjuan, Pérez, Rueda, & Ruiz, 2008); in ricerche sullo stato di benessere in persone affette da cancro (Voogt et al., 2004); in ricerche sul ruolo delle malattie cardiovascolari e dell’uso di droghe nel variare lo stato di benessere dei soggetti (Westerbotn,  Agüero-Torres, Fstbom, & Hilleras, 2004); per esaminare la relazione tra l’affetto negativo e i disturbi dell’alimentazione(Spoor, Bekker, Van Strien, & Van Heck, 2006).

© Stile repressore e benessere – Margherita Monti

 

 

Strumenti per misurare il benessere soggettivo: SWLS

Strumenti per misurare il benessere soggettivo: Satisfaction With Life Scale (SWLS)

 

La Satisfaction With Life Scale (SWLS) è una misura sulla soddisfazione della vita, sviluppata da Ed Diener e colleghi (Diener, Emmons, Larsen & Griffin, 1985).

La soddisfazione di vita è ritenuta essere un fattore all’interno del costrutto più generale del benessere. Teorie e ricerche suggeriscono almeno tre componenti del benessere: l’affetto positivo, l’affetto negativo e la soddisfazione di vita (Andrews & Withney, 1976). Tale componente si riferisce all’aspetto cognitivo del benessere.

Questa scala si fonda sulla concezione di soddisfazione di vita considerata come esito di un processo di giudizio riferito all’insieme degli aspetti della propria esistenza ed effettuato utilizzando i criteri personali, propri dell’intervistato (Pavor & Diener, 1993).

I soggetti, nel formulare la risposta, confrontano le proprie circostanze di vita percepite con uno standard che si costruiscono e che ritengono appropriato per se stessi; il livello di soddisfazione è quindi tanto più elevato quanto maggiormente le condizioni di vita vi si avvicinano.

Il focus sulla soddisfazione globale permette ai soggetti di pesare gli ambiti della loro vita rispetto ai propri valori, criteri e standard.

Ad esempio, sebbene la salute e l’energia dovrebbero essere desiderabili per tutti, alcune persone possono costruire differenti valori riguardo ad essi.

Inizialmente la struttura della scala era composta da 48 item.

L’analisi fattoriale iniziale rilevò una struttura a tre fattori con 10 item che rappresentavano la componente cognitiva del benessere; siccome alcuni di questi item avevano lo stesso significato, ne furono presi in considerazione solo 5 che vanno a formare l’attuale SWLS; alcuni esempi di item sono: “Per la maggior parte la mia vita si avvicina al mio ideale” o “Le mie condizioni di vita sono eccellenti”. I soggetti devono indicare il proprio grado di accordo su una scala Likert a 7 punti (da “per niente d’accordo” a “molto d’accordo”) e i punteggi vengono successivamente sommati per ricavarne un indice complessivo.

Una serie di studi condotti da Diener et al.(1985) dimostrano che la scala ha un singolo fattore, gli item misurano lo soddisfazione di vita e che i contenuti sono appropriati per un vasto campione di età, inoltre citano correlazioni test-retest a distanza di due mesi pari a .82.

La SWLS mostra anche correlazioni con altre scale che misurano il benessere, ad esempio con la Fordyce Scale (0.59; Fordyce, 1977) e con la Gurin Scale (0.59; Gurin, Veroff & Field, 1960).

Altre ricerche (Pavor & Diener, 1993) hanno esaminato la consistenza interna della scala e l’alpha di Cronbach ha ripetutamente superato lo .80.

Per esempio Diener e colleghi nello studio originale hanno trovato un indice di alpha di 0.87 per 176 studenti universitari dell’Illinois.

Nello studio condotto da Diener, Sandvik & Pavor (1991) si è dimostrato come il benessere sia un fenomeno relativamente stabile e globale e non semplicemente un giudizio momentaneo basato su influenze passeggere e la Satisfaction With Life Scale sembra appropriata per catturare tale dimensione.

I punteggi alla scala sono stati trovati essere moderatamente correlati all’estroversione (.35) e negativamente correlati col neuroticismo (-.48), l’impulsività (-.08) e con la lista dei sintomi (-.41); questo può significare che gli individui che sono soddisfatti della propria vita sono anche liberi dalla psicopatologia (Diener et al.1985; Pavot & Diener, 1993; Pavot, Diener, Colvin & Sandvik, 1991).

