Gli effetti dell’e-HR

Gli effetti dell’e-HR

Diverse ricerche empiriche, mostrano come l’introduzione delle nuove tecnologie applicate alla gestione delle Risorse Umane sia ancora in una fase di diffusione, mentre l’adozione e l’effettivo utilizzo nei contesti organizzativi è ancora molto frenato dalla non completa comprensione delle conseguenze che i sistemi di e-HR comportano. Emergono dati interessanti, ad esempio, nel progetto di ricerca CEDAR , teso a ricostruire l’evoluzione nell’utilizzo di queste infrastrutture all’interno delle aziende nel periodo che va dal 1997, in cui solo alcuni “pionieri” cominciavano a servirsene, fino all’anno 2002. l’indagine, realizzata su grandi aziende appartenenti ai principali settori industriali ed estesa a Nord America, Europa. Australia  e l’area asiatica del Pacifico, evidenzia come le tecnologie basate sull’e-HR determinano un guadagno medio di efficienza in termini di costo e tempi delle transazioni (evitando ad esempio il sovraffollamento di documenti cartacei) intorno al 55% ed un miglioramento della customer satisfaction dei clienti interni superiore al 50%. Viene inoltre stimato che il periodo di ritorno dell’investimento è mediamente di circa 3 anni. La ricerca conferma una crescente focalizzazione sulle applicazioni strategiche, ossia quelle dedicate ad attrarre, sviluppare e trattenere i talenti, pur sempre al fianco di un ancora diffuso e piuttosto rilevante utilizzo dell’e-HR per la semplice riduzione dei costi. Infine, la ricerca evidenzia anche la necessità di una forte sponsorship da parte del vertice mediante la realizzazione di “progetti pilota” di adozione di determinate soluzioni ICT.

In conseguenza della progressiva dematerializzazione dell’esperienza organizzativa, derivante dall’introduzione dei sistemi di e-HR, risultano poi più evidenti gli impatti sullo spazio, il tempo e la dinamicità del  lavoro, comportando modifiche delle prassi e della cultura organizzativa . L’attenzione del management viene spostata sempre più sul risultato e sempre meno sulle modalità con cui viene ottenuto. Sono quindi meno rilevanti nell’ambito del rapporto di lavoro lo spazio in cui si svolge il lavoro inteso come luogo e come dimensione e sistemazione logistica e il tempo in cui viene svolto il lavoro (full time o part time, in orari prestabiliti o non predefiniti, ecc.). L’ICT tende a richiedere sempre più al lavoratore un risultato mutevole con una connotazione tipica del lavoro per progetto. D’altra parte, agisce sul piano motivazionale allargando e arricchendo le mansioni, rendendo il lavoro sempre più dinamico e variato, con la necessità per il lavoratore di uno sforzo di adattamento che impone un continuo bisogno di aggiornamento e di formazione. Ciò impone che il lavoratore sviluppi capacità ad imparare ed a apprendere, attitudini alla relazione e al lavoro di gruppo, capacità di adattamento e di negoziazione. Contestualmente, l’assetto organizzativo deve mutare ed evolversi verso assetti tendenzialmente più sofisticati ad elevata intensità di coordinamento ed integrazione, con adeguamenti e modifiche finalizzati al mantenimento di condizioni che assicurino notevole flessibilità. I sistemi di e-HR comportano però la gestione di livelli crescenti di complessità, evitando un sovraccarico informativo derivante dallo scarso miglioramento delle capacità dell’organizzazione di filtrare, trattenere ed indirizzare le informazioni in modo corretto e tempestivo, capacità che da sole le nuove tecnologie non possono garantire. L’adozione delle ICT richiede infatti agli utenti di acquisire, spesso in poco tempo, le competenze necessarie per impiegare utilmente i nuovi strumenti, ma l’apprendimento ha ritmi e modi differenti da quelli concitati dell’innovazione, e le conseguenze sono ritardi ed inefficienze nell’impiego delle nuove applicazioni. Le ICT aumentano la flessibilità organizzativa despazializzando le attività, eliminando i vincoli temporali, velocizzando i processi di elaborazione delle informazioni e agevolando l’apprendimento, ma, paradossalmente, possono anche rappresentare un fattore di rigidità, laddove accentuino la dipendenza dell’organizzazione dalla tecnologia, oppure comportino un incremento nei costi e negli sforzi di adeguamento dei sistemi e delle strutture.

Come si è detto, l’approccio dominante  all’introduzione dell’e-HR, reputa tale fenomeno un ulteriore passo verso la reingegnerizzazione per processi della struttura organizzativa, con una conseguente tendenza più alla condivisione di informazioni che alla ripartizione delle “aree di influenza”, alla valorizzazione delle relazioni orizzontali e laterali più che a quelle gerarchiche, alle esigenze di coordinamento ed integrazione più che a quelle di specializzazione, di tayloristica memoria. Va tuttavia ricordato come assieme a questa visione, sostanzialmente ottimista, si affiancano altri intendimenti che mettono in secondo piano la capacita dei sistemi di e-HR di informatizzare i processi, i quali si risolvono più che altro in un’automatizzazione dei compiti e delle attività gestionali, allocando l’intelligenza decisionale all’interno della macchina e sottraendola alla discrezionalità dei lavoratori e dei loro manager. In altre parole l’e-HR non può spingersi là dove il ruolo del management (inteso nei suoi profili di capacità di gestire relazioni positive e di esercitare leadership) resta  insostituibile. Se, da una parte, infatti, le ICT favoriscono la riduzione dei compiti routinari, l’allargamento e l’arricchimento delle mansioni, grazie alla possibilità di aumentare il grado di varietà, di autonomia e di contribuzione del task (attraverso la condivisione delle informazioni, la decisione congiunta e il lavoro di gruppo mediante applicazioni come le intranet, il groupware, l’e-mail, il videoconferencing, ecc.), dall’altra favoriscono contestualmente la possibilità di parcellizzare il lavoro, di limitare le opportunità di espressione della soggettività, di monitorare e coordinare il lavoro in modo costante e continuo, esercitando un controllo funzionale sulla socialità e sulle modalità di interazione. Questo fenomeno, pertanto, aumentando gli aspetti meccanicistici del compito, riduce la motivazione e le attitudini dei lavoratori, con conseguenti influssi sull’impegno e il coinvolgimento. L’effetto è tale che invece che di uscita dal taylorismo si dovrebbe parlare di una sua ulteriore accentuazione ed estensione, portando così alcuni studiosi come la Zuboff   a coniare il termine di “new taylorism”. L’autrice, osservando continuativamente 8 aziende in un arco di tempo quinquiennale, analizza l’impatto delle ICT sul lavoro degli operai evidenziando come a quest’ultimi sia richiesto un sforzo enorme, consistente nel sostituire a competenze centrate sull’azione nuove competenze di tipo intellettivo: alle risposte fisiche immediate, tipiche dell’azione situata pratica, è necessario sostituire un processo di riflessioni astratte in cui devono essere esaminate e valutate diverse opzioni e deve essere operata una scelta. Questa ricerca vuole evidenziare l’importanza che riveste la componente simbolica e astratta del lavoro quando è mediato dalle ICT. Dimostra altresì come, perché si realizzi una effettiva integrazione delle nuove tecnologie, debbano cambiare le competenze e le capacità richieste, non più basate sull’esperienza sensoriale ma sull’astrazione, sull’intuizione e sulla riflessione. In altre parole un approccio acritico e propagandistico riguardo l’introduzione dell’ICT in azienda, rischia di diventare ingenuo e utopista se si focalizza sulle sole potenzialità rivoluzionarie, senza però considerare le condizioni e i vincoli posti dal contesto aziendale.

In definitiva l’impatto che la tecnologia esercita sull’assetto organizzativo d’impresa non si può considerare in modo deterministico e univoco, dato che la tecnologia contiene un gran numero di valenze e specificità, consentendo, a seconda dell’approccio, la preclusione o la creazione di nuovi percorsi esperienziali e di nuove forme organizzative. I sistemi di e-HR e più in generale le tecnologie di ICT, infatti possono tradursi semplicemente in una forte tendenza del management ad ampliare il controllo, per rendere visibile chiunque svolga la propria attività in quella determinata organizzazione, oppure possono essere utilizzate per aumentare la motivazione, la collaborazione e la partecipazione dei dipendenti. Gli scenari possibili sono quindi rappresentabili in un continuum compreso tra due situazioni limite: la prima in cui l’intelligenza è allocata dentro la macchina a scapito delle competenze e delle capacità critiche degli operatori e in cui i manager mantengono la loro autorità fondata sul potere gerarchico; la seconda in cui si riconosce l’importanza di sviluppare nuove competenze negli operatori per sfruttare appieno le potenzialità offerte dalle ICT e in cui i tradizionali rapporti gerarchici si modificano verso forme di collaborazione basate su responsabilità reciproche e diffuse. Il passaggio a un’organizzazione centrata sulla prestazione e sulla competenza più che sulla posizione e sull’autorità, da un’organizzazione dove l’informazione sia una risorsa condivisa da tutti e non una leva strumentale all’esercizio del potere, dipendono tutti dal grado di maturità culturale dell’impresa nel recepire una tale portata innovatrice. Così, non ha tanto valore chiedersi soltanto a quali effetti conduca l’introduzione delle ICT in azienda, ma anche in quali circostanze e a quali condizioni sia possibile ricavarne gli effetti positivi, in termini di motivazione lavorativa e soprattutto di motivazione ad utilizzare strumenti di partecipazione e coinvolgimento basati sulle nuove tecnologie. La tecnologia può quindi essere considerata contemporaneamente come variabile dipendente e indipendente, ossia come vincolo e come risultato, in quanto la relazione tra tecnologia e organizzazione non può essere vista in modo statico, essendo invece un processo dinamico, in cui la tecnologia viene plasmata dalla caratteristiche organizzative e a sua volta diventa premessa e vincolo per le successive decisioni strategiche.

Da un lato infatti la funzione Risorse Umane non può prescindere dal considerare le opportunità offerte dalle ICT, soprattutto nelle forme organizzative più complesse dal punto di vista informativo, dove cioè si richiede una maggiore gestibilità delle interdipendenze reciproche. L’e-HR, in questi casi, propagando le informazioni senza limiti di spazio o di tempo, abbassa i costi di transazione informativa, e riduce i rischi connessi alle difficoltà di misurazione delle prestazioni lavorative, rendendo sicuramente meno ambigue le condizioni e il contesto entro cui le parti si muovono. L’effetto cioè, è una profonda  pervasività nel contesto organizzativo, che determina un cambiamento radicale nei principi di divisione del lavoro, portando al superamento della distinzione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e allo scivolamento da dispendiose forme di controllo gerarchico sull’adeguatezza delle risorse, verso forme di quasi-mercato, in cui lo scambio di competenze avviene apertamente, a costo zero e su basi oggettive . Dall’altro lato, lo sviluppo e la diffusione delle ICT in un contesto aziendale secondo criteri di efficacia e di efficienza, non può prescindere da un’adeguata considerazione delle variabili organizzative, sia dal un punto di vista della coerenza sistemica, che da quello della gestione del processo di cambiamento organizzativo. Tra le variabili organizzative che influenzano il grado di utilizzo effettivo dei sistemi di e-HR vanno sicuramente considerate la coerenza tra la tecnologia da usare e il compito, l’utilità percepita, la facilità d’uso percepita e il grado di pressione normativa all’utilizzo della nuova tecnologia, derivante dalle norme sociali e dalla cultura organizzativa, che possono giocare da rilevanti condizioni facilitanti.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

L’ e-HR come soluzione ai fabbisogni informativi

L’ e-HR come soluzione ai fabbisogni informativi

Come si è detto l’adozione di un sistema di e-HR ha l’obiettivo di contribuire allo sviluppo del sistema organizzativo cercando di integrare l’area delle Risorse Umane con le altre componenti funzionali dell’azienda. Per e-Hr in altre parole si intende un modo di pensare l’organizzazione e la strategia aziendale che punta sull’utilizzazione delle nuove tecnologie per migliorare sia le finalità della funzione Risorse Umane, sia l’offerta dei servizi alla Risorse Umana.

Le motivazioni che portano ad una scelta di questo tipo, si riallacciano sostanzialmente alla necessità di dover far emergere dei dati richiesti da sempre più complessi processi decisionali in un contesto di internazionalizzazione, all’esigenza di maggior efficienza e velocità di comunicazione. In uno scenario di questo tipo, il successo delle organizzazioni è sempre più spesso legato alla capacità di far leva sul proprio patrimonio di conoscenze, ossia concentrandosi prevalentemente su attività “knowledge intensive”e fondando il proprio vantaggio competitivo sulle competenze delle proprie persone .

I dati, infatti, ancora prima di divenire informazioni, fanno parte del capitale intangibile di un’azienda, ovvero quella parte di capitale che non è visibile materialmente ma è ricca di valore intrinseco per le strategie di business che un’azienda decide di adottare. Compito di un sistema di ICT deve allora essere quello di rendere visibile tale capitale intangibile, fornendo ad esempio report e statistiche che i manager di linea possono usare nel prendere le decisioni che influiscono sulle persone e per motivarle al meglio.

Ciò consente alla funzione Risorse Umane di assumere un ruolo più strategico e di dimostrare l’impatto economico di ogni iniziativa, permettendo ai manager di linea di prendere decisioni più accurate e in tempi minori sulle persone, dal momento che si dispone di un set più approfondito di informazioni.

L’area delle Human Resources può in definitiva oltrepassare il confine della funzione amministrativa e diventare quella che guida il business verso il cambiamento, antincipandone le esigenze e assicurando all’organizzazione le risorse necessarie (sia in termini qualitativi che quantitativi) a realizzare le strategie aziendali.

Un migliore utilizzo della conoscenza presente in azienda deve necessariamente passare da un’attività di valorizzazione delle competenze delle persone, gestendone i percorsi di sviluppo e crescita professionale. I fabbisogni informativi che un sistema di e-HR deve coprire per soddisfare tali fini, possono spaziare fra diversi processi: selezione, formazione, sviluppo, gestione della performance, clima, competenze, retribuzioni, etc.  I sistemi di ICT, infatti, accrescono in primo luogo le possibilità di comunicazione interna, arricchendo le forme di “interattività on-line” con i dipendenti, perchè diffondono più rapidamente le informazioni via web mediante newsletter online.

Consentono, ad esempio, di realizzare bacheche informative su procedure, budget, ordini di acquisto, politiche aziendali, illustrazione di benefit, status della carriera, storia dell’azienda e elenco dei membri, o rispondere a quesiti riguardanti autorizzazioni, permessi, ferie, appuntamenti, note spese, piani di pensionamento. La possibilità di comunicare istantaneamente e globalmente permette di superare barriere spaziali e gerarchiche, offrendo alle singole risorse la possibilità (e in parte anche l’obbligo) di aggiornare continuamente le proprie conoscenze professionali.

Il management, attraverso un’azione concertata con la Funzione HR, può così favorire nuove formule di apprendimento e consulenza “a distanza” (e-learning, e-coaching), che consentono al dipendente di apprendere secondo le modalità di tempo e di spazio preferite, con il supporto di materiali aggiornati e di tutor. Come si vedrà nella trattazione del caso pratico, i sistemi di e-HR sono anche dei fondamentali strumenti elettronici per la valutazione della performance e della coerenza delle posizioni con le aspettative del management, consentendo tra l’altro di registrare delle auto-analisi dei “gap” di competenze (ad esempio tramite test). I percorsi di carriera, così, possono diventare più visibili e direzionabili da parte dei singoli dipendenti, resi autonomi nella gestione delle informazioni che li riguardano e più direttamente disegnabili dal management di linea, attraverso l’introduzione di intranet aziendali che li specificano e palesano tramite password individuali on line.

Un esempio emblematico è l’introduzione da parte delle maggiori multinazionali del “job posting on line”, con cui, tramite l’intranet aziendale, si consente di consultare personalmente le offerte di percorsi di carriera alternativi o in linea con il proprio potenziale di sviluppo, candidandosi direttamente alla persona di riferimento e superando meccanicistiche barriere gerachiche (ovviamente rimane l’obbligo del preavviso all’area di appartenenza). Questo significa conoscere e gestire i propri dipendenti come se fossero clienti, differenziando trattamenti e interventi su misura sulla base delle competenze al momento acquisite, dell’importanza del ruolo ricoperto, delle preferenze individuali e dei bisognifuturi dell’organizzazione.

Con i nuovi strumenti informatici i manager possono pertanto definire con i propri collaboratori gli obiettivi di apprendimento e verificare i progressi realizzati. Tale circostanza, come è ovvio, ha degli importantissimi riflessi sulle attività di reclutamento, di programmazione formativa del personale e sulla progettazione organizzativa, che assumono una connotazione sempre più personale e favoriscono un maggior senso di responsabilizzazione nel dipendente, generato così da un’autentica motivazione. Un sistema di e-HR, inoltre, facilita la creazione di una vera e propria banca dati, in cui possono essere archiviati dati grezzi o elaborati, come quelli per la gestione degli adempimenti (ad esempio quelli relativi all’assunzione), dati e proiezioni sul costo del personale (ad esempio dati su assenteismo, sul turnover), dati e informazioni sui piani retributivi, etc.

Si realizza così un patrimonio di conoscenze che fornisce indicazioni utili alla gestione per un monitoraggio continuo, liberando il management delle Risorse Umane da carichi operativi o ripetitivi (la parte puramente amministrativa) e consentendogli di dedicarsi ad attività maggiormente strategiche. I sistemi di e-HR rendono inoltre più facili e immediate le azioni correttive e di miglioramento, poiché consentono indagini di scenario, come le simulazioni di impatto sul costo del lavoro nell’ipotesi di cambiamenti organizzativi, la definizione ottimale della politica retributiva in base al tempo di ritorno dei differenti programmi di incentivi, e così via. Tuttavia affinché le opportunità offerte dalla tecnologia possano tradursi in vantaggi concreti, le politiche di innovazione e di investimento che un sistema di e-HR implica, non devono essere dettate solamente dalla ricerca di un ottimizzazione dei tempi e delle energie spese in attività caratterizzanti la gestione delle Risorse Umane, ma comportano anche una revisione complessiva  della sua organizzazione, dei suoi processi e delle sue finalità.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

L’importanza dell’innovazione tecnologica e le sua applicabilità nell’ambito delle risorse umane

LA MOTIVAZIONE DELLE RISORSE UMANE E L’ICT: UNA INDAGINE EMPIRICA

L’importanza dell’innovazione tecnologica e le sua applicabilità nell’ambito delle risorse umane

I vari strumenti gestionali di cui si è parlato sono molto importanti e complementari fra di loro, in quanto colgono ognuno un aspetto specifico del processo motivazionale, rendendo così auspicabile un impiego simultaneo e integrato di essi. Avendo peraltro effetti diversi da un punto di vista temporale, se non addirittura contrastanti, vanno razionalizzati fra di loro e inseriti all’interno di un unico programma motivazionale globale. Tuttavia queste leve di gestione, pur nella loro diversità, condividono se non altro l’elemento cardine su cui si fondano per produrre i loro effetti: la conoscenza e lo scambio continuo di informazioni. Si assiste, quindi, all’affermarsi di quella che viene da molti chiamata come “economia della conoscenza”. Oggi i lavoratori della maggior parte delle organizzazioni sono sempre più dei “knowledge workers” (lavoratori della conoscenza), individui che assimilano, gestiscono e traducono immense quantità d’informazioni di importanza cruciale per il vantaggio competitivo e il successo finale dell’azienda in cui operano. Con il passaggio da un’economia industriale ad un’economia dei servizi, quindi, il maggior investimento di risorse riguarda la proprietà intellettuale anziché i capitali materiali. L’elemento propulsore determinante per il passaggio ad un economia della conoscenza è rappresentato dall’innovazione tecnologica, la quale ha aperto, soprattutto nel campo della comunicazione e dell’elaborazione delle informazioni, molteplici strade disviluppo e di miglioramento. L’aggregazione di tali conoscenze e innovazioni all’interno di un sistema coerente e strutturato, va sotto il nome di Information and Communication technology o ICT. Data la rapidità con cui si accrescono le conoscenze scientifiche, l’adozione di un sistema di ICT consente alle aziende di “stare al passo” nello scenario competitivo globale, ma anche di gestire la vasta quantità di dati con i quali di giorno in giorno ci si deve confrontare. Ciò d’altro canto richiede alle aziende di trasformarsi in “organizzazioni orientate all’apprendimento”, ossia in Learning Organization, ed essere capaci di apprendere e di offrire ai propri dipendenti gli strumenti necessari per assumere il ruolo di knowledge workers. Le organizzazioni orientate all’apprendimento operano con rapidità, rispondono costantemente ai cambiamenti che intervengono nell’ambiente o nel proprio settore di mercato, alle nuove informazioni e alle esigenze dei propri impiegati. L’ICT, infatti, da mera tecnologia di automazione, di coordinamento e di controllo delle procedure, si è sviluppata fino a diventare un sistema per l’informatizzazione dei processi di interazione e per la gestione delle relazioni interpersonali. Si rende così necessaria l’acquisizione di strumenti tecnologici che supportino lo scambio informativo nell’area delle Risorse Umane attraverso una vera e propria strategia di e-HR (electronic Human Resources).

L’impatto esercitato dall’ICT  va  analizzato in questa sede nel suo relazionarsi con la struttura organizzativa ed evidenziandone la possibilità di influire sull’economicità d’impresa. A questo riguardo va subito affermato come la realizzazione di un sistema di e-HR, al pari di altre soluzioni informatiche applicate ad altre aree gestionali come l’ERP (Enterprise Resource Planning), il SCM (Supply Chain Management) o il CRM (Customer Relationship Management), la barriera che impedisce di raggiungere gli obbiettivi sopraesposti emerge proprio nel momento dell’implementazione. Affinché la progettazione integrata tra ICT e assetto organizzativo sia efficace, quindi, il primo e più importante passo è la scelta della soluzione più appropriata nella sovrabbondante offerta di hardware e software disponibili. Nel mercato americano, ad esempio, nei primi anni Ottanta esistevano solo poche decine di pacchetti software per la funzione HR (Human Resources), mentre adesso se ne contano in commercio oltre 600, offerti da più di 200 case. Fondamentale sarà quindi la scelta del sistema informativo più adeguato, attraverso un’analisi delle funzionalità di vari sistemi presenti sul mercato, in termini di architettura tecnologica, facilità di utilizzo e livello di integrazione. Andrà inoltre effettuata una valutazione complessiva dei costi, in termini di costi correnti e contingenti, interni ed esterni, di processo e di progetto; ma va anche calcolato il ritorno dell’investimento, confrontando i costi con i benefici derivanti dall’introduzione del sistema. Infatti, se da un lato l’implementazione di un sistema di ICT dovrebbe far risparmiare il costo di gestione dei dati, è possibile che i costi del progetto vadano fuori controllo e superino abbondantemente le previsioni di budget. Si dovrebbe poi procedere al ridisegno dei processi gestione delle Risorse Umane, a fronte dell’implementazione dei nuovi servizi di e-HR. Andrà in altre parole operata una selezione dei dati da processare, scegliendo il modo di organizzarli per ottenere misure efficaci, rispondenti ai bisogni specifici dell’organizzazione. In altre parole si devono creare le basi per implementare un sistema di Business Intelligence, ovvero per trasformare dati in informazioni integrate ed “intelligenti”, che supportino la Direzione Risorse Umane nel gestire i collaboratori in modo finalizzato alla realizzazione delle strategie d’impresa. Un altro momento fondamentale sarà l’integrazione del sistema informatico di HR nella routine decisionale, per farlo diventare non un semplice supporto amministrativo (spesso questi sistemi vengono utilizzati solo per la amministrazione documentale, come la gestione paghe o la rilevazione presenze) ma un vero e proprio strumento decisionale. L’innovazione tecnologica, infatti, può favorire il cambiamento nella gestione del personale, ma è anche, a sua volta, un fattore di cambiamento, che richiede pertanto profonde modifiche non solo nel modo di lavorare ma anche nella cultura, nella mentalità, nelle competenze di chi deve rendersi protagonista di queste innovazioni. L’applicazione di nuove tecnologie, specie in materia di Risorse Umane, non né meccanica né indolore, né, in tutti i casi, rapida ma richiede la costruzione di un adeguato consenso e tempi, talvolta, medio-lunghi. Le organizzazioni, gli individui che le compongono e i sistemi informativi di supporto devono dunque evolvere di pari passo, in modo armonico e senza sfasature o scompensi. Risulta in definitiva necessario un percorso che aiuta a percepire il cambiamento e a rielaborarlo, tramite un insieme di azioni che aiutano ad accettare ed adottare con successo le nuove tecnologie, come il ridisegno di ruoli e responsabilità, e l’introduzione di strumenti che facilitino il coinvolgimento delle persone sulle nuove opportunità offerte dall’e-HR.

L’importanza dell’innovazione tecnologica applicata alle Risorse Umane può tuttavia non essere adeguatamente compresa, soprattutto nelle entità aziendali di minore dimensione, mentre se ne registra un alto tasso di utilizzazione nelle medio-grandi imprese. Tuttavia non bisogna affermare semplicisticamente che ciò è il risultato della cultura paternalistico-familiare caratterizzante le piccole imprese, orientate ad una gestione empatica e destrutturata del rapporto con il dipendente, ma spesso ha motivazioni all’apparenza più condivisibili. In alcuni casi si desiste dall’implementare strumenti di ICT dato il numero esiguo dei potenziali destinatari o fruitori interni delle nuove tecnologie, che può fare apparire superflui progetti di innovazione tecnologica. Spesso infatti sono carenti le risorse economiche per realizzare cambiamenti tecnologici, o comunque si decide di indirizzarle ad altri interventi che si ritiene siano maggiormente prioritari nel breve termine. O ancora perchè mancano o sono insufficienti le competenze specialistiche interne necessarie per implementare strumenti informatici di supporto, anche laddove le necessità informative lo richiedano. Nella pratica potrebbe mancare la persona tecnica in grado di capire che esistono, ad esempio, problematiche relative alla conversione dei dati storici, alla loro eventuale duplicazione, o problemi di integrazione con quelli già esistenti. In generale ciò che un’azienda definisce come dati storici rilevanti può variare dalla retribuzione, alle assenze per attività di formazione, ai certificati medici fino ai giorni di malattia o ferie. Dati che, se non evidenziati, non potranno successivamente essere inclusi nella conversione. Oppure potrebbe essere richiesta una maggiore personalizzazione del software, a causa delle peculiarità dell’assetto organizzativo aziendale, cosa che tra l’altro non consente di compiere stime a priori sui costi di implementazione della soluzione personalizzata, lacui entità dovrà essere negoziata. Chi guida i dipartimenti Risorse Umane deve in sostanza verificare la necessaria compatibilità fra i processi che permettono di svolgerne l’attività e il software prescelto, altrimenti l’azienda dovrà investire molto di più per personalizzarlo. E’ quindi importante che nello staff di un’azienda sia presente qualcuno con queste caratteristiche di previsione per poi richiedere al fornitore di ICT, prima dell’implementazione, se è possibile risolvere tali problemi emersi e come. In definitiva, le soluzioni software dedicate alla gestione delle Risorse Umane all’interno di un’azienda possono, in alcuni casi, rivelarsi un grattacapo dal punto di vista implementativo.

Dalle considerazioni appena esposte ne esce un quadro poco incoraggiante, nel senso che la portata innovatrice dell’ICT applicata alle Risorse Umane sarà difficilmente recepita, soprattutto nel tessuto produttivo italiano, tipicamente imperniato sulla piccola e media impresa. Le risultanze empiriche  dimostrano invece che l’implementazione di sistemi di e-HR è diffusa anche nelle organizzazioni di piccole dimensioni, quantomeno laddove queste siano all’interno di un organizzazione reticolare, in cui cioè, malgrado la loro autonomia gestionale, si evidenzi l’opportunità di centralizzare alcuni servizi sparsi e frammentati, riunendoli in unità organizzative centralizzate. Ci si riferisce ad esempio al caso di agenzie che fanno parte di una rete in franchising, di aziende assorbite in programmi di fusione, di enti pubblici territoriali che si organizzano in un patto d’area o di grosse aziende e multinazionali estese nel territorio attraverso filiali più piccole. Spesso, infatti, le aziende organizzate in una rete in franchising, ritengono utile sotto il profilo organizzativo associarsi e costituire uffici integrati attraverso l’implementazione di sistemi di comunicazione di tipo informatico, senza i quali sarebbe stato impossibile lo svolgimento in comune di molte attività, o la realizzazione di nuovi servizi interni con costi sopportabili. È la circostanza, ad esempio, riscontrabile nella rete di agenzie immobiliari “Frimm-Group”, la quale, come si vedrà nella trattazione del caso pratico, ha fatto dell’implementazione di un architettura informatica integrata il suo più importante valore strategico. Uno degli obiettivi dell’analisi effettuata sulla rete immobiliare, è proprio quello di testare la validità di un software informatico, fra i tanti presenti sul mercato, nell’ipotesi di una sua implementazione a supporto della realizzazione di un Ufficio Risorse Umane centralizzato, non ancora presente in azienda. In questo caso d’altronde, è chiaro come la presenza di una infrastruttura informatica finalizzata ad altre funzioni dell’azienda, renda facilmente implementabili ulteriori moduli informatici che rielaborino dei dati omogenei già presenti a sistema e li mettano a disposizione per la realizzazione di politiche orientate alle Risorse Umane. Sarebbe sicuramente più difficile e dispendioso, implementare un progetto simile in organizzazioni di minore dimensioni che, seppur organizzate a rete, non beneficiano di una struttura comune di comunicazione informatica predisposta a monte. Inoltre, la realizzazione di un sistema di gestione  centralizzato di Risorse Umane mediante l’ausilio delle nuove tecnologie non elimina, da un giorno all’altro, le differenze di sviluppo organizzativo dei vari enti partecipanti. In  altre parole, bisogna fare i conti con le differenze specifiche di ogni  organizzazione coinvolta e con la frammentarietà derivante da una non sempre totale coincidenza delle procedure informatiche e organizzative.

Nel complesso, il quadro delle opportunità di applicazione di nuove tecnologie nell’organizzazione, gestione e sviluppo delle Risorse Umane risulta molto articolato, rimanendo modesti e poco significativi gli utilizzi di supporti informatici applicati alla Risorsa Umana, non riuscendo a offrire un contributo strategico alla Direzione e a imporre un’ottica di e-management. Emerge in sostanza , una “distanza” spesso significativa tra potenzialità e realizzazioni. Lo scenario generale evidenzia infatti, al di là del caso specifico esaminato in cui si è potuta riscontrare un’ampia apertura, che le potenzialità estesissime dell’e-HR sono frenate o ostacolate da resistenze del management e dei dipendenti, limiti culturali e vincoli giuridici (come alcune regole di diritto del lavoro e in tema di tutela dei dati personali). In definitiva manca ancora un processo di maturazione rispetto alla questione che richiede, inevitabilmente, il trascorre di un certo lasso temporale fisiologico per osservare, al di la degli effetti di brevissimo termine, gli impatti di medio e lungo periodo derivanti dall’introduzione delle nuove tecnologie nella gestione delle Risorse Umane.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

Il ciclo motivazionale globale: i nuovi orientamenti aziendali

Il ciclo motivazionale globale: i nuovi orientamenti aziendali

 

