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Social privacy: come tutelarsi dai social network

SOCIAL PRIVACY: COME TUTELARSI NELL’ERA DEI SOCIAL NETWORK

PREMESSA:

DALLA VITA DIGITALE A QUELLA REALE

Il mondo delle reti sociali (da Facebook a Twitter, da Linkedin a Instagram) è in cambiamento incessante e il Garante per la protezione dei dati personali ne segue con attenzione gli sviluppi allo scopo di tutelare con efficacia giovani e adulti.

I social network offrono vantaggi significativi e immediati: semplificano i contatti, rendono possibili scambi di informazioni con un numero enorme di persone. Queste comunità online, però, amplificano i rischi legati a un utilizzo improprio o fraudolento dei dati personali degli utenti, esponendoli a danni alla reputazione, a furti di identità, a veri e propri abusi.

Non esistono più, infatti, barriere tra la vita digitale e quella reale: quello che succede on-line sempre più spesso ha impatto fuori da Internet, nella vita di tutti i giorni e nei rapporti con gli altri.

Proprio con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza degli utenti e offrire loro ulteriori spunti di riflessione e strumenti di tutela, il Garante ha deciso di aggiungere nuovi contenuti alla guida ai social network pubblicata nel 2009, mantenendone però la struttura agile che ne ha favorito in questi anni la diffusione e il facile utilizzo.

FACEBOOK & CO – I SOCIAL NETWORK

I social network (a volte definiti social media per enfatizzare il loro impatto non solo come reti sociali ma come veri e propri media auto-organizzati) sono “piazze virtuali”, cioè dei luoghi in cui via Internet ci si ritrova condividendo con altri fotografie, filmati, pensieri, indirizzi, amici e tanto altro. I social network sono lo strumento di condivisione per eccellenza e rappresentano straordinarie forme di comunicazione, anche se comportano dei rischi per la sfera personale degli individui coinvolti.

I primi social network sono nati in ambito universitario, tra colleghi che non si volevano “perdere di vista” e che desideravano “fare squadra” una volta entrati nel mondo del lavoro. Facebook, per citare uno dei più famosi, agli inizi era esattamente la traduzione virtuale dell’annuario, ovvero del “libro delle fotografie” della scuola. Una bacheca telematica dove ritrovare i colleghi di corso e scambiare con loro informazioni. Le più recenti evoluzioni della tecnologia consentono ai social network di integrarsi sempre più con i telefoni cellulari, trasformando i messaggi che pubblichiamo on-line in una sorta di sms multiplo che giunge istantaneamente a tutti i nostri amici.

Gli strumenti predisposti dalle reti sociali ci permettono di seguire i familiari che vivono in un’altra città.

Espandono la nostra possibilità di comunicare, anche in ambito politico e sociale, trasformandoci in agenti attivi di campagne a favore di quello in cui crediamo. Possono facilitare lo scambio di conoscenze tra colleghi e tra colleghi e impresa.

Ai tradizionali social network si sono aggiunte numerose piattaforme di messaggistica sociale istantanea (come WhatsApp), la cui crescita è andata di pari passo con la rapidissima diffusione di smartphone e di altri strumenti (dai tablet ai phablet, alle cosiddette tecnologie indossabili come occhiali e orologi “intelligenti”) che consentono la connessione alla rete in mobilità. I social network sono strumenti che danno l’impressione di uno spazio personale, o di piccola comunità. Si tratta però di un falso senso di intimità che può spingere gli utenti a esporre troppo la propria vita privata e professionale, a rivelare informazioni confidenziali, orientamenti politici, scelte sessuali, fede religiosa o condizioni di salute, provocando gravi “effetti collaterali”, anche a distanza di anni, che non devono essere sottovalutati. Tra l’altro, l’idea di impunità trasmessa dalla possibilità di utilizzare messaggi che si “autodistruggono” o di nascondersi dietro forme di anonimato può favorire in rete atteggiamenti aggressivi o violenti, in particolare verso le persone più giovani e indifese.

ALCUNI DEI SOCIAL NETWORK PIÙ DIFFUSI NEL MONDO

Facebook, Google Plus+, VKontakte, Qzone, WhatsApp, LinkedIn, Badoo, Twitter, LINE, WeChat, SinaWeibo, Orkut, Snapchat, Vine, Tencent QQ, Instagram, MySpace, Ask.fm, Tumblr.

IL GARANTE E LA PRIVACY SU INTERNET

La dignità della persona e il diritto alla riservatezza non perdono il loro valore su Internet. La tutela dei dati personali nel mondo interconnesso, per quanto più difficile, è pur sempre possibile, anche grazie alla collaborazione tra i Garanti della privacy, non soltanto europei, ma anche di altri Paesi.

L’Autorità italiana interviene direttamente in caso di violazioni di propria competenza. Ma è anche costantemente impegnata per rafforzare gli strumenti a difesa degli utenti e per aumentare la loro consapevolezza sui loro diritti e doveri on-line.

AVVISI AI NAVIGANTI VITA DIGITALE – VITA REALE

Non esiste più una separazione tra la vita “on-line” e quella “off-line”.

Quello che scrivi e le immagini che pubblichi sui social network hanno quasi sempre un riflesso diretto sulla tua vita di tutti i giorni, e nei rapporti con amici, familiari, compagni di classe, colleghi di lavoro. Ed è bene ricordare che l’effetto può non essere necessariamente immediato, ma ritardato nel tempo.

IL RICORDO DEL FAR WEST

Il web è spesso raccontato come un luogo senza regole dove ogni utente può dire o fare quello che vuole.

In realtà, le stesse regole di civile convivenza, così come le norme che tutelano, ad esempio, dalla diffamazione, dalla violazione della tua dignità, valgono nella vita reale come sui social network, in chat o sui blog. Non esistono zone franche dalle leggi e dal buon senso.

PER SEMPRE… O QUASI

Quando inserisci i tuoi dati personali su un sito di social network, ne perdi il controllo. I dati possono essere registrati da tutti i tuoi contatti e dai componenti dei gruppi cui hai aderito, rielaborati, diffusi, anche a distanza di anni. A volte, accettando di entrare in un social network, concedi al fornitore del servizio la licenza di usare senza limiti di tempo il materiale che inserisci on-line… le tue foto, le tue chat, i tuoi scritti, le tue opinioni.

IL MITO DELL’ANONIMATO

Non è poi così difficile risalire all’identità di coloro che pubblicano testi, immagini, video su Internet con l’intento di danneggiare l’immagine o la reputazione di un’altra persona. L’anonimato in rete può essere usato per necessità, ma mai per commettere reati: in questo caso le autorità competenti hanno molti strumenti per intervenire e scoprire il “colpevole”.

LA PRIVACY E IL RISPETTO DEGLI ALTRI

Quando metti on-line la foto di un tuo amico o di un familiare, quando lo “tagghi” (inserisci, ad esempio, il suo nome e cognome su quella foto), domandati se stai violando la sua privacy. Nel dubbio chiedigli il consenso. Non lasciarti trascinare dagli hater, dai troll, nel gioco perverso dei gruppi “contro qualcuno”: la prossima volta potresti essere tu la vittima.

NON SONO IO!

Attenzione ai falsi profili.

Basta la foto, il tuo nome e qualche informazione sulla tua vita per impadronirsi on-line della tua identità. Sono già molti i casi di attori, politici, personaggi pubblici, ma anche di gente comune, che hanno trovato su social network e blog la propria identità gestita da altri.

GIOCARE E FARSI MALE

Molti giovani, ma non soltanto loro, pensano che l’adozione di alcuni piccoli stratagemmi, come l’invio di messaggi che si “autodistruggono” dopo la lettura, possa metterli al riparo dai rischi di un uso inappropriato del materiale che viene così condiviso.

Questa falsa sicurezza può spingerti a scambiare, senza pensarci troppo, messaggi sessualmente espliciti (sexting), insulti gratuiti o semplicemente inopportuni.

Tutto quello che è condiviso, però, può sempre essere in qualche maniera salvato e riutilizzato. Se stai giocando, attento a non farti male.

E IL CONTO IN BANCA?

Attento alle informazioni che rendi disponibili on-line.

La data e il luogo di nascita bastano per ricavare il tuo codice fiscale. Altre informazioni potrebbero aiutare un malintenzionato a risalire al tuo conto in banca o addirittura al tuo nome utente e alla password.

DISATTIVAZIONE O CANCELLAZIONE?

Se decidi di uscire da un social network spesso ti è permesso solo di “disattivare” il tuo profilo, non di “cancellarlo”. I dati, i materiali che hai messo on-line, potrebbero essere comunque conservati nei server, negli archivi informatici dell’azienda che offre il servizio.

Leggi bene cosa prevedono le condizioni d’uso e le garanzie di privacy offerte nel contratto che accetti quando ti iscrivi.

LE LEGGI APPLICATE

La maggior parte dei social network ha sede all’estero, e così i loro server. In caso di disputa legale o di problemi insorti per violazione della privacy, non sempre si è tutelati dalle leggi italiane ed europee. Se desideri essere più sicuro sul rispetto dei tuoi diritti, sappi che le società che ti offrono i loro servizi da sedi dislocate in uno dei Paesi dell’Unione Europea devono sempre rispettare la normativa comunitaria e in essi è presente un’autorità di protezione dati (Data Protection Authority) che potrà intervenire, anche tramite il Garante, nel caso subissi violazioni alla tua privacy.

CHI PUÒ FARE COSA

Rifletti bene prima di inserire on-line dati che non vuoi vengano diffusi o che possano essere usati a tuo danno. Segnala al Garante della privacy e alle altre autorità competenti le eventuali violazioni affinché possano intervenire a tua tutela.

Ma ricorda: il miglior difensore della tua privacy sei innanzitutto tu.

LA LOGICA ECONOMICA: NIENTE È GRATIS

Le aziende che gestiscono i social network generalmente si finanziano vendendo pubblicità mirate. Il valore di queste imprese è strettamente legato anche alla loro capacità di analizzare in dettaglio il profilo degli utenti, le abitudini e i loro hobby, ma anche le condizioni di salute e l’orientamento politico o sessuale, le reti di contatti, per poi rivendere le informazioni a chi se ne servirà per promuovere offerte commerciali specifiche o per sostenere campagne di vario genere. Le informazioni raccolte su di te sono infatti usate per monitorare e prevedere i tuoi acquisti, le tue scelte, i tuoi comportamenti.

E ricorda: anche nel web, dietro l’offerta di un servizio “gratuito”, si nasconde lo sfruttamento per molteplici scopi dei tuoi dati.

CI SONO AMICI E AMICI

Nelle amicizie esistono differenti livelli di relazione a seconda che ci si rapporti con amici stretti o semplici conoscenti, compagni di classe o professori, partner commerciali o datori di lavoro. Sui social network spesso poniamo tutti sullo stesso piano, rischiando di scrivere o mostrare la cosa sbagliata alla persona sbagliata. Impara a distinguere chi aggiungi alla tua rete di “amici” in base all’uso che ne fai. Se il social network a cui sei iscritto te lo consente, decidi quali tipi di informazioni possono essere consultate dai differenti tipi di amici.

LA REPUTAZIONE DELLE IMPRESE

Anche le società che offrono servizi on-line e di social network hanno una reputazione da mantenere di fronte all’opinione pubblica.

Gran parte del loro valore di mercato e del numero di iscritti dipende anche dalla loro “immagine”.

Se una società adotta comportamenti scorretti nei confronti degli utenti o non risponde con celerità a richieste di aiuto – ad esempio contro il cyberbullismo e la diffamazione – parlane con gli altri utenti e segnalalo alle autorità competenti.

TI SEI MAI CHIESTO? SEI UN RAGAZZO/A:

Se sapessi che il vicino di casa o il tuo professore possono accedere al tuo profilo e al tuo diario on-line, scriveresti le stesse cose e nella stessa forma?

Sei sicuro che le foto e le informazioni che pubblichi ti piaceranno anche tra qualche anno?

Prima di caricare/postare la “foto ridicola” di un amico, ti sei chiesto se a te farebbe piacere trovarti nella stessa situazione?

I membri dei gruppi ai quali sei iscritto possono leggere le informazioni riservate che posti sul tuo profilo?

Sei sicuro che mostreresti “quella” foto con il tuo ex anche al tuo nuovo ragazzo/a?

Vuoi veramente far sapere a chiunque dove ti trovi (si chiama geolocalizzazione) e chi stai incontrando in ogni momento della giornata?

Prima di inviare, anche per gioco, un video sexy al tuo nuovo compagno, hai considerato che potrebbe essere condiviso con i suoi amici o con degli sconosciuti?

SEI UN GENITORE:

Hai spiegato a tuo figlio che non deve toccare il fornello acceso, lo hai educato ad attraversare la strada, a “non prendere caramelle dagli sconosciuti”… ma gli hai insegnato a riconoscere i segnali di pericolo della rete?

Gli hai insegnato a difendersi dalle aggressioni di potenziali provocatori o molestatori on-line? A non raccontare a tutti, anche a sconosciuti, particolari della sua vita privata e di quella degli amici?

Hai mai provato a navigare insieme a tuo figlio? Gli hai chiesto di mostrarti come si usa Internet e le reti sociali alle quali è iscritto?

Se vedi tua figlia turbata, le chiedi come è andata la giornata con i suoi gruppi sui social network?

Provi mai a farti spiegare dai tuoi figli quali sono gli argomenti di discussione più interessanti sui social network in quel momento? Ti informi se i tuoi figli hanno conosciuto nuovi amici in chat?

Hai cercato di capire se sono stati vittime di cyberbullismo o stalking o se fanno sexting?

Sai come funzionano le “app” sociali e di messaggistica istantanea che i tuoi figli hanno caricato sullo smartphone?

Conosci i rispettivi vantaggi e gli svantaggi che una persona ha nel collegarsi a un social network con la propria identità riconoscibile o in forma anonima? Ne hai discusso con i tuoi figli?

CERCHI LAVORO:

Sai che le società di selezione del personale cercano informazioni sui candidati utilizzando i principali motori di ricerca on-line o accedendo direttamente ai profili pubblicati sui social network?

Ti sei chiesto se le foto che hai pubblicato sui social network e i post che hai inserito potranno danneggiarti nella ricerca del tuo prossimo lavoro?

Le informazioni contenute nel curriculum che hai spedito all’azienda corrispondono a quelle che hai pubblicato su Internet, magari sul tuo profilo?

Quello che racconti della tua vita nelle tue “chiacchiere on-line” è coerente con le tue aspirazioni professionali? Lo sai che a volte basta cliccare un “mi piace” sui social network per essere “analizzati ed etichettati” in base alle proprie opinioni politiche, sessuali o religiose, con eventuali ripercussioni anche sul contesto lavorativo?

SEI UN UTENTE “ESPERTO”:

Hai verificato come sono impostati i livelli di privacy della tua identità?

Hai violato il diritto alla riservatezza di qualcuno pubblicando “quel” materiale?

Hai commesso un reato mostrando quelle foto a tutti, scrivendo quei post?

Hai verificato chi detiene la “licenza d’uso”, le “royalty” e la proprietà intellettuale della documentazione, delle immagini o dei video che hai inserito on-line?

Prima di installare sul tuo smartphone o sul tuo tablet una nuova “app”, hai verificato a quali dati personali accede il programma? E per quale motivo?

SEI UN PROFESSIONISTA:

Il gruppo di persone abilitate a interagire con la tua identità corrisponde al target professionale che ti sei prefissatodi raggiungere?

I gruppi ai quali sei iscritto sui social network possono avere effetti negativi sul tuo lavoro?

Se vieni contestato on-line da un componente iscritto alla tua rete sul social network, sei preparato a reagire in maniera appropriata?

Hai valutato se stai condividendo informazioni con qualcuno che può danneggiarti?

Sai che numerosi servizi di chat – inclusi quelli offerti dai siti di social network – permettono di registrare e conservare il contenuto della conversazione avvenuta con gli altri utenti?

Quando offri un servizio ai tuoi clienti, chiedi di essere retribuito per il tuo lavoro. Ti sei mai domandato come paghi i servizi “gratuiti” e le “app” che utilizzi su Internet?

 

10 CONSIGLI PER NON RIMANERE INTRAPPOLATI

  1. PENSARCI BENE, PENSARCI PRIMA

Pensa bene prima di pubblicare i tuoi dati personali (soprattutto nome, indirizzo, numero di telefono) in un profilo utente, o di accettare con disinvoltura le proposte di amicizia.

Ricorda che immagini e informazioni che posti in rete possono riemergere, complici i motori di ricerca, a distanza di anni.

Fai attenzione a quello che fai on-line e alle informazioni che condividi (in particolare se riguardano la tua salute o altri aspetti ancora più intimi) anche in forum o chat, perché potrebbe avere “effetti collaterali” sulla tua vita reale.

  1. NON SENTIRTI TROPPO SICURO

Prendi opportune precauzioni per tutelare la tua riservatezza, ma non illuderti di essere sempre al sicuro. Le foto e i video che scambi privatamente, magari di contenuto esplicito, possono essere sempre copiati e inoltrati ad altre persone “fuori dal giro dei tuoi amici”. Non esistono, tra l’altro, messaggi che si autodistruggono con assoluta certezza.

  1. SERRA LA PORTA DELLA TUA RETE E DEL TUO SMARTPHONE

Aggiorna l’antivirus del tuo smartphone. Usa login e password diversi da quelli utilizzati su altri siti web, sulla posta elettronica e per la gestione del conto corrente bancario on-line. Fai attenzione, inoltre, quando clicchi su uno dei tanti indirizzi internet abbreviati (ad esempio url tipo t.co, bit.ly oppure goo.gl) pubblicati sui social network, e verifica che non ti conducano a siti fasulli usati per rubarti i dati o per farti scaricare programmi con virus. Se possibile crea pseudonimi differenti in ciascuna rete cui partecipi. Non mettere la data di nascita (in particolare se sei minorenne) o altre informazioni personali nel nickname: così potrai rendere più difficile “tracciarti” o molestarti.

  1. RISPETTA GLI ALTRI

Astieniti dal pubblicare informazioni personali e foto relative ad altri (magari “taggandone” i volti) senza il loro consenso.

Sui social network e nella messaggistica istantanea uno scherzo o una semplice ripicca può facilmente degenerare in un grave abuso, facendoti rischiare anche sanzioni penali.3

  1. ATTENZIONE ALL’IDENTITÀ

Non sempre parli, chatti e condividi informazioni con chi credi tu. Chi appare come bambino potrebbe essere un adulto e viceversa. Sempre più spesso vengono create false identità (sia di personaggi famosi, sia di persone comuni) per semplice gioco, per dispetto o per carpire informazioni riservate. Basta la tua foto e qualche informazione sulla tua vita… e il prossimo “clonato” potresti essere tu.

  1. OCCHIO AI CAVILLI

Informati su chi gestisce il social network e quali garanzie offre rispetto al trattamento dei dati personali. Ricorda che hai diritto di sapere come vengono utilizzati i tuoi dati: cerca sotto “privacy” o “privacy policy”.

Accertati di poter recedere facilmente dal servizio e di poter cancellare (eventualmente anche di poter salvare e trasferire) tutte le informazioni che hai pubblicato sulla tua identità.

Leggi bene il contratto e le condizioni d’uso che accetti quando ti iscrivi a un social network. Controlla con attenzione anche le frequenti modifiche che vengono introdotte unilateralmente dal fornitore del servizio: capita spesso che i social network comunichino di aver cambiato i livelli di privacy che tu hai scelto per la tua identità solo alla fine di una lunga nota.

  1. ANONIMATO, MA NON PER OFFENDERE

Se lo ritieni opportuno, pubblica messaggi sotto pseudonimo o in forma anonima per tutelare la tua identità, non per offendere o violare quella degli altri.

Difendi la libertà di parola, non di insulto. Ricordati he in caso di violazioni non è poi così difficile risalire agli autori di messaggi anonimi postati su Internet.

  1. FATTI TROVARE SOLO DAGLI AMICI

Se non vuoi far sapere a tutti dove sei stato o dove ti trovi, ricordati di disattivare le funzioni di geolocalizzazione presenti sulle “app” dei social network, così come sullo smartphone e sugli altri strumenti che utilizzi per collegarti a Internet.

  1. SEGNALA L’ABUSO E CHIEDI AIUTO

Se noti comportamenti anomali e fastidiosi su un social network, se vedi che un tuo amico è insultato e messo sotto pressione da individui o gruppi, non aspettare e segnala subito la situazione critica al gestore del servizio affinché possa intervenire immediatamente. A tale scopo, alcuni social network rendono accessibile agli utenti, sulle pagine del proprio sito, un’apposita funzione (una sorta di pulsante “panic button”) per chiedere l’intervento del gestore contro eventuali abusi o per chiedere la cancellazione di testi e immagini inappropriate.

In caso di violazioni, segnala subito il problema al Garante e alle altre autorità competenti. Se sei tu la vittima di commenti odiosi a sfondo sessuale, di cyberbullismo o di sexting, se stanno violando la tua privacy, non aspettare che la situazione degeneri ulteriormente e chiedi aiuto alle persone a te care e alle autorità compenti.

  1. PIÙ SOCIAL PRIVACY, MENO APP E SPAM

Controlla come sono impostati i livelli di privacy del tuo profilo: chi ti può contattare, chi può leggere quello che scrivi, chi può inserire commenti alle tue pagine, che diritti hanno gli utenti dei gruppi ai quali appartieni. Limita al massimo la disponibilità di informazioni, soprattutto per quanto riguarda la reperibilità dei dati da parte dei motori di ricerca.

Controlla quali diritti di accesso concedi alle App che installi sul tuo smartphone o sul tuo tablet affinché non possano utilizzare i tuoi dati personali (contatti, telefonate, foto…) senza il tuo consenso. Se non desideri ricevere pubblicità, ricordati che puoi rifiutare il consenso all’utilizzo dei dati per attività mirate di pubblicità, promozioni e marketing.


© Il personal Branding – Marika Fantato


 

Personal branding: conclusioni

Conclusioni

Con la diffusione dei social network si è assistito a un progressivo spostamento delle nostre relazioni sociali dalla dimensione reale a quella virtuale della nostra esperienza, che sono andate legandosi in maniera sempre più stretta. Le tassonomie introdotte per organizzare queste nostre relazioni hanno contribuito a disegnare complessi grafi sociali e determinato cambiamenti nel modo di concepire la nostra identità in rapporto agli altri.

Si è molto dibattuto sul carattere pubblico o privato della nostra presenza nelle piattaforme social e non è facile arrivare a una definizione netta perché ogni servizio a cui accettiamo di aderire presenta differenti ribalte.

Una caratteristica distintiva di questo genere di relazioni è che i servizi social ci permettono di controllare con una certa precisione la visibilità di ogni nostra azione sociale. Siamo noi utenti a controllare e decidere quanto può divenire pubblico e quanto può restare privato. 

Anche se nel web tutti possono dire qualunque cosa di tutti (E-reputation), muoversi efficientemente in un social network può richiedere competenze anche più complesse rispetto quelle di un blog. Chi possiede queste competenze è avvantaggiato tanto nella vita personale quanto in quella lavorativa.

Posso ipotizzare dalle analisi fatte, che la competitività lavorativa è diventata ancora maggiore con il web, dove qualsiasi informazione viaggia in tempo reale e dal momento che tutto è cambiato è mutata anche la comunicazione e la condivisione.

I profili Facebook incentrati sull’utente stesso oggi sono diventati basilari per la self expression ovvero per esprimersi e comunicare con i propri contatti.

LinkedIn come gli altri social è uno degli strumenti per rendersi riconoscibili e distinguibili in una certa situazione o in questo caso posizione lavorativa.

Oggi con il web che incalza sempre di più nelle nostre vite abbiamo solo un’idea: alla base di tutto c’è quello che si vuole comunicare di sé stessi puntando sui propri punti di forza per apparire al meglio e migliori degli altri.

Come ho detto nel primo capitolo, il personal marketing è il processo con il quale una persona si può posizionare in modo distintivo sul mercato nell’ambito della sua professione e carriera lavorativa quindi deve basarsi su dei valori (idealismo, forza interiore, coraggio, perseveranza, fiducia e determinazione) e deve avere determinate caratteristiche personali (autostima, self efficacy, intelligenza emotiva, innovazion collaboratività, apertura mentale e pensiero sistemico).

Il Personal Branding rappresenta un cambio di prospettiva da quello che tu percepisci di te stesso a quello che percepiscono gli altri di te: una sorta di umanizzazione di noi sul web.

Ognuno di noi è possessore di un proprio nome e cognome: alcuni, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie, riescono a trasformare il proprio in un Brand da esporre sul mercato. Quando entriamo in contatto con amici, parenti o clienti e questi chiamano il nostro nome, automaticamente accostano il nome ad un insieme di caratteristiche ed emozioni che influenzano il modo di rapportarsi di questi soggetti nei nostri confronti; questo meccanismo è parte del fenomeno di Personal Branding, molto spesso in uno stadio inconsapevole cioè di primo livello.

Il Personal Branding è per tutti, dai liberi professionisti, soggetti con la voglia di sviluppare una loro attività professionale, soggetti desiderosi di cambiare professione o in cerca di impiego, a soggetti soddisfatti della loro attività professionale, ma desiderosi di migliorarla.

Il miglior Personal Brand nasce nel momento in cui il soggetto decide di mettersi in discussione svolgendo su sé stesso un analisi di tipo SWOT identificando in questo modo i propri punti di forza e debolezza (fondamentali da conoscere per definire la propria identità) e le opportunità di crescita e le minacce del settore nel quale si ha piacere di affermare il proprio marchio: ne sono l’esempio i due casi riportati di Clio e la Ferragni.

È naturalmente indispensabile essere competenti nel campo in cui si vuole affermare il Brand ma non solo, anche la reputazione condiziona il business, per questo è importante che il Personal Brander cerchi di agire sulla consapevolezza personale, sull’espressione di sé e sulla creazione di relazioni.

Le fasi più complesse del Personal Branding non sono tanto quelle di identificazione e sviluppo quanto il mantenimento nel tempo, a questo proposito è fondamentale essere sempre aggiornati e cercare di accrescere continuamente le proprie competenze investendo sulla propria formazione.

Alla luce di tutto ciò credo quindi, sia necessario riflettere con più attenzione sul tipo di relazioni sociali che costruiamo sui social network, per capire come questi strumenti influenzino il modo in cui i soggetti che li utilizzano costruiscono la propria immagine. Questo non soltanto perché i social network stanno diventando sempre di più il palcoscenico in cui presentiamo noi stessi e il nostro saper fare agli altri, ma soprattutto perché siamo noi, con le nostre azioni, a costruire, plasmare e determinare l’aspetto di questo palcoscenico.

Se pensiamo che ognuno di noi tramite il personale nome e cognome è in possesso di un potenziale marchio, ovvero il proprio marchio, possiamo già immaginare la mole di concorrenza che dobbiamo fronteggiare per affermare il nostro, ma è proprio in questo caso che la devianza è la chiave del successo perché se si è in grado di distinguersi e quindi diversificarsi dalla massa specializzandosi su di un argomento ed offrendo contenuti originali, il successo del proprio brand personale è assicurato.

È indispensabile, come già detto, rivolgersi a nicchie di mercato perché in questo modo ci sono maggiori possibilità che il Brand venga conosciuto dal pubblico, ma non solo, in questo modo il Brander ha maggior tempo a disposizione per imparare a gestire la propria attività e prepararsi al mercato di massa affermando gradualmente la propria presenza. Un elemento altrettanto importante per stimolare la conoscenza altrui del marchio è tramite il networking ossia parlare e ancora parlare con le persone sia nel contesto offline, sfruttando il luogo di lavoro per conversare, sia nell’online chattando con i membri della Rete.

Come sostiene Centenaro[1]:

Non ha più importanza dove la conversazione stia avvenendo, ma che la conversazione stia effettivamente avvenendo.”

In questo modo sarà molto più semplice generare una piccola community attorno al marchio e divenire per questa una micro celebrità.

Con il presente elaborato ho cercato di mettere in luce come il fenomeno del Personal Branding, pur essendo ancora poco conosciuto dagli estranei al settore, sia portatore di ottimi vantaggi ed occasioni se sviluppato e comunicato correttamente nel contesto online ed offline. Ho cercato di rendere questi aspetti ancora più visibili testimoniando casi reali di successo di Brand personali online.

Se ci si dedica alla propria passione con costanza, diviene inevitabile la realizzazione personale.

I risultati emersi dalle analisi sono stati davvero interessanti e positivi: indipendentemente dal settore di appartenenza è emerso l’importanza dei contenuti da pubblicare, del costante utilizzo dei social media per entrare in contatto con la propria community, ma soprattutto l’importanza dell’autenticità come elemento chiave per rapportarsi nella Rete.

L’obiettivo di questa tesi è di essere un utile spunto per coloro che, anche se non sicuri di entrare attivamente nel mondo della Rete, desiderano essere soddisfatti della loro vita poiché della loro passione vogliono farne fonte di serenità e guadagno.

Vorrei concludere con un’ultima riflessione: con i social network ci siamo abituati a condividere informazioni con amici e parenti, allontanando l’idea iniziale dell’internet come “non luogo”. Ci siamo rappresentati nella Rete con le stesse credenziali possedute offline e immettendo molti aspetti della nostra vita privata, sebbene rappresentassimo molteplici ribalte della nostra identità sociale o faccia.

Facebook recentemente ha lanciato una nuova app chiamata Rooms, dei forum di discussione dove le relazioni, i contatti, il nome non sono più importanti: le persone esistono perché esistono i loro interessi e non i loro connotati fisici. Lo scopo  di queste stanze è far tornare a condividere i propri pensieri con persone che hanno gli stessi interessi.

Un ritorno all’anonimato dunque, che rappresenta un deciso passo indietro verso il passato. Sono tornate le chat alle quali si accede tramite nickname, senza che questo possa essere ristretto o controllato in nessun modo. Un sistema che, nell’epoca dei profili Facebook ancorati a nomi e persone fisiche, sembrava ormai andato in disuso. Invece sembra che il social più utilizzato al mondo abbia preferito stringere i controlli da una parte proprio perché sapeva di starli per allentare dall’altra.

Sembra quasi di voler eliminare uno stereotipo molto fastidioso, quello di Facebook come violazione della privacy: non a quella delle foto che volontariamente mettiamo online, ma del controllo che viene fatto dei nostri dati e del nostro materiale cancellato, non sempre al di sopra di ogni sospetto come invece sarebbe dovuto essere.

Sui social che hanno delle regole implicite da seguire i soggetti cercano di mettere in scena la parte migliore di sé stessi, per aumentare la credibilità e avere una buona reputazione; ora con il ritorno di nickname/pseudonimi e dell’anonimato in queste chat le persone si sentiranno più libere anche di non indossare più delle maschere.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] Centenaro L., Personal Branding con i Social media, 2010.

Confronto tra Cliomakeup e Chiara Ferragni

Confronto tra Cliomakeup e Chiara Ferragni

Clio e Chiara sono due donne che hanno saputo, grazie al loro talento, sfruttare il momento, il mercato e i mezzi a disposizione.

Per quanto hanno sicuramente dei punti in comune come personaggi, credo che sia proprio la base ad essere diversa: Clio fornisce un “servizio”, la Ferragni ha un talento diciamo “intangibile”, il suo corpo il suo espetto esteriore, ed è diventata un’imprenditrice di sé stessa.

Esse si presentano con due stili comunicativi e due strategie di Personal Branding leggermente diversi: Chiara è cambiata, mentre Clio è rimasta coerente.

Entrambe però insegnano qualcosa e grazie alla loro personalità di Rete hanno in comune il fatto di aver cominciato quando erano solo delle ragazze di provincia, mettendosi alla prova davanti alla telecamera (Clio) e alla fotocamera (Chiara).

La differenza principale è quella riguardante i contenuti del blog: Clio scrive un blog ricco di foto e video-tutorial, ma anche con contenuti di testo in forma di articoli che terminano sempre con una domanda ai lettori del tipo Cosa ne pensate?, un modo per interagire e avere dei confronti al di là di trasmettere un contenuto visivo; mentre la Ferragni ha un blog interamente dedicato ai contenuti visivi, racconta la sua storia e le sue esperienze professionali attraverso le immagini.

Un’altra sostanziale differenza è la condivisione con i fan e gli utenti in Facebook di foto di Clio che la ritraggono con i suoi familiari e nella sua quotidianità, segno della sua spontaneità che l’ha caratterizzata dall’inizio e per tutto il suo percorso, perciò viene meno la linea di confine tra online e offline. Al contrario anche se spontanea, Chiara condivide meno foto personali, ma più foto professionali: se la spontaneità nelle immagini nei luoghi della sua città l’hanno resa famosa, la fama e il successo oggi, la fanno apparire un po’ più impostata e meno frizzante/spontanea. Chiara oggi sia sul blog che su Instagram rappresenta ogni giorno una ribalta nuova, indossando diverse maschere che non le impediscono però di farsi vedere per quello che è in realtà.

Entrambe postano foto e si taggano nei lavori che stanno facendo, dalle sfilate ai servizi fotografici, per tenere aggiornati i fans sulla loro vita professionale: una sorta di curriculum visivo, in modo da avere maggiore visibilità e mantenere la loro credibilità online.

Concludendo, i contenuti dei blog che gestiscono sono diversi, ma entrambe utilizzano molto la strategia del visual content per trasmettere emozioni e valori rappresentando due esempi perfettamente riusciti di Personal Branding.


© Il personal Branding – Marika Fantato


 

Analisi TheBlondeSalad.com

Analisi TheBlondeSalad.com

La sua biografia:

She inherited from her mother the passion for fashion and photography and already when she was a teenager she became popular on the first online communities, where she shared photos she was taking with her friends. In 2009, when blogs were not yet the today phenomenon, she launched TheBlondeSalad.com, to express herself and relate to

360°. [1]

Analizzando il testo quello che emerge per prima cosa è la sua passione. Come tutti i blogger di successo, alla base del lavoro di Chiara vi è una passione che la porta a diventare esperta e competente in qualcosa che si lega all’argomento moda: la fotografia.

Poi c’è l’esperienza sul campo, sul web, che ha permesso a Chiara Ferragni di guadagnarsi un nome autorevole, quale bene di valore assoluto.

Si è guadagnata notorietà nelle community dedicate alle foto e alla moda. Ha fidelizzato i fan e i lettori prima e poi ha aperto un blog. Infatti Chiara Ferragni era già famosa e quando è nato TheBlondeSalad.com il pubblico era già al suo “cospetto”.

Quello che ha reso famosa Chiara è il fatto di aver coltivato una passione per anni, guadagnando autorevolezza nelle community dedicate a un argomento ben preciso e aprendo un blog quando nessuno lo faceva. In altre parole è stata pioniere, ha creato e non ha seguito.

Con uno sguardo un po’ più critico possiamo analizzare il blog di Chiara affermando che il suo aspetto (è una bellissima ragazza) l’ha agevolata molto: lei più che parlare di moda ha lanciato il primo outfit blog italiano. Ha sfruttato inizialmente l’effetto passaparola e quello che la gente ama: “spiare” la vita di un’altra persona nei social. Non dimentichiamo poi che la Ferragni ha avuto un ragazzo che ha gestito tutto, che ha visto molto lungo e che secondo me è stato l’ideatore di The Blond Salad: Riccardo Pozzoli, attualmente il suo ex fidanzato, che gestisce tutto del blog e ha un’agenzia di comunicazione che si occupa di marketing per un sacco di aziende nel mondo moda e lusso. Anche da sola avrebbe avuto seguito, ma mettere fin da subito Chiara nel mercato medio-alto è stata un’intuizione di self marketing non da poco. Da questo punto di vista la Ferragni non è una blogger, ma un brand vero e proprio.

Tornando all’analisi del blog la sua particolarità è l’assenza completa di informazioni personali: cosa le piace davvero? cosa sogna? quali sono i suoi progetti per il futuro? ha paura? è felice? Questo è uno dei punti che la rendono un fenomeno sociale: è riuscita a diventare famosissima senza dire nulla. Ha avuto il pregio di proporre ogni giorno un outfit sempre diverso, con foto di qualità molto buona che mostrano una ragazza bella, sorridente, non in posa, che non cerca di fare la sexy, nè di essere particolarmente fuori dalle righe, ma solo spontanea.

Chiara Ferragni ha il merito di aver creato una sorta di industria che si basa su di lei, e di essere riuscita a diventare un’icona, senza essersi mai posta come un modello da seguire. Si è sempre distinta per la sua passione per la moda, ma non si è mai definita un’esperta.

Ha quindi creato un business grazie al quale ora ha grandi introiti economici e fama e grazie al quale molti altri blogger, anche più preparati di lei, hanno potuto percorrere la stessa strada lavorativa: ha aperto, almeno in Italia, un mercato dei fashionblog. Ha fatto un eccellente lavoro di Personal Branding e non ha mai fatto altro che farsi scattare fotografie, senza mai porsi come guru della moda.

Quello che si può notare è che il suo blog è ricco esclusivamente di visual content, con foto delle sfilate,  outfit per ogni occasione e una sezione dedicata allo shop online della CF collection.

A mio parere però un blog pieno di sole foto e pochi contenuti di valore, prima o poi dovrà essere rivisto come un blog anche di cultura, con contenuti di storia della moda ad esempio.

Chiara è la ragazza fashion che scatta foto di sé stessa con abiti alla moda per promuoversi come brand allo stesso modo nella vita online e offline. Lo faceva prima di diventare famosa e continua a farlo oggi che è diventata un fenomeno del web. Le marche che le fanno indossare i propri abiti vedono l’identificazione del marchio nella modella Chiara: una sorta di umanizzazione del brand con la modella, che aumenta la sua visibilità e credibilità.

Dai commenti dei fan emerge che Chiara è sicuramente una bella ragazza, che indossa look da diecimila euro e che vive delle esperienze straordinarie, ma rimane quella della porta accanto. Gli utenti infatti cercano una persona come loro, che viva delle belle esperienze e le racconti e Chiara lo fa attraverso le foto, ma in maniera professionale. Chiara, da quando ha aperto il blog, ha postato tutti i giorni e questo fa la differenza. Se va ad un evento o ad un party, si mette subito a scrivere il post e la foto da pubblicare il giorno dopo.

Ci si chiede da cosa è dipeso il successo online di Chiara e lo possiamo attribuire al fattore x, a quel quid in più che lei ha saputo valorizzare, oltre a trovarsi nel posto giusto nel momento giusto.

Le critiche negative, i flame, gli haters non sono stati fattori negativi per la reputazione di Chiara. Per arginare gli attacchi Chiara e lo staff che gestisce i suoi profili e blog, hanno moderato i commenti, che invece all’inizio erano liberi, non tanto per le critiche a Chiara, ma perché le persone iniziavano ad insultarsi tra di loro e ad offendere altri commentatori. Ho notato inoltre che i commenti costruttivi, anche se negativi, vengono pubblicati. Ad esempio se qualcuno scrive: “Chiara, oggi il tuo look mi fa proprio schifo, preferivo quello di ieri”, non lo cancellano.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] http://www.theblondesalad.com/about

Il caso della fashion blogger Chiara Ferragni

Il caso della fashion blogger Chiara Ferragni

Foto di Free-Photos da Pixabay

Chiara Ferragni ha iniziato la sua avventura da fashion blogger nel 2009, quando era studentessa di Giurisprudenza alla Bocconi di Milano, è riuscita nella non facile impresa di arrivare a guadagnare qualcosa come otto milioni di dollari all’anno e diventare un fenomeno che va ben oltre la sua cliccatissima pagina web.

Inizia con un account Flickr e apre solo in seguito il blog. In Italia la si conosce per essere il volto di The Blonde Salad, uno dei fashion blog più popolari e famosi del mondo, visitato da tutti coloro che vogliono tenersi aggiornati sulle ultime tendenze della moda o da chi è in cerca di ispirazione per i propri outfit.

La ventisettenne cremonese è riuscita nel corso di pochi anni a trasformare il suo blog in un business da milioni di dollari, che l’ha portata non solo a diventare uno dei volti di Guess, ma anche ad apparire in veste di giudice a Project Runway, il popolare talent show americano dedicato agli stilisti. Business of Fashion, uno dei più importanti siti web che si occupano del mondo della moda, l’ha definita una delle personalità più influenti nella moda internazionale, pronta a presenziare a tutte le più importanti kermesse dell’anno, da Cannes alle première dei film più attesi.

The Blonde Salad rappresenta  il 30% dei suoi introiti: il resto arrivano dalle partnership e, sopratutto, dalla linea di moda che porta il suo nome, lanciata circa un anno fa. La Ferragni ha trasformato il suo blog in un vero e proprio brand globale, usando la propria popolarità come base per lanciare la sua carriera di stilista e modella.

The Blonde Salad continua a essere la sua vetrina, più che uno strumento per fare soldi: il blog infatti, continua ad essere visitatissimo, ma lei è meno occupata a usarlo come fonte di guadagno, lo usa come uno strumento di marketing e di branding.

È la sua presenza sui social media, in particolare il suo account Instagram che conta quasi 3 milioni di follower, che fa aumentare la sua fama. Ogni giorno pubblica una foto che mostra come è vestita, insieme a qualche dramma personale, lo scorso giugno la fine della storia con il suo fidanzato le ha fatto superare il milione di follower e la gente può seguirla praticamente in diretta. I Brand inoltre la invitano per presentare eventi e la pagano per pubblicizzare su Instagram determinati prodotti.

Chiara Ferragni è definita un fenomeno sociale perché si è fatta largo in un mondo estremamente concorrenziale.

Ma perché i blogger sono così popolari? Come si crea tutto questo successo?

Gli hashtag#, ossia delle sorte di etichette date a ciò che viene condiviso per contraddistinguere ed individuare i temi e/o soggetti trattati, è sicuramente un buon modo. Ma lo strumento fondamentale sono i social, in cui occorre essere sempre continuativamente presenti. Le piattaforme più utilizzate sono: Facebook, Twitter e Instagram, a seguire Google+, YouTube e Pinterest.

Chiara in quanto brand utilizza la content strategy e usando Instagram si è ritagliata un ruolo importante, condividendo contenuti visivi utili e interessanti per i suoi follower. Ha acquisito quindi credibilità e autorevolezza nel settore in cui opera, infatti raccontare per immagini la storia di sé stessi e della propria professione aggiunge un valore emozionale al racconto.

A differenza di altri fashion blogger, la Ferragni, usa Facebook come un canale secondario, infatti la sua pagina contiene soprattutto foto importate dal profilo Instagram. Su Twitter, invece, Chiara Ferragni è nettamente la blogger più seguita con più di 200.000 followers. La maggior parte dei suoi tweet contiene link al blog o a foto su Instagram o alcuni dei suoi hashtag di riferimento come #theblondesaladneverstops.


© Il personal Branding – Marika Fantato


 

Analisi Cliomakeup fan page

Analisi Cliomakeup fan page

Perchè la scelta di una Fan Page?

Attraverso una pagina è possibile entrare in contatto con i propri fan inviandogli degli aggiornamenti che vengono visualizzati nella home a destra sotto le notifiche quindi separatamente da tutto il resto, inoltre è possibile targetizzare le notifiche decidendo a quali fan inviarle in base a parametri quali il sesso e l’età. Inoltre si può anche decidere di non ricevere più gli aggiornamenti pur rimanendo fan di quella pagina, in quanto infastidire gli utenti comunque è sempre un fallimento per la comunicazione all’interno di un ambiente sociale sul web.

Facebook offre agli amministratori delle pagine uno strumento molto importante che con un gruppo non si può utilizzare: Facebook Insight, che come è stato detto nel capitolo precedente, consente di accedere ai dati sull’attività relativa alla pagina (dati demografici sui fan, popolarità e andamento delle inserzioni).

Ecco le principali motivazioni che spingono un personal brander ad aprire una fan page su Facebook: utile per l’apertura di una relazione a lungo termine con i fan e con gli appassionati del brand, in quanto aumenta il valore percepito e la credibilità della persona e del brand che rappresenta.

Gli items scelti per analizzare la fan page di ClioMakeUp sono le seguenti:

  • foto profilo : immagine visibile appena si apre il profilo della persona interessata, di piccole dimensioni, posizionata in alto a sinistra;
  • foto copertina : immagine visibile appena si apre il profilo della persona interessata, di grandi dimensioni, è posizionata in alto ed occupa tutta la pagina in lunghezza;
  • caricamenti foto dal cellulare : foto inserite della sfera professionale e privata;
  • curriculum professionale nella voce informazioni;
  • post durante il lavoro ;
  • post per promuovere il blog ;
  • applicazioni : applicazioni web, ospitate su uno spazio di responsabiltà di Facebook, la cui interazione non è fine a sé stessa ma si fonde a quella che è l’interazione propria con Facebook;
  • video caricati ;
  • privacy : essere iscritti a questo social network non comporta per forza il far vedere a tutti quello che si scrive o le foto che si caricano, Facebook dà la possibiltà ai suoi utenti di delimitare la cerchia delle persone che possono accedere alle nostre attività e alle nostre informazioni: noi cercheremo di valutare qual’è il grado di privacy-Facebook che adotta la categoria professionale da noi scelta.

Risultati analisi:

  • foto profilo : professionale. Tutte le foto profilo raffigurano Clio, solo il volto, con i tutorial finiti che propone settimanalmente nel suo blog http://blog.cliomakeup.com/. Alcune foto raffigurano solo gli occhi truccati in primo piano aperti e chiusi;
  • foto copertina : professionale. La maggior parte delle foto raffigurano Clio a mezzo busto con in mano i prodotti che utilizza nei suoi tutorial. Talvolta foto che comprendono le modelle che trucca durante le sfilate;
  • caricamenti foto dal cellulare : si. Sono presenti foto taggate durante i lavori alle sfilate, dei prodotti che utilizza nei tutorial o novità in campo cosmetico, ma anche foto private e del contesto familiare, ad esempio quella con i gatti a casa o con la madre;
  • curriculum professionale nella voce informazioni : no. Vi sono le informazioni di base, gli interessi (make up) dal quale si evince la sua professione e il collegamento al suo blog;
  • post per promuovere il blog : si. La maggior parte dei post sono inseriti per promuovere gli articoli che vengono pubblicati nel blog. Articoli che spaziano dal make up, alla cura dei capelli e della pelle;
  • applicazioni : si. Il blog e Instagram. Su quest’ultima vi sono foto esclusivamente scattate durante la quotidianità;
  • video : si. Il soggetto è Clio che si trucca o che presenta una review dei trucchi;
  • privacy : no. La fan page è aperta e consultabile da tutti gli utenti che ricevono le notifiche se hanno messo Mi Piace.

Clio MakeUp è quindi uno degli esempi di comunicazione che viene dal basso e che raggiunge la massa solo grazie al consenso del pubblico, senza dietrologie pubblicitarie e promozionali.

Sceglie la piattaforma di Facebook perchè rappresenta un ambiente di “relazionalità ancorata”[1] in cui le relazioni online si basano anche su quelle offline (dirette o indirette, amici degli amici) e si miscelano con nuovi rapporti, ma a partire da un contesto di non anonimato.

Ma come gli utenti reagiscono a ciò che pubblica?

Non sempre positivamente. Di seguito offro un esempio di partecipazione attiva del pubblico per dimostrare il coinvolgimento (engagement) che la comunicazione di Clio crea.

Analizzo quindi un post pubblicato sulla fan page il 25 Settembre. Viene postato uno screenshot[2] ripreso da uno degli ultimi tutorial di Clio per recensire un prodotto per capelli che fa l’effetto crespo da spiaggia, quindi non il video, solo un’immagine statica ripresa dal video. Nella foto si vede Clio con i capelli bagnati appena lavati e senza trucco affiancata da un’altra che la ritrae truccata e con i capelli pettinati dopo l’applicazione del prodotto. Il set è la camera di Clio, niente di più naturale, autentico e spontaneo. Non c’è patinatura, non c’è la classica atmosfera da pubblicità di makeup artist.

Per una settimana ho letto con attenzione tutti i commenti che sono stati pubblicati al fine di coglierne sentiment e spunti di riflessione. Ad oggi, 10 Ottobre, il post ha 259 commenti, 255 condivisioni e 6883 Mi Piace, numeri da capogiro per qualsiasi azienda voglia utilizzare i social network per farsi promozione.

I risultati di un’azione promozionale sui social network possono essere sia quantitativi che qualitativi.

Dall’analisi di questo post emerge:

  • risultati quantitativi : dalla pubblicazione del post il primo commento arriva dopo 1 minuto e dopo 10 minuti ci sono già 20 commenti. Ogni commento riceve in media 6 like. Il post in 15 giorni ha ricevuto 214 commenti, 223 condivisioni e 5661 like. I dati, le cifre e i numeri sono indicativi del fatto che il post è piuttosto vivo anche dopo diversi giorni dalla sua nascita;
  • r isultat i qualitativi : gli utenti hanno in parte criticato il giudizio positivo che Clio ha dato sul prodotto, ma Clio non ha commentato/replicato.

Clio attraverso i post esprime ancora una volta autenticità e spontaneità.

Il 90% di chi scrive sente la necessità di sentirsi parte di una comunità di nostalgici. Un sociologo francese, Bernard Cova[3], ci parla di tribalismo. L’individuo postmoderno ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo, una tribù che si unisca attorno a degli oggetti di consumo e di confrontarsi con gli altri esponenti della comunità, lasciando così da parte il tipico individualismo della società moderna. I commenti al post di Clio esprimono a pieno questo concetto, perché gli utenti che hanno deciso di scrivere l’hanno fatto per sentirsi uniti agli altri, non solo dalla passione per il makeup, ma anche da ricordi ed esperienze passate.

Spesso Clio nei post risponde a qualche commento anche se poco; in questo post non è presente alcuna sua risposta. Posso ipotizzare che sia una sua strategia per mantenere credibilità sulla base di una policy, di regole per i social network definita in precedenza, oppure un suo stile di relazione che ha lo scopo probabilmente di lasciare che i commenti negativi o contrari si superino senza accendere ulteriori discussioni se lei dovesse intervenire/commentare.

Nell’intestazione del post vi è il collegamento con il video su YouTube dove vi sono 176 commenti, 1057 Like e 27 No Like, che riprendono quello che viene scritto su facebook e cioè che il prodotto che ha provato Clio non piace.

Se dobbiamo distinguere la presentazione di Clio sui due social network notiamo delle differenze: YouTube, proprio per la sua modalità di fruizione, richiede un pubblico più attento, un video ha bisogno di qualche minuto per essere visto e quindi i commenti derivano da un’interazione più profonda con ciò che viene pubblicato; Facebook invece ha un pubblico distratto, rapido e anche a volte compulsivo, nel pubblicare, rispondere e interagire. Quest’ultima analisi non è che una conferma del fatto che, chiunque si occupi di social network in maniera professionale, deve ricordare che ogni social ha il suo linguaggio: è impossibile utilizzare con successo lo stesso per tutte le piattaforme. Se analizziamo il personaggio di Clio attraverso i concetti di Goffman[4] si può notare che il retroscena irrompe sulla ribalta nella pagina Facebook e non c’è nemmeno distinzione netta tra vita online e offline. Infatti Clio gira i video-tutorial tra le mura della sua casa: in camera sua quando si trucca o in cucina quando prepara le maschere di bellezza fai-da-te.

Clio si dimostra nella Rete attraverso la regola del contegno, come una web celebrity a cui dare fiducia, competente nella sua professione e passione, lasciando trasparire dai suoi video o immagini affidabilità. Lo dimostra anche con i video in cui appare sicura di sé, con un linguaggio semplice e spontaneo. Il contenuto del rituale (post su Facebook, video su YouTube o articoli sul blog) è arbitrario, ma è cruciale. Allo stesso tempo la natura della deferenza del pubblico, si evince dai numerosi like degli utenti ai suoi post e immagini pubblicate giornalmente sulla fan page.

Clio appare spontanea, la sua faccia sempre coerente è quella della ragazza della porta accanto, non deve assumere comportamenti diversi dietro le quinte, ma mantiene sempre la stessa faccia, forse grazie al contesto “quotidiano” in cui si propone e sviluppa le sue interazioni. Clio inserisce elementi di retroscena sulla ribalta a conferma forse del suo stile comunicativo spontaneo e coerente: la strategia di Personal Branding utilizzata da Clio.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1]   Zhao 2006

[2]  Screenshot deriva da due termini inglesi, screen che significa schermo e shot che significa scatto fotografico: è l’istantanea dello schermo di un monitor di computer o di televisore o di qualunque altro dispositivo, che immortala quel che si sta visualizzando in un dato momento. Lo screenshot è quindi in definitiva un’immagine, da poter poi utilizzare e modificare come tutte le immagini.

[3]  Professore all’Euromed Management di Marsiglia e Visiting Professor all’Università Bocconi di Milano. E’ uno dei più eminenti studiosi del marketing e della sociologia del consumo a livello internazionale. Studioso degli approcci alternativi del marketing, ha sviluppato la teoria del consumo tribale e dei modelli collaborativi tra consumatori e produttori.

[4]  Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

Il caso di Clio Make-Up

Il caso di Clio Make-Up

Foto di kinkate da Pixabay

Come si trasforma una passione in un’attività divertente e redditizia?

Per spiegarlo e dire che è possibile usiamo come esempio il fenomeno di Clio Make-Up, che partendo dal suo videoblog ha monetizzato la sua passione attraverso lo sviluppo di una strategia di differenziazione, di reputazione e una community.

Clio Zammatteo nasce a Belluno, studia video design allo IED di Milano e in seguito si trasferisce a New York per frequentare una scuola professionale di trucco, l’istituto MUD Make Up Designory. Nella metropoli decide di raccontare alle connazionali ciò che sta apprendendo attraverso la piattaforma YouTube, così il 7 luglio 2008 carica il suo primo video. Inaspettatamente, raggiunge un numero altissimo di visualizzazioni, che attualmente è arrivato a nientemeno che 161.871.304, con 767 video e 880.646 utenti iscritti.[1]

Un caso reale e di successo:  una ragazza che, partendo dalla sua passione per il trucco e sfruttando la risorsa gratuita YouTube, ha avviato una carriera online divertente e redditizia che oggi l’ha portata a scrivere due libri, essere protagonista di una trasmissione televisiva e soprattutto a monetizzare la sua passione.

Quando ha iniziato non aveva competenze di business, non possedeva una strategia di monetizzazione e non aveva chiari tutti gli step che avrebbe dovuto fare per raggiungere quello che oggi è diventata: un fenomeno del web.

Facendo un’analisi del percorso che ha portato Clio al successo possiamo delineare alcuni step.

È partita dalla sua passione (il trucco, spendeva tutti i suoi soldi nei cosmetici) e da una sua esigenza (ha pensato di creare dei video su come truccarsi perché lei stessa, cercandoli online, non riusciva a trovarne, soprattutto in lingua italiana).

Ha avuto un obiettivo chiaro: in Italia non esistevano video sul makeup e per questo ha deciso di pubblicarli, man mano che apprendeva le tecniche nella scuola a new York.

Che immagine di sé (faccia/maschera), ha comunicato Clio?

È sempre stata coerente con l’immagine che ha offerto inizialmente: non voleva apparire una super esperta in trucco. Ha cominciato i suoi video dicendo chiaramente e con semplicità chi era e quello che aveva da offrire. Sono stati gli ascoltatori che l’hanno apprezzata e seguita perchè faceva al caso loro.

Il suo obiettivo è quello di essere un “riferimento” per i lettori: ovvero molti dei prodotti di cui parla non esistono in Italia, lei suggerisce le alternative e di ovviare al problema.[2]I video di Clio, grazie agli strumenti di condivisione dei social network, hanno avuto una vera propria esplosione virale: in poche settimane, le visualizzazioni sono passate da qualche decina ad alcune centinaia.

Il suo impegno è stato premiato fin da subito dai commenti di persone soddisfatte che le hanno trasmesso l’energia per andare avanti: perchè il semplice fatto di continuare a condividere e a servire il tuo pubblico ti velocizzerà nel diventare un vero esperto del tuo settore.

Il caso di Clio dimostra anche come non paga essere gelosi delle proprie competenze, piuttosto quanto la condivisione possa essere un solido ponte verso una buona occasione: tu inizi a costruire, finchè saranno altre persone che ti apprezzano ad aiutarti ad arrivare dove non avresti mai pensato.

Oggi Clio conduce un programma televisivo molto seguito su RealTime: è passata quindi dal truccarsi seduta davanti alla webcam al dispensare consigli utili su un comodo divano in uno studio televisivo. Il debutto è di lunedì 6 febbraio 2012, giorno in cui il programma registra[3] 429.000 telespettatori (con una permanenza di oltre il 60%) per una share del 2.3% sul totale popolazione. Ha scritto 2 libri per la casa editrice Rizzoli: Clio make-up (2009) e Beaty care. La cura della pelle e i cosmetici fai-da-te (2010). Gestisce un fortunato sito internet sul trucco: http://blog.cliomakeup.com/. È rimasta fedele al suo canale YouTube, ma è anche su Facebook, Twitter, Google+ e Instagram: tutti strumenti gratuiti che le garantiscono un’ampia visibilità. E, infine, è testimonial dell’azienda di cosmetici Pupa.

Clio è diventata così in pochissimo tempo una web-celebrity, complice il fatto di essere stata la prima make-up artist italiana su YouTube.

Il target di Clio è prettamente femminile, al quale è indirizzato non solo il programma, ma anche il canale Real Time. Dal debutto della trasmissione, Clio è diventata trend topic[4] su Twitter e su Facebook  si ritrova, ad oggi, con 1.847.163 like.

Il suo punto di forza è essere stata sempre sé stessa, coerente con l’immagine di una persona come tutte le altre, con un carattere aperto, spontaneo, tra faccia struccata e capelli della prima mattina: situazioni in cui ogni donna si può riconoscere. Tutorial come Capelli perfetti ogni mattina per ciompe, BB cream…per non sentirsi mai cesso e Post brufoli e macchie pelle ne sono una perfetta esemplificazione.

Su YouTube vince la rappresentazione della quotidianità, data dal piazzamento del personaggio davanti ad una telecamera, con gatti e nonne che passano dietro, mamme che fanno da cavie, diverse location della vita quotidiana e uno stile tutto spontaneo. Nel canale web, Clio Zammatteo è libera di fuoriuscire in tutta la sua straordinarietà che l’ha resa famosa. D’altra parte, non è un caso che nonostante la popolarità acquisita non dia segno di voler mollare YouTube, che rappresenta un contatto diretto e vero con tutte le sue fan che lei chiama “amiche”.  Com’è lo stile comunicativo di Clio?

Lo stile comunicativo di Clio che emerge è semplice, aperto, diretto e confidenziale in quanto usa termini colloquiali nel linguaggio scritto e orale.

Clio Make-Up è anche un esempio di Personal Guerrilla Marketing (come lo chiamano Centenaro e Sorchiotti[5]) un modo particolarmente creativo di promuovere se stessi. Si tratta dell’utilizzo della filosofia del Guerrilla Marketing, più in generale del Marketing Non-Convenzionale applicata al Personal Branding, che parte dal presupposto di inventare delle strategie creative e virali per superare l’inferiorità militare (finanziaria) delle piccole e medie imprese contro un nemico molto più forte (il mercato). Il nome deriva proprio dal termine “guerrilla”, che identifica la forma di guerra condotta con mezzi non convenzionali, da truppe irregolari, con pochi mezzi ed un nemico soverchiante. L’obiettivo trasportato al marketing è quello di utilizzare la creatività, in maniera per certi versi aggressiva, per far leva sull’immaginario e sui meccanismi psicologici del proprio pubblico e conquistarlo.

Il Personal Guerrilla Marketing non deve essere visto come una strategia per costruire un Personal Brand, ma come un possibile mezzo per diffonderlo. La creatività, l’umorismo, la sopresa sono caretteristiche del Marketing Non Convenzionale: le migliori azioni di Personal Guerrilla Marketing sono quasi avvenute per caso, in quanto la viralità non è prevedibile.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] Statistiche disponibili all’indirizzo: http://www.youtube.com/user/ClioMakeUp/about

[2]  Obiettivi di Clio Zammatteo estrapolati dal suo primo video di presentazione del 2008 disponibile all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ZYgEQU3gGkw

[3] Dati disponibili all’indirizzo: http://www.digital-sat.it/ il magazine online dedicato alla tv digitale.

[4] Trend topic = le tendenze twitter del momento.

[5]  Centenaro L., Sorchiotti T., Personal Branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità, Hoepli, 2013.

Analisi di Linkedin

Analisi di LinkedIn

 

I social network non servono solo come strumento per passare il tempo online, possono infatti essere fondamentali nella ricerca di nuovi contatti lavorativi, come dimostra LinkedIn, la piattaforma per i professionisti del lavoro.

Lo scopo dell’analisi è quello di indagare se gli utenti utilizzano al meglio l’opportunità di presentarsi sul social network LinkedIn per farsi trovare e promuoversi creandosi una solida rete di utenti utili alla ricerca di un lavoro o collaborazione professionale, utilizzandolo dunque come strumento base per la strategia del Personal Branding online. Un altro aspetto che vado ad indagare riguarda le differenze di genere: nel mondo dei social network, in particolare in LinkedIn, uomini e donne si presentano alla stessa maniera oppure esistono differenze di genere ancorate ai vecchi stereotipi?

Ho analizzato 30 profili del social network LinkedIn, suddivisi equamente in 15 profili femminili e 15 maschili di età compresa tra i 25 e i 45 anni di varie province del Veneto, che attualmente svolgono varie professioni post laurea.

Gli items scelti per analizzare i profili sono:

  • foto profilo : l’ideale è la foto professionale, ma la foto sorridente e solare è più positiva
  • numero collegamenti : se un profilo ha il “500+” è attivo su LinkedIn, sia con altri utenti che nei gruppi
  • riquadro attività : posizionato subito sotto il riquadro del nome/cognome/avatar così da mettere in evidenza per esempio l’ultimo post pubblicato sul blog aumentando la brand reputation
  • riquadro competenze ed esperienze : in lingua italiana e/o inglese con allegati file e link
  • riquadro riepilogo : in lingua italiana, ma una buona parte di utenti che lavorano in Italia lo preferiscono in inglese per dimostrare di conoscere la lingua, anche perchè molte aziende il colloquio lo fanno in inglese. Si possono aggiungere dei media per evidenziare successi ed esperienze riquadro gruppi : da inserire i gruppi frequentati di più, così chi visiona il profilo sa che  l’utente è interessato/attivo a un determinato argomento/i: una persona con molti interessi, dimostra di essere curioso, con la voglia di imparare, intelligente, dinamico, che sa adattarsi agli altri e all’ambiente
  • segnalazioni : una sorta di lettere di presentazione/raccomandazioni/referenze da parte di collaboratori/colleghi/titolari/professori delle precedenti esperienze in campo formativo e/o lavorativo, in forma testuale, diverse dal riquadro competenze ed esperienze
  • altri riquadri : info generali (link sito/blog e account social), progetti, lingue, pubblicazioni, organizzazioni, votazione esame (mostrare il 110 e lode fa la sua figura), brevetti, corsi, certificazioni, volontariato e cause, con la massima sincerità

Risultati dell’analisi dei profili femminili.

I risultati riguardano la maggioranza dei profili analizzati:

  • foto profilo riscontrate:
    • nessuna, avatar standard di LinkedIn 1 su 15
    • stile fototessera (sfocata, storta con il classico sguardo serio) 1 su 15
    • foto sul posto di lavoro mezzo busto sorridente 7 su 15
    • ragazza sorridente con la testa inclinata da un lato (un classico) 4 su 15
    • di profilo sorridente 1 su 15
    • foto di laurea 1 su 15
  • numero collegamenti : 5 su 15 con contatti 500+ che riguardano il settore professionale di interesse evidenziato nel riquadro competenze con le keywords; 6 su 15 con un numero di contatti superiore a 100, i restanti 4 profili con un numero di contatti minore di 100
  • riquadro attività : 6 su 15 si
  • riquadro competenze ed esperienze : 9 su 15 in lingua inglese il restante solo in lingua italiana
  • riquadro riepilogo : 9 su 15 in lingua inglese e solo 3 su 15 hanno inserito media sulle esperienze formative e professionali precedenti e attuali riquadro gruppi : 12 su 15 hanno inserito i gruppi a cui partecipano collegati alle keywords presenti nel riquadro competenze

: 12 su 15 l’hanno compilato con interessi simili alle loro competenze professionali

  • segnalazioni :  5 su 15 hanno ricevuto in media  4 segnalazioni/raccomandazioni/referenze dai collaboratori dei progetti lavorativi precedenti
  • altri riquadri :
    • collegamenti social o sito/blog 6 su 15
    • votazione esami diploma/lauree 4 su 15
    • volontariato 5 su 15
    • corsi di perfezionamento/aggiornamenti 13 su 15
    • progetti 3 su 15
    • pubblicazioni 2 su 15

Risultati dell’analisi dei profili maschili.

I risultati riguardano la maggioranza dei profili analizzati:

  • foto profilo riscontrate:
    • foto sul posto di lavoro mezzo busto sorridente 3 su 15
    • foto sul posto di lavoro a mezzo busto serio 7 su 15
    • di profilo sorridente 1 su 15
    • foto di laurea 3 su 15
    • foto in bianco e nero 1 su 15
  • numero collegamenti : 13 su 15 con contatti 500+ e la maggior parte colleghi e aziende che riguardano il settore professionale di interesse evidenziato nel riquadro competenze con le keywords; 2 su 15 con un numero di contatti superiore a 150
  • riquadro attività : 11 su 15 si
  • riquadro competenze ed esperienze : 7 su 15 in lingua inglese il restante solo in lingua italiana
  • riquadro riepilogo : 7 su 15 in lingua inglese e 6 su 15 hanno inserito media sulle esperienze formative e professionali precedenti e attuali riquadro gruppi : 15 su 15 hanno inserito i gruppi a cui partecipano collegati alle keywords presenti nel riquadro competenze : 13 su 15 l’hanno compilato con interessi simili alle loro competenze professionali
  • segnalazioni : 8 su 15 hanno ricevuto in media 3 segnalazioni/raccomandazioni/referenze dai collaboratori dei progetti lavorativi precedenti
  • altri riquadri :
    • collegamenti social o sito/blog 11 su 15 – votazione esami diploma/lauree 9 su 15
    • volontariato 3 su 15
    • corsi di perfezionamento/aggiornamenti 14 su 15
    • progetti 7 su 15
    • pubblicazioni 6 su 15

Risultati relativi alle differenze di genere riscontrate.

L’analisi prende in considerazione gli stereotipi sessuali e di genere che per la cultura in cui siamo cresciuti abbiamo: ovvero le categorizzazioni negative e positive con le quali etichettiamo uomini e donne.

Ciò che emerge dall’analisi dimostra in primis che le donne, a differenza degli uomini, hanno meno contatti. Questo dato è dimostrato dal numero di collegamenti osservato nei 30 profili: su 15 profili maschili analizzati, in 13 casi il numero di contatti è superiore a 500, al contrario su 15 profili femminili analizzati, solo in 5 casi il numero di contatti è superiore a 500, nei restanti sono tra i 50 e i 150 contatti.

Inoltre ho notato differenze tra uomini e donne anche a seconda del settore professionale di appartenenza: le donne sono impegnate nelle attività di networking legate a strutture di servizi, arte, moda, organizzazioni no profit, comunicazione e pr; dall’altro lato, gli uomini si distinguono quando si tratta di ruoli manageriali, import/export o consulenza.

Un altro elemento che ho osservato è la corrispondenza o meno dello foto utilizzata in LinkedIn con altri profili in altre piattaforme, in particolare Facebook.

Quasi tutti gli utenti donna presi in analisi hanno un profilo anche in Facebook: ho osservato che esse fanno uso delle impostazioni del livello di privacy e che l’immagine profilo e l’immagine di copertina le ritrae in foto della vita personale, privata e quotidiana. Quindi possiamo notare che le donne tendono a mischiare la sfera privata e professionale più degli uomini.

Al contrario gli uomini con un profilo Facebook si rappresentano con la stessa foto profilo che hanno in LinkedIn, quella più professionale e quella di copertina nella maggior parte degli utenti analizzati, con una foto intera che li ritrae da soli in un viaggio o durante una passione/hobby. Gli uomini quindi mantegono maggiormente la linea di demarcazione tra vita privata e vita professionale anche online. Essi seguono la regola di utilizzare la stessa foto in tutti i profili dei vari social network ai quali sono iscritti, per mantenere una maggiore credibilità e coerenza.

Entrambi i sessi però vedono la compilazione del currriculum, ovvero della vita professionale con la descrizione sintetica della formazione e delle esperienze lavorative, nella voce informazioni di Facebook.

Analizzo ora più attentamente le foto profilo, dal momento che nella società contemporanea l’immagine personale è molto rilevante. Tale immagine in Linkedin è sempre visibile, è la prima cosa che vediamo e dà la possibilità di farsi un’idea della persona che sta dietro al profilo, ancor prima di leggere le sue competenze, le sue abilità e le sue esperienze professionali.

Se analizziamo aspetti della comunicazione non verbale emerge che la donna appare maggiormente in primo piano, a mezzo busto sorridente, con lo sguardo in camera; mentre l’uomo a mezzo busto più serioso, con lo sguardo molto spesso che sfugge all’obiettivo.

Come direbbe Goffman[1], in LinkedIn tutti gli utenti sono attori che recitano e mettono in scena i loro lati migliori o quei lati che pensano possano essere migliori per gli altri. Contemporaneamente nascondono i lati deboli che riservano per i loro retroscena, nella vita privata.

Quindi chi sfrutta al meglio LinkedIn, uomini o donne? O entrambi, ma con stili diversi?

Sono emersi due stili comunicativi diversi tra maschi e femmine che in parte ricalcano gli streotipi di genere, ma entrambi possono essere vincenti.

Posso ipotizzare che le donne che utilizzano foto più informali e più sorridenti, rispetto agli uomini che si rappresentano con un’immagine più sobria e rigida, trasmettono più calore, più vicinanza e più sicurezza ad un datore di lavoro che si occupa ad esempio di comunicazione o di servizi alla persona. Tali foto associate al titolo o al tag coerente con ciò che le donne vogliono comunicare di sé, rappresentano una strategia di promozione del self brand.

Allo stesso modo gli uomini con contatti lavorativi numerosi, una foto profilo più seriosa e uguale in tutti i profili dei social network e un network attivo con post recenti sono altrettanti strategie di personal branding che messe insieme possono attrarre i datori di lavoro nella fase di recruiting.

Sia uomini che donne inoltre utilizzano come strategia quella di partecipare alle discussioni nei gruppi, per dare testimonianza della propria professionalità e competenza.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1]  Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

Personal Branding Metodologia

Esempi di Personal Branding Metodologia della ricerca

Esempi di Personal Branding

Metodologia della ricerca: ipotesi e scopo dell’analisi

L’ipotesi generale è che i social network non sono luoghi di simulazione anonima totalmente sganciati dalla realtà quotidiana, ma sono anche spazi in cui l’utente ha l’opportunità concreta di enfatizzare quelle parti della propria identità che non sono facilmente esprimibili negli ambienti faccia a faccia, di mettere in scena un’immagine di sé più socialmente desiderabile, ovvero i sé possibili auspicabili, il sé ideale elaborando così una strategia di Personal Branding. Questa immagine può infatti essere considerata come una mera maschera virtuale che noi mettiamo sulla ribalta dei social network, dal momento che la narrazione identitaria su Facebook, LinkedIn, Youtube, Instagram ecc., produce sempre un impatto importante nell’idea che una persona vuole dare di sé agli altri.

Nello specifico l’ipotesi è affermare se e come le persone che cercano chance lavorative, grazie alla Rete, mettono in atto strategie di self branding. La mia ricerca consiste in tre analisi di contenuto qualitative.

Inizialmente analizzerò 30 profili di utenti di LinkedIn, la piattaforma professionale per eccellenza, concentrandomi in particolare sui contenuti testuali scritti e visivi come foto, cioè sulle homepage, che sono la faccia/facciata dell’utente.

Di seguito porterò due casi di self presentation di successo di due ragazze italiane Clio Zammatteo e Chiara Ferragni, analizzando la loro faccia, cioè tutto ciò che esse comunicano di loro aspetto fisico, hobby, competenze, esperienze, relazioni sociali ecc., compreso il loro stile comunicativo, per capire se hanno utilizzato strategie di Personal branding.

Mi concentrerò quindi sulla self presentation nei vari social network, descritti nel capitolo precedente, analizzando alcuni concetti di Goffman[1].


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

Approfondimento sul Social Media ROI

Approfondimento sul Social Media ROI

Il Social Media ROI è il ritorno di investimento dell’attività di marketing sui social network.

Un qualsiasi investimento ha bisogno di un ritorno, che sia di immagine o economico. Per ciò che riguarda la sfera della promozione online, spesso un Mi Piace su Facebook non ha un diretto ritorno economico, ma ha un valore a livello di visibilità del brand e un probabile riscontro indiretto sulle vendite.

Dimostrare che dall’investimento sia derivato un ROI è fondamentale per la reputazione del brand e per mantenere i clienti.

Non calcolare il ritorno di investimento dell’attività di social media sarebbe un errore strategico perchè non permetterebbe di capire l’efficacia delle azioni di marketing scelte.

Il ROI non è identificabile in un modo solo, può essere un nuovo contatto, un nuovo acquisto, un lead, un click, un nuovo acquisto. Per calcolare il ROI, quindi, bisogna impostare degli obiettivi, il cui raggiungimento lo rappresenterà.

Generalmente per i social media si parla di 5 principali metriche da considerare:

  • reach: è la portata di utenti che si riescono a raggiungere, maggiore è la portata più il brand sarà conosciuto e le vendite e i contatti avranno possibilità di aumentare;
  • traffico: non inteso come traffico sui profili social, bensì come traffico verso il sito web aziendale o il corporate blog. Portare visite al sito significa aumentare le probabilità di vendita e successo;
  • leads: è probabilmente uno dei parametri più importanti, poiché misura le conversioni, in termini di contatti ricevuti, provenienti dai social;
  • clienti: è sicuramente uno degli obiettivi più difficili da raggiungere, significa misurare il successo in base ai nuovi clienti ottenuti attraverso i profili social;
  • tasso di conversione: ovvero il rapporto tra leads e numero di visite. È un dato importante quando si vuole fare un confronto tra più canali, ad esempio tra Twitter e Facebook, o tra il blog e il profilo Google Plus.

Gli obiettivi devono essere allineati con la piattaforma, bisogna quindi scegliere quella giusta per l’obiettivo che si vuole raggiungere.

Sono molte le variabili in questo senso, seppure i vari social abbiano delle caratteristiche ben definite, che distinguono anche il modo in cui gli utenti tendono ad utilizzarli:

  • Facebook: è il social per eccellenza, con il numero più alto di utenti. Grazie a questa caratteristica è adatto a tutti i business, poiché di sicuro c’è un target adatto a ognuno di essi;
  • Twitter: è molto diffuso, ha tantissimi utenti e la sua particolarità è la sintesi, adatto specialmente per la condivisione e diffusione di notizie e informazioni che necessitano di un’ancora su una pagina web di approfondimento;
  • Instagram: si basa tutto sulla condivisione di foto e brevi video corredati di hashtag. Nasce e vive grazie al mobile e molti brand hanno cominciato a utilizzarlo ai fini del marketing, per avere una partecipazione attiva dei clienti e potenziali tali. È adatto a chi ha un prodotto/servizio molto visuale, che può essere messo in risalto grazie a foto e immagini;
  • Google+: è il social di Google di cui ora si parla moltissimo, probabilmente perché è diventato quasi obbligatorio avere un profilo, per l’authorship come per la reputazione online, ma i brand non sono particolarmente attivi sulla piattaforma;
  • LinkedIn: è dedicato esclusivamente al business personale come anche aziendale. È ottimo per chi si occupa di B2B e per chi ha bisogno di costruire relazioni professionali e accrescere la propria rete.

Dopo aver scelto obiettivi e piattaforme è necessario monitorarne i risultati costantemente, per capire dove intervenire e per migliorare o per individuare ulteriori possibilità di crescita. Esistono diverse piattaforme, gratuite e non, che consentono di effettuare il monitoring come:

  • Google Analytics: è il servizio gratuito di web analysis formato Google, consente di monitorare moltissimi dati, oltre che di impostare obiettivi di ogni tipo.
  • Klout: è un servizio on line gratuito che consente di verificare qual’ è l’influenza online di una certa persona. L’influenza in rete è misurata tramite un numero il Klout score. Questo viene calcolato sulla base delle nostre interazioni all’interno dei social network e altri valori come le citazioni in Wikipedia. Nello specifico, Klout misura la capacità di guidare azioni nei social network. Il Klout score può andare da 0 a 100 e la media è intorno ai 40 punti. Chi ha un Klout score pari a 75, secondo lo schema della startup americana, dovrebbe essere in grado di influenzare 100 mila persone.
  • Quin: fornisce le analisi per Facebook, YouTube, Google e Twitter, grazie a dashboard personalizzabili a cui è possibile aggiungere una selezione di widget per dati o statistiche che si desidera monitorare.

Una volta ottenuto un certo numero di dati è bene compilare dei report, le scadenze possono essere stabilite a seconda delle esigenze e delle richieste. Fra i report personalizzabili di Google Analytics ce ne sono diversi, perfetti per i social network. Nel momento in cui si hanno in mano i risultati è possibile fare un confronto con gli obiettivi prefissati e calcolare il ROI.

Figura 4. Social Media Roi & Analysis Framework. Immagine che raffigura un programma strategico e un framework di misurazione subordinati al raggiungimento di obiettivi di alto valore per il brand, dando al R.O.I. un significato più ampio e di lungo periodo. Disponibile all’indirizzo: http://www.chefuturo.it/2013/07/il-roi-dei-social-media-e-il-corretto-framework-di-misurazione/

Il raggiungimento degli obiettivi legati alle attività sui social media può essere misurato attraverso tre metodologie d’indagine:

  • analisi delle relazioni che serve ad individuare le reti di persone che seguono un certo account o una specifica discussione e capire i legami forti e deboli che li uniscono;
  • analisi delle conversazioni utile a comprendere le discussioni che avvengono in rete attorno ad un brand o ad un tema;
  • analisi delle interazioni necessaria per misurare la capacità di un’azienda di entrare in relazione con chi abita i nuovi spazi della rete.

Non bisogna quindi accumulare fan e follower senza costruire relazioni.

Come scrive Cosenza[1] le spie da considerare per valutare le proprie performance su Facebook sono:

  • Likers o Fan: è la metrica più pubblicizzata dalla piattaforma, ma non la più interessante. Indica il bacino potenziale di lettori, ma è noto che solo una minima parte dei contenuti di una pagina viene resa visibile nel news feed dei fan, intorno al 10% secondo alcuni studi. L’Edge Rank, l’oscuro algoritmo di indicizzazione di Facebook, li seleziona sulla base di molteplici parametri che tengono conto dell’interesse manifestato da ogni utente e dei comportamenti dei suoi amici. In sintesi più sono stimolanti i contenuti prodotti e maggiore distribuzione avranno, ecco perché l’obiettivo dovrebbe essere l’engagement più che l’aumento smisurato dei fan;
  • Total Engagement: rappresenta la quantità di tutte le interazioni che le attività sulla pagina sono riuscite a produrre. Si ottiene dalla somma algebrica di like, commenti, condivisioni e post spontanei dei lettori in bacheca. Un valore alto indica una pagina stimolante. Un approfondimento ulteriore permette di capire il peso dei singoli addendi e quindi le attività maggiormente svolte dai lettori, ad esempio: la community tende più a commentare o a postare autonomamente?;
  • Page Engagement: è un indice dato dal rapporto tra Total Engagement e Fan. Il valore risultante indica il numero di interazioni prodotte, mediamente, da ogni fan. Quindi è un buon elemento per misurare la “capacità produttiva” dei fan e il loro grado di coinvolgimento;
  • Engagement per post: è un indicatore del livello di apprezzamento dei contenuti della pagina. È dato dal rapporto tra l’engagement generato dai post pubblicati dall’amministratore, ossia la somma di like, commenti e condivisioni generati e il numero di post scritti nel periodo considerato;
  • Total Reach o Portata: evidenzia il numero delle persone, uniche, che hanno visto effettivamente i contenuti della pagina. Si tratta di un’informazione cui solo l’amministratore della pagina può accedere, ma che è fondamentale per capire quanto lontano sono arrivati i post pubblicati. Insights permette di capire quali sono stati i canali della portata: se organica (cioè gli utenti hanno letto la notizia sulla pagina), virale (se l’hanno appresa grazie ai propri amici) o a pagamento (frutto di un’attività promozionale).

L’altra dimensione fondamentale per valutare strategicamente i propri risultati è quella della comparazione con il proprio mercato o pagine similari per numero di fan. Per quanto riguarda la valutazione delle proprie performance su Twitter, invece, si deveno considerare le seguenti metriche:

  • Follower: il numero dei seguaci è la metrica principale che Twitter usa, ma non la più illuminante. Per un social network che basa tutto sull’attimo e sul flusso, il bacino dei follower conta relativamente. Indica un bacino potenziale di lettori, ma nulla di più. Su Twitter le possibilità che i tweet non vengano visti sono elevate, semplicemente perché all’atto della pubblicazione molti non erano online;
  • Mentions: con questo termine Twitter intende tutte le citazioni ricevute dal nostro account, siano esse spontanee o derivanti da retweet e reply. Misurarle vuol dire avere idea del cosiddetto engagement o coinvolgimento generato. In sintesi quante reazioni ha generato un certo account. Ancora meglio sarebbe avere strumenti di analisi semantica che indichino quali di quelle menzioni sono positive o negative. Non avendoli si può assumere ragionevolmente che almeno il numero di retweet rappresenti un segnale di adesione al proprio messaggio, quindi avere uno strumento che indichi separatamente il dettaglio del numero di retweet e reply aiuterebbe;
  • Impressions: misurano l’esposizione raggiunta dall’account, ovvero il numero di volte che i tweet provienienti dall’account o citanti lo stesso, possono essere stati visti. Si tratta di un potenziale teorico dato dalla semplice moltiplicazione del numero di tweet per i follower cui sono destinati. Ancora più interessante è capire lo scarto che c’è tra le impressioni determinate dai cinguettii prodotti dal profilo e quelle guadagnate grazie alle menzioni dell’account da parte di altri soggetti. In questo modo si potrà capire il grado di amplificazione dei messaggi creato dalla rete di follower;
  • Unique Authors o Reach: se le mention offrono un’idea del volume di discussioni, il numero degli autori unici ci dice quante persone citano l’account. Questi due valori non coincidono quasi mai perché soprattutto quando si considerano periodi lunghi di analisi, uno stesso individuo può citare più volte un certo account. Si tratta di un fenomeno molto frequente durante gli eventi (si pensi ai commenti alle trasmissioni televisive) o durante esperienze ricorrenti (ad esempio i viaggi);
  • Engagement per tweet: a differenza delle altre metriche questo è un indice composto dal rapporto tra engagement e numero di tweet prodotti. Il primo valore, generalmente, si fa coincidere con il numero totale di mention ricevute. Ma non è sbagliato aggiungere ad esso la quantità di Favourites ricevute dai tweet. Ultimamente è proprio Twitter che sta spingendo gli utenti, rendendo pubblica l’azione relativa, a prendere l’abitudine di premere la stellina dei preferiti per mostrare il proprio gradimento. Una sorta di like che può essere considerata una reazione positiva all’attività editoriale. Un valore alto di Engagement per tweet indica tendenzialmente, che i cinguettii dell’account raccolgono i favori del proprio pubblico di riferimento.

I cinque indicatori appena analizzati acquistano maggiore significatività se letti in prospettiva, ovvero se vi si aggiunge la dimensione temporale. Il fattore tempo permette di comprendere se si stanno compiendo dei progressi o se le performance sono ferme. Inoltre lo storico dei dati dà anche modo di proiettare i risultati futuri e decidere i prossimi obiettivi da assegnare al team di lavoro.

Un’altra dimensione utile a valutare le proprie performance è quella del mercato, con uno strumento che permette di confrontare le metriche, appena analizzate, rispetto ai risultati dei concorrenti, che possono essere diretti, quelli che offrono prodotti o servizi simili, o indiretti, che tendono a soddisfare lo stesso bisogno.

Sviluppare un brand costa tempo e impegno quindi, ma può anche richiedere degli investimenti in denaro. Lo stesso vale per una presenza online efficace e per la relativa digital influence.

A questo proposito Centenaro e Sorchiotti[2], parlano di ROI della partecipazione ai social media che va inteso come return on influence, ossia come aumento della propria digital influence.

È meglio lavorare costantemente e a lungo per sviluppare la propria influence e pensare alla monetizzazzione in un secondo momento.

Più tardi monetizzi, maggiormente monetizzi.[3]

Riassumendo è importante avere una precisa idea del Personal Brand che si vuole esporre online, definire in modo chiaro una strategia online di comunicazione in linea con il Brand, ricorrere all’uso di Google Alert[4] con il quale definire e configurare punti di ascolto, saper selezionare il proprio target ed infine partecipare alle conversazioni con gli utenti. È dunque fondamentale tenere a mente che il vero Personal Brand si genera partecipando alle conversazioni online.


© Il personal Branding – Marika Fantato


[1] Cosenza V., Social Media ROI, Apogeo, 2014

[2]  Centenaro L., Sorchiotti T., Personal Branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità., Hoepli, 2013.

[3]   Vaynerchuck G., Buttati! Ora o mai più. Trasforma la tua passione in soldi., Sperling &Kupfer, Milano, 2010.

[4]   Google Alert è un servizio che genera risultati di motori di ricerca sulla base dei criteri forniti e spedisce i risultati all’account e-mail. Questo servizio è utile per molti motivi, come il monitoraggio del web per avere informazioni specifiche sull’azienda, la popolarità dei contenuti online o la concorrenza. È usato anche per tenersi aggiornati sui nuovi progressi, gossip e tendenze.