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clima organizzativo approccio culturale

Approccio culturale

Tale approccio non si discosta molto da quello interazionista, poiché enfatizza l’importanza delle relazioni interpersonali tra i membri nel determinare la percezione di clima organizzativo. La differenza sostanziale si trova nell’importanza attribuita al concetto di cultura organizzativa, in quanto all’interno di tale approccio l’attenzione viene riposta più sui gruppi che sui singoli individui, ed in particolare su come i gruppi costruiscono e interpretano la realtà. Tali processi sono mediati dalla cultura organizzativa presente, dai valori sottostanti una data organizzazione.

L’approccio culturale sottolinea il ruolo critico che riveste la cultura organizzativa nel modellare i processi che producono il clima, nonché il tipo di relazione che lega il clima stesso con la cultura. Mentre quest’ultima cresce lentamente nel tempo, il clima, pur essendo composto dagli stessi elementi della cultura, prende forma più rapidamente e più rapidamente si rinnova. Il clima agisce infatti sul livello degli atteggiamenti e dei valori, mentre la cultura agisce anche su livelli più profondi come ideologie e filosofie di un’organizzazione.

Il clima aziendale è anche il risultato delle variazioni di breve periodo dell’ambiente interno ed esterno dell’organizzazione. Basti pensare ad una situazione in cui si verificano cambiamenti nel personale o tagli di budget: tali eventi possono sicuramente colpire velocemente il clima di un’azienda, ma è molto improbabile che abbiano lo stesso impatto sulla cultura.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

clima organizzativo approccio interazionista

Approccio interazionista

Questo tipo di approccio sottolinea l’importanza delle relazioni interpersonali nella formazione del clima organizzativo e utilizza come presupposti per descrivere il clima le interazioni tra gli individui ed il modo in cui l’impresa viene vista da coloro che la vivono. Secondo tale approccio, è solo all’interno dello scambio continuo con l’organizzazione, con i propri colleghi e superiori che gli individui sviluppano un clima organizzativo.

In tale senso gli studiosi Schneider e Bartlett nel 1970 descrivono il clima organizzativo come “una caratteristica dell’organizzazione che si riflette nelle descrizioni che i membri fanno delle pratiche organizzative e lavorative nelle quali si ritrovano ad operare; tali percezioni derivano dall’interazione tra diverse caratteristiche individuali”.

Gavin nel 1975 definisce il clima organizzativo come la combinazione delle caratteristiche di personalità dei membri che ne fanno parte e degli elementi strutturali dell’organizzazione. All’interno di tale approccio i membri di un’organizzazione, e più in generale le persone, sono visti come degli elaboratori attivi di informazioni: traggono dall’esterno delle informazioni, le rielaborano, anche grazie alle relazioni interpersonali, giungendo poi ad una propria visione del mondo circostante e ad una propria percezione del clima organizzativo.

 

 

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Clima organizzativo Approccio percettivo

Approccio percettivo

In maniera quasi del tutto opposta all’approccio strutturale, l’approccio percettivo si focalizza sulle prerogative dell’individuo affermando che i singoli individui rispondono ed interpretano le variabili situazionali in base ad aspetti psicologicamente significativi per loro, e non più basandosi esclusivamente sulle caratteristiche oggettive della situazione o della struttura. Il clima, in questo caso, viene definito quasi del tutto da componenti interne alle persone che fanno parte di un’organizzazione.

Infatti, il clima organizzativo viene descritto da Karasick nel 1973 come “una qualità relativamente duratura di un’organizzazione che dipende dai comportamenti dei suoi membri (soprattutto dei vertici): esso è percepito dagli altri membri e ha una funzione di guida per interpretare e classificare situazioni e comportamenti che hanno luogo nell’organizzazione”.

L’approccio percettivo prevede che il clima derivi da processi di elaborazione ed interpretazione psicologica compiuti su qualche elemento dell’ambiente ritenuto interessante. Le percezioni costituiscono quindi una mappa cognitiva di funzionamento dell’organizzazione che suggerisce agli individui i comportamenti più appropriati da adottare a seconda dei casi.

Importante conseguenza di questo approccio è che tali percezioni, e di conseguenza il clima organizzativo, risultano essere mediate da aspetti di personalità dei soggetti oltre a variabili più propriamente relazionali, come ad esempio lo stile di leadership.

 

 

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clima organizzativo approccio strutturale

APPROCCI TEORICI

Come si forma il clima organizzativo? Le diverse posizioni emerse nel tempo hanno scaturito una pluralità di approcci teorici, che sono stati così sintetizzati da E. T. Moran e J. F. Volkwein nel 1992[1].

  1. Approccio strutturale

Secondo questo approccio il clima organizzativo rappresenta una manifestazione oggettiva che riflette la particolare struttura organizzativa presente in un dato contesto.

In questo caso, il clima è considerato come un attributo dell’organizzazione che esiste indipendentemente dalle percezioni individuali dei suoi membri; valori percezioni e atteggiamenti di questi ultimi vengono influenzati invece dalle condizioni esistenti nella struttura. In tale ottica il clima organizzativo nasce dagli aspetti oggettivi dell’organizzazione come dimensioni, grado di centralizzazione delle decisioni, numero dei livelli gerarchici, tipo di tecnologia impiegata, ruoli formali e politiche del personale.

Secondo l’approccio strutturale quindi, l’organizzazione autoproduce un clima con caratteristiche indipendenti da quelle percepite dai suoi componenti, e le persone acquisiscono semplicemente il clima della struttura nella quale si trovano a operare. L’approccio strutturale pone le sue radici in quella corrente di pensiero secondo cui la realtà deriva unicamente da condizioni oggettive.

 

 

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[1] MORAN E.T., VOLKWEIN J.F., The cultural approach to the formation of organizational climate. Human relations – Articolo di ricerca pubblicato il 01.01.1992.

Clima organizzativo Evoluzione storica

Clima organizzativo: Evoluzione storica

L’evoluzione storica del concetto di clima organizzativo preso qui in esame ha inizio negli anni ’30 del 1900, ed in particolare dalle ricerche di Kurt Lewin sulle dinamiche di gruppo e dal filone psicologico della Gestalt.

La Gestalt riconosce il principio per il quale “il tutto è più della somma delle sue parti”; esso è rilevante per il concetto di clima organizzativo, in quanto in esso gli elementi che compongono singole esperienze creano un insieme che rappresenta non solo la loro somma, ma anche una combinazione strutturata di percezioni che le persone maturano all’interno di una organizzazione.

Nel 1939 Lewin, Lippit e White scrivono un articolo intitolato “Patterns of Aggressive Behavior in Experimentally Created Social Climates” (“Schemi di comportamento aggressivo nella creazione del clima sociale”), nel quale trattano di clima sociale e dinamiche di gruppo all’interno di gruppi giovanili. Il loro interesse è rivolto alle conseguenze di diversi stili di leadership – autoritario, democratico e laissez-faire – sui comportamenti dei singoli all’interno di questi gruppi. I risultati hanno dimostrato che lo stile democratico porta i giovani ad una maggiore collaborazione e a più alti livelli di partecipazione.

Il concetto di clima organizzativo come correlato psicologico della motivazione al lavoro risale solo alla seconda metà del secolo scorso. Nel 1958 Argyris è il primo a coniare il termine “organizational climate” (“clima organizzativo“) e a sviluppare un modello all’interno del quale è possibile identificare tre classi di variabili organizzative:

  • le procedure, le politiche e le posizioni formali nell’organizzazione;
  • i fattori personali come i bisogni, i valori e le capacità individuali;
  • le variabili legate agli sforzi degli individui per allineare i propri fini a quelli dell’organizzazione.

Queste variabili, nel loro complesso, vanno a definire il campo di analisi chiamato “organizational behavior”, ovvero quel “livello di analisi discreto, risultante dall’interazione dei livelli di analisi individuale, formale, informale e culturale” (Argyris, 1958). Argyris identificava il clima come un processo dinamico, cioè un elemento di regolazione del sistema organizzativo che ne permette il funzionamento.

Negli anni ’60 diversi studiosi hanno enfatizzato il legame tra clima organizzativo e stile di leadership adottato dal management.

McGregor nel 1960 utilizza il concetto di “managerial climate” (“clima manageriale“) per indicare il clima percepito dalla forza lavoro derivante dalle pratiche gestionali adottate dai capi. Secondo Mc Gregor, i capi mettono in atto comportamenti che riflettono le proprie idee sulle persone e, di conseguenza, condizionano il tipo di relazione che instaurano coi propri collaboratori. Egli introduce le teorie “X” e “Y”, che indicano due diverse visioni del management rispetto alle motivazioni dei collaboratori.

 

TEORIA X

– L’uomo medio ha un’evidente ripugnanza per il lavoro e, se possibile, ne fa a meno.

– A causa della caratteristica umana di detestare il lavoro, la maggior parte delle persone deve essere costretta, controllata, comandata, minacciata di punizioni, allo scopo di far sì che realizzi uno sforzo adeguato per il conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione.

– L’uomo medio preferisce essere diretto, cerca di evitare la responsabilità, ha ambizioni relativamente scarse, desidera sopra ogni cosa la sicurezza.

TEORIA Y

– L’uomo medio impara, in condizioni opportune, non solo ad accettare, ma anche ad assumersi responsabilità.

– Il controllo dall’esterno e la minaccia di sanzioni non costituiscono gli unici mezzi per indirizzare gli sforzi verso gli obiettivi dell’organizzazione. L’uomo può esercitare l’autodisciplina e l’autocontrollo in funzione degli obiettivi in cui è coinvolto.

– La capacità di sviluppare un alto grado di fantasia, l’inventiva e la capacità creativa nella soluzione dei problemi dell’organizzazione si trovano ampiamente distribuite fra gli esseri umani, non sono rarità.

– Nelle attuali condizioni di vita aziendale le potenzialità intellettuali dell’uomo medio vengono utilizzate solo parzialmente.

– L’impegno nel perseguire determinati obiettivi è in funzione delle ricompense associate al loro conseguimento.

– Il dispendio di sforzi fisici e mentali durante il lavoro è cosa naturale quanto lo svago o il riposo.

Fig. 3 – Le premesse della Teoria X e della Teoria Y di Mc Gregor – Innocenti L.: “Clima organizzativo e gestione delle risorse umane – unire persone e performance”, Franco Angeli, 2013. Fonte: adattamento da Gabrielli, 2010

Nel 1964 Forehand e Gilmer definiscono il clima organizzativo come “un insieme di caratteristiche relativamente durevoli che distinguono ogni organizzazione da un’altra e che influenzano il comportamento degli individui al suo interno”. Essi propongono alcune caratteristiche attraverso cui analizzare il clima organizzativo, tra i quali la dimensione, la struttura di autorità e le relazioni tra persone e gruppi, la direzione dei fini organizzativi e lo stile di leadership.

Sulle orme del contributo di Lewin, nel 1968 Litwin e Stringer descrivono il clima come il risultato di affetti umani, motivazioni, successo e affiliazione, ricavato attraverso studi sperimentali sul campo, cioè la valutazione della percezione dei membri dell’organizzazione, dando così l’avvio all’analisi e alla valutazione del clima organizzativo.  All’interno di questa ricerca simulano tre ambienti aziendali con differenti climi: il primo strutturato in modo autoritario, il secondo strutturato in modo democratico e il terzo orientato al successo individuale. L’esito di tale studio conferma le conclusioni di Lewin: i climi organizzativi variano in funzione dei diversi stili di leadership esercitati ed hanno un diverso effetto sulla motivazione del lavoratore, nonché sulla performance raggiunta e sul livello di soddisfazione al lavoro.

Sempre nel 1968, Tagiuri descrive il clima organizzativo come “un insieme di percezioni, stabili nel tempo, provate dai membri di un’organizzazione, che sono descritte come un insieme di valori riferiti a degli attributi presenti all’interno dell’organizzazione”.

Negli anni ’70 Payne e Pugh propongono una definizione piuttosto complessa di clima. Essi sostengono che il clima “descrive i processi comportamentali caratteristici di un sistema sociale in un particolare momento. Questi processi riflettono i valori, gli atteggiamenti e le credenze dei membri dell’organizzazione che diventano, quindi, parte del concetto”. Essi definiscono quindi un approccio che sottolinea una relazione tra la struttura e i vari aspetti del clima stesso: quindi, strutture organizzative diverse producono climi organizzativi diversi.

Della stessa idea è Campbell, che nel 1970 descrive il clima organizzativo come l’insieme di attributi specifici di una organizzazione, in particolare una serie di atteggiamenti e di aspettative che si possono evincere dal modo in cui l’organizzazione stessa si rapporta ai propri membri ed al proprio ambiente”.

Nel 1973 Pritchard e Karasick pongono l’attenzione sulla relazione tra clima e soddisfazione al lavoro. Il clima è definito come “una qualità relativamente durevole dell’ambiente interno di un’organizzazione che la distingue da altre organizzazioni; che risulta dal comportamento e dalle politiche dei membri dell’organizzazione; che è percepito dai membri dell’organizzazione; che serve come base per interpretare la situazione; che opera come fonte di pressione per dirigere le attività”.

Nel 1978 Schneider definisce il clima come “un insieme di percezioni globali che gli individui hanno del loro ambiente organizzativo e di lavoro; queste percezioni rifletterebbero l’interazione tra le caratteristiche personali e organizzative, in quanto l’individuo, come elaboratore di informazioni, usa gli input che gli provengono dagli eventi oggettivi, dalle caratteristiche dell’organizzazione e dalle caratteristiche soggettive (valori, bisogni) del percettore”.

Negli anni ’80 il concetto di clima organizzativo assume sempre maggiore rilevanza. Si evidenzia una certa diversificazione delle posizioni degli studiosi in merito a cosa il clima organizzativo effettivamente rappresenti. Alcuni autori enfatizzano l’importanza delle variabili organizzative, come la struttura organizzativa, la mole di lavoro, la retribuzione; altri, invece, si focalizzano su variabili psicologiche, come le relazioni con i colleghi e la percezione di equità aziendale.

Da tali diverse posizioni nascono diversi approcci al clima organizzativo che emergono da una classificazione proposta da Moran e Volkwein pubblicata nel 1992 sulla rivista specializzata “Human Relations”. I due ricercatori affermano che il clima organizzativo è una caratteristica relativamente durevole di un’organizzazione che la distingue dalle altre, e che incarna le percezioni collettive dei membri con riferimento a dimensioni quali l’autonomia, la fiducia, la coesione, il supporto, il riconoscimento e l’equità. Essi ritengono inoltre che il clima organizzativo è il prodotto dell’interazione tra i membri, in quanto serve come base per interpretare la realtà e riflette le norme, i valori e gli atteggiamenti della cultura organizzativa.

Alla fine degli anni ’80, proprio nel momento in cui il concetto di clima organizzativo assume sempre più importanza, si delinea un altro concetto, quello di cultura organizzativa, che identifica tutto ciò che un gruppo ha imparato, i modi di pensare, le emozioni, le percezioni che permettono ai lavoratori di affrontare quotidianamente la propria realtà aziendale.

Agli inizi del 2000 si afferma il filone dello Human Resource Managament. Lo studio del clima organizzativo assume un ruolo imprescindibile all’interno delle organizzazioni, ed il suo costante monitoraggio contribuisce all’ottimizzazione delle performances.

 

[1] Fonte: adattamento da Azzariti, Bassini, Novello (2009); D’Amato, Majer (2005); Quaglino, Mander (1992, 1995).

 

 

 

 

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Come si misura il clima organizzativo

COME SI MISURA IL CLIMA ORGANIZZATIVO

 

L’analisi del clima organizzativo si realizza attraverso il coinvolgimento del personale dell’organizzazione o di un campione rappresentativo di essa, con l’utilizzo di vari strumenti quali questionari, interviste individuali e focus-group.

Vengono prese in considerazione sia la dimensione interpersonale che quella individuale: nella dimensione interpersonale viene valutata la qualità dei rapporti con l’azienda, i superiori e i colleghi; la coesione del gruppo di lavoro, la collaborazione; le dinamiche di comunicazione; gli stili di leadership; la soddisfazione relazionale.

Nella dimensione individuale hanno importanza il senso di appartenenza all’organizzazione, la soddisfazione relativa alla funzione svolta, la motivazione, il senso di responsabilità e di autonomia e la libertà di espressione.

 

Fig. 2 – Verso il benessere organizzativo – http://smartoffice.academy/img/benessere-organizzativo.png

 

 

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L’analisi del Clima Organizzativo

L’analisi del Clima Organizzativo

L’indagine sul clima organizzativo viene utilizzata come strumento puntuale per misurare lo stato di salute di un’organizzazione in un particolare momento della sua evoluzione. Essa rappresenta un modo per l’organizzazione per venire a conoscenza degli effetti delle pratiche applicate nella gestione del personale nel recente passato.

È quindi un punto di partenza oggettivo per progettare, pianificare ed eseguire le politiche future, offrendo in tal modo la possibilità ai collaboratori di confrontarsi con il management dell’azienda, sentendosi quindi riconosciuti e valorizzati come collaboratori attivi.

Un successivo monitoraggio ciclico, non necessariamente troppo frequente, consente di individuare preventivamente eventuali segnali di malessere e fattori potenzialmente critici, prima che essi si trasformino in comportamenti inadeguati o, peggio ancora, in situazioni particolarmente negative che arrecano danni sia alle persone che all’organizzazione e sono di norma estremamente difficili e costose da curare.

 

Fig. 1 – Componenti dell’analisi del clima organizzativo -http://www.asmn.re.it/immagini/Notizie/2016/n38_indagineclima_internaIntBig.jpg

 

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clima organizzativo introduzione

Clima Organizzativo: Introduzione

La sfera relazionale ricopre un ruolo di fondamentale importanza per l’equilibrio di qualunque rapporto interpersonale. Ciò vale anche all’interno delle organizzazioni lavorative, tra le risorse umane, cioè il personale che presta la propria attività lavorativa col proprio capitale umano in cambio di una retribuzione economica.

Il clima organizzativo rappresenta lo stato di salute di un determinato ambiente lavorativo, così come percepito dalle persone che in esso operano: esso condiziona l’andamento delle attività aziendali ed i comportamenti dei lavoratori, creando un circolo benefico o vizioso a seconda dei casi.

È importante osservare un’organizzazione per capire se esiste un clima collaborativo oppure ostile. Storicamente si è rivolta poca attenzione alle condizioni di lavoro delle persone, soprattutto in riferimento ai fattori di tipo psicologico, che non si reputavano importanti ai fini di incrementare la produttività di un’azienda; ci si concentrava su altre variabili aziendali, come ad esempio la tecnologia presente.

Oggi il punto di vista è cambiato: nelle organizzazioni aziendali è nata l’esigenza di analizzare il grado di benessere lavorativo delle risorse umane, considerate il motore dell’organizzazione stessa, per progettare interventi mirati all’aumento della produttività.

All’interno del clima organizzativo rientrano una serie di percezioni che sono legate a variabili organizzative quali: la struttura organizzativa, il rapporto con i colleghi e con i superiori, il carico di lavoro e gli stili gestionali. Il clima è inoltre in relazione con altre variabili di tipo soggettivo, come la motivazione e la soddisfazione lavorativa.

L’essere umano, per esprimere al meglio le proprie potenzialità, necessita di una condizione motivante e stimolante. Sul fronte lavorativo il suo operato diventa più efficace ed efficiente, permettendo all’organizzazione di avere a disposizione una forza attiva e massimamente produttiva in quanto positivamente sollecitata e soddisfatta. Se diminuisce o scompare il fattore motivazionale, si rischia di passare a stati fisici e psicologici difficili, che vanno dallo stress lavoro correlato al burnout, il totale annientamento. Questi ultimi, se non affrontati e superati in maniera professionale, possono portare alla crisi aziendale.

Muovendo da queste premesse, il mio lavoro si propone come una riflessione sull’importanza che rivestono le risorse umane nelle organizzazioni, e sottolinea il legame positivo tra le attività rivolte alla valorizzazione del capitale umano e le performance dell’impresa.

La tesi si articola in 4 capitoli, più una appendice finale.

Nel primo capitolo viene introdotto l’argomento del clima organizzativo: si percorre un’evoluzione storica che parte dagli anni ’30 del 1900, con riferimento a ricerche sul tema, e si sviluppa fino all’epoca attuale. Vengono poi descritti gli approcci teorici strutturale, percettivo, interazionista e culturale, ed analizzata la figura delle risorse umane. Infine, si prendono in considerazione le emozioni e vengono brevemente analizzate le emozioni primarie.

Per valutare il benessere di un’organizzazione vi sono degli elementi cardine, che vengono analizzati nel secondo capitolo del presente lavoro. La motivazione, unitamente ad altri indicatori positivi come la collaborazione, la leadership, la comunicazione efficace, si affianca ad elementi negativi quali il mobbing, lo stress lavoro correlato ed il burnout.

Il terzo capitolo misura il clima organizzativo, in maniera sperimentale attraverso un approccio quantitativo: l’analisi di un questionario che misura il burnout. Ho sottoposto l’MBI (Maslach Burnout Inventory) ad un campione di 10 tra lavoratori e lavoratrici di età compresa tra i 35 e i 65 anni impiegati, con contratto di lavoro dipendente oppure liberi professionisti, in un’organizzazione che si occupa della vendita di prodotti assicurativi e finanziari sul territorio del Comune di Bologna. Obiettivo della misurazione è mettere in luce le eventuali criticità relazionali vissute dal singolo lavoratore, e come queste si ripercuotano sul risultato aziendale oltre che sugli aspetti personali del singolo.

I dati misurati sono stati raccolti in una tabella che correla le risposte date ad ognuno dei 22 item con il voto da 0 a 6, assegnato da ogni intervistato per ogni singolo item. Ciò ha consentito di avere il quadro completo della situazione e di trovare delle correlazioni utili per valutare il livello di clima organizzativo di quella specifica realtà aziendale, e di pianificare un eventuale intervento per migliorarlo.

Nel quarto ed ultimo capitolo si esemplifica una strategia di analisi di clima organizzativo: viene proposta una case history per la formazione aziendale sottoposta ad un’azienda del Comune di Bologna che si occupa di apparecchiature informatiche. Le sue fasi principali – l’assessment, il piano di intervento con i relativi risultati, il follow up – ne caratterizzano la forma di presentazione.

Le conclusioni del mio trattato includono una valutazione complessiva, con opportune considerazioni.

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Management del benessere organizzativo

Management del benessere organizzativo: ciò che può fare la differenza

Il benessere psicologico è un costrutto multidimensionale in cui si integrano l’aspetto fisico e l’aspetto mentale, in relazione a ciò che avviene nell’ambiente circostante; in ambito lavorativo, parlando di management del benessere organizzativo si intende il benessere come sinonimo della piena espressione del potenziale di ciascun individuo (1,7), sia a livello emotivo sia cognitivo, che rappresenta un aspetto preponderante del clima organizzativo.

Il clima diventa quindi un tema centrale nell’analisi della salute di un’organizzazione, è condiviso dai suo membri, si compone di percezioni e rappresentazioni cognitive, è relativamente stabile nel tempo, è capace di influenzare i comportamenti e può essere usato dai lavoratori stessi come base per interpretare le situazioni e i cambiamenti che sopraggiungono.

Sommariamente, il raggiungimento dei livelli attesi di crescita e benessere può avvenire tramite il soddisfacimento dei fondamentali bisogni di competenza personale, autonomia e relazionalitá, in tutte le loro sottodimensioni (4).

Parlando di management del benessere organizzativo, si può fare riferimento ai diversi studi nell’ambito del benessere lavorativo, tra i quali emerge il modello JD-R (Job Demands-Resources model) per cui ogni occupazione è caratterizzata da richieste e risorse, intendendo come richieste quegli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi del lavoro che, richiedendo sforzi o abilitá, intensi comportano costi fisiologici e psicologici, mentre le risorse sono tutti gli aspetti che sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi, riducono le richieste lavorative e i costi ad esse associati, stimolano l’apprendimento e la crescita personale (2).

Un importante indicatore di benessere psicologico è rappresentato dalla soddisfazione lavorativa, in relazione alle diverse caratteristiche dell’organizzazione e delle attività svolte, tra cui il carico di lavoro, la chiarezza dei ruoli e le relazioni con superiori e colleghi (8,9).

Da questa breve analisi si può comunque dedurre che sono numerosi gli aspetti in grado di danneggiare il benessere dell’organizzazione, tra i quali si possono riscontrare frequentemente la scarsa chiarezza e i conflitti riguardanti i ruoli e le procedure di lavoro, la non equa giustizia relazionale dei supervisori, il supporto scarso o addirittura assente dei colleghi: tali aspetti devono essere attentamente e costantemente valutati ed riaggiustati poiché possono portare a problematiche profondamente incidenti sul lavoratore, fino alla comparsa di reazioni fisiologiche e comportamentali allo stress quali ad esempio disturbi del sonno e aumento dell’assenteismo, che si riflettono poi sulla salute organizzativa dell’intera azienda, innescando un circolo dal quale diviene complesso uscire (3).

Un ulteriore indicatore di assenza di benessere emotivo a lavoro è l’esaurimento emotivo, conseguenza a lungo termine di stress e richieste/pressioni lavorative, in grado di influenzare le prestazioni dell’individuo: una distribuzione non equa dei compiti o un eccessivo carico di lavoro dovuto a richieste elevate non accompagnate da un’adeguata preparazione o sostegno, una gestione incoerente delle priorità, possono contribuire a incrementare il vissuto di malessere del lavoratore fino ad arrivare a veri e propri fenomeni come ad esempio il burnout, in cui i soggetti sviluppano un lento processo di logoramento o decadenza psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato, con conseguente esaurimento e depersonalizzazione (5).

La rilevazione del clima e del benessere organizzativo è perciò un intervento molto importante che dota l’azienda di un proprio barometro sociale interno, fornendo al management un quadro aggiornato sulle percezioni del personale, utile per poter comprendere eventuali problematiche emergenti e per poter intervenire repentinamente laddove ve ne sia necessità.

Non bisogna sottovalutare quindi il vissuto dei lavoratori sia come singoli sia come gruppo e occorre focalizzarsi sul potenziamento delle risorse personali e aziendali (6), come l’auto efficacia e il supporto esterno, oltre che attuare progetti di prevenzione a partire dalla predisposizione di tavoli di lavoro durante i quali rivedere periodicamente le procedure, al fine di semplificarle il più possibile, nonché pianificare interventi formativi con particolare attenzione al management, per incrementarne la capacità di gestione dei collaboratori, di valutazione delle prestazioni e di gestione dei feedback.

In questo articolo abbiamo quindi parlato di management del benessere organizzativo e del ruolo fondamentale che ricopre nell’analisi della salute aziendale, aspetto spesso sottovalutato nelle valutazioni e nei controlli periodici; se avete commenti, dubbi, domande o volete esprimere il vostro parere, non esitate a contattarci.

 

© Il management del benessere Organizzativo – Dott.ssa Alice Franceschini

 

Bibliografia

1.Adams T, Bezner J, Steinhardt M: The conceptualization and measurement 1. of perceived wellness: Integrating balance across and within dimensions. Am J Health Promot 1997; 11: 208-218.
2. Bakker AB, Demerouti E: Job demands-resources theory. In Chen PY, Cooper CL (eds.): Work and Wellbeing: A complete reference guide. Chichester, UK: Wiley-Blackwell, 2014: 37-64.
3. Caplan, R. D., Cobb, S., & French, J. R. (1975). Job demands and worker health; main effects and occupational differences. In Hew Publication (NIOSH) (Vol. 75). DHEW.
4. Dal Miglio, G., P. R., Salomone, A., & Zamaro, N. (2012) Clima e benessere organizzativo nel quadro dei sistemi di valutazione delle performance.
5. Demerouti, E., Mostert, K., & Bakker, A. B. (2010). Burnout and work engagement: a thorough investigation of the independency of both constructs. Journal of occupational health psychology, 15(3), 209.
6. Hantula, D. A. (2015). Job satisfaction: The management tool and leadership responsibility. Journal of Organizational Behavior Management, 35(1-2), 81-94
7. Harari MJ, Waehler CA, Rogers JR: An Empirical Investigation of a Theoretically Based Measure of Perceived Wellness. J Counsel Psychol 2005; 52: 93-103.
8. Kooij, D. T., Jansen, P. G., Dikkers, J. S., & De Lange, A. H. (2010). The influence of age on the associations between HR practices and both affective commitment and job satisfaction: A metaanalysis. Journal of Organizational Behavior, 31(8), 1111-1136.
9. Yaacob, M., & Long, C. S. (2015). Role of occupational stress on job satisfaction. Mediterranean Journal of Social Sciences, 6(2 S1), 81.

 

 

 

Riorganizzazione interna

Riorganizzazione interna

 

“…. un’azienda di servizi (trasporti pubblici) stava operando una riorganizzazione interna, con l’obiettivo di sostituire alcuni manager con un team di gestione e coordinamento di tutte le attività aziendali.

In tal modo si evitava di accentrare tutte le funzioni, operatività e responsabilità su alcune persone riducendo il rischio di accentrare il potere e snellendo le decisionie le attività (leadership diffusa).

Le persone del team furono scelte in funzione del ruolo, delle capacità e delle competenze possedute anche se non avevano l’esperienza di gestione e coordinamento richiesta.

Esigenza: creare squadra (coesione, condivisione e collaborazione), fornire formazione, supporto e sostegno sia individualmente sia come team.

Soluzioni e azioni attuate:

1. Assessment

somministrazione di un test ai componenti del team allo scopo di individuare le aree di miglioramento individuali in relazione alla posizione ricoperta e ai compiti del ruolo e restituzione individuale.

2. Team building

semiresidenziale durante un week end allo scopo di creare squadra, stabilire obiettivi aziendali (budget aziendali, di team e individuali) e condividere il percorso stabilito.

3. Incontri con il team – con cadenza quindicinale allo scopo di:

a. Creare squadra.
b. Fornire supporto e sostegno al cambiamento.
c. Individuare, affrontare e risolvere le criticità interne.
d. Definire azioni di miglioramento.
e. Definire e condividere obiettivi.
f.  Definire e condividere l’operatività.
g. Stimolare la collaborazione.
h. Fornire strumenti e chiavi di lettura per gestire le relazioni sia interne che esterne al team.

4. Incontri individuali – con cadenza quindicinale allo scopo di:

a. Individuare criticità e difficoltà soggettive.
b. Fornire supporto e sostegno al cambiamento.
c. Definire azioni di miglioramento.

Risultati ottenuti:

1.    Senso di squadra, condivisione e collaborazione.
2.    Miglioramento delle performance lavorative.
3.    Miglioramento clima interno al team.