In conclusione, va evidenziato che le politiche motivazionali si inseriscono al giorno d’oggi in un contesto socio-economico molto diverso rispetto all’organizzazione scientifica del lavoro, ma altrettanto importante. Inoltre, se prima dovevano far fronte all’alienazione da routine e alla monotonia tipiche del periodo industriale, caratterizzato da stabilità e continua espansione, nella società post-industriale devono combattere l’ansia di un lavoro che è più immateriale, meno faticoso e monotono, ma estremamente variabile quanto a tempi, luoghi, modalità, contenuti e forme del rapporto contrattuale. In questo senso si deve vedere il concetto di difficoltà del lavoro (ansia depressiva, paura di non farcela) collegata a alti gradi di autonomia, di fronte ad un compito molto difficile. Si pensi, ad esempio, alle conseguenze dell’affermarsi di un’economia di servizi (con ruoli dai contorni sempre più indefiniti e poco gestibili) in luogo di un’economia di produzione, oltre all’introduzione di tipologie lavorative molto distanti dal rapporto di dipendenza, tipico dell’economia industriale. Così, il passaggio dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione è meno netto, svolgendosi lungo un “continum” che va dai lavoratori a tempo pieno e indeterminato, ai lavoratori temporanei e atipici. Il principio imperante della “flessibilità” come arricchimento di esperienza e strumento per lo sviluppo professionale, viene declamato ormai in tutti i settori, ma ha, insite, delle ambiguità e delle contraddizioni, perché può facilmente “diventare esclusione stabile e intrappolamento” in alcune figure miste . Ne consegue un’accentuata discontinuità, differenti gradi e modalità di partecipazione al lavoro, eccessiva responsabilizzazione del singolo, confini tra il lavoro e il non-lavoro sempre più fluidi e sovrapposti. Tale situazione risulta peraltro coerente con lo scenario imposto dalla sfida globale, fatto di instabilità, precarietà e mancanza di riferimenti. A ciò si aggiunga la forte competizione individuale, attraverso icanali dell’informazione e della formazione permanente, che oppone soggetti dedicati ad una continua crescita professionale per allontanarsi dai settori più dequalificati dell’occupazione. Questo stato di cose richiede maggiori investimenti di tempo e di risorse, soprattutto professionali, al fine di mantenere elevati livelli di motivazione nelle aziende; fa emergere inoltre il ruolo chiave delle politiche di incentivazione a sostegno di una maggiore qualità delle relazioni lavorative, fino a spingersi nella sfera extralavorativa, per ricercare un equilibrio fra le diverse dimensioni della vita personale e interpretare al meglio la nuova configurazione del lavoro come percorso e non più come “posto di lavoro”.

È a partire da queste considerazioni che le leve gestionali devono essere ripensate nell’ottica di una continua tensione verso il ciclo motivazionale globale del lavoratore, ossia utilizzate tutte in modo integrato e complementare sia nelle politiche di ingresso della risorsa (programmazione, reclutamento, selezione, inserimento), sia in quelle di sviluppo (valutazione, incentivazione, formazione, carriera), sia in quelle di uscita (licenziamenti collettivi, riorganizzazioni, riassetti gestionali). Si tratta, in altre parole, di un modello di gestione circolare, nel senso che le diverse leve precedentemente accennate, non devono essere considerate separatamente l’una dall’altra, costituendo invece una unità in relazione di causa-effetto reciproca, in conseguenza della unitarietà del ciclo di vita delle persone all’interno dell’organizzazione. Queste pratiche si sostanziano in nuovi orientamenti manageriali come l’Employee Relationship Management, il Life Career Development, il Work Life Balance, ma anche in nuovi orientamenti contabili come lo Human Resource Balanced Scorecard e lo Human Development Enterprise Index. Tutti orientamenti che hanno in comune la volontà di creare le condizioni oggettive perché il contesto lavorativo sia il più attraente possibile, in termini di possibilità di sviluppo professionale, qualità del lavoro e qualità della vita .  Un caso aziendale molto interessante, in termini di sviluppo professionale nel lungo termine, è ravvisabile ad esempio nel sistema di formazione combinata (blended learning) proposto da Sfera, società di consulenza del gruppo Enel, che ha  ideato un modello di sviluppo professionale basato sull’autoscelta della formazione, oltre a quella imposta, dando la  possibilità di orientarsi verso una dimensione di autosviluppo: la persona può entrare in gioco direttamente nella scelta del proprio percorso formativo individuato a fronte di indicazioni e suggerimenti che il sistema offre, ma che vanno rielaborati individualmente rispetto ai singoli bisogni così come percepiti dalla persona stessa in un lavoro di analisi e confronto sulle proprie capacità e potenzialità.

La necessità di conciliare in modo equilibrato vita e lavoro, è diventata nel corso degli ultimi anni una esigenza sempre più sentita e sempre più ambita, da parte degli individui inseriti in contesti socio-economici caratterizzati dalla progressiva scomparsa dei confini tra il tempo dedicato al lavoro e quello della vita personale. La difficile gestione congiunta di questi due ambiti della propria esistenza, in organizzazioni che richiedono in modo sempre più incalzante disponibilità e flessibilità, spesso ha generato nelle persone una compressione dei tempi e una inevitabile pressione psicologica. Le conseguenze, chiaramente vanno ad impattare sul grado di soddisfazione dei membri dell’organizzazione e, in ultima analisi anche sul livello di produttività complessivo. In aziende che devono competere contando sulla capacità delle persone di far fronte ai continui e repentini cambiamenti che la competizione impone, i rischi di una mancata attenzione a questo delicato equilibrio possono rivelarsi particolarmente elevati. L’obiettivo di una vita “equilibrata” va ricercato attivamente, perché essa può contribuire al benessere dei collaboratori e rendere le persone capaci di fornire un miglior contributo al lavoro. Le aziende infatti sono costantemente sollecitate ad avviare politiche e pratiche generalmente definite family friendly che includono congedi e altre forme di flessibilità per sostenere le persone nel gestire molteplici ruoli, venendo incontro ai bisogni della persona. Il mondo del lavoro, infatti, è sempre più popolato da madri, genitori single e coppie con una doppia carriera. C’è di fatto una duplice esigenza del presidio della carriera, da un lato e del bisogno di spazi di vita esterni al lavoro, dall’altro, questa dicotomia si appalesa in un mondo organizzativo in cui al lavoro è richiesta sempre più disponibilità, capacità di assumersi responsabilità ed essere autonomi a tutti i livelli di inquadramento. Per questi motivi, più che l’uso di benefit e di strategie di fidelizzazione, risulta molto importante la percezione di un supporto da parte dei supervisori o dei responsabili. Secondo alcune ricerche, infatti, non sarebbe tanto l’accessibilità e la disponibilità dei benefit, congedi ed orari flessibili “da contratto” ad influenzare l’atteggiamento di lavoro, ma la percezione di sostegno da parte dell’organizzazione, poiché il ricorso a tali soluzioni è spesso frenato dal timore di limitazioni sul fronte dello sviluppo della carriera . Pertanto, il sostegno dei manager, soprattutto quelli di linea, direttamente responsabili della risorsa, deve tradursi, più che altro, in una continua ricerca di soluzioni estemporanee e contestuali, in un’ottica di continuo adeguamento.

A un livello più generale si collocano poi le politiche di miglioramento dell’ambiente lavorativo. Uno degli aspetti distintivi di una organizzazione, infatti, è rappresentato dalle strutture fisiche in cui essa è insediata. Il fatto che migliori condizioni di lavoro non conducano necessariamente ad un incremento della produttività è un fatto su cui molti concordano (si rivedano le conclusioni di Hertzberg) e dunque, anche l’ambiente fisico di un’azienda, non rappresenterebbe pertanto un elemento significativo. Ciò è vero solo perché ci si è concentrati sui risultati di tipo economico-finanziario e non sul benessere delle persone. L’architettura dei luoghi di lavoro, gli abiti che i dipendenti si aspettano di dover indossare al lavoro, inviano chiari messaggi che supportano la struttura dell’organizzazione nella quale essi operano. Secondo una psicologa americana, che ha condotto importanti studi sulla felicità dei lavoratori in azienda, negli ambienti di lavoro ideali le persone ivi impegnate dovrebbero sentire le voci dei bambini . Gli asili nido aziendali, collocati affianco alle postazioni di lavoro non rappresentano solo un’ottima soluzione per i dipendenti con figli piccoli, ma rappresenterebbe una specie di ritorno ad un più naturale stile di vita. È il caso di SiFi, un’azienda farmaceutica a carattere multinazionale leader nel settore dell’oftalmologia, che oltre all’asilo ha predisposto anche una modernissima palestra, utilizzabile dai dipendenti nei cambi di turno, nella pausa pranzo o durante il tempo libero. Allo stesso modo vivaci self-service che servono cibi appetitosi ed offrono angoli di relax possono fare la differenza rispetto a comuni ambienti di lavorotradizionalmente impersonali. Sempre a questo proposito va detto che le caratteristiche ambientali che hanno un impatto sul benessere dei lavoratori non necessariamente riguardano la struttura dove ha sede l’azienda, infatti lo stesso tragitto che i lavoratori ogni giorno compiono per raggiungere il posto di lavoro ha un effetto sia sul loro stato di benessere quanto sulla loro produttività. Il problema legato al raggiungimento del posto di lavoro non è una questione nuova, pertanto le aziende più lungimiranti hanno iniziato a fornire servizi di navetta per i dipendenti che non hanno accesso ai servizi pubblici; queste misure non solo permettono un risparmio ai dipendenti in termini di carburante ed un aggravio delle condizioni di lavoro, ma permette loro di potersi dedicare alla lettura e alla socializzare con colleghi di diversi dipartimenti che difficilmente avrebbero incontrato una volta al lavoro. Sia la mensa che i servizio di bus navetta, sono due elementi peculiari che contraddistinguono, ad esempio, la già citata STmicroeletronic. In aggiunta all’ambiente fisico, un altro indizio sulla qualità della vita sul posto di lavoro è dato dalla condotta tenuta dalle persone sul posto di lavoro. I contesti lavorativi dove è più difficile per le persone sentirsi veramente coinvolte, sono quelli in cui gli individui sono solitamente di cattivo umore, al contrario in ambienti a dimensione umana questi appaiono più luminosi ed esuberanti, i  dipendenti si sentono liberi di ridere e di scherzare.

Infine si vuole accennare all’importanza dell’utilizzo dei vari strumenti di comunicazione, utili sia per la predisposizione di elementi tangibili, che contribuiscano a dare una configurazione del sé sociale, sia per il continuo monitoraggio dell’assetto motivazionale del collaboratore, lungo tutto il suo percorso professionale. Per quanto riguarda il coinvolgimento attivo del collaboratore, in termini di pratiche manageriali è inevitabile il riferimento al già citato modello giapponese, laddove la partecipazione avviene anche attraverso procedure formalizzate e l’impiego di supporti grafici, come ad esempio i diagrammi causa-effetto (più noti come diagrammi “a lisca di pesce”), i diagrammi “ad albero”, il diagramma di Pert (o a “frecce”), etc. Anzi in Toyota è una prassi ormai consolidata formulare una lista di idee di miglioramenti suggerite dai lavoratori della linea produttiva. Ciascun lavoratore offre in media 47 idee (secondo i dati di una loro statistica) delle quali l’80% messe in pratica. Si tratta di una filosofia completamente diversa rispetto a quella vigente negli Stati Uniti, dove si segue una politica in base alla quale si pensa che le cose vadano bene quando non ci sono lamentele da parte dei dipendenti. Secondo la filosofia giapponese, invece, ciascuna lamentela rappresenta un’idea potenziale, ed un’opportunità di miglioramento. Da un’indagine svolta presso la Zappalà, un azienda lattiero-casearia a carattere nazionale, si sono rilevati diversi strumenti utilizzati per far prendere maggiormente coscienza alla forza vendita della propria identità professionale. Ciò avviene, ad esempio, tramite la presentazione e la discussione di rapporti, tabulati, resoconti, grafici di produttività, tabelloni target, schede di job time e di business review :

Strumentali a questo processo di motivazione, basato sulla comunicazione globale, sono ancora le comunicazioni orali come colloqui, riunioni di piccoli gruppi, conventions (riunioni di grandi gruppi, che hanno lo scopo di formare, amalgamare i partecipanti), open gates (manifestazioni in cui l’organizzazione viene aperta ai familiari dei lavoratori), eventi di formazione e addestramento. In questo senso va sottolineata l’innovatività del franchising Compagnia della Bellezza, azienda leader in Italia nel settore dell’hair beauty e della consulenza di immagine, nella quale si è potuta registrare, attraverso una partecipazione diretta, la predisposizione di open gates semestrali, in cui oltre a momenti di socializzazione e divertimento, si affiancano importanti momenti formativi in cui si presentano le nuove tendenze dello stile e le tecniche di acconciatura più all’avanguardia. Si è anche avuto modo di partecipare a un progetto formativo chiamato “A gonfie vele nella Vita”, costituito da incontri periodici in cui vengono insegnate al personale tecniche di automotivazione,  di rilascio emozionale e di reazione alle avversità. Non vanno infine dimenticate le comunicazioni scritte come opuscoli di accoglimento, business creeds (dichiarazioni sulla company mission e sulle politiche aziendali),  stampe aziendali (su giornali, riviste), servizi di informazione per i dipendenti a mezzo telefono o computer, bilancio annuale per il personale, opuscoli culturali e formativi, manifesti e volumi celebrativi, lettere personali ai dipendenti, ordini di servizio e circolari. Infine si sottolinea l’importanza di altri strumenti di internal marketing, basati sulla partecipazione e il confronto carattere partecipativo.

 

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

La motivazione programmata e l’approccio destrutturato

La motivazione programmata e l’approccio destrutturato

La programmazione della mansione e più in generale la progettazione organizzativa, limitano fortemente la possibilità decisionale del soggetto, venendo spesso percepite come una sorta di gerarchia o supervisione diretta. E’ necessario pertanto considerare che tali attività, riducendo il livello di autonomia nel lavoro di un soggetto, possano abbassare il suo senso di autostima e di realizzazione ed intaccare i fattori motivazionali ad essi legati.

Risultano inoltre più efficienti in situazioni che non richiedano lo svolgimento di attività complesse, per le quali non si prevede una certa discrezionalità degli operatori, o per attività complesse, ma il cui coordinamento deve essere fatto a monte, non avendo il singolo soggetto un visione di insieme tale da poterle organizzare. Si tratta di un allineamento dei comportamenti basato sui valori e sulla standardizzazione degli interessi, approccio questo che in parte mitiga la mancanza di autonomia nel proprio lavoro, per focalizzarsi, invece, sugli aspetti motivazionali derivanti dal partecipare, con un proprio ruolo ben specifico, alla realizzazione di uno o più interessi comuni e condivisibili. Questo approccio prevede infatti l’omogeneità della cultura che riguarda il lavoro comune, individuando dei principi che ispirino il lavoro dei singoli soggetti. Viene di solito utilizzato nelle situazioni più complesse o ambigue o laddove esista una difficoltà di comunicazione.

Casi tipici possono essere quindi le multinazionali o i franchising, dove è essenziale la replicabilità delle prestazioni nei diversi contesti e dove la relazione con l’azienda non si esaurisce nel rapporto con i soggetti appartenenti al proprio ambito lavorativo, ma deve includere anche l’appartenenza ad un’azienda portatrice di valori più ampi e generali. In questi casi, essendo molto sfumati i rapporti fra la periferia ed il centro in termini di relazionalità e comunicabilità, si cerca di uniformare la prestazione lavorativa orientandola verso valori di riferimento più globali, che come precedentemente esposto spesso coincidono con la missione aziendale. Essendo tuttavia impensabile mettere in pratica tale meccanismo di compensazione tra gli interessi aziendali e gli interessi dei soggetti, ricercando un equilibrio con ogni collaboratore, ciò si risolve nella pratica gestionale nello stabilire valori il più condivisi possibile, una sorta di valori medi, in cui i diversi soggetti non si rispecchieranno allo stesso modo, per via della loro individualità.

Non prendendo al momento in considerazione il fattore demotivante dovuto alla eccessiva ripetitività delle mansioni, si può dire che la progettazione delle mansioni conferisce una certa “programmabilità” della  motivazione, che in sintesi si risolve in un senso di sicurezza. Si può ottenere una programmazione della mansione e una ripetibilità dell’assetto organizzativo in diversi modi. Attraverso una standardizzazione degli input, ossia definendo regole e procedure standard di esecuzione relative al comportamento organizzativo. Viceversa, per tenere maggiormente in considerazione i fattori incentivanti legati all’autonomia, si può procedere ad una standardizzazione degli output, adottabile allorquando si abbia una precisa consapevolezza e significatività dell’obiettivo finale, ma non un’altrettanto precisa conoscenza delle modalità di attuazione dello stesso. In questo caso i compiti sono descritti non in termini di attività da svolgere ma di obiettivi da conseguire, ma, per essere significativi, si richiede la misurabilità degli output.

Come si è avuto modo di vedere nei precedenti paragrafi, è ancora indubbio se i fattori intrinseci siano meno rilevanti rispetto a quelli estrinseci nel determinare il livello di felicità/benessere dell’individuo. Tuttavia ai fattori estrinseci viene dato maggior rilievo nella formulazione delle politiche manageriali per la gestione delle risorse umane, essendo più facile monitorare degli aspetti osservabili e misurabili. Le tecniche classicamente utilizzate in passato per allineare i comportamenti organizzativi in termini di motivazione e prestazione sono stati la partecipazione agli utili e la comproprietà. Essi ad oggi si rivelano in parte insufficienti, anche perchè sottintendono l’azione di fattori incentivanti che influenzano il livello motivazionale solo nel lungo termine, e solo in seguito a risultati performanti. Ecco perchè è sempre più importante agire sulle modalità di espletamento del lavoro, sul rapporto nel breve termine tra il soggetto e il suo lavoro, in ultima analisi sulla progettazione di una mansione dalle caratteristiche motivanti. L’attaccamento verso il proprio lavoro, poi, è un parametro che raramente viene utilizzato per giudicare i lavoratori di una data organizzazione, soprattutto da parte di coloro che si limitano a considerare solo il raggiungimento degli standard nella valutazione delle performance dei propri addetti. In definitiva, avere un ruolo in un’organizzazione, significa trovare un equilibrio dinamico tra le costrizioni e i limiti, che ogni organizzazione necessariamente impone, e gli spazi di decisionalità autonoma sotto la propria responsabilità che devono essere esercitati. Vanno fatte, in questa sede, ulteriori considerazioni su cosa debba intendersi per autonomia.

Il cambiamento nelle organizzazioni è diventato uno stato “normale”, e la sua gestione è parte del lavoro del management. Troppi fattori cambiano in maniera veloce e imprevedibile per poter attendere che la strategia scenda lentamente attraverso l’albero gerarchico. Le aziende che competono sulla frontiera permettono alla strategia di essere diretta dalle persone che sono più vicine all’azione; il successo non viene da idee attentamente pianificate al vertice, ma da mosse competenti, rapide e agili al livello delle aree d’affari. Così, le crescenti esigenze di integrazione fra ruoli e funzioni aziendali destrutturano i confini delle posizioni organizzative, aumentano la discrezionalità dei compiti e attenuano la possibilità di predefinire il cosa e il come fare nelle specifiche situazioni di lavoro. Sempre più spesso, lo svolgimento di attività complesse richiede in via preliminare ai lavoratori capacità e rapidità nell’analizzare problemi, prendere decisioni, proporre soluzioni e delineare percorsi, in un sistema nel quale è sempre più difficile osservare e misurare i risultati. La competenza è attualmente definibile come la capacità di controllare e governare l’incertezza, mediante prestazioni costruite volta per volta e poco formalizzabili.

Nella società della conoscenza e del lavoro dematerializzato, dell‘incertezza e del continuo divenire, le organizzazioni hanno sempre meno “materialità“, nel senso di strutture e ruoli definiti, ma anche di compiti e processi stabiliti. Questo le porta a perdere ogni riferimento tradizionalmente legato alla struttura organizzativa nel suo complesso (come la consueta visione di mestieri, funzioni o livelli), e ad assumere dimensioni più individuali ma anche più individualizzate, ad essere cioè sempre più “knowledge” e “learning”, dimensioni appunto prima individuali che organizzative. Come si è visto, Argyris ha focalizzato l’attenzione sull’autonomia e sullo sviluppo della personalità nel lavoro. Nelle sue revisioni più recenti parla inoltre di “apprendimento organizzativo” e di “learning organization”, intendendo cioè delle configurazioni aziendali essenziali al raggiungimentodi alte performance, attraverso lo sviluppo di canali flessibili di comunicazione non solo di tipo verticale ma anche laterale. Un tale assetto organizzativo oltre a essere strategico allo sviluppo e alla competitività aziendale, permette anche un apprendimento di tipo individuale, ciò che si riflette sulla motivazione e sul coinvolgimento nel lavoro.

Se la concezione tayloristica dell’organizzazione del lavoro, ha relegato la nozione di “apprendimento” a pura gestualità corporale e rispetto di una tempistica cadenzata dal ritmo della produzione, il concetto di learning organization si riferisce invece ad una struttura organizzativa che, nel suo complesso, sviluppa delle pratiche volte ad ampliare conoscenze e routine, al fine di assicurare all’organizzazione stessa una migliore capacità di adattamento e di risposta alle perturbazioni imposte dall’ambiente esterno. Infatti, a parere di Argyris, caratteristica fondamentale dei processi di apprendimento nel contesto dei nuovi modelli organizzativi, è la dimensione di “apprendimento continuo” che sono chiamati ad assumere, non tanto come risposta o reazione di fronte all’emergere di “discontinuità” (di natura tecnologica, organizzativa, di creazione o di passaggio ad nuovo ruolo, ecc.), ma come una modalità normale di accompagnamento della crescita individuale e leva autonoma di cambiamento. Argyris ritiene inoltre che uno strumento privilegiato, per lo sviluppo delle abilità personali, è la riflessione in azione o pensiero riflessivo, inteso sia come riflessione nel corso dell’azione (discontinuous thinking)  che riflessione sull’azione compiuta e sull’esperienza. In questa prospettiva di apprendimento, non è sufficiente attenersi a delle procedure; diviene invece imprescindibile attivare nei processi di lavoro una risorsa poco proceduralizzabile, vale a dire la creatività,  fatta di ridondanza informativa, elaborazione inconscia, esercizio dell’immaginario, pensiero laterale e pensiero positivo . Tutto ciò implica l’emergere di nuovi atteggiamenti che facilitano la responsabilizzazione individuale e collettiva, secondo una logica partecipativa invece che secondo un’ottica di obbedienza. Inoltre l’apprendimento continuo,  proprio per questa sua natura dinamica e mutevole, necessita di un alleggerimento delle strutture di comando attraverso una sostanziale degerarchizzazione dei ruoli organizzativi.