Oltre alle ottime caratteristiche psicometriche che presenta, questa scala ha il vantaggio della brevità che la rende facilmente incorporabile all’interno di batterie di test molto ampie.

Un limite di questo strumento è che non permette di valutare il processo di formulazione dei giudizi di soddisfazione. Ad esempio non consente di stabilire quali siano i criteri utilizzati nel produrre il giudizio (con le condizioni ideali o con quelle di altre persone o con entrambi le condizioni). Inoltre non è possibile stabilire quali sono gli ambiti di vita che pesano maggiormente sul giudizio finale perché ritenuti più importanti.

Questo test è spesso utilizzato per valutare la soddisfazione di vita in pazienti con varie patologie, soprattutto di natura fisica, come per esempio, nel caso di malattie renali allo stadio finale (Kimmel., Emmont, Newmann, Danko & Moss, 2003), o per chi ha subito un’isterectomia (Kritz-Silverstein, Wingard & Barret-Connor, 2002), per chi presenta danni al midollo spinale (Dowler, Richards, Putzke, Gordon & Tate, 2001), o per chi attraversa la menopausa (Dennerstein, Dudley, Guthrie & Barret-Condor, 2000) oppure per chi ha avuto un cancro alla mammella (Tate, Riley, Perna & Roller, 1997).

© Stile repressore e benessere – Margherita Monti

Strumenti per misurare il benessere soggettivo PWBS

Strumenti per misurare il benessere soggettivo: Psychological Well-Being Scales (PWBS)

Le PWB Scales costituiscono un questionario self-report che si propone di valutare il benessere psicologico basandosi sul modello di Carol Ryff.

Secondo l’autrice, il benessere è un processo multidimensionale e dinamico composto da 6 dimensioni:

    1. autoaccettazione,
    1. relazioni interpersonali positive,
    1. autonomia,
    1. controllo ambientale,
    1. crescita personale
    1. scopo nella vita.

Esistono diverse versioni di questo test: la prima è quella a 120 item di cui 20 per ogni dimensione (Ryff, 1989a), poi vi sono una versione a 84 item di cui 14 per ogni dimensione (Ryff et al., 1996) ed una versione a 18 item di cui 3 per ogni dimensione (Ryff, Keyes, 1995).

Il questionario (versione a 120 item) è stato validato negli Stati Uniti ed ha riportato buone proprietà psicometriche.

La coerenza interna per ogni scala è stata:

    • Autoaccettazione =.93,
    • Relazioni positive con gli altri =.91,
    • Autonomia =.86,
    • Padronanza ambientale =.90,
    • Scopo nella vita =.90,
    • Crescita personale =.87.

Sono stati valutati anche i coefficienti di attendibilità test-retest su una parte del campione e sono risultati i seguenti:

    • Autoaccettazione = .85,
    • Relazioni positive con gli altri = .83,
    • Autonomia = .88,
    • Padronanza ambientale =.81,
    • Scopo nella vita = .82,
    • Crescita personale =.81 .

In Italia, il questionario è stato tradotto e validato nella versione a 84 item (Ruini et al., 2003), versione che abbiamo utilizzato anche nel nostro campione.

I soggetti devono esprimere il loro grado di accordo con le affermazioni riportate; esempi di item sono “Non ho paura di esprimere le mie opinioni, anche se esse sono contrarie a quelle della maggior parte delle altre persone”, “Ho la sensazione che molte persone che conosco abbiano ricevuto di più nella vita rispetto a quello che ho ricevuto io”, “Mi sento frustrato quando cerco di pianificare le mie attività quotidiane perché non porto mai a termine le cose che mi propongo di compiere”.

I punteggi agli item sono attribuiti in base ad una scala Likert a 6 punti che (1 =completamente in disaccordo, 2=in disaccordo, 3=lievemente in disaccordo, 4=lievemente d’accordo, 5=d’accordo, 6 = completamente d’accordo) il punteggio di ogni scala può variare quindi da 14 a 84.

Le proprietà psicometriche riportate per la versione italiana sono buone: per l’attendibilità test-retest i coefficienti di Pearson sono molto elevati per le scale Crescita personale, Relazioni positive con gli altri, Scopo nella vita e Autoaccettazione. I coefficienti delle altre due scale (Autonomia e Controllo ambientale) sono, invece, bassi per poter misurare caratteristiche simili a tratti di personalità.

Le PWB Scales sono state utilizzate per condurre studi in svariate aree di ricerca: per indagare l’impatto delle 6 dimensioni del benessere psicologico sulle aspirazioni lavorative e sull’identità professionale (Strauser et al., 2008); per indagare la correlazione tra disposizione al perdono e benessere psicologico (Lawler-Row & Piferi, 2006); per esaminare il ruolo del benessere psicologico nel determinare la soddisfazione sessuale (Biss & Horne, 2005), come strumento di assessment per il disturbo d’ansia generalizzato (Ruini et al., 2006), per il disturbo di panico e agorafobia in fase di remissione (Ottolini et al., 2004).

© Stile repressore e benessere – Margherita Monti

 

 

 

Strumenti per misurare il benessere psicologico PGWBI

Strumenti per misurare il benessere psicologico: Psychological General Well-Being Index (PGWBI)

Il questionario PGWBI è una misura validata della Qualità della vita o Qualità della vita correlata alla salute (HRQoL), ampiamente usata nella pratica clinica e nella ricerca epidemiologica per fornire una valutazione generale soggettiva del benessere psicologico e della salute.

Il primo documento che testimonia l’uso del termine “qualità della vita”, all’interno di una rivista di medicina, risale al 1966 quando J.R. Elkinton, parlando del tema dei trapianti, pubblicò un editoriale dal titolo “Medicina e Qualità di vita”.

Tre anni dopo Harold Dupuy, psicologo del National Center for Health Statistics, sviluppò la sua Psychological General Well Being Schedule, un questionario di 68 item con lo scopo di misurare il grado di “felicità” e lo stato di distress psicologico della popolazione americana. Fazio (1977)  sviluppò una forma alternativa, a 33 item.

Alcuni anni dopo Dupuy insieme a John E. Ware collaborarono alla revisione, all’adattamento e alla validazione definitiva del Psychological General Well- Being Index (PGWBI); la versione della nuova scala viene portata a 22 items e le categorie di risposta vengono classificate lungo una scala Likert a 6 punti, con valori compresi tra “0” e “5”.

Il PGWBI è stato sviluppato per l’utilizzo auto-somministrato che richiede da 8 a 15 minuti. Nel caso di persone analfabete, con ritardo mentale, non vedenti o analfabeti si può somministrare attraverso un’intervista.

Come già accennato, il questionario è composto da 22 item che esplorano sei differenti dimensioni: ansia, depressione, positività e benessere, autocontrollo, stato di salute generale e vitalità; le sei scale sono costituite da un minimo di 3 ad un massimo di 6 item: la scala dell’ansia è la più lunga e comprende 5 item, le scale del benessere e della vitalità sono formate da 4 item e le restanti comprendono ciascuna 3 item.

Tutte le domande si riferiscono alle quattro settimane precedenti alla somministrazione e ognuna ha 6 risposte chiuse che si differenziano a seconda dell’item in questione.

Alcuni esempi di item sono: “Nelle ultime quattro settimane mi sono sentito scoraggiato e triste” o “Nelle ultime quattro settimane la mia vita quotidiane è stata interessante”. Il calcolo del punteggio si ottiene con un indice complessivo il quale può arrivare ad un massimo di 110 punti.

In tutti gli studi di validazione americana, la consistenza interna della scala è risultata elevata, con valori di Cronbach compresi tra 0.90 e 0.94. La riproducibilità intra-soggetto espressa dai coefficienti di test-retest oscilla attorno ad un valore mediano di 0.80. Il PGWBI risulta inoltre correlato negativamente con il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (-0,55), il Beck Depression Inventory (-0,68), lo Zung Depression Inventory (-0,75), il Personal Feelings Inventory Depression (-0,78) e con la Hopkins Symptom Checklist (-0,77).

Lo studio che riguarda la validazione italiana del PGWBI (Grossi, Groth, Mosconi, Cerutti, Pace, Compare & Apolone, 2006), ha coinvolto quattro campioni di popolazione differenti: due campioni della popolazione generale, un campione di studenti e uno di pazienti. L’obiettivo era selezionare il minor numero di item che potesse giustificare almeno il 90% della varianza del questionario originale di 22 item; usando un’analisi della regressione “step-wise”, furono rilevati 6 item.

Successivamente, la nuova scala formata da soli 6 item fu somministrata agli altri tre campioni. Statistiche descrittive, coefficienti di correlazione, analisi delle regressioni univariate e multivariate sono state usate per confrontare la performance della forma lunga e corta del questionario, con e tra i campioni e attraverso sottogruppi pertinenti; questa versione ulteriormente ridotta mostra una buona validità e accettabilità per l’uso in vari contesti con un valore all’ alpha di Cronbach tra.80 e .92.

