Articoli

Indicatori del benessere organizzativo

INDICATORI DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO

 

La qualità del personale è il primo tassello da far quadrare per ottenere performance migliori, pertanto per poter trovare personale preparato bisogna innanzitutto operare scelte oculate nel mercato del lavoro. Un altro passo importante consiste nel far acquisire al proprio personale un maggior senso di appartenenza alla struttura aziendale, e saper trasmettere le motivazioni giuste. In tale contesto migliora anche la comunicazione interpersonale, necessaria per la trasmissione di informazioni utili per il lavoro e per l’utenza.

Sono di primaria importanza la formazione e l’aggiornamento delle capacità lavorative, legati non solo all’ambito lavorativo nel quale si è posti, ma estendendo le conoscenze anche in altri campi, favorendo una professionalità trasversale utilissima in caso di un cambiamento radicale all’interno della propria organizzazione.

Nell’ambito, quindi, delle caratteristiche e delle necessità dell’organizzazione del personale, si inserisce l’analisi del Benessere Organizzativo: la capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione.

I maggiori indicatori da considerare ed analizzare sono, tra quelli positivi: la , la collaborazione, la leadership, la comunicazione efficace; tra quelli negativi: il mobbing, lo stress lavoro correlato, il burnout.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Assenteismo

ASSENTEISMO

Secondo “Il sole 24 ore” per assenteismo si intende un “uso sostenuto o eccessivo di permessi retribuiti; ricorso sistematico a permessi per malattia; ricorso ai periodi di aspettativa per motivi personali; assenze ingiustificate o coperte da altri colleghi; mancanza sistematica di puntualità o di rispetto dell’orario minimo di lavoro”.

Secondo quanto riportato dal “Rapporto Ermes” del 2017 in media nei comuni italiani, i dipendenti pubblici sono assenti dal lavoro circa 50 giorni l’anno (rapporto completo PDF https://ermespa.it/phocadownload/1711_ErmesRapporto.pdf ).

Un altro studio, condotto dall’ufficio studi della CGIA Mestre e pubblicato il 18 febbraio 2018 (scaricabile al link file://Users/nina/Desktop/ASSENZEPUBBLICOPRIVATO.pdf ), ha registrato un tasso di assenza per malattia nel 2015 pari al 57% nel settore pubblico ( 1 dipendente su 2) contro il 38% ( 1 dipendente su 3) nel settore privato. Questi valori sono da leggere in relazione al numero dei dipendenti dei due settori essendo che i dipendenti pubblici sono 4 volte maggiori rispetto a quelli privati.” E’ evidente- dichiara il coordinatore dell’ufficio studi CGIA Mestre- che non abbiamo alcun elemento per affermare che dietro questi numeri si nascondano forme più velate di assenteismo Tuttavia qualche sospetto c’è. […]” (Ufficio Studi CGIA Mestre, news febbraio 2018).

L’assenteismo ha un costo elevato sia per la Pubblica Amministrazione che per gli enti privati.

Secondo quanto pubblicato dalla rivista “ Society for Human Resource Management” nell’articolo “Total Financial Impact of Employee Absences”, le aziende a causa delle assenze dei propri dipendenti:

  • utilizzano gli straordinari che aumentano circa del 2% il costo della busta paga ( questo succede nell’80% delle aziende)
  • perdita della produttività che hanno stimato si aggiri intorno al 31,1%
  • I dirigenti per controllare e gestire le assenze occupano il 10% della loro settimana lavorativa (circa 4,2 ore a settimana, per un totale di 210 ore l’anno)
  • L’assenteismo si correla anche alla perdita motivazionale nei dipendenti non assenteisti in quanto percepiscono tale comportamento scorretto, ledendo così anche il clima aziendale

Secondo anche un altro studio condotto dal Ayming, Barometro sull’assenteismo, si stima che l’impatto dell’assenteismo ha un costo che varia dal 0,3% al 1,8% della retribuzione totale. (metti bibliografia)

Bisogna sottolineare che per misurare il tasso di assenteismo non vi è uno strumento univoco in quanto, ogni azienda, può utilizzare dei parametri differenti e approcci differenti al fenomeno ( Cadoni, 2016). Questo è dovuto al “bagaglio culturale” del territorio in cui sono inserite. Ad esempio in Italia molte aziende “comparano le assenze per malattia, incidenti sul lavoro e congedo per maternità/paternità alle assenze ingiustificate” (ibidem), cosa che invece non accade in altri paesi dell’Unione Europea. Questa catalogazione ampia di assenteismo conduce ad una visione negativa dell’assenza del dipendente indipendentemente dalla motivazione alla base, che porta i dipendenti ad un’altra forma preoccupante di relazione con il lavoro chiamata “presentismo” che induce i dipendenti ad essere sempre presenti sul posto di lavoro anche in condizioni (quali malattia) che li rendono poco produttivi e facendoli rinunciare a passi importanti nella loro vita extra lavorativa ( come diventare padri e madri) per non essere visti male dalla propria azienda.

Anche per questo, prima di cercare delle misure per contrastare l’assenteismo bisognerebbe riuscire a comprendere meglio il fenomeno nei suoi molteplici aspetti in quanto spesso le assenze dei dipendenti possono essere un importante segnale della “salute” di un’azienda.

Come prima cosa bisogna distinguere due tipologie di assenteismo: fisiologico e sistematico.

Per quanto riguarda le assenze fisiologiche, non si può intervenire se non migliorandone la gestione, tentando di non appesantire i dipendenti che dovranno sostituire il collega.

La seconda invece, quella sistematica, può essere vista come un sintomo relativo a problemi  tra i dipendenti e l’azienda; pertanto bisogna analizzarla e interpretarla correttamente, in quanto l’azienda stessa potrebbe aver contribuito attraverso un clima interno “stressante” e poco motivante .

Il clima aziendale e il contesto lavorativo rappresentano il 55% delle cause di assenza dei dipendenti a livello Europeo ( il restante 45% è dovuto allo stato di salute personale e dei familiari).

I contesti lavorativi in cui si collabora, vi è fiducia e vi è un buon uso dei riconoscimenti verso il lavoro dei dipendenti,  i tassi di assenza sono inferiori.

Sembra dunque che un cattivo clima lavorativo e un’organizzazione disfunzionale e non motivante possano considerarsi delle possibili cause di assenza dei dipendenti.

In Italia, secondo Ayming, Barometro sull’assenteismo, i tre motivi principali che portano ad una maggiore soddisfazione ed interesse per il proprio lavoro solo:

  • Contenuto della mansione lavorativa
  • Il riconoscimento da parte dell’azienda
  • Relazioni umane create sul posto di lavoro

Ma nella stessa indagine quando si è chiesto se l’assenteismo può essere ricondotto ad una carenza di motivazione sul lavoro nei dipendenti, tale causa, non è stata valutata come principale ma è stata messa al settimo posto.

Lasciando da parte quelle assenze dovute a comportamenti scorretti dei dipendenti,  che dovranno essere gestiti dall’azienda, attraverso controlli, e provvedimenti forti anche sul versante legale, di nostro interesse invece sono quelle assenze alla cui base ci sono delle problematiche diverse e dovute non solo al singolo individuo, ma al contesto lavorativo in cui si inserisce.

Una cultura organizzativa basata su coinvolgimento e ascolto del dipendente, migliorano la sua motivazione e la fiducia verso la propria azienda, abbassando così le assenze sistematiche, e più che combatterlo tale soluzione potrebbe rivelarsi come un’azione preventiva per un efficace gestione del clima organizzativo interno (Alessandri & Monte, 2014).

Uno concetto importante che possiamo ricollegare alle attività preventive per abbassare e monitorare l’assenteismo, introdotto da Fred Luthans, è lo “PsyCap” o Capitale Psicologico.

Tale costrutto, secondo Luthans ,è composto da quattro elementi ( determinazione, autoefficacia, resilienza, ottimismo) i quali incidono sulla performance lavorativa dell’individuo e di conseguenza anche dell’organizzazione di appartenenza. ( capit psi. Unaassert chiave terzo millenio di a.a. v.v.).

Alcune ricerche hanno evidenziato che lo PsyCap ha un’influenza su entrambi le tipologie di assenze esposte precedentemente. Questo avviene perché le persone con un elevato PsyCap, hanno un miglior stato di salute e un’integrità psicofisica più forte, riducendo così il rischio di ammalarsi. (ibidem)  In caso di malattia, tali soggetti con elevato PsyCap, vivono tale condizione come un evento temporaneo e si pongono come obiettivo quello di guarire in tempi brevi. Inoltre avendo un’ integrità psico-fisica più forte, sono soggetti che tendenzialmente sopportano meglio gli eventi stressanti e frustranti. ( avey patera e west 2006)

Per quanto riguarda le assenze sistematiche o volontarie, i soggetti con elevato PsyCap, risultano più motivate, maggiormente organizzate, reagiscono meglio ai fallimenti , riuscendo inoltre a mantenere integre le relazioni con colleghi e superiori e  sono più determinate. Tutte qualità utili a rendere tali soggetti meno predisposti ad assentarsi dal lavoro.

Le dimensioni che compongono lo PsyCap (determinazione, autoefficacia, resilienza, ottimismo), possono essere rafforzate e incrementate grazie ad appropriati corsi di formazione e rendendole  parte integrante della cultura aziendale.

Approcciarsi all’assenteismo non è facile; è molto diverso da paese a paese ed è molto complesso in quanto ci si deve confrontare anche con la psiche umana. “In fin dei conti” si parla di “persone con tutte le loro sfaccettature”, ma trovando un approccio che implementi alcuni dimensioni psicologiche importanti, come quelle che costituiscono lo PsyCap, si possono trovare soluzioni utili a prevenire e contrastare tale fenomeno.

“Come sempre però quando si parla di Aziende la lotta tra Gestione della Persona e Gestione della Moneta è ardua e vince il Responsabile che riesce a stare in equilibrio tra questi due estremi, tenendo sempre d’occhio l’orizzonte temporale delle proprie decisioni” ( aggiungi biblio è di un sito). (abbrevia)

«Il “triangolo” lavoro/riconoscimento/relazioni umane dovrebbe essere alla base delle policy delle aziende a livello Europeo. Siamo infatti convinti che il successo economico delle imprese sia guidato dal capitale umano. Integrando queste tematiche all’interno delle policy aziendali, è possibile migliorare le proprie performance e la propria crescita». 

Yannick Jarlaud, Direttore dello studio all’interno della Business Line HR performance del gruppo Ayming

 

© Assenteismo – Dott.ssa Anna Buzzi

 

Bibiliografia:

https://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/assenteismo.html

https://www.abbrevia.it/it/News–Focus/Assenteismo-quanto-costa-alle-aziende-e-come-contrastarlo-t150044946396877

Assenteismo quanto costa alle aziende e come constrastrlo  https://www.abbrevia.it/it/News–Focus/Assenteismo-quanto-costa-alle-aziende-e-come-contrastarlo-t150044946396877

https://www.insidemarketing.it/assenteismo-europa-italia-tasso-basso/

“Assenteismo in Europa: in Italia il tasso più basso nelle aziende private”, Cadoni Marianna, settembre 2016, Inside Marketing (https://www.insidemarketing.it/assenteismo-europa-italia-tasso-basso/)

“Fenomeno dell’assenteismo aziendale. Come gestirlo” Alessandri Giulia & Monte Roberta, @bolletinoADAPT, 19 Maggio 2014

Le emozioni primarie

LE EMOZIONI PRIMARIE

Le emozioni primarie o fondamentali sono emozioni innate, riscontrabili in qualsiasi popolazione perché connesse a scopi quali la sopravvivenza fisica, le relazioni personali, la possibilità di portare a termine le azioni intraprese; risultano comuni all’uomo e agli animali superiori. Le emozioni secondarie o sociali, invece, sono quelle che originano dalla combinazione delle emozioni primarie; sono fortemente dipendenti da scopi e capacità cognitive  e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale.

Le emozioni più frequentemente classificate come fondamentali sono gioia, rabbia, paura, ansia e tristezza, alle quali secondo alcuni studiosi si aggiungono sorpresa, disprezzo, disgusto. Tra le emozioni secondarie più citate vi sono vergogna, senso di colpa, invidia, gelosia.

Nei bambini il nascere e lo svilupparsi delle emozioni segue due ipotesi: l’ipotesi della differenziazione, secondo la quale da un iniziale stato di eccitazione si differenziano nel corso dello sviluppo le specifiche emozioni, e l’ipotesi differenziale, in base alla quale già nel neonato sono presenti alcune emozioni primarie. Le emozioni primarie sono:

GIOIA

La gioia quando arriva ha un potere travolgente. A volte per educazione, modestia, senso di colpa o ansia, stiamo molto attenti a non goderci troppo questo stato d’animo, e quindi il nostro stato mentale è occupato prevalentemente da ciò che non va. Per mantenere salute e benessere, invece, è importante mantenere e prolungare questo stato vitale.

RABBIA

La rabbia è la reazione alla frustrazione. Può essere scatenata da un torto subito, da qualcosa o qualcuno che ostacola la nostra realizzazione personale, dalla paura, ecc. Ha la funzione di rimediare ad un’ingiustizia subita, e cerca di provocare un cambiamento nel comportamento degli altri. Ad essa si aggiunge la rabbia che proviamo quando attribuiamo ad altri la volontà di arrecarci un danno. Alle volte succede che ci arrabbiamo con noi stessi per il fatto di non riuscire ad esprimere la rabbia: restare passivi ferisce la nostra autostima.

PAURA

La paura è la risposta ad un pericolo; nella maggioranza dei casi è legata a sensazioni psicologiche soggettive. Essa si può attivare di fronte ad uno stimolo nuovo, perchè quando non siamo consapevoli delle nostre risorse tendiamo ad evitare la situazione; ma altre paure sono generate in seguito a situazioni già provate e nelle quali abbiamo vissuto una sensazione di blocco e di impotenza.

ANSIA

L’ansia si manifesta con la preoccupazione che qualcosa di negativo accadrà. A differenza della paura, l’ansia non conosce il suo fattore scatenante; non individua un oggetto preciso, è più una sensazione che qualcosa andrà male. A scatenarla può essere un evento improvviso ed impegnativo insieme alla sensazione di non avere le capacità per affrontarlo.

TRISTEZZA

La tristezza si manifesta a causa della perdita di qualcuno o qualcosa; essa ci porta ad assumere un atteggiamento di chiusura, sia a livello psicologico che fisico. Inoltre, la tristezza ci spinge a riflettere: qualcosa non è andato secondo i nostri piani, quindi dobbiamo elaborare la situazione e raccogliere le energie per ripartire.

 

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Teorie sulle emozioni

TEORIE SULLE EMOZIONI

Gli psicologi hanno assunto posizioni contrastanti relativamente alla natura, l’origine e la funzione delle emozioni. In particolare, nel 1884 il più eminente psicologo americano William James propone la Teoria dell’emotività periferica o viscerale”, secondo la quale l’evento emotigeno causa una serie di cambiamenti a livello viscerale e neurovegetativo, che vengono percepiti e interpretati dall’individuo come esperienza emotiva. Secondo James alla base di questo sentire emotivo c’è l’arousal, o attivazione fisiologica dell’organismo, senza il quale non sarebbe possibile neanche definire un’emozione. Egli ritiene che non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”.

La posizione di James è stata molto criticata, soprattutto da Walter Cannon, che riteneva che i visceri fossero troppo poco sensibili e le loro reazioni troppo indifferenziate per poter essere considerati effettivamente la fonte principale delle emozioni. Egli nel 1927 ipotizza la “Teoria centrale o neurologica” delle emozioni, attraverso la quale ipotizza che il circuito posto come base dell’attivazione e della regolazione delle emozioni umane comprende tutta la regione talamica dell’encefalo composta da talamo, ipotalamo e amigdala.

Prendono corpo in questo periodo anche altre ipotesi, come l“Ipotesi del feedback facciale”, che prevede un rapporto diretto tra le espressioni facciali e il sentire emotivo: modificando volontariamente le espressioni facciali vengono in qualche modo influenzate anche le emozioni corrispondenti. Inoltre, si sviluppa la “Teoria vascolare dell’efferenza emotiva”, che spiega come il ritmo e le modalità di respirazione, causando un cambiamento della temperatura dell’ipotalamo, influenzano di conseguenza gli stati emotivi: il raffreddamento ipotalamico è condizione base per stati emotivi positivi mentre, al contrario, un innalzamento della temperatura di questa regione porta a stati emotivi negativi.  Questa teoria è alla base di discipline quali la meditazione trascendentale, lo yoga, il training autogeno.

Le posizioni di James e Cannon, entrambe centrate sugli aspetti neurofisiologici dell’emotività, risultano incomplete in quanto escludono gli aspetti psicologici. Il primo a proporre un modello che all’attivazione fisiologica affianca una componente di natura psicologica che spiega l’attivazione fisiologica sulla base di un evento emotigeno è Stanley Schachter, con la sua “Teoria cognitivo-attivazionale o Teoria dei due fattori”.

Schachter, psicologo statunitense, ritiene che entrambe le componenti, imprescindibili per sperimentare un qualsiasi stato emotivo, devono essere accompagnate da un secondo atto cognitivo, successivo alla percezione e al riconoscimento dello stato emotivo, che permetta di stabilire una connessione tra i due fattori dando il giusto nome all’emozione che si sperimenta. Egli riesce a dimostrare che le persone spinte ad attribuire ad una determinata situazione un’attivazione indipendente da uno stato emotigeno produrranno risposte emotive coerenti con l’associazione formata.

Negli anni Ottanta sono nate le cosiddette “Teorie dell’appraisal”.Appraisal” è un termine inglese che significa “valutazione”: con esso si designa la valutazione cognitiva degli stimoli. Alcuni studiosi sostengono che emozioni diverse sono caratterizzate da diversi sistemi valutativi, composti da specifiche componenti  o dimensioni; l’appraisal, quindi, è all’origine della risposta emozionale. Essi ritengono inoltre che le emozioni non possono nascere senza una ragione, e che la loro origine è riscontrabile sempre in una qualche forma di valutazione cognitiva della situazione collegata all’evento emotigeno, con tutti i suoi legami con le aspettative, gli scopi, i desideri del soggetto coinvolto. In questo modo si mette in risalto, accanto alla valutazione cognitiva, l’importanza della soggettività nella percezione di un’esperienza emotiva. Le principali valutazioni riguardano il carattere piacevole o spiacevole dell’evento cui segue l’emozione, la sua novità, la sua durata, l’incertezza circa le sue conseguenze, la sua compatibilità con le norme sociali di riferimento e con l’immagine che l’individuo ha di sé.

Altri studiosi, rifacendosi agli studi di Darwin, hanno valutato le emozioni come reazioni alla sopravvivenza della specie umana, attraverso la “Teoria psicoevoluzionistica”. Le emozioni, in particolar modo quelle primarie, vengono concepite all’interno di questa teoria come qualcosa di unitario ed innato nell’uomo; esse insorgono quindi in maniera automatica, così come le corrispettive espressioni facciali che le caratterizzano.

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Le emozioni

LE EMOZIONI

“La vita sarebbe infinitamente più felice se nascessimo a 80 anni e gradualmente ci avvicinassimo ai 18”. Mark Twain

La parola “emozione” deriva dal latino “e-movere”, che significa trasportare fuori, ed in senso lato anche agitare, sconvolgere, perché un’emozione scuote da dentro ed i suoi effetti sono visibili esteriormente.

Le emozioni sono sensazioni più o meno forti, reazioni psicofisiche piacevoli o spiacevoli dell’individuo ad eventi esterni ed interni rilevanti, dalla sopravvivenza fisica all’adattamento sociale. Si tratta di risposte alla percezione di uno stimolo con il quale l’organismo interagisce: risposte fisiologiche come alterazioni della frequenza respiratoria e cardiaca, della conduttività elettrica della pelle, della pressione sanguigna, che sfociano in sensazioni corporee quali tachicardia, rossore, sensazioni di caldo o di freddo; risposte tonico-posturali, quali la tensione o il rilassamento corporeo; risposte espressive di tipo mimico-facciale, vocale e gestuale; risposte espressive di tipo linguistico, ovvero scelte lessicali e sintattiche; risposte comportamentali.

Un’emozione è il punto d’incontro tra corpo e mente. La strada più semplice per cogliere le emozioni è leggere le reazioni del corpo, che sono immediate; il pensiero razionale, invece, potrebbe alzare delle barriere come le giustificazioni o le interpretazioni.

Le emozioni sono degli stati soggettivi che possono avere una durata più o meno prolungata nel tempo, variare per intensità e per tipo. Esse, oltre a svolgere una funzione personale ed intima, che riguarda  l’interiorità del singolo individuo, sono anche un importante mezzo di comunicazione, perché  vengono condivise, tramite espressioni, gesti e parole con chi ci sta accanto. Sono forme espressive facilmente decifrabili da chiunque. Inoltre, hanno una funzione di adattamento all’ambiente: preparano cioè il nostro organismo ad affrontare un cambiamento.

Non sempre c’è una diretta corrispondenza tra l’emozione che viene sentita dal soggetto e quella che viene espressa. Spesso un’elaborazione dell’emozione avviene sulla base della valutazione che il soggetto fa di essa: il fatto di sentirsi più o meno in grado di far fronte all’evento emotigeno lo porterà in alcuni casi ad enfatizzare o inibire l’espressione stessa dell’emozione che prova, in altri ad avvertire l’emozione come compatibile o meno con le sue norme sociali di riferimento e quindi attenuare la loro manifestazione per trasmettere agli altri una migliore immagine di sé, come nel caso della tristezza o della gelosia.

Le emozioni sono tutte utili, perché trasmettono un messaggio; sviluppare l’intelligenza emotiva significa saper leggere le emozioni proprie e altrui, ed utilizzarle per raggiungere gli obiettivi prefissati.

 

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Modelli di gestione delle risorse umane

MODELLI DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE[1]

 

VARIABILI AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE GESTIONE DEL PERSONALE DIREZIONE E SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE
Task Curare gli aspetti amministrativi del rapporto di lavoro Definire le politiche del personale e offrire alla line i supporti tecnici per implementarle Costruire coerenza tra strategia, struttura organizzativa, bisogni e opportunità di sviluppo delle risorse umane
Segmentazione Per categorie contrattuali (dirigenti, impiegati, operai atipici, ecc) Per posizione funzionale e gerarchica

Stakeholder interni

Per famiglie professionali

Individuale

Stakeholder interni ed esterni

Organizzazione e strumenti La Dru è un’appendice della funzione amministrativa

Outsourcing

Relazioni minime con il vertice e con la line

Assenza di strumentazioni tecniche e di politiche formalizzate

Posizione di staff o di staff-line

Rapporti di interdipendenza con il vertice e con la line

Sviluppo di tecniche e politiche specifiche

Competenze elevate su problemi specialistici del personale

Posizione staff-line con elevata pervasività

Rapporti interattivi con il vertice e la line

Ruolo centrale della line

Competenze elevate sulle tecniche del personale e sul business

Performance Legittimità normativa e correttezza amministrativa

Costo del servizio

Efficienza ed efficacia nell’impiego delle risorse umane

 

Contributo al vantaggio competitivo attraverso lo sviluppo di caratteristiche distintive delle risorse umane e dell’azienda
Diffusione Piccole imprese

Grandi imprese burocratizzate

Amministrazioni pubbliche

Medie e grandi imprese che operano in business stabilizzati e mediamente perturbati Imprese basate sull’innovazione che operano in ambienti concorrenziali e tecnologici molto dinamici
Strategia, cultura e valori Ancillare Strumentale Costitutivo
Ruoli secondo il modello di Ulrich Esperto funzionale (administrative expert) Esperto funzionale (amministrativo e gestionale)

Employee champion

Esperto funzionale ed employee champion con enfasi su agente di cambiamento, business partner

 

 

[1] COSTA G., GIANECCHINI M., Risorse Umane. Persone, relazioni e valore, 2° edizione, Mc-Graw Hill, Milano, 2009

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

clima organizzativo approccio culturale

Approccio culturale

Tale approccio non si discosta molto da quello interazionista, poiché enfatizza l’importanza delle relazioni interpersonali tra i membri nel determinare la percezione di clima organizzativo. La differenza sostanziale si trova nell’importanza attribuita al concetto di cultura organizzativa, in quanto all’interno di tale approccio l’attenzione viene riposta più sui gruppi che sui singoli individui, ed in particolare su come i gruppi costruiscono e interpretano la realtà. Tali processi sono mediati dalla cultura organizzativa presente, dai valori sottostanti una data organizzazione.

L’approccio culturale sottolinea il ruolo critico che riveste la cultura organizzativa nel modellare i processi che producono il clima, nonché il tipo di relazione che lega il clima stesso con la cultura. Mentre quest’ultima cresce lentamente nel tempo, il clima, pur essendo composto dagli stessi elementi della cultura, prende forma più rapidamente e più rapidamente si rinnova. Il clima agisce infatti sul livello degli atteggiamenti e dei valori, mentre la cultura agisce anche su livelli più profondi come ideologie e filosofie di un’organizzazione.

Il clima aziendale è anche il risultato delle variazioni di breve periodo dell’ambiente interno ed esterno dell’organizzazione. Basti pensare ad una situazione in cui si verificano cambiamenti nel personale o tagli di budget: tali eventi possono sicuramente colpire velocemente il clima di un’azienda, ma è molto improbabile che abbiano lo stesso impatto sulla cultura.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

clima organizzativo approccio interazionista

Approccio interazionista

Questo tipo di approccio sottolinea l’importanza delle relazioni interpersonali nella formazione del clima organizzativo e utilizza come presupposti per descrivere il clima le interazioni tra gli individui ed il modo in cui l’impresa viene vista da coloro che la vivono. Secondo tale approccio, è solo all’interno dello scambio continuo con l’organizzazione, con i propri colleghi e superiori che gli individui sviluppano un clima organizzativo.

In tale senso gli studiosi Schneider e Bartlett nel 1970 descrivono il clima organizzativo come “una caratteristica dell’organizzazione che si riflette nelle descrizioni che i membri fanno delle pratiche organizzative e lavorative nelle quali si ritrovano ad operare; tali percezioni derivano dall’interazione tra diverse caratteristiche individuali”.

Gavin nel 1975 definisce il clima organizzativo come la combinazione delle caratteristiche di personalità dei membri che ne fanno parte e degli elementi strutturali dell’organizzazione. All’interno di tale approccio i membri di un’organizzazione, e più in generale le persone, sono visti come degli elaboratori attivi di informazioni: traggono dall’esterno delle informazioni, le rielaborano, anche grazie alle relazioni interpersonali, giungendo poi ad una propria visione del mondo circostante e ad una propria percezione del clima organizzativo.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Clima organizzativo Approccio percettivo

Approccio percettivo

In maniera quasi del tutto opposta all’approccio strutturale, l’approccio percettivo si focalizza sulle prerogative dell’individuo affermando che i singoli individui rispondono ed interpretano le variabili situazionali in base ad aspetti psicologicamente significativi per loro, e non più basandosi esclusivamente sulle caratteristiche oggettive della situazione o della struttura. Il clima, in questo caso, viene definito quasi del tutto da componenti interne alle persone che fanno parte di un’organizzazione.

Infatti, il clima organizzativo viene descritto da Karasick nel 1973 come “una qualità relativamente duratura di un’organizzazione che dipende dai comportamenti dei suoi membri (soprattutto dei vertici): esso è percepito dagli altri membri e ha una funzione di guida per interpretare e classificare situazioni e comportamenti che hanno luogo nell’organizzazione”.

L’approccio percettivo prevede che il clima derivi da processi di elaborazione ed interpretazione psicologica compiuti su qualche elemento dell’ambiente ritenuto interessante. Le percezioni costituiscono quindi una mappa cognitiva di funzionamento dell’organizzazione che suggerisce agli individui i comportamenti più appropriati da adottare a seconda dei casi.

Importante conseguenza di questo approccio è che tali percezioni, e di conseguenza il clima organizzativo, risultano essere mediate da aspetti di personalità dei soggetti oltre a variabili più propriamente relazionali, come ad esempio lo stile di leadership.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo

Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo

 

Cosa si intende per soddisfazione lavorativa e quanto essa incide sulle performance del lavoratore? Studiando la relazione tra i fattori che intervengono nella costruzione della relazione tra questi due aspetti, si può arrivare a migliorare il benessere organizzativo.

Negli ultimi anni si è rafforzata l’importanza del ruolo del lavoratore come parte integrante del sistema aziendale in quanto essenza di esso ed è cresciuto l’interesse verso i diversi aspetti che incidono sulla sua salute, sia fisica sia psichica, focalizzandosi maggiormente sulla prevenzione piuttosto che sulla sola cura, dando nuovo significato al malessere psicofisico dell’individuo e al riflesso negativo che ciò ha sull’organizzazione stessa (1).

Mettendo in relazione la soddisfazione e il benessere del lavoratore con la percezione degli aspetti organizzativi della struttura nella quale è inserito, è stato riscontrato che, a tutti gli effetti, il clima emotivo dell’organizzazione ha una forte influenza sulla partecipazione del lavoratore alla mission aziendale, in particolare in base alla percezione e al grado di identificazione con l’azienda.

Occorre perciò assumere una visione di causalità circolare, secondo la quale l’individuo, il gruppo e l’organizzazione sono fortemente interdipendenti tra loro e la compromissione della salute di uno ha conseguenze negative anche sugli altri: tutto ruota intorno al concetto di scambio per cui il lavoratore scambia la soddisfazione e immediata delle pulsioni con una più complessa, differita nel tempo e costruita dall’intervallarsi di fattori positivi e negativi (2).

Autori come Feldman (3) e Weick (5) introdussero il concetto di sensemaking per indicare i modi in cui le persone interpretano ciò che producono e danno senso alla realtà in cui si trovano; questo senso auto-costruito del lavoratore è un ottimo predittore della performance lavorativa e della soddisfazione individuale ed è proprio quest’ultima ad avere un peso preponderante nel sistema azienda.

La soddisfazione lavorativa racchiude la congruenza tra interessi personali e mansione, le sensazioni sperimentate nel poter utilizzare al meglio le proprie competenze, la visione personale dell’azienda, la possibilità di costruire una propria identità personale e professionale, che incidono sul suo modo di relazionarsi con la struttura e di affrontare il compito lavorativo.

La prevalenza di emozioni negative e la demotivazione sono fattori di rischio che possono portare a situazioni limite come il burnout (4), in cui vi è un eccessivo coinvolgimento in risposta ad uno stress emotivo cronico e persistente, con conseguente esaurimento fisico ed emotivo e calo della produttività. In situazioni caratterizzate da insoddisfazione dei lavoratori, occorre fornire buone motivazioni, incrementare la capacità di gestire efficacemente le emozioni negative e cercare di assumere una visione che renda prevalenti quelle positive, fornire fonti di soddisfazioni e di crescita nel sapere e nel saper fare.

È perciò di fondamentale importanza dare al lavoratore la possibilità di utilizzare le proprie risorse, competenze e abilità (comprese in particolare quelle di organizzazione e coordinamento, se presenti), di esprimere sé stesso, favorire le relazioni inter e intra gruppi, al fine di alimentare l’essenza stessa dell’individuo nel contesto lavorativo di appartenenza e quindi la sua auto realizzazione. La persona soddisfatta emana e trasmette entusiasmo, ha voglia di fare e si impegna in ciò in cui crede: il successo non sta solo in quanto si ottiene, ma in ciò che si riesce a costruire in sé.

 

© Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo – Dott.ssa Alice Franceschini

 

 

Bibliografia

  1. Avallone, F. (2005) Salute organizzativa. Psicologia del benessere nei contesti lavorativi. Cortina, Milano.
  2. Di Nuovo, S., & Zanchi, S. (2008). Benessere lavorativo: Una ricerca sulla soddisfazione e le emozioni positive nella mansione. Giornale di psicologia2(1-2), 7-17
  3. Feldman, M. S. (1989). Order without design: Information production and policy making(Vol. 231). Stanford University Press.
  4. Maslach, C., & Jackson, S. E. (1981). The measurement of experienced burnout. Journal of organizational behavior, 2(2), 99-114
  5. Weick, K. E. (1997). Senso e significato nell’organizzazione. Cortina, Milano.