Il management dovrebbe pensare ad un modo per promuovere tra il personale questo genere di flessibilità . Il modo migliore comunque resta quello di lasciare alle persone la possibilità di imparare eseguendo i propri compiti e magari commettendo degli errori, secondo quello che viene definito un approccio di tipo learning by doing (imparare facendo). Si potrebbe iniziare dall’affidare dei compiti senza dare delle precise istruzioni sulle modalità di esecuzione Questo servirà ad abituare le persone a sviluppare proprie capacità di problem solving a sottolineare che non c’è una sola modalità corretta per portare a termine una data missione, ma che ognuna è buona quando aiuta il proprio gruppo a raggiungere l’obiettivo.

Si parla così di approccio destrutturato alla motivazione, per mettere in evidenza il fatto che i processi motivazionali in parte sfuggono ad una rigida preordinazione mediante la progettazione di mansioni di per se incentivanti. Infatti, se la progettazione vuole essere di supporto all’espressione di spinte motivazionali, potenzialmente già presenti nell’individuo, bisogna altresì ammettere che queste si manifestano compiutamente solo nel momentoin cui il soggetto agisce e mette in pratica le proprie conoscenze, verifica se le sue attitudini sono pienamente esprimibili attraverso quel ruolo. Se per attitudine intendiamo quella spinta che permette di eseguire in modo corretto e gratificante un lavoro, essa può diventare un’abilità effettiva, ma a patto che trovi condizioni interne (motivazione) ed esterne (contesto ambientale) favorevoli alla sua espressione. Si devono così ricercare situazioni lavorative nelle quali, le spinte motivazionali, lungi dall’essere motivazione, prestazione, apprendimento organizzativo, learning organization, apprendimento continuo, learning by doingpreventivamente azionabili mediante corrette politiche di job design, si esprimono liberamente e in maniera naturale, in una continua attività di adattamento del ruolo al soggetto e non viceversa. La filosofia sottostante a questo modo di indagare le proprietà di una mansione incentivante, essendo svincolata dalla previsione di rigidi schemi organizzativi, non può che avere, come elementi distintivi, l’autonomia e la creatività.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

Il concetto di employability e l’indagine Great Place to Work

Il concetto di employability e l’indagine “Great Place to Work”

Il più ampio utilizzo di rapporti di lavoro atipici e collaborativi rischia di metter sempre più in discussione l’aderenza del soggetto all’organizzazione ed una sua più strategica impiegabilità per l’ottenimento dei fini aziendali. Questo fenomeno porta infatti come conseguenza un minore investimento delle imprese in formazione e sviluppo professionale, oltre alla difficoltà nell’adoperare i benefit e gli strumenti di compensazione monetaria per incentivare il lavoratore, che si sente sempre più intrappolato nel circolo della precarietà e percepisce come molto elevata la probabilità di perdere la propria posizione lavorativa .

Tutto ciò non può che avere delle grosse ricadute in termini di motivazione e di impegno nel lavoro. Si rendono pertanto necessarie politiche aziendali, sia di tipo hard (in termini di riprogettazione organizzativa), sia di tipo soft (come cambiamento culturale), volte alla cura del dipendente, alla conservazione della sua “occupabilità” e allo sviluppo della sua “distintività” come risorsa interna, mediante l’accrescimento delle competenze, la condivisione degli obiettivi e l’esperienza accumulata. Vanno poi ricercate quelle condizioni di maggiore stabilità e sicurezza, che qualificano, anche da un punto di vista umano, l’esperienza lavorativa e conciliano gli intrecci ineludibili tra il lavoro e le altre sfere esistenziali, quella familiare innanzitutto, per rendere meno traumatico il passaggio, la mobilità e il cambiamento.

Una delle conseguenze più forti del cambiamento è la ridefinizione del rapporto tra dipendente e azienda. E’ cambiato quel che si è precedentemente definito contratto psicologico di lavoro, che un tempo creava, in modo non scritto, l’attesa che qualora si fosse svolto normalmente il proprio lavoro si sarebbe avuta la garanzia di un impiego per tutta la vita. Il nuovo contratto psicologico riguarda un tipo di scambio differente.

La sicurezza lavorativa non può più essere garantita a vita; il datore di lavoro deve quindi offrire altro per garantirsi i risultati e il coinvolgimento dei suoi collaboratori, anche nel breve termine. Il nuovo contratto psicologico è in evoluzione e necessita di essere negoziato e rinegoziato nel tempo. Si basa in pratica su un impegno dell’impresa (lavoro, proprietà, gestione) di garantire occupabilità della persona che lavora tramite mantenimento e accrescimento delle sue competenze. Essere “impiegabili” significa possedere (e aggiornare continuamente attraverso un fenomeno adattivo) skills, e caratteristiche personali ricercate dalle imprese.

Un importante indicazione, in questo senso, ci viene offerta dai risultati delle numerose indagini svolte dal ricercatore americano Levering  fondatore del “Great Place to Work Institute”. L’autore ha condotto, per circa trent’anni, indagini tra le aziende di tutto il mondo cercando di analizzare quelle organizzazioni che erano state capaci di creare ambienti di lavoro eccellenti per i propri dipendenti, al fine di tracciare i fattori chiave che erano alla base di tale importante risultato . Il frutto di questa decennale attività di ricerca ha permesso all’istituto presieduto da Levering di creare uno strumento di indagine, per i dipendenti, idoneo a misurare le caratteristiche di un ambiente di lavoro eccellente: il Great Place to Work Trust Index.

Questa metodologia di indagine, usata da importanti istituti in tutto il mondo, viene impiegata per misurare la qualità dell’ambiente di lavoro delle aziende. Anche la sede italiana del “Great Place to Work Institute” stila una classifica delle 30 migliori aziende in cui si lavora meglio. Il modello attraverso il quale il Great Place to Work Institute analizza l’ambiente organizzativo, si articola in tre coordinate principali: Fiducia, Orgoglio e Spirito di squadra. Queste rappresentano le tre relazioni principali tra l’individuo e il luogo in cui lavora:

  1. la fiducia è la relazione tra l’individuo e il management aziendale;
  2. l’orgoglio è la relazione tra l’individuo e il lavoro che svolge;
  3. lo spirito di squadra è la relazione tra l’individuo e le altre persone dell’azienda.

La questione rilevante, ai fini del presente studio, parte dall’assunzione che i migliori ambienti di lavoro hanno rendimenti più alti, anche perché sono considerati aziende eccellenti nella comunità sociale e nel loro settore. Così è più facile per loro attirare i professionisti migliori. E possono anche trattenerli presso di sé più a lungo, grazie alla qualità dell’ambiente di lavoro.

Questo sta diventando un problema fondamentale in tutto il mondo, perché le aziende si trovano di fronte a un ambiente globale sempre più competitivo. Senza i collaboratori migliori, è difficile avere l’innovazione e la produttività che permettono di classificarsi meglio della concorrenza. Perciò, è molto importante che tutte le persone interessate, dipendenti, manager e investitori comprendano le caratteristiche dei migliori ambienti di lavoro. Secondo lo studio di Levering ve ne sono tre fondamentali che hanno implicazioni significative per i manager interessati a collaborare per la trasformazione del loro ambiente di lavoro.

La prima caratteristica vuole che gli i ambienti di lavoro eccellenti si distinguano per relazioni di elevata qualità nel contesto lavorativo, ma anche per il modo di implementare le politiche, di fondamentale importanza in quanto influisce su questa relazione.

Le varie affermazioni riportate dai questionari sottoposti ai dipendenti , possono essere condensate in una sola definizione di azienda migliore: “Un ambiente di lavoro eccellente è quello in cui si ha fiducia nelle persone per cui si lavora, si prova orgoglio per ciò che si fa e ci si trova bene con le persone con cui si lavora”.

Possiamo dire che la seconda caratteristica che realmente distingue le migliori aziende è la fiducia tra i dipendenti e il management.

Riguardo a ciò i ricercatori spesso affermano di sentire che lavorare per quell’azienda è “differente” dagli altri posti di lavoro, poiché spende una gran quantità di risorse costruendo ambienti speciali o unici. Alcune aziende sviluppano una cultura dove i dipendenti le considerano un ambiente di lavoro “divertente” Altre ancora si focalizzano nel dimostrare ai dipendenti che il management si prende realmente cura delle persone, specialmente quando le persone hanno tragedie o disgrazie personali. Le aziende, che sono autentici ambienti di lavoro eccellenti, sono proprio quelle che comprendono che essere eccellenti richiede di essere eccezionali in alcuni aspetti molto specifici.

Ed è questa loro singolarità e unicità la terza caratteristica che fa la differenza per i loro dipendenti.

 

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

 

 

Lo sviluppo professionale e la progettazione organizzativa

Lo sviluppo professionale e la progettazione organizzativa

La progettazione di una mansione o job design, può essere definita come quello strumento di specificazione dell’attività lavorativa, del singolo o del gruppo, all’interno di una più generica programmazione organizzativa. Un’organizzazione viene creata e progettata per raggiungere un determinato scopo, che, come si è detto, deve essere condiviso trasversalmente da tutti i membri; la strutturazione e la progettazione organizzativa sono un risultato della ricerca di questa finalità. Un’azienda ben strutturata facilita i processi e favorisce un buon clima organizzativo, motivando le persone a coordinarsi per il bene comune. L’effetto motivante si può riscontrare anche nella circostanza per cui, se il dipendente dispone di un sentiero entro cui può svolgersi la sua attività lavorativa, cosa che limita le possibilità di errore e funziona da guida ogniqualvolta il lavoratore abbia smarrito il percorso per il raggiungimento degli obiettivi. Di questo si parlerà nel prossimo paragrafo.

Sono soprattutto le variabili dell’assetto organizzativo interno, come la struttura, i processi operativi e i meccanismi di coordinamento, quelle sulle quali si concentra l’attività di analisi e di progettazione organizzativa. Agendo su di esse si cerca di modificare il comportamento organizzativo al fine di ottenere i risultati aziendali desiderati e di soddisfare le finalità aziendali. Con le variabili organizzative viene anche prefigurata e controllata l’azione organizzativa dei lavoratori. Questi elementi sono molto importanti perchè definiscono i confini fra l’attività programmata e prevista a livello teorico (attraverso organigrammi, regolamenti, mansionari, flow chart e ) e le possibilità di azione soggettiva del dipendente. Le scelte sul piano organizzativo interno avranno inevitabilmente ripercussioni sui processi decisionali, motivazionali, di comunicazione, d’influenza, di negoziazione, di cambiamento, produttivi e interfunzionali. Come si vedrà nel secondo paragrafo, l’eccessiva specificazione dell’azione lavorativa, può però portare ad effetti negativi sul lavoratore, che percepisce un vincolo al suo agire. Il problema sta allora nel determinare quale livello di specificazione debba ritenersi sufficiente, ossia efficace nel consentire il corretto coordinamento fra i vari soggetti, ma allo stesso tempo non eccessivamente opprimente, da diventare demotivante.

Andando nello specifico dell’attività di specificazione della mansione (job description), va detto che bisogna tener conto di alcuni elementi fondamentali che si riversano, inesorabilmente, sul grado di “motivazione all’organizzazione” dell’individuo. Esistono, cioè, delle caratteristiche organizzative del lavoro che lo rendono più o meno motivante, indipendentemente dalla natura intrinseca del lavoro stesso. Le job characteristics  si distinguono in: grado di autonomia, di contribuzione e di riconoscimento, di varietà, di interazione sociale. Secondo questa visione di progettazione organizzativa, un lavoro è motivante se presenta un sufficiente grado di autonomia gestionale e operativa, se il proprio contributo viene riconosciuto e premiato, se il contenuto del lavoro presenta compiti variegati e se, infine, il lavoro sviluppa un buon grado di interazioni sociali. Come si vede il progetto di mansione qui descritto, non fa altro che includere i vari aspetti motivanti su cui si sono soffermate le varie teorie, riassumendoli in un’unica configurazione di job. Vaccani, inoltre, ipotizza che l’analisi dei contenuti del ruolo e della professionalità stessa, si deve focalizzare dunque su varie componenti  che comprendono la componente tecnica, ossia l’insieme di procedure e processi che garantiscono la prestazione finale, correlati alle conoscenze scientifiche e tecniche e alle metodologie professionali necessarie; la componente relazionale, intesa come la complessità e la delicatezza delle relazioni da attivare per ottenere risorse, informazioni e consenso necessari all’efficace perseguimento degli obiettivi di lavoro; la componente gestionale, riferibile all’ampiezza e alla complessità delle risorse assegnate e responsabilità decisionale nell’uso discrezionale delle stesse.

Gli effetti che questa dinamica avrà sulla stessa concezione dell’idea di mansione sono tali da imporne una sua evoluzione verso il ruolo, inteso come riferimento non a singole attività ma a cicli di prestazioni finalizzate a un risultato significativo, correlati a cicli di motivazione che si perpetuano nel tempo. Sempre più spesso viene rilevato da diverse indagini che i valori ricercati dalle risorse in una nuova azienda non sono più in primis retribuzione e benefit, ma possibilità di sviluppo professionale e carriera (non più concepita come rigidi e strutturati passaggi gerarchici ma intesa in una nuova ottica di percorso di crescita) e qualità del clima aziendale. Le aziende interessate a mantenere la competitività del mercato del lavoro e a trattenere le risorse, attivando in esse i motori della motivazione e del committment, devono lavorare su questi due principali versanti: lo sviluppo professionale e il clima all’interno dell’organizzazione. In questo senso vanno le tendenze più recenti in materia di progettazione organizzativa accennate nell’ultimo paragrafo.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

L’analisi della “people dissatisfaction”

L’analisi della “people dissatisfaction”

Chi dirige una azienda o è responsabile di un settore di essa, non può trascurare che l’incremento della produttività e la qualità dei servizi si trova sempre più in relazione con il morale dei collaboratori e il benessere (nei termini di salute e sicurezza) nel luogo di lavoro. Contribuire alla qualificazione complessiva degli ambienti di lavoro, migliorare il clima organizzativo, significa in sostanza contribuire al benessere e alla salute di chi vi lavora. Significa anche garantire il successo della azienda e dei suoi servizi perché si favorisce un lavoro di qualità, una più grande creatività e un miglior servizio al cliente, ma soprattutto si evitano nervosismo, stress, ed uno stato di malessere e di delusione. Da questo punto di vista sembra interessante constatare una rinnovata attenzione all’interno delle aziende per l’analisi di clima. Le aziende più intelligenti e più attente ai bisogni dei loro dipendenti, infatti, realizzano sistematicamente e frequentemente delle indagini relative al clima vigente nell’organizzazione, grazie alle quali esse riescono a capire e diagnosticare lo stato d’animo e le attese dei lavoratori.

Recentemente , si è soliti designare con il termine di benessere organizzativo ora lo stato soggettivo di coloro che lavorano in uno specifico contesto organizzativo, ora l’insieme dei fattori che determinano o contribuiscono a determinare il benessere di chi lavora. In una prima approssimazione si può dire che il benessere organizzativo si riferisce alla capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione. Con questo termine, quindi, si intende la creazione da parte dei manager delle condizioni e dei contesti che permettono di lavorare riducendo le condizioni di malessere delle persone impiegate in azienda. Che ci siano differenze nella qualità degli ambienti lavorativi delle aziende è un fatto ormai assodato, ma la questione su cui si continua ad indagare riguarda l’individuazione di quei meccanismi che si attivano in una determinata organizzazione e la rendono “migliore” rispetto alle altre. E’ nell’individuazione di tali meccanismi che si nasconde la chiave interpretativa di alcuni casi di successo di numerose aziende, distintesi per l’eccellente qualità dell’ambiente lavorativo offerto ai propri dipendenti.

La specializzazione delle funzioni, uno degli aspetti tipici dell’aumento dell’efficienza nella produzione industriale, ha avuto però la negativa conseguenza di richiedere un numero limitato di abilità alle persone impiegate. Tutt’ora ci sono lavori che richiedono alle persone capacità al di sotto delle loro effettive potenzialità. Un lavoro che dunque ingaggia solo una parte delle molteplici competenze di un lavoratore diventerà ben presto solo una fonte di stress e fatica, poiché il soggetto deputato a svolgerlo sente di non essere adeguatamente impiegato e che le sue risorse vengono inutilmente sprecate. Alla stessa maniera si dovrebbe stare attenti a quando il lavoratore è pronto ad essere assegnato ad una mansione di livello superiore. L’esaurimento fisico ed intellettuale delle persone è causato non solo dal troppo lavoro, ma anche dall’esecuzione di compiti al di sotto delle proprie capacità. Non è facile garantire una posizione di equilibrio tra lo stress e la noia, ma è un compito del management quella di garantire ai lavoratori un percorso professionale che sfrutti al meglio le loro potenzialità. L’equilibrio tra mansioni assegnate e capacità personali non è stabile nel tempo, una delle due componenti tenderà a predominare sull’altra, pertanto sarà necessario un aggiustamento dei compiti affidati. Da non trascurare poi l’aspetto relativo alla invasività del controllo, non solo in riferimento agli obiettivi di un dato processo, ma a quello sulle singole fasi di una determinata mansione. Quando un lavoratore si sente controllato in ogni sua mossa perderà presto interresse nel suo lavoro. In queste condizioni i lavoratori sono indotti a dare semplicemente ciò che viene chiesto loro di fare, e raramente si impegneranno ad offrire qualcosa di più . E’ necessario, invece, che si instaurino rapporti di fiducia perché venga rispettato il bisogno di alcuni lavoratori di poter operare a porte chiuse, o comunque in spazi riservati, attraverso politiche cosiddette del “Do not disturb” .

Il risvolto più diretto di questi fenomeni, quando non è permanenza critica e attiva, si risolve nell’abbandono del collaboratore, a causa di una relazione ritenuta assolutamente insoddisfacente. Nel caso in cui i collaboratori restino, un indizio della difficoltà di adattamento agli ambienti insoddisfacenti, lo si ricava da innumerevoli patologie, più o meno gravi, peculiari di tali contesti e genericamente ricondotte al dello fenomeno stress ed alle patologie psicosomatiche. Esistono, ormai, numerose evidenze empiriche circa il fatto che i soggetti sotto l’effetto di potenti agenti stressanti rappresentano un costo per l’organizzazione in relazione ad alti livelli di incidenti, inefficienza, produttività ridotta e turnover. Bisogna poi distinguere, in particolare, due tipi di stress: il distress (o ansietà inibitoria), stress cattivo che ad alte dosi o se dura per troppo tempo, può produrre insonnia, nervosismo, algie varie, apatia, irritabilità, assenteismo, disturbi amnesici, trascuratezza, scarsa produttività, dall’eustress (o ansietà facilitativa), stress buono che a basse dosi svolge una funzione positiva, riduce le tensioni, affrontando le novità , tonifica, aumenta le forze e l’attenzione . Un altra categoria concettuale che si usa per descrivere situazioni di insoddisfazione lavorativa, o nel caso in cui le richieste poste dall’esperienza lavorativa non sono commisurate alle esigenze/risorse del lavoratore, è il burnout, i cui sintomi più diffusi sono l’alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, il senso di fallimento, di colpa, di disistima, la rabbia e il risentimento, il cinismo, l’isolamento e ritiro dalla relazione, la perdita di sentimenti positivi, incapacità di concentrarsi. Questi sintomi sono ovviamente causati anche da altri agenti stressori come il carico di lavoro (eccessivo o ridotto), orario di lavoro imprevedibili, spazi confinati, rumorosità, odori sgradevoli, scadenze da rispettare, inadeguatezza delle attrezzature, ambiguità o conflitti dei ruoli, etc. Infine si accenna all’ulteriore fenomeno demotivante del mobbing, concetto introdotto in Italia dal psicologo del lavoro Harald Ege , al quale si deve la elaborazione della nozione di “situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità”.

Per arginare il dilagare di questi fenomeni altamente demotivanti, oltre alle indagini di clima, vanno pertanto predisposti dei metodi di valutazione preventivi . Un ultimo aspetto che merita una particolare attenzione è quello relativo al tempo. Le persone pienamente immerse ne proprio lavoro perdono il senso del tempo; il ritmo con cui vengono scandite le fasi di lavoro e quelle di relax è del tutto naturale, dettato dalla natura dell’attività svolta e dallo stato mentale della persona, senza il bisogno di nessun tipo di orario prestabilito. Questa importante considerazione ha spinto alcune aziende modello a rivedere le modalità di ripartizione dell’orario lavorativo, offrendo la possibilità ai propri dipendenti di negoziare sui tempi richiesti per l’esecuzione di un dato compito, lasciando poi che essi stabiliscano come gestire il proprio tempo, potendo scegliere di lavorare di notte o di giorno, lavorando a casa oppure durante il week-end. In definitiva, una condizione universalmente riconosciuta come rappresentazione di una situazione di benessere sul lavoro è data dallo “svanimento dell’identità personale”. La flessibilità sugli orari di lavoro, consente infine di alleviare anche gli elementi insoddisfattori derivanti dalle responsabilità familiari, considerate una delle cause dell’assenteismo, dei ritardi e dell’inefficienza al lavoro.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

Il break-even dei programmi di incentivazione

Il break-even dei programmi di incentivazione

È opportuno in questa sede fornire qualche considerazione sull’opportuno utilizzo, nel tempo, degli strumenti di incentivazione sopra proposti.

Si intende a questo fine evidenziare come le strategie di ricompensa debbano essere attentamente impiegate, in relazione alle finalità di partenza e agli effetti che possono avere. Riguardo al secondo aspetto è possibile citare una ricerca pubblicata dall’International Society for Performance Improvement (ISPI), ad opera della University of Southern California e della Univesity of Central Florida , in cui si analizza la relazione fra i differenti programmi di incentivi e il loro ritorno, in termini di prestazione, dei loro effetti.

La ricerca, intanto, confuta il mito secondo cui gli incentivi distruggono l’interesse intrinseco nel lavoro. Essi, invece, non solo comunicano al lavoratore cosa è importante, ma allenano il suo senso di autoconfidenza, accrescendo la fedeltà verso l’azienda. Inoltre la ricerca dimostra l’importanza degli incentivi per raggiungere gli obiettivi, che solo nell’ 8% dei casi si sarebbero potuti raggiungere in altri modi. Ma la cosa che più interessa è che viene confermato il principio del “più spendi, più guadagni”.

I risultati economici delle varie politiche di incentivazione , in altre parole, sono collegati al periodo a cui si riferiscono le politiche stesse.

Così, incentivi a breve termine, come un premio produttività contingente, consentono un ritorno massimo del 20%.

Gli incentivi a medio termine, che influiscono, cioè, su un periodo approssimativo di 6 mesi, generano un risultato del 30%.

Infine incentivi a lungo termine, come un percorso di carriera, pur se percepiti con meno reattività da parte dei dipendenti, possono far arrivare i guadagni fino al 44%. In definitiva, essendo le politiche di incentivazione molto onerose, esse cominciano a diventare fruttuose se relative a un periodo che va oltre i sei mesi, essendo questo il periodo in cui si possono realizzare guadagni e aumenti della produttività che superano l’ammontare fisso della retribuzione, che di solito si situa su una percentuale rispetto alla produttività, che va dal 20%, per le attività fortemente meccanizzate, a un 38%, per le attività a intenso utilizzo del fattore umano.

Al di la di percentuali e statistiche, che variano da settore a settore, va qui sottolineata l’importanza di predisporre analisi di break-even, ossia di copertura dei costi fissi del lavoro, prima di ideare una politica di incentivazione, i cui costi tendenzialmente variabili potrebbero non garantire un risultato positivo, a seconda del loro raggio di azione.

Quando il sistema premiante si fa sofisticato, inoltre, si rendono necessarie delle elevate competenze relative alla definizione e implementazione delle politiche retributive, tanto più quanto più la forza-lavoro operante nell’impresa è qualificata. Queste attività richiederanno sempre più il contributo di un esperto che sia in grado di padroneggiare questa complessa materia.

Si fa riferimento al responsabile in compensation & benefit, figura che con maggiore frequenza si sta insinuando nella struttura organizzativa delle aziende più all’avanuardia. Egli svolge una serie di attività connesse all’individuazione, gestione e ridefinizione delle politiche retributive aziendali, al fine di rinforzare o incentivare il miglioramento continuo della performance dei dipendenti, generando costi accettabili per l’impresa.

Più in dettaglio questa figura svolge intanto una diagnosi della retribuzione base, verificandone la coerenza interna e la competitività esterna. In secondo luogo effettua una pianificazione della retribuzione base attraverso la definizione o la rifocalizzazione della struttura e dei programmi retributivi (definizione delle linee di politica retributiva, dei criteri di riconoscimento delle prestazioni, valorizzazione in termini temporali degli effetti e delle decisioni di politica retributiva sul monte salari complessivo e sulle situazioni retributive individuali).

Effettua inoltre una diagnosi della retribuzione variabile, individuandone le aree di miglioramento ed il collegamento alla prestazione. In altre parole progetta e revisiona il sistema di retribuzione variabile, definendone i principi e gli obiettivi, la scelta di modelli, la determinazione dei cicli temporali, la selezione dei criteri di misura delle prestazioni e la loro definizione e la simulazione costi-ricavi.

Infine  individua un pacchetto di benefici alternativi e realizza le cosiddette “indagini” retributive relative a settori produttivi, a fasce professionali (quadri/dirigenti) o a specifiche figure professionali. In sintesi va ribadita l’importanza di trasformare scelte di politica retributiva in piani definiti, temporizzati e valutati in termini di costi degli interventi, tenendo allo stesso modo presente i necessari adattamenti e le possibili differenziazioni interne, affinché il mix che ne viene fuori sia coerente con le strategie aziendali.

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

I sistemi di valorizzazione e di retribuzione del personale

I sistemi di valorizzazione e di retribuzione del personale

Una delle variabili organizzative di impatto sicuramente molto elevato sulla motivazione del personale è la progettazione dei sistemi di ricompensa. Fra questi, la leva retributiva rappresenta ancora, a tutt’oggi, lo strumento di motivazione manageriale più utilizzato in assoluto. Tuttavia, il suo impiego non si presenta più come unico e isolato metodo di ricompensa, in quanto  diverse aziende stanno introducendo, con livelli diversi di intensità (e di convinzione), premi legati allo sviluppo di competenze, non più a fronte di un obiettivo raggiunto, sviluppando un nuovo orientamentio del pay for competencies e non solo del pay for performance.

La retribuzione, come si è detto, è uno strumento attraverso cui l’organizzazione persegue l’obiettivo di attirare, trattenere e motivare i lavoratori di cui necessita. La politica retributiva d’impresa è costituita da un insieme complesso di strumenti e decisioni riguardanti innanzitutto il livello della retribuzione, definibile come il saggio di retribuzione che l’impresa decide di pagare. In questa decisione vengono tenuti presenti il livello definito dalla contrattazione collettiva, che delimita il saggio medio al di sotto del quale non è possibile scendere, livello definito dal mercato del lavoro, in genere superiore a quello definito dalla contrattazione collettiva ed infine il livello definito dalla capacità retributiva dell’impresa (profitti, posizione di mercato, prospettive di sviluppo), che costituisce anche un tetto che l’impresa non può superare, se non a rischio del proprio equilibrio economico-finanziario.

Una volta scelto il posizionamento tendenziale del livello retributivo, viene stabilita la struttura della retribuzione per le diverse posizioni di lavoro o per i diversi livelli di inquadramento. Vengono cioè individuate le diverse fasce corrispondenti alle diverse classi di posizioni di lavoro o di livelli di inquadramento e ciascuna fascia retributiva viene delimitata da un minimo ad un massimo .

Tra i fattori di tipo aziendale che influenzano la dinamica retributiva vanno compresi quelli che l’impresa controlla direttamente negli spazi lasciati aperti dalla contrattazione e dagli automatismi. Fra questi possono essere compresi quegli elementi irreversibili della dinamica retributiva, non funzionalmente legati al rendimento, ossia al risultato produttivo in senso stretto.

Ci si riferisce in particolare ai superminimi individuali legati alla valutazione dei meriti, o ai salti retributivi legati a passaggi di qualifica. La dinamica retributiva ha poi raggiunto un particolare affinamento con il sempre maggiore utilizzo di fringe benefit o “benefici accessori, erogazioni in natura o in servizi che l’azienda corrisponde a particolari categorie di dipendenti in aggiunta della retribuzione principale . Il risvolto motivazionale, ricercato in questo tipo di strumenti, riguarda l’intento dell’azienda di far percepire al dipendente un effetto globale della struttura di ricompensa, che riguardi, cioè, non solo la prestazione precipua, ma anche le modalità con cui viene realizzata e la dimensione sociale del lavoratore, al di la della stretta partecipazione organizzativa nel contesto lavorativo.

Su questo stesso ambito, sono da rilevare quell’insieme di servizi sociali forniti dall’azienda a favore dei propri dipendenti , volti a favorirne il benessere, saltuariamente imposti dalla legislazione o dalla contrattazione collettiva .

Particolare importanza assume poi l’aspetto motivazionale e incentivante dell’impiego di quegli strumenti che cercano di ottenere un’identificazione del lavoratore negli obiettivi aziendali o, almeno, di allargare l’area di sovrapposizione tra obiettivi individuali e obiettivi aziendali. Deputati a questo scopo sono le partecipazione agli utili, essendo collegate al risultato economico dell’impresa nel suo complesso, e i piani di stock option, con cui si da la possibilità di scambiare una parte della retribuzione con quote dell’azionariato della società. In questo caso l’obiettivo è creare fidelizzazione, appartenenza e un diretto coinvolgimento nelle vicende aziendali (commitment). Con questi strumenti innovativi, l’adeguatezza della politica retributiva si verificherebbe, allora, quando la tensione dell’organizzazione verso i suoi scopi incontra la tensione dell’individuo verso lo sviluppo del sé e delle proprie capacità.

Tuttavia la variabile retributiva da sola non può sostituire in toto il sistema premiante, in cui convergono variabili come l’organizzazione del lavoro, lo sviluppo professionale, la formazione, lo status, il potere, l’autonomia, etc., pur costituendone una parte importante. Queste esigenze trovano riscontro nella rotazione, nell’allargamento e nell’arricchimento delle mansioni quali modalità in grado di tenere conto dell’evoluzione della forza-lavoro e di combinare in modo ottimale le necessità di produttività e quelle di soddisfazione dei bisogni psicologici degli operatori.

Mentre la rotazione dei compiti non modifica il contenuto della mansione, limitandosi a ridurne la ripetitività e la monotonia, l’allargamento si prefigge di conferire alla mansione un risultato più compiuto, e quindi professionalmente più significativo, attraverso l’unificazione di più fasi contigue di un ciclo di lavoro.

L’allargamento può contemporaneamente rispondere ad esigenze non solo del lavoratore, ma anche dell’azienda, migliorando la qualità del servizio prodotto nella misura nella quale essa è correlata all’esecuzione dei compiti coinvolti nella mansione allargata, nonché migliorando la risposta ad eventuali variabilità del ciclo di lavoro.

L’arricchimento, invece, comporta un aumento dell’autonomia decisionale dell’operatore, in quanto ricompone all’interno di ogni singola mansione sia compiti esecutivi che compiti discrezionali; questa modalità può portare conseguenze significative anche sulla composizione stessa dell’unità organizzativa, in quanto può ridistribuire le attività tra varie tipologie di operatori, inclusi livelli diversi da quelli dell’operatore direttamente interessato.

Questa forma di “riprogettazione della mansione”, spesso genera una maggiore responsabilizzazione come conseguenza del maggior controllo che l’operatore dispone sulla propria situazione di lavoro, nonché un aumento della qualificazione professionale attraverso una sorta di “carriera orizzontale”, generando un riconoscimento dal sicuro effetto motivante.

 

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo