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Selezione e inserimento di nuove figure

Selezione e inserimento di nuove figure

 

“…. un’azienda commerciale dopo attente valutazioni aveva inserito nuove figure commerciali e figure di coordinamento dall’esterno (Capi area),

Dopo poco tempo iniziarono incomprensioni, tensioni e conflitti proprio nelle aree dove erano avvenuti gli inserimenti.

L’omeostasi socio/organizzativa si era rotta e il conflitto tra gruppi di persone di diversa attitudine, formazione, esperienza e ruolo si è aggravato in conflitto d’interessi, come se il risultato positivo per l’Azienda, non fosse un obbiettivo comune e utile a tutti.

In pochi mesi, le incomprensioni fra i diversi reparti è degenerato fino a atteggiamenti generalizzati di chiusura, diffidenza, maldicenze e boicottaggio.

Le vendite dell’Azienda registrarono un calo consistente già nel primo anno, ci fu un peggioramento del clima aziendale  e l’aumento del turn over. Questi  furono solo alcuni dei sintomi di un aumento del disagio lavorativo.

Il nostro intervento ha messo in atto le seguenti azioni:

1. Assessment

Somministrazione di un test ai componenti del team allo scopo di individuare le aree di miglioramento individuali in relazione alla posizione ricoperta e ai compiti del ruolo e restituzione individuale.

2. Incontri individuali allo scopo di:

a. Gestire e superare le criticità soggettive emerse dall’assessment.
b. Definire azioni di miglioramento.
c. Fornire strumenti, supporto e sostegno.

3. Incontri con il gruppo di commerciale ed il relativo area manager allo scopo di:

a. Creare squadra.
b. Definire azioni di miglioramento.
c. Definire e condividere obiettivi di vendita.
d. Stimolare motivazione e collaborazione.
e. Fornire strumenti e chiavi di lettura per gestire le relazioni interne.

4. Supporto alla Direzione allo scopo di:

a. Stabilire se vi fossero i presupposti per mantenere le persone inserite.

E ha permesso di ottenere i seguenti risultati:

1.    Aumento della motivazione.
2.    Senso di squadra, condivisione e collaborazione.
3.    Miglioramento clima interno al team.
4.    Incremento delle vendite.

 

© Relazione tra reparti – Psicologiadellavoro.org

Relazione tra reparti

Relazione tra reparti

 

“  …la divisione Italiana di un’Azienda Multinazionale, che progetta e vende macchine per l’industria, lamentava difficoltà nel coordinare il lavoro tra alcuni reparti dell’organizzazione. Gli Agenti venditori, pur efficaci nella loro azione commerciale, trascuravano spesso le procedure burocratiche, compilavano male i documenti…  mettendo così in difficoltà i colleghi Amministrativo-Gestionali, che se ne lamentavano continuamente.  Il reparto tecnico – gli Ingegneri progettisti – si vedevano trascurati dalla Direzione Aziendale a favore dei Commerciali, i quali procurando grossi contratti venivano dai Manager portati ad esempio come artefici del successo aziendale. Quando poi il migliore dei venditori fu promosso A.D. della divisione, si trovò a coordinare tutti gli altri, compresi gli Ingegneri che già percepivano il proprio lavoro come sottovalutato, in un clima pesante e con una leadership non riconosciuta.

Si erano creati gli stereotipi del Tecnico, preparato ma noioso e intrattabile, del Commerciale, bravo nelle relazioni ma inaffidabile e approssimativo, e dell’addetto di Amministrazione-Gestione, preoccupato solo di controllare l’esattezza dei documenti e far quadrare i conti, incapace di cogliere altrui bisogni di maggior flessibilità.

Il conflitto tra persone di diversa attitudine, formazione, esperienza e ruolo era diventato conflitto d’interessi. Come se il risultato positivo per l’Azienda, non fosse un obbiettivo comune e utile a tutti.

In pochi mesi, le incomprensioni fra i diversi reparti divennero chiusura, diffidenza, invidia, maldicenze, boicottaggio. Si moltiplicarono gli errori, procedure che richiedevano collaborazione e fiducia reciproca divennero impossibili da portare a termine, e i tempi di realizzazione dei progetti si allungarono. Il risultato economico dell’Azienda registrò un calo del 30% in un anno e mezzo. Alcuni contrasti personali degenerarono, due persone chiesero il trasferimento in altra unità operativa. Per alcuni mesi persino le assenze per malattia aumentarono sensibilmente” .

Un colloquio tra due nostri Consulenti e i Responsabili di Reparti e H.R., seguito da un Assessment sul personale, ha evidenziato diverse criticità e consentito di concordare due interventi Formativi, appositamente costruiti su precisi obbiettivi, e poi erogati al Personale Dipendente e ai Managers di Reparti e Risorse Umane.

Abbiamo riscontrato molta curiosità, e disponibilità da parte di quasi tutti. Chiedendo loro di mettersi in gioco (a volte letteralmente) abbiamo “mescolato le carte” e portato i partecipanti a considerare anche il punto di vista dell’altro.  Attraverso l’utilizzo di  esercitazioni pratiche abbiamo portato in aula tecniche efficaci di comportamento, e suggerito come prevenire e risolvere i conflitti fornendo sia strumenti di riflessione  che  di applicazione.  Il nostro operato si è focalizzato sul miglioramento del benessere psicologico quale presupposto di una maggiore produttività del personale con conseguente implementazione del fatturato aziendale. In ultimo migliorando la comunicazione, a tutti i livelli, abbiamo ottenuto un clima aziendale sereno ed una nuova capacità di collaborare – facendo squadra – agli obbiettivi comuni a tutti: il benessere psicologico e il risultato economico dell’Azienda.

Grazie al Follow-Up, tornati in Azienda a distanza di tempo, abbiamo verificato che il nuovo approccio relazionale si è stabilizzato nei comportamenti delle persone, ed è da queste percepito come utile anche nella vita privata.

 

© Relazione tra reparti – Psicologiadellavoro.org

Le attività e le competenze del selezionatore

Le attività e le competenze del selezionatore

Definizione

Il selezionatore è una figura professionale che svolge una serie di attività che hanno per obiettivo l’acquisizione di risorse umane contribuendo a costituire lo stock di professionalità di cui ha bisogno un’organizzazione.

Premesso che il Selezionatore può essere un lavoratore autonomo o dipendente, di seguito elenco alcune attività, competenze e attitudini di questa professione.

 

Le attività

    • Individua i fabbisogni dell’impresa o del cliente
    • Analizza le posizioni vacanti e il fabbisogno di risorse umane
    • Definisce le caratteristiche del profilo richiesto tracciando in tal modo un Profilo Ideale che comprenda competenze tecniche, soft skills e caratteristiche personali richieste dalla funzione)
    • Ricerca il personale potenziale utilizzando diverse fonti informative (agenzie, internet, consulenti, ecc.)
    • Analizza le candidature interne ed esterne e le classifica per caratteristiche
    • Effettua una scrematura dei candidati sulla base dei curricula ricevuti e dei criteri di selezione stabiliti
    • Contatta i candidati da sottoporre a colloquio
    • Intervista i candidati
    • Utilizza strumenti di assessment (test, assessment center, ecc)
    • Stabilisce la corrispondenza tra le caratteristiche dei candidati e quelle del profilo ideale
    • Individua tra i candidati valutati quelli idonei a ricoprire le posizioni lavorative.

 

Quali sono le Competenze e attitudini che deve avere?

Competenze tecniche

    • Competenze in psicologia del lavoro
    • Capacità di effettuare analisi dei fabbisogni professionali
    • Capacità di costruire Job Description e Job Analisys
    • Capacità di applicare le tecniche di ricerca del personale
    • Capacità di utilizzare i sistemi di reclutamento del personale
    • Capacità di svolgere colloqui di selezione
    • Conoscenza e capacità di utilizzare strumenti come Test psicologici (attitudine, personalità, ecc.), Assessment center
    • Capacità di effettuare un bilancio di competenze
    • Capacità di individuare candidati idonei a ricoprire le posizioni lavorative scoperte.

Competenze trasversali

    • Capacità organizzative
    • Capacità di ascolto
    • Capacità di analisi
    • Capacità relazionali (empatia)
    • Capacità di gestione e sviluppo delle risorse umane
    • Raccolta e gestione delle informazioni
    • Autonomia
    • Capacità decisionali

 

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© Le attività e le competenze del Selezionatore – Andrea Castello

 

 

Selezione e Assessment center

L’analisi a priori: la selezione e l’assessment center

In questo caso, le leve operative proposte, hanno la finalità di analizzare la motivazione che un determinato soggetto ha a priori, ossia prima di iniziare la sua esperienza lavorativa, o di intraprendere una nuova attività o responsabilità. Un’analisi di questo tipo, condotta con tecniche preventive come la selezione e le sedute di assessment (insieme di tecniche basate su colloqui motivazionali e test situazionali), è utile nel momento in cui si voglia fare una previsione sul grado di accettazione dell’attività proposta al soggetto, e sul livello di competenze che “potenzialmente” sarà in grado di mettere in pratica sul campo. Il manager, fin dalla in fase di selezione e di pianificazione della prestazione, gode pertanto di una straordinaria opportunità: quella di stimolare il collaboratore a mettere in campo o modificare (nel caso di una risorsa già operante) certi comportamenti. L’accordo iniziale sulla prestazione è determinante ai fini del risultato, in quanto il collaboratore deve sapere su cosa e come sarà valutato. Il valore attribuito al risultato finale può rappresentare uno degli input motivazionali, che vanno evidenziati in una sorta di “patto iniziale” con se stessi e richiamati nei momenti di caduta della motivazione.

Una volta condivisi gli obiettivi il valutatore deve stimolare e verificare i cambiamenti e miglioramenti nell’anno con interventi di assessment, ma non è raccomandabile arrivare alla fine dell’anno per valutare quei comportamenti. In sede di assessment è importante esplicitare al dipendente qual è il risultato e il vantaggio, in termini di gratificazione, che lo sviluppo della competenza consentirà di conseguire. Secondo differenti indagini aziendali, infatti, sembra che la più comune causa di prestazioni insoddisfacenti da parte dei collaboratori non sia legata alle scarse competenze, o alla scarsa volontà del collaboratore, bensì alla poca chiarezza sugli obiettivi e sulle aspettative che i superiori hanno dai collaboratori stessi. Sempre riferendosi al modello prima esposto della prestazione, la selezione e altri strumenti come l’assessment sono finalizzati a capire anche se, per una data posizione, l’inadeguatezza di un soggetto sia da imputare ad un difetto di capacità o di motivazione. Ciò risponde ad almeno due necessità. In primo luogo orientare la formazione iniziale verso l’elemento che sia risultato carente, qualora tale elemento non sia da considerarsi strategico e per ciò stesso imprescindibile per lo svolgimento della specifica mansione. Inoltre, in questa maniera, è possibile rendere coerenti le valutazioni fatte a posteriori con quelle fatte a priori, così che misurino l’eventuale superamento del gap di quell’aspetto specifico precedentemente misurato. Questo lavoro di ancoraggio  tra competenza e risultato atteso (che ricorda le già esposte tecniche di PNL), può emergere dal processo di rilevazione del gap, in un processo che nella prassi viene definito mappatura delle competenze collegate alla performance di eccellenza, attraverso la diagnosi del gap individuale e la predisposizione di un piano di sviluppo, secondo una logica di “performance improvement”. Non bisogna quindi terminare l’intervista di valutazione senza stabilire chiaramente quali sono gli obiettivi di sviluppo per il prossimo periodo, ed il piano di azione per raggiungerli. Le sedute di assessment, costituiscono inoltre una sistematica verifica del grado di apprendimento ed integrazione nell’azienda, due variabili chiavi nel predire il livello di motivazione attuale e prospettico del lavoratore.

Come già anticipato questa fase dovrà concentrarsi su competenze di natura generica, che essendo tali possono adattarsi a qualsiasi attività lavorativa (sistemi di skill evaluation). Fra queste si hanno principalmente le intelligenze cognitive  (percezione ambientale, creazione di aspettative, progettazione comportamentale, etc), e le intelligenze emotive , che creano meccanismi di repulsione/attrazione classificando i fenomeni in piacevoli e dispiacevoli, e così via. In accordo con il fine di indagine del presente lavoro, si ritiene utile approfondire le caratteristiche dell’intelligenza emotiva, come dimensione della competenza più strettamente legata alla motivazione. L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere, capire ed utilizzare con efficacia il potere delle emozioni trasformandolo in energia, empatia, informazione, affidabilità e creatività per arrivare ad un certo risultato. A questo riguardo è doveroso fare alcune precisazioni, che si ritengono importanti da un punto di vista manageriale. Il fatto di vedere soddisfatti i propri bisogni, o viceversa di incontrare degli ostacoli nel perseguire i propri scopi, suscita nel lavoratore delle emozioni. Pur essendo emozione e motivazione due processi fra loro interdipendenti, spesso il manager li confonde. Lo studio della motivazione cerca di spiegare il perché di un comportamento, lo studio dell’emozione descrive la reazione ad un cambiamento. Quindi non sempre un lavoratore che non manifesta in modo evidente una dose di emotività o empatia non ha motivazioni. Avrà delle motivazioni che si esternano con altre modalità. Simmetricamente se un lavoratore non reagisce a degli incentivi, non vuol dire che non è coinvolto o che il lavoro non gli da emozioni, ma può aver bisogno di altri tipi di incentivi, o ha delle motivazioni incoerenti con il tipo di incentivi che gli si sta proponendo per attivare il suo comportamento. Sempre in riferimento alla motivazione ed all’emozione bisogna fare ulterioriormente chiarezza. Tradizionalmente la motivazione viene considerata una “eccitazione organizzata”, ossia un’attività programmata e consciamente orientata alla realizzazione di un determinato scopo . L’emotività, invece, si ritiene a torto essere una forma di “eccitazione disorganizzata”, nel senso che non è funzionale ad un particolare obiettivo. In realtà esistono motivazioni non conosciute o non controllabili e persone che conoscono e controllano perfettamente il proprio stato emotivo. Nel lavoro, l’esperienza delle emozioni positive produce un valore che le organizzazioni devono essere pronte ad apprezzare ed utilizzare, in quanto rappresentano delle vere e proprie energie da incanalare, disporre e armonizzare in vista di mete, budget e obiettivi predefiniti. Fino a poco tempo fa essere emotivo sul lavoro era un segno di debolezza. Oggi le cose stanno cambiando, e le aziende ricercano sempre di più gente creativa, gente che apporti, ossia assertiva, né passiva, né aggressiva. Se prima era visto come un segnale di debolezza, adesso è visto come un segnale di forza. La motivazione, quindi, è una parte delle competenze personali dell’intelligenza emotiva. Le emozioni di un lavoratore, inoltre, accompagnano la sua esperienza cognitiva e anzi svolgono spesso una funzione adattiva, rappresentando, tra l’altro, una fonte propulsiva di altissimo valore. Gli effetti dannosi che talvolta si osservano, vanno più che altro imputati a inefficienze del processo di regolazione emozionale del soggetto. Essere emotivi non vuol dire dare briglia sciolta alle emozioni, vuol dire, invece, avere un’autoconsapevolezza, sapere che cosa si sente e, nel momento in cui si riesce a capire, imbrigliare questa energia e usarla nel migliore dei modi.

Le emozioni poi vengono ancora viste come appartenenti al mondo privato o comunque a quello del “non-lavoro” e la loro manifestazione è ben accetta, purché avvenga altrove rispetto all’ambiente produttivo. L’equilibrio, invece, tra lavoro e vita richiede che s’investa in emozioni per favorire l’apprendimento emotivo e recuperare un’educazione alla gestione delle emozioni. Ci si riferisce in particolare alle emozioni positive come l’entusiasmo, la sorpresa, la gioia, l’affetto, il sentirsi vitali, peculiari della motivazione. Educare alla gestione ed al riconoscimento delle competenze emozionali, significa per l’organizzazione migliorare le sue basi per il conseguimento degli obiettivi di crescita e per favorire la produzione di un benessere soggettivo e collettivo.

Tra gli approcci di nuova generazione nell’analisi della motivazione attraverso le competenze, hanno un grande rilievo i metodi “esperienziali” volti a capire quali elementi si presentano combinati nei casi di successo, raffrontati a quelli che si presentano o non si presentano nei casi di insuccesso. La tecnica utilizzata è un tipo di intervista che richiede di ricostruire e descrivere situazioni di successo e di insuccesso esplicitando ciò che si è fatto e con quali risorse. In quest’area lo strumento più affermato è il behavioral event interview (BEI) o “intervista del comportamento di evento”, realizzato da David McClelland , che fa parte dei più generici Competency Assessment Methods e delle più generiche “tecniche proiettive”, in cui si chiede all’intervistato quale comportamento metterebbe in atto in situazioni e circostanze simili a quelle del ruolo specifico . L’intervista narrativa o le altre tecniche di proiezione simulata del ruolo come il role playing e il business game, si basano sul presupposto che il comportamento umano ha modelli che si ripetono , per cui, attraverso un osservazione a ritroso, cerca di analizzare gli eventi critici nella vita e nella carriera di una persona, al fine di trarre alcuni fattori come gli atteggiamenti, le motivazioni, le intenzioni, l’immagine di sé, rilevabili in una determinata situazione lavorativa. L’idea è che il comportamento attuale, ma soprattutto quello passato, forniscono il migliore modello predittivo di quale sarà il comportamento futuro, a differenza delle normali interviste basate esclusivamente sulla formazione, sull’esperienza e sulle conoscenze, tutte informazioni già rilevabili nel documento curriculare. Quindi non solo quali competenze ha un candidato, ma “come” e “perchè” li mette in pratica. In questa maniera è possibile comprendere quali sono le abilità trasversali che qualificano le competenze tecniche del soggetto, le aree che maggiormente lo motivano, dal momento che hanno portato a risultati di successo e le aree che invece non gli procurano alcuna soddisfazione .

E’ però possibile una verifica a priori della rispondenza del candidato alla posizione, solo nella misura in cui, ancora prima dell’intervista, si è stabilito quali reazioni sarebbero da considerare performanti e quali comportamenti si ritiene che rivelino una forte motivazione al lavoro nei casi specifici che si chiederà di descrivere. Verrà quindi operato un confronto tra il modello teorico previsto e il racconto del candidato. Inoltre la tecnica dell’intervista sul comportamento di evento consente a posteriori di verificare quasi sul campo se, effettivamente, il candidato ha delle forti motivazioni al lavoro che lo spingono a profondere maggiore impegno, qualora gli si presentino situazioni analoghe a quelle che aveva descritto ed in cui ha la possibilità di dimostrare la sua coerenza di fondo. Infatti uno dei problemi maggiori di questo tipo di tecnica è quello delle così dette “vite inventate”. Il fatto cioè che, essendo ormai sempre più diffuso questo tipo di intervista, si corre il rischio che i candidati si preparino delle situazioni ipotetiche ad hoc per ogni tipologia di domanda, simulandole perfettamente durante il racconto, o, quantomeno, esagerando situazioni reali. Ciò succede intanto in conseguenza di un sempre più diffuso utilizzo dei media (soprattutto di internet) per promozionare l’immagine ed i valori aziendali. Questo fa sì che, il potenziale candidato, ha la possibilità di inventare delle situazioni da cui traspare l’idea di candidato ideale per una data società, o comunque, “aggiustando il tiro” di un’esperienza effettivamente avuta, orientandola verso l’idea di un’esperienza di successo, in conformità con le informazioni apprese su internet o con altri mezzi. Inoltre, soprattutto in ambito anglosassone, sia gli uffici di orientamento al lavoro di alcune università come quella di “Law and Economics”, sia le società specializzate in outplacement , allenano il candidato sulle più frequenti caratteristiche ricercate dai datori di lavoro e sulle tipologie di domande che verranno fatte durante l’intervista. Ma c’è di più. Non è infrequente, infatti, trovare dei forum o delle newsletter su internet in cui ex-candidati sottoposti ad intervista, abbiano avuto la pazienza e la bontà di pubblicare le domande che di solito vengono fatte nelle maggiori società come Hewlett-Packard, Nike, Microsoft, Intel, etc., dove vengono fatti centinaia di colloqui al giorno. Sono quindi necessarie delle contromisure per evitare di cadere in tranelli o lasciarsi affascinare da racconti fittizi. In primo luogo la semplice consapevolezza del problema (che non è così diffusa come si può pensare) mette in allerta l’intervistatore nel cercare evidenti segnali di bluff. Ad esempio, il fatto che non faccia neanche un secondo di pausa di riflessione prima di rispondere alla domanda, o che ha uno sguardo sicuro e diretto durante il racconto (quando invece di solito quando si parla pensando al passato si guarda altrove) è un indice del fatto che ha preparato quella domanda . In secondo luogo, per confermare l’autenticità della storia e degli esempi del candidato, gli intervistatori devono scendere nei particolari e richiedere aspetti specifici della storia, esibendo però un tono di curiosità e non da indagatore, cosa che altrimenti potrebbe bloccare il candidato. Un altro modo può essere quello di chiedere non solo cosa ha fatto, ma anche cosa ne pensava di quello che stava facendo, e cosa ne pensa ora a mente fredda. Diverse ricerche, infatti, dimostrano che è difficile per un falsificatore mantenere una coerenza costante fra tutti e tre i livelli di racconto. Inoltre il fatto che abbia preso una posizione di giudizio sia al tempo in cui stava svolgendo l’attività, sia al momento del racconto, indica che l’esperienza è effettivamente avvenuta, poiché ha lasciato un segno, tanto da indurre il soggetto ad una sua revisione critica.

Un’altra tecnica si basa sul principio che i candidati che sostengono di aver avuto dei successi significativi, devono imparare qualcosa dalle loro esperienze. Se può essere facile fabbricare un successo, lo è molto meno inventare esempi di che cosa si è imparato da un successo. Per cui domande tipo “cosa le ha insegnato l’esperienza” o “come applichi quello che hai imparato da allora” possono servire a individuare il candidato simulatore. Per concludere l’intervistatore puòfare alcune domande che richiedono al candidato di dimostrare quello che conosce, in tempo reale, e non evincendolo dalla descrizione delle cose di successo che ha fatto in passato. Alternativamente si può sempre prendere spunto da situazioni già raccontate, ma cambiando alcuni fattori interagenti o le variabili di azione, per vedere se la sua competenza di successo è ancora tale anche “cambiando il finale”. Questo tipo di domande, infatti, devono essere risposte sul momento, e non possono essere preparate .

Il vantaggio principale di questo metodo è la capacità di cogliere gli aspetti delle competenze specifici ad un particolare compito, aspetto importante sia ai fini della  formazione e dello sviluppo, sia per ricompensare le capacità e le competenze che hanno particolare valore in quel compito e che non sarebbero rilevanti in un approccio standardizzato, basato su metodologie classiche di intervista uguali per tutti. Uno svantaggio è il carattere statico, orientato al passato e poco evolutivo di un’analisi centrata sulle competenze che hanno mostrato di generare comportamenti efficaci, ma che nulla dice su quali altre combinazioni di competenze sarebbero state possibili e forse più efficaci, né quali altri comportamenti si sarebbero potuti generare con le stesse competenze. Un altro forte svantaggio, come si è detto, è la possibilità di comportamenti opportunistici. L’intervista basata sul comportamento, continua pertanto ad essere uno strumento efficace per selezionare i candidati che devono avere certe competenze e attitudini, tra cui la capacità di automotivarsi e la motivazione verso quella specifica mansione, ma le tecniche su cui si fonda dovranno evolversi, per tenere conto della maggiore preparazione dei candidati e della necessità di rilevare la dinamicità nel riformulare e ricombinare continuamente il proprio asset di competenze, in risposta ad un’elevata competitività. Ancora più complesso il caso in cui si utilizzino test strutturati allo stesso modo. In questi casi, l’appropriatezza della prestazione, come si evince dall’analisi del test, non costituisce un indicatore preciso o scientifico della presenza di motivazione. Come nel caso dell’istruzione programmata, in cui ciascuna conoscenza è distribuita in un piccolo gruppo di domande all’interno di test di verifica dell’apprendimento, se la risposta data dal soggetto è corretta, la medesima ricompensa, sarà attribuita anche a chi ha individuato la risposta giusta per caso, tirando ad indovinare, il che, tra l’altro, può finire per indebolire anche la motivazione estrinseca del candidato. L’ottenimento di quel posto, cioè, non costituisce più una sfida (vedasi la parte teorica in cui si è parlato di automotivazione).

 

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

 

 

Strumenti di Assessment

Gli strumenti di assessment che proponiamo al momento sono:

 

    • Matrix® – sistema di “Valutazione delle Risorse Umane“, si fonda su principi di Psicologia, Neuroscienze e sulla “Individuazione delle Competenze“, e consente di gestire in modo uniforme il collegamento tra i comportamenti delle persone (Profili reali) e gli obiettivi aziendali (Profili attesi), fornendo reports sul profilo delle risorse, su come gestirle, su come comunicare con esse, sulle esigenze formative, sulle affinità, omogeneità ed aree critiche. Questo strumentopuò essere utilizzato per:

 

  1. La Valutazione ed il monitoraggio del personale (valutare le competenze trasversali)
  2. La selezione (individuazione del profilo ideale)
  3. La formazione (analisi dei gap formativi)

 

Per utilizzare Matrix® si deve andare nella sezione “Strumenti e Servizi On Line” e seguire le relative istruzioni

Per approfondire Matrix® cliccare QUI

 

 

Articolo 9 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Valutare l’organizzazione – Questionari

Questionari rivolti all’identificazione delle sorgenti di stress da lavoro e alla valutazione dell’organizzazione del lavoro:

 

Rispetto a questa prima classificazione l’autore identifica:

    • L’Occupational Stress Indicator (OSI) il questionario sviluppato da Cooper (1988) che, come dalla tabella riportata, è disponibile anche in italiano. Si tratta di uno strumento voluminoso, la cui auto-somministrazione richiede circa un paio d’ore. Le sue dimensioni fanno sì che esso sia frequentemente applicato in modo parziale. Il questionario indaga oltre ai fattori intrinseci al lavoro (fonti dello stress: relazione con altre persone, carriera e riuscita, interfaccia casa lavoro,…), le caratteristiche dell’individuo (stato di salute, locus of control,…) le strategie di capitolo quarto coping (supporto sociale, orientamento al compito, relazione casa lavoro,…) e gli effetti dello stress (soddisfazione per il lavoro, soddisfazione per l’impostazione e la struttura organizzativa,…). Gli elementi di disagio vissuto sono considerati possibili indicatori di criticità organizzativa.
    • Il questionario sui fattori di stress da lavoro (QFSL). Si tratta di uno strumento composto da 40 domande, a ciascuna delle quali la risposta è fornita mediante una scala Likert in 5 punti; fornisce un  punteggio complessivo, espressione del complessivo “strain” occupazionale, e sei sub-scale, corrispondenti a ciascuna delle classi di fattori di stress a cui fa riferimento. Tale strumento si basa sulla classificazione dei fattori di stress proposta da Raja Kalimo (1980) e riferita ai precedenti studi di Cooper et al. (1976), in sei categorie: fattori legati al ruolo nell’organizzazione, fattori intrinseci al lavoro, rapporti con gli altri, clima e struttura organizzativa, carriera, interfaccia con l’esterno. Il questionario fornisce una rappresentazione esaustiva dei fattori di stress professionale e si è rivelato efficace per identificare ed elencare tutti i fattori di stress potenzialmente presenti in una determinata situazione lavorativa.

Magnavita (2007) ha condotto uno studio allo scopo di verificare i risultati dell’applicazione del questionario. Il questionario è stato somministrato a 371 lavoratori della sanità. I risultati mostrano che la consistenza interna del questionario, che esprime la capacità di spiegare correttamente la varianza dei fattori di stress occupazionali rispetto all’ipotetica varianza reale di tutti i fattori di stress presenti nel luogo di lavoro, misurata mediante il coefficiente alfa di Cronbach, è risultata molto buona, cioè largamente superiore al livello convenzionale dell’80%, alfa=0,9284.

Tuttavia, l’autore sostiene che le categorie di fattori di rischio presentano evidenti sovrapposizioni e la lunghezza del questionario ne limita l’applicazione congiunta con altri strumenti di misura.

L’autore propone inoltre, sempre all’interno di questa categoria, alcuni questionari utili alla valutazione dell’organizzazione del lavoro, quali:

    • Il Questionario per la Valutazione dell’Organizzazione del Lavoro (WOAQ – Work Organisation Assessment Questionnaire) è uno strumento che è stato sviluppato dai ricercatori dell’Università di Nottingham nel quadro di un progetto per la valutazione e la riduzione dei rischi da lavoro nel settore dell’industria. Il WOAQ è costituito da 28 domande relative ai possibili rischi inerenti al design e al management del lavoro, ciascuna associata a cinque possibili risposte. Agli addetti viene richiesto di indicare, sulla base della propria esperienza e conoscenza, quanto sia problematico (o soddisfacente) ciascun aspetto del proprio lavoro, mediante una scala a cinque punti tipo Likert. La formulazione delle domande è di tipo situazionale più che psicologico. Ad esempio, si chiede “quanto pensa che questo aspetto del suo lavoro sia buono (o cattivo)?” piuttosto che “quanto è stressato da questo aspetto del suo lavoro?”. La direzionalità delle scale è stata variata al fine di ridurre la probabilità di risposte perseveranti. Nella versione originale inglese, l’esame della struttura fattoriale non ruotata ha indicato che una percentuale significativa della varianza del questionario è spiegata da un singolo fattore; viceversa, mediante rotazione Varimax sono stati identificati cinque fattori, relativi rispettivamente: alla qualità delle relazioni con il management; a ricompense e riconoscimenti; al carico di lavoro; alla qualità delle relazioni con i colleghi; alla qualità dell’ambiente fisico. La versione italiana del WOAQ conserva le caratteristiche dell’originale e manifesta relazioni coerenti con variabili correlate all’organizzazione del lavoro, come il sostegno sociale (col quale si correla positivamente), lo stress da lavoro e il malessere psico-fisico dei lavoratori (con i quali si correla in senso negativo). Il WOAQ si conferma quindi, per l’autore, uno strumento utile per la valutazione dell’organizzazione del lavoro.
    • Il questionario M_DOQ10 (Majer_D’Amato Organizational Questionnaire_10), è composto da 70 item su scala Likert a 5 punti e misura 10 dimensioni centrali dei fenomeni organizzativi: comunicazione, autonomia, coerenza, chiarezza dei ruoli, coinvolgimento nel lavoro, equità, relazioni e comunicazioni con i superiori, innovatività, dinamismo. Il questionario viene elaborato per via informatica mediante un programma dedicato. Il questionario indaga le caratteristiche dell’organizzazione aziendale e si è rivelato, più propriamente, un valido strumento di misura del clima organizzativo.

Tangredi et al., (2007) hanno condotto uno studio, allo scopo di sperimentare e validare un criterio per l’identificazione delle cause dello stress lavoro correlato, mettendo a punto un modello di valutazione del rischio, basato sul raffronto della rilevazione delle caratteristiche dell’organizzazione del lavoro, effettuata attraverso un questionario somministrato al responsabile e, la rilevazione della percezione soggettiva attraverso un questionario specifico somministrato al gruppo degli esposti. Il modello di valutazione del rischio, oggetto del presente studio, è stato sperimentato in un campione composto 268 lavoratori di 13 Amministrazioni Comunali appartenenti a categorie note per il rischio stress appartenenti a 23 strutture organizzative omogenee (agenti di polizia locale ed educatrici di asilo nido).

Il modello di valutazione del rischio sperimentato è basato sulla identificazione di “aree chiave” (possibili fonti di pericolo) nella organizzazione del lavoro, rilevate attraverso la somministrazione di un’intervista semistrutturata per la rilevazione degli elementi caratterizzanti l ’organizzazione del lavoro, al responsabile dell’organizzazione dell’attività lavorativa, accompagnata dalla verifica della relativa documentazione (procedure, mansionario, schede di autovalutazione,…) presente presso il luogo di lavoro. Le criticità rilevate nell’organizzazione del lavoro (es. poca chiarezza nelle mansioni, assenza di procedure operative e dell’autocontrollo sull’attività svolta, scarsa possibilità di chiarimenti da parte dell’organizzazione, …) sono, secondo il modello proposto, riconducibili alle cosiddette “aree chiave” (possibili fonti di pericolo per stress) per la determinazione dei gradi di probabilità di rischio.

La valutazione del rischio è stata completata con la rilevazione della percezione soggettiva del clima organizzativo nel gruppo degli esposti, attraverso la somministrazione del questionario MDOQ_10 (Majer_D’Amato Organizational Questionnaire_10). I fattori dell’organizzazione indagati con i due strumenti di rilevazione (fase 1: intervista e MDOQ_10) sono gli stessi: team, comunicazione, coerenza, valutazione della soddisfazione del lavoratore, valutazione della soddisfazione dell’azienda, carichi di lavoro, orari di lavoro, retribuzione e carriera, mansioni e procedure, autonomia, responsabilità, innovatività, formazione. Pertanto,il questionario MDOQ_10, complessivamente analizzato nel gruppo, è stato integrato nel modello di valutazione, con le rispettive variabili appaiate per analogia ai fattori caratterizzanti l’organizzazione del lavoro e riconducibili alle quattro aree chiave individuate (relazioni con il lavoro, vita lavorativa, processi di gestione, cambiamento).

Così come per gli aspetti dell’organizzazione del lavoro rilevati con l’intervista al responsabile, anche per gli aspetti della percezione del clima organizzativo da parte del gruppo degli esposti, le criticità emerse sono state considerate come campi di interventi correttivi specifici della realtà lavorativa presa in esame.

La valutazione del rischio (fase 2) è stata parallelamente integrata da un’indagine epidemiologica (fase 3) sugli effetti che il clima organizzativo può avere determinato sui lavoratori (intesi come vissuto personale di condizioni stressogene), attraverso la somministrazione di:

    • un questionario per la valutazione dello stress occupazionale (OSI) che, come abbiamo osservatosopra, indaga i fattori intrinseci al lavoro. Gli elementi di disagio vissuto sono considerati possibili indicatori di criticità organizzativa.
    • un questionario per la raccolta dei disturbi somatiformi (stress correlabili. L’indagine epidemiologica dei disturbi somatiformi costituisce un’utile integrazione al monitoraggio dello stato di benessere psico-fisico nel gruppo degli esposti.

In questa fase di indagine la Valutazione del rischio stress è stata caratterizzata dall’attività integrata del medico competente, della psicologa e del tecnico della prevenzione.

Per entrambe le categorie l’analisi delle aree chiave ha portato a risultati complessivamente concordanti, anche a conferma della corrispondenza dei fattori organizzativi presi in esame dai due strumenti di rilevazione utilizzati (intervista e questionario MDOQ_10).

Lo studio ha evidenziato come, sia pur a fronte di organizzazioni lavorative strutturate e di una percezione generalmente positiva del clima organizzativo, nei due gruppi emerga un vissuto di tensione relativamente ad alcuni aspetti dell’attività lavorativa (“relazioni con altre persone” e “ruolo manageriale” per le educatrici e “carriera e riuscita e “clima e struttura organizzativa” per gli agenti di polizia locale).

Gli autori con presente studio hanno inteso promuovere l’utilità di un modello integrato nella valutazione dei rischi che prevede la valutazione dell’organizzazione e valutazione della percezione del singolo.

Inoltre, i risultati hanno evidenziato che una valutazione integrata permette di rilevare più facilmente “aree di criticità”, anche quando apparentemente l’organizzazione è ben strutturata; o viceversa rilevare una buona percezione del clima organizzativo da parte dei lavoratori anche quando dall’analisi dell’organizzazione (intervista al responsabile) emergono invece criticità.

Gli autori ritengono che il metodo utilizzato abbia raggiunto gli obiettivi prefissati rivelandosi un buon modello da proporre ai soggetti coinvolti nella prevenzione e tutela del benessere psicofisico dei lavoratori, soddisfacendo esigenze di rilevazione sia oggettiva ché soggettiva.

Sottolineano, inoltre, l’utilità dell’approccio multidisciplinare (tecnico, medico, psicologo) sia nella fase di impostazione degli strumenti di studio, sia nelle fasi di valutazione e adozione dei provvedimenti, oltre che per un migliore controllo dello stato di salute dei lavoratori.

Concludendo gli autori auspicano per la valutazione dei fattori di rischio spico-sociali e dello stress lavoro correlato, nella pratica, l’uso di metodi integrati ed un approccio multidisciplinare.

Nella rassegna proposta da Magnavita (2008) non viene incluso un questionario che merita di essere citato:

    • Il questionario multidimensionale della salute organizzativa MOHQ inserito invece nella tabella proposta da Tabanelli et al. (2008). Il questionario consente di definire “lo stato di salute” dell’organizzazione e di individuare le aree sulle quali intervenire per promuovere migliori condizioni di lavoro. Si basa sul costrutto di “salute organizzativa” definita come “l’insieme dei nuclei culturali e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative”  (Avallone e Paplomatas, 2005). Come si può desumere dalla definizione l’oggetto di misurazione diventa la salute dell’organizzazione e dell’intera comunità lavorativa. L’obiettivo, infatti, nell’impiego di questo strumento è quello di desumere, attraverso l’analisi della relazione indivio-contesto, elementi di salute organizzativa piuttosto ché individuale.

Rispetto a molti altri strumenti presi in esame l’MOHQ dedica poca attenzione a variabili di tipo individuale, riservando un’unica scala, quella dei disturbi psicosomatici, tesa a cogliere le conseguenze sulla salute dell’individuo. Il questionario si costituisce di nove parti, ognuna della quali indaga diverse dimensioni:

    1. dati socio anagrafici
    1. costituita da otto item per valutare il “confort dell’ambiente di lavoro” (es. temperatura, silenziosità) percepito dai lavoratori
    1. costituita da quaranta item volti ad indagare dieci differenti dimensioni della salute organizzativa (es. chiarezza degli obiettivi, valorizzazione delle competenze, relazione interpersonali collaborative, fattori di stress, equità organizzativa ecc..)
    1. costituita da una scala composta da nove item valuta la “sicurezza del lavoro”
    1. costituita da scala composta da dieci item valuta le caratteristiche del lavoro e la “tollerabilità dei compiti assegnati”
    1. composta da dieci item relativi agli “indicatori positivi” (es. fiducia nel management) e quattordici item relativi ad “indicatori negativi” (es. insofferenza nell’andare al lavoro) per la valutazione delle sensazioni vissute nell’ambiente di lavoro
    1. composta da nove item relativi ad una sola scala quella dei disturbi psicosomatici
    1. costituita da una scala di nove item per indagare “l’apertura all’innovazione”
    1. costituita da un elenco di suggerimenti migliorativi.

Gli item sono formulati sotto forma di affermazioni sulle quali i soggetti esprimono il loro parere circa la frequenza, da mai a spesso, su scala Likert, con cui la situazione descritta nella frase si verifica all’interno della propria organizzazione.

Questo questionario è stato utilizzato all’interno di un ampia ricerca condotta, fra il 2002 ed il 2003, nella pubblica amministrazione (otto comuni e due ministeri e l’Inpdap) ed è stato somministrato ad oltre tremila soggetti. I risultati hanno mostrato, in sintesi, delle differenze nelle percezioni del campione indagato fra addetti comunali e ministeriali. L’organizzazione “comunale” si è configurata come un ambiente tendenzialmente positivo dal punto di vista della salute organizzativa indicando come dimensioni di criticità e possibile miglioramento l’area dell’equità organizzativa e la percezione di “sovraccarico lavorativo” che conduce spesso alla percezione da parte degli addetti di stress lavorativo. L’organizzazione “ministeriale” invece ha presentato una percezione globale di salute organizzativa critica anche se, rispetto all’organizzazione comunale, le percezioni degli intervistati rispetto alle dimensioni di tollerabilità dei compiti e di percezione di stress si sono rivelate tendenzialmente positive. Il basso livello di stress percepito dagli addetti ministeriali potrebbe essere messo in relazione e spiegato dal profilo dei compiti descritto dagli stessi come eccessivamente monotoni e noiosi a causa della rigidità di norme e procedure, questo però non sembra compensare lo scarso senso di coinvolgimento emotivo e cognitivo nel proprio lavoro ed il basso livello di salute organizzativa che tali caratteristiche dei compiti contribuiscono a determinare. Rispetto all’intero campione la soddisfazione per le relazioni personali costruite sul lavoro e vissute come fonte di supporto sembrano costituire il maggior collante organizzativo (Avallone e Paplomatas, 2005).

Come si può evincere da questi dati il questionario consente l’esame dell’insieme dei processi e delle pratiche organizzative che incidono sul benessere della comunità lavorativa. Nel modello di valutazione proposto dal MOHQ, infatti, l’attenzione è principalmente all’organizzazione, ai processi ed alle relazioni che contribuiscono alla sua definizione ed il rischio è connesso al tipo di convivenza che si realizza all’interno dell’organizzazione stessa.

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

 

Assessment Center

Assessment center

È una metodologia utile ad individuare il possesso delle capacità necessarie a svolgere ogni tipo d’attività professionale. Una capacità è fondata su comportamenti che consentono di raggiungere risultati in collaborazione con altre persone, di affrontare temi complessi, di presidiare specifiche situazioni complesse, di tenere sotto controllo tensioni interpersonali, di innovare.

La verifica del possesso di tali capacità avviene attraverso i comportamenti che si manifestano sia nella realtà sia nella simulazione.

L’Assessment Center impiega simulazioni di situazioni organizzative che consentono la rilevazione, da parte degli osservatori opportunamente addestrati, dei comportamenti fondamentali che dovranno essere messi in atto dalle persone valutate.

Tali esercitazioni, richiamando il più possibile la realtà aziendale, agiscono da stimolo per attivare i comportamenti che si vogliono osservare e vagliare.

Le esercitazioni dell’assessment center, vengono molto spesso create ad hoc, per simulare la realtà operativa, in modo da consentire la raccolta di indicazioni affidabili sul possesso di una vasta gamma di capacità. Le esercitazioni possono dividersi in individuali o di gruppo (quest’ultime possono essere competitive o cooperative, a ruoli liberi o assegnati); possono inoltre, simulare situazioni e finalità diverse quali ad esempio: analizzare e risolvere uno o più problemi; valutare alternative; prendere delle decisioni; organizzare delle attività; impostare un progetto; impostare e svolgere un negoziato; presentare dati e proposte.

I campi d’applicazione dell’Assessment Center sono:

    • verifica del grado di copertura del ruolo nell’organigramma aziendale;
    • verifica e possibilità di un adeguamento rispetto ad un ruolo, o diversi ruoli, di medesima o maggiore complessità;
    • valutazione del potenziale;
    • analisi estemporanea delle risorse disponibili per la verifica del possesso di determinate capacità in momenti di forte e improvvisa necessità di copertura di nuovi ruoli o di ruoli critici;
    • individuazione dei bisogni formativi in modo mirato;
    • verifica del possesso delle capacità necessarie per ricoprire posizioni diverse (orientamento,sviluppo, piani di carriera, rotazioni);
    • processi di selezione interni/esterni;
    • processo di verifica dell’architettura organizzativa dell’impresa;
    • audit a seguito d’esigenze derivanti da ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni, collocazione di personale ed esuberi.

Nello specifico cos’è un assessment center?

È una metodologia di valutazione del potenziale, si tratta di un insieme di diversi test cosiddetti situazionali che richiedono alla persona di eseguire uno o più compiti che si propongono di misurare gli aspetti emotivi del comportamento.

L’Assessment center è oggi uno degli strumenti più utilizzati in azienda per la valutazione del potenziale e la valutazione delle attitudini dei dipendenti, cioè le sue possibilità di crescita e di sviluppo.

Si tratta di uno strumento predittivo utile per individuare quell’insieme di caratteristiche attitudinali e comportamentali che rappresentano il substrato personale di un individuo rispetto alla copertura ottimale di un ruolo organizzativo e quindi che possono permettere di valutare la possibilità di una persona di ricoprire una posizione organizzativa più complessa.

Il focus di osservazione non è il comportamento in sé, ma quello che sottintende in termini di caratteristiche personali e potenzialità.

Obiettivo è infatti quello di scoprire e valutare le caratteristiche a disposizione di un individuo, aldilà di quelle richieste per soddisfare gli obiettivi del ruolo già ricoperto.

Le aree osservate sono quattro:

  1. area dei rapporti con la variabilità: come si impara e la motivazione e come ci si adatta al cambiamento;
  2. area intellettuale: soluzione dei problemi complessi; soluzione dei problemi operativi; flessibilità di pensiero; innovatività;
  3. area manageriale: rapidità e frequenza di decisione; decisionalità ad elevato rischio; capacità realizzativa; capacità organizzativa;
  4. area relazionale: gestione e sviluppo dei collaboratori; gestione di situazioni di influenza; capacità di integrazione e gestione del rapporto interfunzionale.

 

Gli strumenti dell’assessment center

Gli strumenti (cioè le prove e i test) devono simulare la realtà (quindi richiamare contenuti aziendali) e devono avere un obiettivo esplicito. E’ importante che chi guida l’assessment (il valutatore) non pre-assegni la leadership (cioè non decida a priori e quindi non comunichi al gruppo – che deve guidare il gruppo nella prova: è una cosa che deve emergere dal gruppo e di cui poi il valutatore deve tenere nota!).

Vi sono prove di gruppo e prove individuali.

Di gruppo:

Dinamica di gruppo: è una Discussione in gruppo di un caso (generalmente aziendale, ma parimenti utilizzati sono i famosi Allunaggio, Sopravvivenza nel deserto, Naufragio, ), ed ha una durata fra i 45 e i 90′.

Se ci sono più esercizi di gruppo i valutatori devono ruotare fra i vari esercizi in modo da non osservare mai gli stessi candidati. A conclusione della dinamica è utile far compilare al partecipante una scheda in cui egli esprima le sue percezioni della performance propria e del gruppo

Individuali:

In-basket: caso aziendale che richiede di affrontare problemi e prendere decisioni in merito a problemi trovati sulla scrivania sotto forma di posta in arrivo, memo e messaggi telefonici

Case Presentation: caso di strategia aziendale da elaborare individualmente e successivamente esporre in pubblico. Può essereseguito da un Change Announcement (cambiare le carte in tavola) per verificare capacità di flessibilità e gestione del cambiamento

Targeted Interview: intervista mirata a rilevare alcune specifiche competenze (comportamenti) – si basa su casi concreti (non su impressioni)

Questionari comportamentali/test di personalità utili per avere più informazioni sulla persona (a usare in termini di counseling nel feed-back del profilo)

Checklist (auto)valutativa: presenta una serie di quesiti comportamentali basati sulle competenze da indagare.

 

© Andrea Castello – Irene Borgia

 

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Clima Aziendale


ANALISI DEL CLIMA AZIENDALE

Premessa

La grande sfida della psicologia del lavoro consiste nel valorizzare il rapporto tra organizzazione e persone, evidenziando come organizzare un lavoro non voglia dire solamente renderlo più produttivo, ma anche più gradevole, è puntando anche sugli aspetti impliciti, informali, simbolici, latenti nelle organizzazioni che si può valorizzare e rendere più dignitoso il lavoro stesso come fonte di soddisfazione e benessere e come uno dei mezzi atti a migliorare la qualità  della vita.

1. CHE COSA È IL “CLIMA ORGANIZZATIVO”

 Il “clima organizzativo”, chiamato anche “clima interno” o “clima aziendale” è un tema che è stato oggetto di molti libri e studi di teoria organizzativa, a partire dalla metà degli anni ’60.

Già Kurt Lewin circa un secolo fa notava che: “un divieto o un obiettivo da raggiungere possono avere un ruolo essenziale nello stato psicologico dell’individuo, senza tuttavia essere chiaramente presenti nella coscienza”.

I vari orientamenti teorici hanno elaborato numerose definizioni di tale concetto, diversi a seconda che prediligano maggiormente gli aspetti psicologici o gli aspetti organizzativi.

Indipendentemente dalle varie scuole di pensiero, il clima identifica una caratteristica non strutturale o “soft” delle organizzazioni, contrapposta a quelle strutturali o “hard”.

Il clima può essere considerato come un insieme di percezioni condivise e correlate tra loro relative alla realtà lavorativa/organizzativa, cioè il modo in cui i soggetti percepiscono e interpretano l’azienda e le sue caratteristiche. È la sintesi di vari fattori quali per esempio le rappresentazioni soggettive, le mappe cognitive di ogni persona coinvolta, le percezioni individuali, le interazioni tra i soggetti, il contesto organizzativo e la cultura ivi presente.

2. GLI APPROCCI TEORICI

 La definizione del concetto di clima organizzativo risale alla metà degli anni ’60 e nel tempo si sono avvicendati periodi di interesse ad altri di sfiducia e abbandono (costrutto considerato da molti ambiguo e confuso).

Gli approcci teorici relativi allo studio del clima sono numerosi e i principali sono:

    • l’approccio strutturale, che considera il clima come una manifestazione oggettiva della struttura organizzativa che gli individui incontrano ed recepiscono;
    • l’approccio percettivo, che definisce il clima come il risultato di elaborazioni percettivo cognitive delle persone, i quali reagiscono ed interpretano le variabili organizzative sulla base degli aspetti psicologicamente, per loro, più significativi;
    • l’approccio interattivo, che illustra il clima come un effetto creato dall’interazione tra i membri di un gruppo;
    • l’approccio culturale, il quale prende in considerazione il concetto di cultura organizzativa che influenza, assieme al clima, le relazioni tra imembri della organizzazione.

Mentre i primi tre approcci sono ciascuno l’estensione concettuale del precedente, l’ultimo si distingue per il fatto di tenere conto di un altro concetto, quello della cultura organizzativa.

Possiamo quindi affermare che la rilevazione del clima organizzativo è paragonabile a un check-up diagnostico: si rilevano e misurano diversi indicatori allo scopo di ottenere un quadro della situazione. La definizione operativa del clima può essere diversa a seconda del modello teorico adottato.

Oggi si distingue fra clima psicologico, ossia individuale, e clima organizzativo vero e proprio. Quest’ultimo si riferisce alla dimensione condivisa della percezione e ai fattori comuni che la rappresentano.

Alcune delle variabili più usate sono:

–    qualità dei rapporti con i colleghi

–    qualità dei rapporti con i superiori

–    qualità del rapporto con tutta l’azienda

–    senso di appartenenza

–    coesione del gruppo di lavoro

–    collaborazione

–    dinamiche di comunicazione

–    stili di leadership

–    sistema di riconoscimenti e incentivi

–    ambiente fisico, comfort (ergonomia)

–    sicurezza (Dlgs 81/2008)

–    disponibilità fluidità delle informazioni

–    chiarezza della propria funzione

–    soddisfazione relativa alla funzione

–    soddisfazione relazionale

–    soddisfazione materiale

–    motivazione

–    responsabilità e autonomia

–    libertà  di espressione

Siccome il clima è un fenomeno percettivo, dovranno essere assenti dalla misurazione le seguenti variabili oggettive:

–    assenteismo

–    ritardi

–    incidenti sul lavoro

–    produttività

Queste variabili non entreranno a far parte della definizione di clima ma serviranno da confronto per valutare l’efficienza e l’efficacia delle azioni prese nelle fasi successive alla rilevazione.

La rilevazione viene condotta facendo uso di questionari standard oppure espressamente costruiti, a seconda degli obiettivi desiderati e della dimensione dell’organizzazione.

La dimensione e la composizione del campione potrà variare, ma dovrà in ogni caso trattarsi di un campione rappresentativo, ovvero contenere distribuzioni percentuali dei soggetti il più possibile uguali a quelle reali.

In ultima analisi, per essere veramente efficace una rilevazione del clima dovrebbe includere tutti i dipendenti senza distinzioni, poichè ciò consente di far sentire tutti partecipi e ugualmente importanti.

3. GLI OBIETTIVI DI UN’ANALISI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO

 L’analisi del clima permette di rilevare come l’organizzazione e, in particolare, alcune sue caratteristiche sono percepite dai suoi membri e, quindi, permette di:

–    rilevare ed evidenziare gli eventuali punti critici presenti in un’organizzazione;

–    progettare, pianificare ed eseguire opportuni interventi migliorativi;

–    valutare e monitorare i risultati ottenuti, procedendo ad una nuova analisi del clima.

La diagnosi che ne consegue, rappresenta il punto di partenza per avviare un processo di cambiamento organizzativo che può riguardare atteggiamenti, modalità di lavoro interno, tipo di relazioni esistenti, ecc, pertanto può costituire, da un lato, uno spunto di riflessione da parte del management, dall’altro, può rappresentare uno strumento di coinvolgimento del personale, in quanto è un segnale d’ascolto da parte dei vertici aziendali, che dimostrano di essere interessati a conoscere l’opinione dei propri collaboratori sui temi oggetto della rilevazione.

4. IL MODELLO D’INDAGINE: METODOLOGIA PER LA SUA COSTRUZIONE

 La premessa per costruire un modello di analisi di clima è la definizione del concetto di clima organizzativo stesso, al fine di individuare le variabili che saranno oggetto della rilevazione.

Un’altra decisione importante nell’elaborazione di un modello d’indagine del clima interno

riguarda lo strumento diagnostico, che, tipicamente, può essere:

–    un questionario o

–    un’intervista in profondità.

Abitualmente viene utilizzato il questionario in quanto risulta essere più funzionale all’indagine del clima ed alla sua ripetizione nel tempo e garantisce maggiormente l’anonimato di coloro che lo compilano.

La principale differenza tra i due strumenti diagnostici riguarda il tipo di dati ottenibili: di natura quantitativa con il questionario e quella qualitativa con l’intervista in profondità.

Questionario

La preparazione di un questionario, indirizzato a rilevare il clima interno, richiede un lavoro metodologicamente rigoroso e complesso da parte di persone competenti. I questionari relativi a tale tema sono numerosi, le differenze riguardano non solo la struttura dei questionari (ad es. il numero di items, l’inserimento o meno di domande aperte o chiuse, l’utilizzo o meno del “tu”, ecc..), ma anche il tipo di scale di valutazione adottate, il loro grado di attendibilità, di coerenza e di stabilità interna.

Intervista in profondità

L’ “intervista in profondità” è classificata come un’intervista di tipo destrutturato, in quanto non segue uno schema fisso “domanda – risposta”, ma l’ntervistatore, sulla base di una griglia di riferimento definita in precedenza, guida l’intervistato a parlare di determinati temi, oggetto della rilevazione. Ha una durata di circa un’ora, durante la quale è lasciata all’intervistatore ampia discrezionalità, quindi può decidere quali argomenti approfondire. Come è immaginabile, queste interviste possono essere condotte solo da esperti (…psicologi…), in grado di gestire le dinamiche psicologiche, tipiche di tali situazioni, ed evitare gli errori che potrebbero inficiare la qualità dei dati.

5. IL PROCESSO DI DIAGNOSI DEL CLIMA: LE FASI

 Il processo di diagnosi del clima interno può essere scomposto nelle seguenti principali fasi:

1.    Informativa

2.    Raccolta dei dati

3.    Elaborazione ed interpretazione dei dati raccolti

4.    Presentazione dei risultati

5.    Azioni di miglioramento

6.    Nuove somministrazione

5.1 INFORMAZIONE INTERNA

 Questa fase ha lo scopo di informare dell’iniziativa tutti i collaboratori e il personale della struttura oggetto dell’analisi del clima e, più precisamente, occorre spiegare:

    • che cosa è una diagnosi del clima organizzativo,
    • gli obiettivi che si intendono raggiungere con la rilevazione,
    • le persone coinvolte, che possono essere tutti i dipendenti, compresi i dirigenti, o un campione rappresentativo (questa ultima soluzione

appare obbligata, se lo strumento diagnostico prescelto è l’intervista in profondità, facoltativa, se si utilizza il questionario);

–    chi svolge l’indagine;

–    quali sono le modalità operative con cui si procede alla realizzazione.

5.2 RACCOLTA DEI DATI

 La raccolta dei dati può essere eseguita in vari e diversi modi a seconda dello strumento diagnostico utilizzato, infatti se si utilizzano interviste in profondità, occorre preparare un calendario delle stesse, se invece si utilizza un questionario, le relative modalità di somministrazione solitamente sono:

–    collettive o

–    in piccoli gruppi.

La somministrazione collettiva del questionario consiste nella sua distribuzione, accompagnata da una breve spiegazione, a tutte le persone che compongono il campione definito in precedenza, le quali hanno a disposizione un lasso di tempo predefinito per compilarlo. deve essere garantito l’anonimato di tutti i partecipanti. Di solito la somministrazione collettiva dei questionari non assicura degli alti ritorni. La somministrazione in piccoli gruppi implica l’organizzazione di incontri di durata predefinita, durante i quali i partecipanti compilano i questionari, tale setting stimola una discussione di gruppo, che, per evitare che le persone siano influenzate dall’opinione degli altri, è importante che si svolga al termine della compilazione. Questa procedura permette di ottenere un’alta percentuale di questionari compilati e di raccogliere informazioni di carattere qualitativo. La conduzione di questi incontri deve essere svolta da psicologi esperti, capaci di gestire e di facilitare l’interpretazione delle tensioni che progetti del genere producono, perché coinvolgono tutto il personale e incidono sulle modalità di lavoro e su prassi consolidate.

Ultima scelta ma non meno importante, anche se ritenuta apparentemente banale:

    • e le interviste in profondità o la compilazione dei questionari sono svolte durante l’orario di lavoro; in tal caso, è di estrema importanza la condivisione sulle finalità dell’indagine da parte di tutto il personale dirigente o, di almeno, la maggioranza;
    • il locale messo a disposizione per la rilevazione.

5.3 INTERPRETAZIONE DEI DATI RACCOLTI

 Ovviamente l’elaborazione e l’interpretazione dei dati varia a secondadel tipo di metodologia diagnostica utilizzata.

I dati qualitativi, raccolti con le interviste in profondità, richiedono un’interpretazione e una sintesi, mentre i dati quantitativi ottenuti dai questionari sono elaborati statisticamente (solitamente vengono condotte analisi fattoriali) e, sulla base dei risultati, è possibile procedere ad una diagnosi del clima organizzativo.

5.4 PRESENTAZIONE DEI RISULTATI

 E’ buona prassi che i risultati dell’analisi del clima siano comunicati a tutti i collaboratori, con le modalità, ritenute più opportune dai vertici, ad esempio: distribuzione di un fascicolo illustrativo; organizzazione di riunioni di presentazione dei risultati e di discussione degli stessi, condotte da coloro che hanno svolto l’analisi o dai dirigenti, ecc.

5.5 AZIONI DI MIGLIORAMENTO

 Sulla base dei risultati dell’analisi di clima è possibile organizzare e pianificare azioni di miglioramento che possono essere: corsi di formazione, processi di ridefinizione organizzativa, analisi di processi, revisione dei canali di comunicazione interna, interventi di miglioramento logistico, coaching, ecc…

5.6 MONITORAGGIO DELLE AZIONI DI MIGLIORAMENTO

 A conclusione delle azioni di miglioramento attivate si procede ad una nuova analisi del clima per monitorare/valutare l’efficacia degli interventi attuati e i potenziali cambiamenti avvenuti nel frattempo.

 

 

 

© Clima Aziendale – Andrea Castello – Irene Borgia

Assessment

 

Assessment

Per assessment si intende la valutazione globale della persona (paziente, candidato o dipendente), considerando anche le sue risorse e i suoi limiti.

La parola assessment deriva dal latino assidere, “sedere come giudice” e anche da assise, “sessione di giudici nei municipi”, tradotta dall’inglese significa appunto “valutare, stimare, giudicare”; si può anche tradurre come: “accertare il valore (di qualcosa), fare il bilancio (di qualcosa)” per enfatizzare l’aspetto processuale (in termini psicologici) e non immediato della valutazione.

Obiettivi di un assessment possono essere di valutare il potenziale, le attitudini, le competenze, la coerenza e adeguatezza ad un profilo lavorativo.

Tipologie di assessment

In psicologia esistono diversi campi applicativi dove il termine assessment assume connotazioni che spaziano dal rapporto individuale (aspetti clinici, patologie) al sociale (aspetti occupazionali, selezione del personale).

Assessment in psicologia clinica

In psicologia clinica l’accento dato all’assessmet è più spostato sul rapporto individuale clinico-paziente, indicando principalmente un «percorso informale di acquisizione di informazioni, conoscenza, comprensione e descrizione delle persone» ma anche «un tipo particolare di attività scientifica e professionale, caratterizzata dall’utilizzo di metodi di analisi e misurazione della personalità». In altre parole, nella valutazione individuale, l’assessment costituisce un processo di valutazione, documentazione delle competenze e del potenziale, retto dalle particolari capacità dello psicologo di comprendere lo stato emotivo, il vissuto interiore della persona e di delineare così un profilo che comprenda aspetti profondi, caratteriali (di personalità), relazionali e sociali.

La prassi dell’assessment in psicologia clinica comporta due fasi:

    1. Misurazione: si effettuano una serie di test psicodiagnostici standardizzati per raccogliere informazioni necessarie alla seconda fase e per avere un riferimento di partenza con cui confrontare i dati successivamente ottenuti somministrando gli stessi test durante ed alla fine del percorso di cura (studi longitudinali).
    2. Ipotesi: i dati raccolti nella prima fase, assieme ad una impressione globale che lo psicoterapeuta si fa del paziente, consentono di formulare ipotesi riguardo:

 

    • la presenza di evidenti relazioni tra i disturbi;
    • le situazioni nelle quali cresce la probabilità che il disturbo si manifesti;
    • l’origine del disturbo, i processi implicati e i meccanismi che lo governano, tecnicamente: l’eziopatogenesi;
    • le probabilità di successo delle diverse strategie terapeutiche che si hanno a disposizione;
    • le tecniche e gli strumenti più adeguati a sostenere il trattamento.

Risultano molto utili i test situazionali o di role-playing, che simulano una situazione (direttamente o indirettamente collegata all’ipotesi circa l’eziopatogenesi del disturbo) nella quale viene richiesto al cliente di elaborare una strategia, trovare una soluzione, oppure si misura la sua risposta emotiva per capire meglio il suo vissuto interiore, esistenziale, se sussiste un rapporto a livello profondo con il problema e il suo grado di fissazione.

 

Assessment in psicologia del lavoro

L’assessment in campo sociale e delle risorse umane è a tutt’oggi molto utilizzato da reclutatori e selezionatori del personale per valutare candidati e all’interno di un’azienda per valutare i dipendenti e creare piani di sviluppo e formazione o selezionare personale ricollocabile.

In psicologia del lavoro spesso si utilizza la denominazione di assessment center (termine venne utilizzato per la selezione degli agenti segreti, nella Seconda Guerra Mondiale) per identificare una metodologia di valutazione del potenziale, all’interno di una prospettiva volta al reclutamento, all’orientamento e alla valutazione delle competenze.

In Psicologia del lavoro l’assessement può essere utilizzato come:

    1. verifica del grado di adeguatezza del ruolo nell’organigramma aziendale
    2. rilevazione e valutazione delle attitudini
    3. valutazione del potenziale
    4. analisi delle risorse disponibili per la verifica del possesso di determinate capacità
    5. individuazione dei bisogni formativi in modo mirato
    6. verifica del possesso delle capacità necessarie per ricoprire posizioni diverse (orientamento,sviluppo, piani di carriera, rotazioni)
    7. processi di selezione interni/esterni
    8. processo di verifica dell’architettura organizzativa dell’impresa
    9. audit a seguito d’esigenze derivanti da ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni, collocazione di personale ed esuberi

 

 

 

 

© Andrea Castello – Irene Borgia

 

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