Tale questionario è stato tradotto in diverse versioni: quella britannica adattata e validata nel 1992 attraverso lo studio di 223 pazienti ospedalizzati, dimostrando ottime caratteristiche psicometriche e sempre con successo la versione tedesca, danese, svedese e norvegese.

Sempre più studi che hanno come scopo quello di valutare l’impatto di terapie medico-chirurgiche o psicologiche sulla Qualità della vita, utilizzano il PGWBI. Le aree principali di applicazione sono rappresentate dall’ipertensione (Dalhof et al.,1997), dai disturbi in menopausa (Groth & Grossi, 2000), dalla malattie gastrointestinali (Lonroth et al., 2000) e cardiovascolari (Herlitz et al., 2000), dalla depressione (Moller, 2000) o dai disturbi bipolari (Namjoshi & Buesching, 2001), dalla terapia del dolore (Becker et al.,2001) e da altri disturbi con impatto sul benessere delle persone (Boman, Briman & Moller, 2004).

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Strumenti per misurare il benessere psicologico WEMWBS

Strumenti per misurare il benessere psicologico: The Warwick-Edinburg Mental Well-Being Scale (WEMWBS)

Il campo di ricerca che riguarda la psicologia positivanon è stato molto sviluppato, in parte a causa della mancanza di strumenti di misura basati sulla popolazione generale.

A questo proposito, un gruppo di ricercatori (Tennant, Hiller, Fishwick, Platt, Joseph, Weich, Parkinson, Secker & Stewart-Brown, 2007) ha sviluppato una nuova scala, la Warwick-Edinburgh Mental Well-being Scale (WEMWBS), formata esclusivamente da item formulati in modo positivo e relativi agli aspetti del benessere mentale positivo.

Lo scopo di questa nuova scala è quello di cogliere un concetto allargato di benessere che comprenda gli aspetti emozionali, le dimensioni cognitiva e valutativa e il funzionamento psicologico in uno strumento breve abbastanza da poter essere utilizzato in ricerche sulla popolazione generale. Questo strumento, a differenza di molti già esistenti, si basa solo sugli aspetti positivi del benessere.

La WEMWBS è composta da 14 item che contengono sia elementi appartenenti alla prospettiva edonistica del benessere sia elementi di quella eudaimonica come l’affetto positivo (ottimismo, gioia, riposo), le relazioni interpersonali soddisfacenti e il funzionamento positivo (energia, il pensare in modo chiaro, auto-accettazione, sviluppo personale, competenza e autonomia).

Ogni item prevede una risposta su una scala Likert a 5 punti, le possibili risposte sono: mai, raramente, qualche volta, spesso, sempre. Ai soggetti viene chiesto quante volte si sono sentiti nel modo descritto dall’item nelle ultime due settimane.

I punteggi per ogni item variano da 1 a 5 dando così un punteggio finale (rappresentato dalla somma dei punteggi ottenuti ai singoli item, ognuno con la stessa importanza) che va da un minimo di 14 ad un massimo di 70. Ad un punteggio più alto corrisponde un più alto livello di benessere.

Alcuni esempi di item sono: “Mi sono sentito ottimista riguardo al futuro”; “Ho avuto energie in avanzo”; “Ho affrontato bene i problemi”.

Le analisi delle proprietà psicometriche sono effettuate su due campioni: uno di studenti o una sulla popolazione generale scozzese; tale scala sembra avere una buona validità apparente, dal momento che copre la maggior parte della varietà dei concetti associati alla salute mentale positiva, includendo aspetti edonistici ed eudaimonici, l’affetto positivo, le relazioni interpersonali soddisfacenti e il funzionamento positivo.

La WEMWBS mostra anche una buona validità di contenuto, i tassi di risposta sono stati elevati in entrambi i campioni anche se più alti nel campione degli studenti. L’analisi fattoriale confermativa sostiene l’ipotesi unifattoriale, suggerendo che la WEMWBS misuri un singolo concetto.

La consistenza interna della scala è risultata alta in entrambi i campioni (.94), suggerendo in questo modo una ridondanza all’interno della scala. Per questo motivo gli autori sostengono la possibilità di ridurre ulteriormente la lunghezza della scala.

Per quanto riguarda la validità predittiva, nel campione degli studenti, è risultato che la WEMWBS presenta caratteristiche comuni a scale come WHO-5 (Beck, 2004; r=.77), SDHS (Joseph, Linley, Harwood, Lewis & McCollam, 2004; r=.73), SWLS (Diener, Emmons, Larsen & Griffin, 1985; r=.73), SPWB (Ryff & Keyes, 1995; r=.74). La bassa correlazione con la GLS (r=.53) e con l’EIS (Shutte et al., 1998; r=.48) suggerisce che la WEMWBS misura concetti differenti da quelli misurati da queste due scale. L’affidabilità test-retest è stata valutata ad una settimana di distanza utilizzando il coefficiente di correlazione all’interno dei gruppi, utilizzando i dati provenienti dal sottocampione ricavato dal campione degli studenti. L’affidabilità test-retest è risultata di .83 (p<.01), il che indica un’alta affidabilità della scala. La WEMWBS è risultata essere meno incline alla distorsione dovuta alla desiderabilità sociale rispetto alle altre scale utilizzate dagli autori (SWLS, WHO-5, PANAS-PA, PANAS-NA, GLS).

La versione italiana della scala è stata validata dalla collega Letizia Baldussi (2008); l’alpha di Cronbach è risultata essere di .86. La soluzione monofattoriale, che sembra essere la migliore, è in accordo con la versione originale dello strumento.

La differenza con la versione originale è data dal fatto che, mentre nel campione del Regno Unito il fattore era composto dai 14 item della scala WEMWBS, nel campione italiano risulta opportuno eliminare gli item 4 e 12 per rendere il fattore più accettabile. La scala correla positivamente con le scale del benessere PANAS-PA, SPWB, SWLS, PGWB-S e con le scale della qualità di vita WHO-5, EIS, GHQ-12, SF-12.  Correla negativamente con scale che misurano costrutti opposti, ovvero col PANAS-NA e STAI-Y tratto, assicurando la validità di criterio convergente.

La WEMWBS non sembra essere dotata di validità discriminante per distinguere i soggetti sani dai soggetti con varie tipologie di malattia somatica, mentre risulta avere una buona consistenza interna (alpha di Cronbach = .86) e una buona stabilità nel tempo.

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Strumenti per misurare lo stile repressore STAI-Y

Strumenti per misurare lo stile repressore: State-Trait Anxiety Inventory Forma Y (STAI-Y)

 

Lo STAI (Spielberger, Gorsuch & Lushene, 1970) è composto da 40 item, 20 misurano l’ansia di stato e 20 l’ansia di tratto. L’ansia di stato fa riferimento ad uno stato emotivo in un dato momento, mentre l’ansia di tratto si riferisce ad una caratteristica di personalità che distingue le diverse persone.

Le istruzioni per compilare la scala di stato chiedono al soggetto di rispondere agli item in base a come si sente in quel preciso momento, le istruzioni per la scala di tratto chiedono, invece, di rispondere in base a come il soggetto si sente abitualmente.

Nel nostro studio abbiamo utilizzato solo la scala di tratto.

I punteggi delle risposte vengono calcolate su una scala Likert a 4 punti (da per nulla a moltissimo per la scala di stato e da quasi mai a quasi sempre per quella di tratto).

Esempi di item della scala di tratto “Io sono calmo, tranquillo e padrone di me”, “Pensieri di scarsa importanza mi passano per la mente e mi infastidiscono”, “Vivo le delusioni con tanta partecipazione da non poter togliermele dalla testa”.

La prima forma (STAI-X) risale al 1970 (Spielberger, Gorsuch & Lushene), nel 1983 venne creata la forma Y per creare uno strumento monodimensionale e che meglio differenziasse tra ansia e depressione (Spielberger).

La versione originale della forma Y (validata su gruppi di adulti lavoratori, studenti universitari, studenti di scuole superiori e reclute militari statunitensi) ha riportato una consistenza interna compresa tra .86 e .95 per la scala di stato e tra .89 e .91 per la scala di tratto.

Per quanto riguarda la validità convergente e divergente, non vi sono studi che attestino una migliore validità discriminativa della forma Y rispetto alla precedente forma X nei confronti della depressione.

La stabilità test-retest dopo un mese presentava valori compresi tra .34 e .62 per la scala di stato (tra .36 e .51 dopo due mesi) e tra .71 e .75 per la scala di tratto (tra .65 e .68 dopo due mesi). La forma Y presenta una correlazione molto elevata con la forma X (tra .96 e .98).

Entrambe le forme hanno dimostrato un’elevata sensibilità al cambiamento situazionale ed allo stress.

La versione italiana è a cura di Pedrabissi e Santinello (1989) ed è stata somministrata a campioni di adulti lavoratori, studenti delle scuole superiori e reclute militari italiane.

La consistenza interna varia tra .91 e .95 per la scala di stato e tra .85 e .90 per la scala di tratto.

La stabilità test-retest misurata ad un mese di distanza risulta di .49 per la scala di stato e di .82 per quella di tratto.

Lo STAI-Y è un questionario ampiamente utilizzato in svariati ambiti e ricerche, per citarne alcune: ricerche sugli effetti della clown terapia per ridurre l’ansia preoperatoria nei bambini (Vagnoli, Caprilli, Robiglio, & Messeri, 2005), ricerche sull’ansia in persone che giocano con videogame a contenuto violento (Baldaro et al., 2004), ricerche sull’ansia in persone che hanno subito gravi ferite da ustione (Hulbert-Williams, Hulbert-Williams, Mcllroy, & Bunting,  2008). Inoltre può essere utilizzato come strumento di assessment neuropsicologico (per un esempio di ricerca cfr. Chiovenda et al., 2007).

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Strumenti per misurare lo stile repressore MC-SDS

Strumenti per misurare lo stile repressore: Marlowe-Crowne Social Desirability Scale (MC-SDS)

La desiderabilità sociale è comunemente vista come la tendenza degli individui a proiettare immagini di se stessi positive e favorevoli durante le interazioni sociali.

L’interesse per quest’area comincia a svilupparsi già dalla Seconda Guerra Mondiale (Paulhus, 1991), con la costruzione di numerose scale.

Una delle misure più comunemente impiegate è la Scala di Desiderabilità Sociale o di Bisogno di Approvazione di Marlowe-Crowne (Marlowe & Crowne, 1960). Tale misura, è la seconda scala sviluppata attorno a questo interesse e il suo obiettivo è quello di superare i problemi della prima, la Scala di Desiderabilità Sociale di Edwards (Edwards, 1957). La Scala di Edwards era stata creata basandosi sugli item del Minnesota Multiphasic Personalità Inventory (MMPI) e quindi, conseguentemente associata, con la psicopatologia.

Marlowe e Crowne cercarono invece di creare item che avessero minime implicazioni patologiche. La prima forma delle scala fu valutata utilizzando solo le risposte di 76 partecipanti. La forma finale che ha 33 item con formato di risposta dicotomico (vero/falso), è stata somministrata a 39 soggetti, ottenendo al coefficiente di affidabilità di Kuder-Richardson, una stima di .88; dai punteggi di 31 partecipanti a cui fu risomministrato il test un mese dopo, risultò una correlazione al test-retest di .89.

Per supportare la validità dei punteggi al MCSDS, Marlowe e Crowne compararono la misura delle correlazioni tra i punteggi dell’ MMPI e del MCSDS con le correlazioni tra i punteggi delle sottoscale dell’MMPI e della Scala di Desiderabilità di Edwards; poiché trovarono che le correlazioni erano più forti per i punteggi alla Scala di Edwards, rispetto a quelli relativi alla MCSDS, gli autori usarono quest’evidenza per sostenere la validità discriminante della loro scala.

Marlowe e Crowne suggeriscono che, la tendenza a riportare informazioni socialmente desiderabili, può essere concettualizzata come un tratto di personalità. In accordo con questo, la loro scala mette in luce lo stile di risposta abituale dell’individuo e i suoi obiettivi e le sue aspettative che vengono attivate in situazioni che richiedono un’auto-valutazione. Gli autori considerano alla base della loro scala un singolo costrutto, chiamato “bisogno di approvazione”. Il grado di tale bisogno viene misurato nei soggetti dal modo in cui essi rispondono alla scala (Marlowe & Crowne, 1964).

Gli item presentano comportamenti sia socialmente e culturalmente desiderabili e appropriati ma improbabili e poco comuni fra le persone, sia comportamenti considerati inaccettabili e indesiderabili socialmente ma molto comuni. Il bisogno di approvazione è definito dal grado in cui il soggetto ricerca l’approvazione degli altri e l’evitamento del loro disaccordo.

La ragione che si trova dietro agli item di tale scala è data dal fatto che l’individuo medio non si comporterebbe sempre in maniera socialmente desiderabile; quindi una persona che ha un più alto bisogno di approvazione, tenderebbe a presentarsi maggiormente attraverso risposte socialmente desiderabili.

Nel corso del tempo sono state sviluppate forme più corte della scala di Marlowe e Crowne; le più comunemente usate sono le tre di Reynolds (1982) e quelle sviluppate da Strahan e Gerbasi (1972).  Queste versioni sono state sviluppate identificando gli item che erano connessi in maniera più forte al primo fattore; di conseguenza il loro uso dipendeva dall’assunto che la MCSDS misurasse un solo costrutto. Ficher e Fick (1993) studiarono le diverse forme brevi e giunsero alla conclusione che quelle sviluppate da Strahan e Gerbasi erano le migliori.

O’ Gorman (1974) mise in dubbio la consistenza interna e l’affidabilità delle forme brevi prodotte da questi autori.

Strahan e Gerbasi (1972) utilizzano otto item (6, 13, 15, 16, 19, 21, 34 e 35), in accordo con le analisi di Greenwald e Satow, le cui opzioni di risposta sono “sì”, “no” o “non so”.  Esempi di item sono: “Ci sono state occasioni in cui si è approfittato di qualcuno?”, “ Qualche volta è risentito quando le cose non vanno come vorrebbe?”.

Lo scoring viene fatto assegnando un punteggio di 1 ai “sì” e 3 ai “no” nelle risposte oneste (item n. 1,2,5,6); di 3 ai “sì” e 1 ai “no” per tutti gli altri item e le risposte “non so” hanno un punteggio di 2 in tutte le occasioni.

Inizialmente venne somministrata la scala ridotta ad un campione casuale abitante a Sidney (Alpha di Cronbach .77; citata in Ray, 1981), ad un campione casuale di abitante a Monaco (Alpha = .65, citata in Ray & Bozek, 1980) e ad un campione residente nel Sud del Galles (Alpha era di .74, citata in Ray & Kiefl, 1984). Da questi studi si può concludere che, in contrasto coi risultati di O’Gorman, la forma breve della scala di Desiderabilità Sociale mostra un indice di Alpha soddisfacente in campioni di varie popolazioni generali.

Altri autori (Saggino & Perfetti, 2003) hanno esaminato gli aspetti psicometrici (attendibilità e validità fattoriale) della versione italiana della scala a 33 item su un campione di 995 soggetti italiani, tra cui studenti universitari, liceali e professionisti di settori diversi, residenti nel centro e nel sud Italia. La versione italiana su cui hanno operato deriva da una traduzione dell’originale, già utilizzata in altri lavori (Saggino & Ronco, 1997).

L’attendibilità della scala è stata valutata mediante il calcolo del coefficiente alpha di Cronbach mentre per indagare la dimensionalità della scala hanno sottoposto i dati all’analisi delle componenti principali (ACP) e all’analisi fattoriale gerarchica. La consistenza interna della versione italiana appare bassa; tale risultato concorda con quelli riportati da altri autori (Maino & Aceti, 1997; Manganelli Canova & Marcorin, 2000).

L’ACP rivela 4 fattori che individuano probabilmente diversi aspetti della desiderabilità sociale ed un fattore di secondo ordine che, in accordo con Becker e Cherny (1992), può essere collegato sia all’autoinganno sia all’inganno degli altri.

La scala di Desiderabilità Sociale di Marlowe e Crowne è ampiamente utilizzata in diversi campi d’interesse; è usata, accanto alla Taylor Manifest Anxiety Scale, per cogliere lo stile repressore negli individui. Chi presenta alti punteggi alla scala di desiderabilità sociale e bassi punteggi a quella dell’ansia è classificato come repressore. Nello studio di Larson (2000) questo test è stato utilizzato per verificare se i giovani adolescenti riportassero il loro reale peso; confrontando i punteggi alle misure del peso con la scala di Desiderabilità Sociale, si è notato come le loro risposte erano influenzate dal desiderio di essere conformi all’estetica che la società approva.

Un’altra ricerca effettuata su un campione di 950 adolescenti ha mostrato come i tratti di personalità misurati dalla scala di Desiderabilità Sociale come il bisogno di approvazione, il diniego e l’auto-inganno possano essere protettivi verso i disturbi psichiatrici e l’ideazione suicidaria (Miotto & Preti, 2008).

Il test di Marlowe e Crowne è spesso presente all’interno di batterie che comprendono altri questionari poiché, accanto all’obiettivo peculiare dello studio specifico, risulta essere importante valutare il bisogno di approvazione del soggetto e quindi interpretare i risultati degli altri questionari alla luce dei punteggi ottenuti alla scala di Marlowe-Crowne.

Nel presente studio è stata utilizzata la versione a 8 item proposta da Strahan e Gerbasi (1972) per la sua brevità e in considerazione delle buone caratteristiche psicometriche dimostrate.

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Stile repressore e benessere: Metodo

Metodo

Soggetti

Il nostro campione è composto da 265 soggetti di cui 156 (58,9 %) sono femmine e 109 (41,1 %) maschi.

L’età media del campione è di 39,6 (ds = 17,6) con un’età massima di 86 e un’età minima di 17.

La media degli anni di studio è di 13,9 (ds = 4,7) con un massimo di 25 e un minimo di 3.

Del campione totale:

    • 167 (47,9 %) sono casalinghe, pensionati e studenti;
    • 14 (5,3 %) sono artigiani e operai; 2 (.8 %) sono commercianti,
    • 87 (32,8 %) sono impiegati; 21 (7,9 %) sono specialisti;
    • 10 (3,8 %) sono dirigenti e imprenditori;
    • 1 (.4 %) appartiene alle Forze dell’ordine.
    • 99 soggetti (37,4 %) convivono con la loro famiglia d’origine;
    • 124 (46,8 %) vivono con la loro famiglia attuale;
    • 19 (7,2 %) abitano da soli;
    • 23 (8,7 %) convivono con persone non di famiglia.

Per quanto riguarda la condizione di fumo, il campione è così distribuito: ex fumatori 59 (22,3 %); fumatori 77 (29,1 %) e non fumatori 125 (47,2 %).

Tra i fumatori la media di sigarette fumate al giorno è di 10,61 (ds = 7,9) con un minimo di 1 e un massimo di 40.

Tra coloro che hanno smesso di fumare il numero medio del tempo di cessazione espresso in anni è di 7,63 (ds = 9,27) con un minimo di 0,11 e un massimo di 50.

Dei 265 soggetti, 50 sono stati reclutati tra i pazienti accedenti all’Unità Operativa di Pneumotisiologia in un’Ausl di Bologna e 215 (81,1 %) fanno parte della popolazione generale.

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Stile Repressore e Benessere: Obiettivi

Stle repressore e benessere: Obiettivi

 

Lo scopo di questo studio è quello di approfondire la tematica del benessere e degli aspetti che lo compongono e influenzano, ed esplorare un particolare tipo di risposta che le persone possono adottare: lo stile repressore, caratterizzato da un’alta desiderabilità sociale e da una bassa ansia.

Passando dalla teoria alla pratica, il mio studio sperimentale, si pone come obiettivo quello di mettere in relazione tra loro i concetti protagonisti del mio studio.

Nello specifico ho voluto indagare se e come lo stile repressore influenzi in maniera significativa il benessere e la qualità di vita delle persone.

In riferimento alla teoria, le persone con uno stile repressore cercano di rispondere alle domande in modo da soddisfare la desiderabilità sociale (Marlowe-Crowne, 1960), ovvero il bisogno di dare informazioni di se stessi accettabili e desiderabili culturalmente, per essere approvati.

Dalle analisi effettuate ci si aspetta, quindi, che le persone che adottano uno stile repressore ottengano un punteggio più alto, rispetto ai non repressori, alle scale del benessere psicologico o soggettivo e alla qualità di vita, proprio perché tenderebbero a minimizzare e a reprimere i loro affetti negativi.

Ho voluto inoltre verificare se il fatto di essere maschio o femmina abbia un effetto significativo nell’influenzare il benessere e la qualità di vita, così come la condizione di sano o malato.

In relazione al sesso, la letteratura indica che i giudizi di benessere non differiscono in maniera rilevante, mentre problemi psicofisici sembrano avere un’influenza importante, causando umore depresso, scarsa autostima e mancanza di interessi.

Ci si aspetta quindi che i soggetti che si definiscono con qualche patologia abbiano un benessere e una qualità di vita peggiore dichi non riporta nessuna malattia.

Per quanto concerne il sesso, non ci si aspettano risultati significativi.

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