Il processo di motivazione

Il processo di motivazione

Fino ad ora si è visto che nello studio “classico” alla motivazione, per rendere conto della condotta lavorativa, si è data enfasi soprattutto a fattori motivazionali di tipo interno quali i bisogni. Si tratta di approcci che hanno messo in risalto la natura dei processi cognitivi, e i fattori personali e ambientali capaci di influenzare, in modo indifferenziato, le scelte e le condotte lavorative concrete. Le teorie motivazionali centrate riduzionisticamente sui bisogni, tuttavia, corrono il rischio di essere parziali, poiché spiegano la grande complessità degli aspetti motivazionali semplicemente elencando i bisogni, gli scopi e gli incentivi che sono alla base del comportamento lavorativo di qualsiasi soggetto. Non si prende cioè in considerazione la differenza tra le persone.

Inevitabilmente, partendo da questi presupposti, si poteva con facilità giungere alla conclusione dell’esistenza di un’unica soluzione ottimale per motivare qualsiasi soggetto, indistintamente. In realtà l’esperienza quotidiana dimostra che la personalità degli individui è molto più differenziata e complessa di quanto presuppongono le teorie del contenuto.

In secondo luogo non si riflette sul fatto che ogni persona è si portatrice di un vasto potenziale di bisogni, inclinazioni e capacità, ma la loro espressione è largamente influenzata dalle situazioni. Queste possono essere sia occasioni di opportunità che di vincoli e incidono sul funzionamento e sullo sviluppo delle personalità individuali, in relazione a come vengono percepite e affrontate.

I più recenti contributi di spiegazione della motivazione al lavoro danno così importanza anche agli aspetti “processuali”, rintracciabili, fra l’altro, nella relazione persona-contesto lavorativo e a fenomeni e meccanismi organizzativi concepiti come intermediari di tale rapporto.

Un approccio alternativo e complementare consiste quindi nell’esaminare sia i processi psicologici coinvolti nella motivazione, sia quelli di interazione con il sistema aziendale.

In altre parole le teorie del processo si propongono di spiegare la scelta, l’intensità, la persistenza di una determinata strategia comportamentale lavorativa. Ciò avrà come conseguenza non la possibilità di trovare una soluzione valida per motivare qualsiasi tipo di persona, ma di fornire un quadro concettuale per comprendere come un qualsiasi individuo mette in luce le proprie esigenze motivazionali, le quali saranno sicuramente diverse da quelle di ogni altro. In definitiva viene più realisticamente riconosciuto dalle teorie del processo che le persone hanno differenti tipi di bisogni, desideri ed obiettivi, soprattutto alla luce del diverso condizionamento fornito dalle pressioni aziendali; in altre parole ciò che rappresenta un forte incentivo per un individuo, può essere un fattore demotivante, se non negativo per l’altro. Corollari a questo approccio saranno quindi la maggiore complessità di analisi e una limitata capacità interpretativa del comportamento organizzativo, ma senza la pretesa di poter generare delle soluzioni universali applicabili a chiunque. Esso consentirà casomai soluzioni ad hoc, accomunate però solo dalla necessaria considerazione della diversità di ogni individuo e dell’influenza dell’ambiente di riferimento.

Riprendendo più nello specifico le caratteristiche del processo motivazionale, sintetizzando si può dire che esso è composto principalmente da quattro elementi:

    • Una struttura di funzionamento
    • L’insieme dei comportamenti personali
    • Gli incentivi verso cui si orientano i comportamenti
    • I fattori che influenzano il funzionamento del processo.

Nei successivi paragrafi si focalizzerà l’attenzione sui suddetti elementi.

Uno schema concettuale, ormai diffusamente accettato in letteratura, che coglie in pieno le interrelazioni fra il lavoratore e l’azienda, descrivendo la struttura del processo motivazionale nella sua completezza, è quello del contratto psicologico. Con tale termine si intende l’accordo più o meno informale che regola ciò che le persone danno e ricevono in un’organizzazione, ossia le reciproche e mutue aspettative fra lavoratore e azienda. Come detto, queste aspettative non vengono formalizzate in un vero e proprio accordo, ma il loro avverarsi risulta parimenti tacito e consensuale, in quanto è sottointeso nella naturale prassi di prestazione-controprestazione del rapporto lavorativo.

Il contratto psicologico ha solitamente una dimensione “pubblica”, nel senso che è composto dai comportamenti che è normale attendersi per il fatto di essere titolari di uno specifico ruolo. Per un commerciale, ad esempio, realizzare X proposte contrattuali mensilmente, o garantire X giri visite giornalmente ai clienti. Essendo però un concetto virtuale il contratto psicologico è spesso caratterizzato da confini “reali”, ossia da contenuti che esulano dalle abilità richieste dal ruolo, ma sono in ogni caso importanti nella pratica affinché lo sforzo del lavoratore raggiunga in modo globale gli obiettivi aziendali, anche quelli non strettamente correlabili all’azione del lavoratore. Per un impiegato potrebbero ad esempio riguardare il lavorare nei festivi, o il portarsi del lavoro a casa, per far fronte a tempistiche aziendali ridotte. È proprio quest’area del contratto psicologico che genera problemi nella motivazione del collaboratore, avendo quasi sempre confini vaghi, imprecisi o dal contenuto arbitrario. Il contratto psicologico, infatti, va simbolicamente pensato come un elastico che se eccessivamente tirato, si spezza, dal momento che l’area reale è talmente espansa da essere troppo grande rispetto all’area pubblica, demotivando il dipendente.

È così di fondamentale importanza per il lavoratore mantenere un rapporto coerente tra il proprio progetto professionale ed il contratto psicologico sottoscritto con l’azienda, sviluppando un monitoraggio delle possibili “devianze“ o dell’inadeguatezza dei confini in seguito a certi cambiamenti, in modo da rilevarle tempestivamente ed intervenire al più presto. Allo stesso modo l’azienda deve negoziare il contratto psicologico fin dall’inizio del rapporto lavorativo, consentendo al lavoratore di valutare se si ritiene idoneo al ruolo o se si possa sentire a suo agio in quel contesto organizzativo. Sia l’azienda che il collaboratore devono attentamente esaminare il contenuto del contratto in termini di conoscenze, esperienze, livelli di coinvolgimento, obiettivi, emotività e principi morali. Devono inoltre assicurarsi che ci sia complementarietà fra le procedure organizzative e il contratto psicologico, ossia che i mezzi di cui dispone il lavoratore non siano in contrasto con i suoi obiettivi, altrimenti i confini possono essere deboli, oltre che fonte di attriti e demotivazione.

Pertanto, nel caso di tensioni, anche se non manifestamente palesate, è auspicabile che le parti facciano subito un’analisi delle proprie percezioni del contratto psicologico, lo scompongano nelle sue parti e ne confrontino i risultati giungendo ad identificare o meno la presenza di possibili azioni correttive concretamente attuabili. Inoltre va riconosciuta l’impossibilità che tutti i membri condividano perfettamente i valori e le aspettative del contratto psicologico.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo