Il Modello Aspettativa-Valore

Il Modello Aspettativa-Valore

 

 

Nell’ambito dell’acquisto di prodotti alimentari biologici, uno dei modelli dell’atteggiamento spesso utilizzato per la previsione dei comportamenti è senz’altro il Modello Aspettativa-Valore (Fishbein e Ajzen, 1975). Molto usato nell’ambito dei comportamenti relativi alla salute, come nel marketing, questo modello assume che le credenze giochino un ruolo fondamentale nella presa di decisione degli individui, e corrispondono alla probabilità soggettiva, non oggettiva, che un oggetto abbia certi attributi. Secondo Fishbein e Ajzen (2010), le credenze su un oggetto o comportamento si formano associando l’oggetto (azione ed evento) con varie caratteristiche, qualità e attributi dell’oggetto stesso. Nel corso della vita le persone sviluppano esperienza con l’oggetto, e ciò porta a formare diverse credenze sull’oggetto in questione; alcune credenze possono formarsi a seguito di un’esperienza diretta con l’oggetto, o possono formarsi per esperienza indiretta, accettando l’informazione fornita dalle persone che fanno parte della propria vita come gli amici, i familiari,  gli insegnanti, i media e altre fonti esterne, o possono generarsi attraverso un processo di inferenza. Alcune credenze persistono nel tempo, altre possono venire dimenticare e possono formarsene delle nuove. Secondo Fishbein e Ajzen (1975), gli individui possono avere molte credenze  riguardo un particolare oggetto, ma soltanto un  sottoinsieme di queste sono salienti in un determinato momento, sono cioè accessibili, vengono facilmente alla mente.

Nell’attuazione di un comportamento, le persone tendono a massimizzare le possibilità che si realizzino conseguenze desiderabili ed a minimizzare le possibilità di incorrere in conseguenze indesiderabili, quindi nella scelta tra due oggetti o comportamenti, gli individui sceglieranno quello valutato più positivamente cioè quello associato a conseguenze più desiderabili e cercheranno di evitare quelli a cui sono associate conseguenze indesiderabili. Il ragionamento si basa pertanto su una valutazione costi/benefici, dove le credenze comportamentali corrispondono ai vantaggi ed agli svantaggi che si ritengono associabili alla realizzazione del comportamento. La determinante dell’atteggiamento secondo questo modello sono proprio le credenze comportamentali (behavioural beliefs) salienti, che rappresentano le conseguenze percepite o altri attributi associati al comportamento.

La relazione tra atteggiamento verso il comportamento e le credenze comportamentali è espressa algebricamente dalla formula:

A=? ?? · ??

dove: ?? è la credenza comportamentale che eseguire un comportamento porti a certe conseguenze i (aspettativa o forza); ?? è la valutazione delle conseguenza (valore); i è il numero di conseguenze salienti.

La valutazione globale, cioè l’atteggiamento, deriva dalla probabilità percepita che l’oggetto possieda una serie di attributi chiave (conseguenze percepite) ponderata, cioè moltiplicata, per la valutazione di queste conseguenze. Operativamente, viene misurata la forza (??) cioè la probabilità percepita che mettere in atto un certo comportamento porti a certe conseguenze ed il valore attribuito ad ogni conseguenza del comportamento stesso (??); sommando infine i prodotti risultanti tra forza (b) e valore (e) di ogni conseguenza si ottiene una misura diretta dell’atteggiamento.

Per elicitare le credenze comportamentali, si agisce sottoponendo ad intervista con domande aperte un gruppo di individui del target interessato, che abbiano cioè le stesse caratteristiche socio-demografiche della popolazione a cui è rivolta la ricerca; l’insieme delle credenze comportamentali salienti può essere elicitato ad esempio chiedendo vantaggi e svantaggi che potrebbero derivare dall’attuare il comportamento od oggetto considerato (nel caso della ricerca oggetto di questa tesi sarà l’acquisto di prodotti alimentari biologici, come vedremo nel Cap. 3).

Sulle risposte ottenute si conduce un’analisi del contenuto, con la quale si riducono le credenze emerse nella ricerca pilota in un numero minore di categorie e si conta la frequenza di risposta di ogni categoria emersa, in seguito si scelgono le credenze modali (o credenze indicative con più frequenza) citate da almeno il 10% del gruppo intervistato (Fishbein e Ajzen, 1975; Ajzen e Fishbein, 1980). Le credenze comportamentali scelte verranno infine inserite nel questionario finale della ricerca, dove se ne potrà misurare la forza (b) ed il valore (e) (si veda sempre Cap. 3).

Il Modello Aspettativa-Valore considera, oltre alle comportamentali, altri due tipi di credenze che influiscono sulla presa di decisione: le credenze normative e le credenze di controllo. Se le credenze comportamentali determinano l’atteggiamento verso l’oggetto o comportamento in questione, le credenze normative (normative beliefs) determinano la norma soggettiva. Le credenze normative rappresentano la preferenza percepita espressa da specifici individui o gruppi importanti (specifici referenti sociali importanti) relativamente al fatto che la persona debba o meno mettere in atto il comportamento (pressione sociale generale a mettere o no in atto un certo comportamento). La norma soggettiva (SN) è il risultato delle credenze normative e della motivazione a conformarsi alle aspettative di tali referenti sociali, come di seguito:

??= ? ???  · ???

dove: ??? sono le credenze normative (probabilità soggettiva) che alcuni referenti sociali importanti j pensino che si debba o meno eseguire il comportamento; ??? è la motivazione a conformarsi al referente sociale importante j. Operativamente, per ogni credenza normativa si dovrà misurare la forza, cioè la probabilità che ciascun referente sociale importante per l’individuo pensi che si debba o meno eseguire un dato comportamento, e moltiplicarla per la motivazione a conformarsi a tale aspettativa. Per elicitare le credenze normative, si agisce come per le credenze comportamentali (vedi sopra), sottoponendo una serie di domande aperte in cui si chiede quali sono i gruppi o gli individui che approverebbero o disapproverebbero il fatto che la persona metta in atto il comportamento (Ajzen e Fishbein, 1980) grazie alle quali si potrà in seguito misurare la forza delle credenze normative e la motivazione a conformarsi.

Il terzo tipo di credenze che un individuo può avere su un determinato oggetto o comportamento, sono le credenze di controllo (control beliefs), che determinano il cosiddetto controllo comportamentale percepito. Queste credenze riguardano la presenza o assenza di risorse e opportunità necessarie per eseguire con successo il comportamento, e si basano sull’esperienza passata e su informazioni indirette, cioè su esperienze di altri relativamente alla difficoltà o facilità di eseguire il comportamento.

Come per l’atteggiamento e la norma soggettiva, per produrre la percezione di controllo (PBC) ciascuna credenza (??) deve essere moltiplicata per il potere percepito (??) sul fattore di controllo (k) che facilita o inibisce la realizzazione del comportamento; i prodotti risultanti sono poi sommati per gli r fattori di controllo salienti. La rappresentazione algebrica è:

PBC =?? · ??

dove: ?? è la frequenza percepita o probabilità del verificarsi del fattore k; ?? è la percezione del potere facilitante o inibente del fattore k. Per il controllo comportamentale percepito, operativamente, si dovrà misurare per ogni fattore di controllo la frequenza percepita o probabilità (??) del verificarsi del fattore stesso cioè la credenza relativa alla presenza o all’assenza di fattori che facilitano o inibiscono la messa in atto del comportamento per poi moltiplicarla per il potere percepito (??), che rende conto della possibilità che ciascun fattore di controllo ha nel facilitare o inibire la realizzazione del comportamento. Anche in questo caso, come gli altri due tipi di credenze, si sottopongono domande aperte in cui si chiede di indicare una serie di fattori e condizioni che rendono facile o difficile la realizzazione di una dato comportamento (Ajzen e Driver, 1992); attraverso questo processo, si potranno misurare in seguito le credenze di controllo e il potere percepito.

 


© L’acquisto di prodotti alimentari biologici. Analisi di modelli estesi della Teoria del Comportamento Pianificato  – Dott. Filippo Barretta


 

L’agricoltura biologica in Europa e in Italia

L’agricoltura biologica in Europa e in Italia

L’agricoltura biologica in Europa

 

L’agricoltura biologica in Europa nel 2012 (Biofach, 2014) ha interessato 11,2 milioni di ettari  (10 milioni nella UE), pari al 2.3% del totale delle superfici agricole europee (5.6% nell’UE). Nello stesso anno si è registrato un incremento di 630 mila ettari, pari al 6% in più rispetto al 2011.

I paesi con maggiore estensione “bio” sono la Spagna (1,6 milioni di ettari), l’Italia (1,2 milioni) e la Germania (1 milione). Quanto all’incidenza delle superfici biologiche sul totale dell’agricoltura, si distinguono paesi come l’Austria, la Svezia e l’Estonia, che arrivano a coprire il 15-20% delle estensioni agricole totali. Un ruolo importante è ricoperto anche da Svizzera, Repubblica Ceca e Lettonia, tutte con un peso che si aggira attorno all’11-12%. L’Italia segue appena dopo, con un peso del 9.1%. Riguardo alle principali colture, quelle destinate a foraggi e cereali “bio” (pari a circa 1,9/2 milioni di ettari in entrambi i casi) ed a olivo (456 mila ettari) sono le più estese; seguono con oltre 240 mila ettari le colture proteiche e la vite. Sono stati censiti oltre 321 mila produttori nel 2012, con un incremento del 10% rispetto al 2011. Riguardo la dimensione del mercato, quello europeo è stimato in circa 23 miliardi di euro (20,9 miliardi nell’UE), con un incremento del 6% nel 2012, che tuttavia resta l’incremento più basso dal 2005. Il paese con il mercato più rilevante è la Germania, con un giro d’affari nazionale di poco di 7 miliardi di euro, seguita dalla Francia (4 miliardi) e del Regno Unito (1,95 miliardi). L’Italia è al quarto posto con circa 1,9 miliardi ed un peso sul valore totale del mercato biologico europeo pari all’8%.

L’agricoltura biologica in Italia e nella Regione Veneto

Dall’analisi dei dati forniti al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali dagli Organismi di Controllo (OdC) operanti in Italia al 31 dicembre 2013, sulla base delle elaborazioni del Sinab – Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica (www.sinab.it), risulta che gli operatori del settore sono 52.383 di cui:

  • 513 produttori esclusivi;
  • 154 preparatori esclusivi (comprese le aziende che effettuano attività di vendita al dettaglio);
  • 456 che effettuano sia attività di produzione che di preparazione;
  • 260 operatori che effettuano attività di importazione.

Rispetto all’anno 2012, si rileva un aumento complessivo del numero di operatori del 5.4%. La distribuzione degli operatori nel territorio nazionale vede la Sicilia seguita dalla Calabria tra le regioni con maggiore presenza di aziende agricole biologiche, mentre per le aziende di trasformazione impegnate nel settore leadership spetta alla Toscana seguita da Emilia Romagna e Puglia. La superficie coltivata secondo metodo biologico corrisponde a 1.317.177 ettari. I principali orientamenti produttivi sono i pascoli, il foraggio e i cereali. Segue in ordine di estensione la superficie ad olivicultura. In zootecnia, per numero di capi coltivati troviamo il pollame (3.063.404), seguito dagli ovini (755.419), bovini (231.641) e api (140.004 arnie); il maggior numero di aziende con produzione zootecnica sono Sicilia e Sardegna, seguite dal Lazio.

In totale in Veneto al 31/12/2013 ci sono 1.804 operatori (946 produttori,  573 preparatori, 38 importatori, 247 preparatori/produttori).  Le superfici e colture raggiungono in totale i 15.205 ettari, dove nel 2013 si registra una diminuzione del 11% rispetto all’anno precedente.  Le principali colture sono i cereali (2.863 ettari), la vite (2.405 ettari), frutta (1.953 ettari),  ortaggi (501 ettari) e olivo (347 ettari) (Sinab, 2014).

Il mercato italiano dei prodotti alimentari biologici

Nonostante la crisi economica-finanziaria, il mercato italiano del biologico continua a crescere confermando una dinamica positiva in atto ormai dal 2005 (Figura 1.2).

 

 

Figura 1.2 – Evoluzione delle dinamiche dei consumi domestici di prodotti biologici confezionati nella GDO (variazioni % dei consumi rispetto all’anno precedente) *primi dieci mesi 2013; Fonte: Ismea, Panel Famiglie – dati Nielsen fino al 2010, dati GFK Eurisko dal 2011

Sulla base delle elaborazioni Ismea dei dati del Panel famiglie Gfk-Eurisko, nei primi cinque mesi del 2014 gli acquisti domestici di biologico confezionato presso la GDO (grande distribuzione organizzata) sono aumentati del 17.3% in valore rispetto ai primi cinque mesi del 2013, mentre nello stesso periodo la spesa agroalimentare è risultata in flessione (-1.4%); il consistente incremento del biologico risulta essere il più alto degli ultimi dodici anni. Tale crescita può dipendere (anche se si tratta di un breve periodo) da alcuni fattori come l’aumento della gamma dei prodotti biologici che la GDO può offrire, ad esempio pasta, prodotti a base di kamut, grano saraceno, farro. Il settore biologico sembra quindi andare in controtendenza rispetto al settore “food” nel suo complesso, oltre che mostrare un promettente tasso d’incremento che apre speranze su un possibile ampliamento della quota di mercato nell’ambito dei consumi nazionali. Gran parte di prodotti biologici confezionati sono concentrati su poche categorie (ortofrutta fresca e trasformata, lattiero-caseari, uova, pasta, riso e sostituti del pane) che coprono nel 2013 circa il 71% della spesa complessiva sostenuta dalle famiglie italiane presso la GDO. Un aspetto molto positivo per il mercato biologico è il confronto delle relative tendenze con comparti di prodotti analoghi aventi un riconoscimento di qualità e con l’intero settore alimentare, come detto. Negli ultimi anni il comparto biologico ha sempre registrato risultati migliori rispetto ad altri settori “di qualità” (prodotti e vini  Dop e Igp) e all’agroalimentare nel complesso. Tra i prodotti biologici più acquistati troviamo al primo posto come ormai da alcuni anni le uova, che nella prima parte del 2014 hanno avuto un incremento del 5.2% (rispetto allo stesso periodo del 2013); il secondo prodotto più consumato sono i sostituti del pane, con un peso totale sul biologico dell’8%; terzo prodotto “bio” è il latte alimentare, con un 16.3% di aumento; seguono le marmellate e confetture, i cui acquisti registrano un rialzo del 5.2%. Da segnalare anche buoni risultati nelle vendite di pasta che, con l’introduzione referenze di maggiore qualità con formati speciali e di un assortimento più ampio, ha avuto un incremento delle famiglie acquirenti e della spesa media per famiglia; va evidenziato a questo proposito che tutti i prodotti a base di kamut, e quindi anche la pasta, devono essere immessi nel mercato solo con la certificazione biologica.

Le importazioni da Paesi Terzi in Italia

Come esposto precedentemente nel paragrafo 1.3.4, le importazioni da Paesi Terzi vengono disciplinate dai Reg. CE 834/07, dal Reg. CE 889/08 e dal Reg. 1235/08. Dai dati MiPAAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) elaborati dal Sinab (Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica), al 31 dicembre 2013 le aziende iscritte nell’elenco nazionale degli importatori di prodotti biologici da Paesi Terzi risultano 260; i dati relativi a volumi di prodotto auto dichiarati da queste aziende sono stati classificati in sei diverse categorie di prodotto: cereali, colture industriali, estratti naturali/aromatici e da condimento, frutta fresca e secca, ortaggi, prodotti trasformati. Nel 2013 si evidenzia un sostanziale aumento delle quantità totali (si sono importati 62.411,86 tonnellate di prodotti), pari a circa 21% rispetto al 2012. Ad incidere fortemente su tale andamento è soprattutto il settore delle colture industriali (prevalentemente soia), con un aumento rispetto al 2012 del 165.31%; le altre categorie di prodotto che mostrano variazioni positive rispetto al 2012 sono la frutta (+52.40%) e gli ortaggi (+9.67%). Analizzando la distribuzione delle importazioni per aree geografiche e per prodotto emerge un quadro alquanto differenziato. Asia e America latina, nel 2012-2013, si sono confermate le aree geografiche che hanno esportato verso l’Italia i maggiori volumi di prodotti biologici: il 57% dei volumi totali nel 2012 e circa il 69% nel 2013. Tuttavia, rispetto alla tipologia di prodotti, va evidenziato che dai paesi asiatici (India, Cina, Thailandia) vengono importati prevalentemente cereali (riso) e colture industriali (soia, girasole, lino), mentre dai paesi dell’America latina vengono importati soprattutto frutta (banane, kiwi e pere)  e prodotti trasformati (caffè, tè, cacao e zucchero di canna). Le altre aree geografiche mondiali da cui l’Italia importa prodotti alimentari biologici, sono i Paesi del continente Africano (Egitto e Tunisia sopra tutti), dai quali si importano principalmente ortaggi e prodotti trasformati, ed il Nord America da dove si importa soprattutto frumento tenero ed il frumento duro dal Canada (Sinab, 2014).

 


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Dati e statistiche: il mercato dei prodotti alimentari biologici

Dati e statistiche: il mercato dei prodotti alimentari biologici

La situazione internazionale

Da un’analisi complessiva dei dati elaborati da FIBL e IFOAM in occasione della fiera Biofach di Norimberga 2014 (Report prodotti biologici, speciale Biofach 2014, ISMEA in collaborazione con Sinab, 2014), emerge che il biologico risulta in espansione a livello internazionale anche se a tassi più contenuti rispetto agli anni scorsi, sia sul fronte della domanda che dell’offerta. Nel 2012, le coltivazioni mondiali coltivate ad agricoltura biologica ammontano a 37,5 milioni di ettari e sono cresciute di mezzo punto percentuale sul 2011, mentre gli operatori biologici, pari a 1,9 milioni, sono aumentati del 7.6%. Parallelamente a questi sviluppi a livello strutturale il mercato mondiale sta continuando a crescere (+1.3% nel 2012), valutato in circa 50 miliardi di euro.

Il valore del mercato si concentra in gran parte tra Nord America ed Europa mentre è più basso nei paesi dove risiedono le superfici coltivate più ampie; ciò dipende da un forte orientamento all’export di tali zone verso le aree a maggiore domanda. Le aree con maggiori superfici coltivate sono l’Oceania con 12,2 milioni di ettari, pari al 32.4% del totale, e l’Europa con 11,2 milioni (29.8%) dove si registra un aumento del 6% rispetto il 2011. Le nazioni con le più elevate superfici coltivate sono l’Australia con 12 milioni di ettari, seguita dall’Argentina con 3,6 e dagli Stati Uniti con 2,2. Il primo paese europeo in questa graduatoria è la Spagna (1,6 milioni di ettari) che figura al quinto posto mondiale, seguita dall’Italia al sesto posto con 1,2 milioni. Nel complesso si stima che lo 0.9% delle superfici agricole mondiali sia destinato ad agricoltura biologica; il 2.9% in Australia ed il 2.3% in Europa (5.6% nell’UE) mentre è di poco superiore alla media in America Latina (1.1%). Da tenere presente è che nel mondo vi siano comunque delle ulteriori superfici destinate ad agricoltura biologica, molte delle quali spontanee; altre aree sono rappresentate da foreste, acquacoltura e pascoli non agricoli. Queste estensioni rappresentano più di 31 milioni di ettari, che insieme alle superfici agricole, portano a circa 69 milioni il totale degli ettari coltivati secondo agricoltura biologica. Le superfici mondiali sono costituite per il 63% da prati e pascoli,  il 17% da seminativi di cui i cereali ed i foraggi ne rappresentano la quota più significativa; le colture permanenti come caffè ed olivo pesano per un altro 7%, mentre l’1% è attribuibile ad altre superfici agricole.

Gli agricoltori che hanno scelto la produzione “bio” sono stimati in 1,92 milioni, di cui il 35.5% in Asia, il 30% in Africa, il 16.7% in Europa, il 16.4% in America Latina. Le nazioni con il più elevato numero di aziende biologiche a livello mondiale sono l’India con 600 mila produttori, l’Uganda con circa 190 mila ed il Messico con poco meno di 170 mila; il primo paese europeo in questa graduatoria è l’Italia che si colloca all’ottavo posto con quasi 44 mila operatori. E’ importante notare come circa un terzo delle superfici mondiali destinate ad agricoltura biologica (10,8 milioni di ettari) e più dell’80% dei produttori (1,6 milioni) si trovano in Paesi in via di sviluppo ed in mercati emergenti.

Sul fronte delle vendite, il fatturato mondiale del biologico è stimato a 63,8 miliardi di dollari nel 2012 (circa 50 miliardi di euro) e continua a crescere. Nel 2012 si registra una crescita in tutti i continenti anche se la domanda è concentrata principalmente in Nord America ed in Europa, che insieme rappresentano una notevole quota delle vendite complessive. I paesi che registrano il più elevato fatturato sul mercato interno a livello mondiale sono gli Stati Uniti con 22,6 miliardi di euro, la Germania con 7 miliardi e la Francia con 4 miliardi; l’Italia si colloca al sesto posto dopo Canada e Regno Unito, con un valore pari a quasi 1,9 miliardi di euro (Figura 1.1).

 

Figura 1.1 – Le prime dieci nazioni al mondo per giro d’affari nazionale nel 2012 (in milioni di euro)  Fonte: FIBL-IFOAM

e nazioni come USA, Germania, Francia, Canada, Regno Unito hanno un ruolo importante a livello di fatturato mondiale, i maggiori consumatori di biologico nel mondo sono però rappresentati da paesi come la Svizzera (che detiene il primato mondiale della spesa pro-capite annua “bio” con 189 euro), l’Austria e dai paesi scandinavi; questi stessi paesi eccellono anche per avere una quota elevata del biologico sul totale delle vendite in Europa, in una percentuale che va da oltre il 6 a quasi l’8%.

L’Italia  non si colloca nella primissime posizioni in queste due ultime graduatorie (31 euro pro-capite e quota “bio” sul mercato totale pari all’1.5% nel 2012), ma dal punto di vista dell’export l’Italia risulta essere al primo posto nel mondo (statistica su 41 paesi) per valore dell’export “bio” per un corrispettivo in termini monetari di 1,2 miliardi di euro, seguita dall’Olanda con 783 milioni e dalla Spagna con circa 589.

Da questi dati si evince come il valore del mercato si concentri in gran parte in Nord America ed in Europa, mentre le superfici più ampie non sempre corrispondono alle aree dove si sviluppano i più alti fatturati; per esempio il Nord America rappresenta il 50% del valore del mercato complessivo, a fronte di un suo peso di appena l’8% in termini di superfici. Al contrario in continenti come Asia, Oceania e America Latina la quota delle superfici è di gran lunga più elevata rispetto a quella del mercato. Questo dipende da un forte orientamento all’export di molti continenti verso le aree a maggior domanda come Nord America ed Europa; inoltre in continenti come l’Oceania il biologico è rappresentato per la maggior parte da pascoli e prati, che hanno uno scarso collegamento con il mercato.

 


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Etichettatura dei prodotti alimentari biologici e garanzie per i consumatori

Etichettatura dei prodotti alimentari biologici e garanzie per i consumatori

 

La garanzia che ci troviamo di fronte ad un prodotto alimentare biologico, ci viene data dall’etichettatura. Da mero elemento decorativo, qual era inizialmente, l’etichetta costituisce oggi un oggetto di particolare importanza nella circolazione dei prodotti alimentari. A livello comunitario, la scelta di disciplinare la materia dell’etichettatura dei prodotti alimentari risale già alla fine degli anni Settanta attraverso la direttiva 79/112/CEE, con la quale il legislatore fornì la prima chiave di armonizzazione in materia, applicabile ai prodotti alimentari destinati al consumatore finale. Esistono disposizioni specifiche di etichettatura per determinate categorie di prodotti adottate dal legislatore UE per le peculiarità degli stessi, ed i prodotti biologici rientrano tra questi.

E’ il Regolamento (CE) n. 834/2007 a disciplinarne, in via generale, l’etichettatura, agli articoli 23-26. Ad esso si affianca il Regolamento (CE) n. 889/2008, recante modalità applicative del primo.

I regolamenti ed i Documenti a cui ci si riferisce quando si parla di biologico sono:

Regolamento CE 834/07 e CE 889/08 Regolamenti attualmente in vigore per l’Agricoltura biologica
Regolamento CE 271/10 Regolamento che definisce l’uso del logo europeo e modifica alcune norme di etichettatura.

Le fascette, le etichette, gli imballaggi primari e secondari che accompagnano il prodotto fino al consumatore costituiscono “etichetta”, pertanto le indicazioni relative al metodo di produzione biologico, devono sempre rispettare quanto previsto dai Reg. CE 834/07 e CE 889/08 ed essere autorizzate da un organismo di controllo a sua volta autorizzato dal Ministero delle politiche agricole e forestali (Mi.P.P.A.F.) (AIAB, 2008).

I consumatori devono essere consapevoli che l’agricoltura biologica è l’unica forma di agricoltura controllata in base a leggi europee e nazionali; non ci si basa su autodichiarazioni del produttore ma su di un Sistema di Controllo uniforme in tutta l’Unione Europea. Un azienda che volesse avviare la produzione biologica deve notificare la sua intenzione alla regione e ad uno degli Organismi di controllo certificati; tale Organismo procede all’ispezione con i propri tecnici specializzati che esaminano l’azienda e prendono visione degli appezzamenti, controllandone la corrispondenza con i documenti catastali, dei magazzini, delle stalle e di ogni altra struttura aziendale. Se dall’ispezione l’azienda risulta idonea si avvia un periodo di conversione, nel quale i terreni vengono disintossicati dai prodotti chimici usati in precedenza; solo concluso questo periodo, il prodotto può essere commercializzato come biologico. L’Organismo provvede a più ispezioni all’anno anche a sorpresa, e preleva campioni da sottoporre ad analisi; inoltre le aziende agricole che producono con il metodo biologico devono poi documentare ogni passaggio su appositi registri predisposti dal Ministero, per assicurarne la tracciabilità. Gli Organismi che possono effettuare i controlli e la certificazione delle produzioni biologiche sono riconosciuti con decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali, e sono sottoposti a loro volta al controllo dello stesso Ministero e delle regioni; in Italia sono nove: ICEA (ex AIAB), BIOAGRICERT, BIOS, C.C.P.C. , CODEX, ECOCERT, I.M.C. , QC&I, SUOLO E SALUTE, BIOZERT (AIAB, 2008).

Le indicazioni che si riferiscono al metodo di produzione biologico (biologico, bio, eco) dovranno necessariamente comparire sull’etichetta o sulla confezione, in modo da essere facilmente visibili e chiaramente leggibili. In particolare l’etichetta di un prodotto alimentare biologico deve contenere:

  • il codice ISO che identifica la nazione (IT);
  • il metodo di produzione (BIO);
  • il codice dell’organismo di controllo preceduto dalla dicitura: “Organismo di Controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche Agrarie e Forestali (Mi.P.A.A.F.);
  • il codice dell’operatore;
  • il riferimento all’ultimo certificato di conformità rilasciato con la data dell’ultima revisione (Cortobio, 2013).

Accanto a queste informazioni, è presente il luogo di coltivazione del/dei prodotti; le indicazioni previste sono: Agricoltura UE – per prodotti coltivati in uno dei paesi comunitari; Agricoltura non UE –  per prodotti coltivati in paesi terzi; Agricoltura UE / NON UE – per prodotti coltivati in parte in Europa e in parte in paesi terzi. Se un prodotto è costituito da ingredienti coltivati nello stesso paese (ad es. solo in Italia), la dicitura Agricoltura UE può essere sostituita dalla dicitura Agricoltura Italia.

Un’altra indicazione che dovrà necessariamente essere presente sulla confezione (per gli alimenti confezionati) sarà il logo comunitario.

Fonte: www.euroleaf.org

I requisiti del logo biologico (Euro leaf) sono stabiliti dal Reg. 889/2008; all’allegato XI dello stesso è possibile individuare le caratteristiche tecniche del logo medesimo.

Il logo europeo deve avere queste caratteristiche (AIAB, 2008): altezza almeno 9 mm; larghezza 13,5 mm; proporzione tra altezza e larghezza deve essere 1:1,5; per le confezioni molto piccole la dimensione minima può essere ridotta a 6 mm per l’altezza; il colore di riferimento in pantone è verde n. 376 e se usiamo la quadricromia il verde ottenuto con 50% ciano + 100% giallo. Il logo può essere stampato anche in bianco e nero quando non sia possibile farlo a colori. Il suddetto logo si deve apporre ai prodotti chiusi, confezionati ed etichettati, con una percentuale prodotto di origine agricola biologica di almeno 95%, ed è proibito nei prodotti con una percentuale inferiore. Tale logo può essere facoltativo per i prodotti con le stesse caratteristiche ma provenienti da paesi terzi, e lo stesso vale per i prodotti esportati dall’UE a paesi terzi. Il logo europeo può essere affiancato da loghi privati e da descrizioni e riferimenti testuali che descrivano l’agricoltura biologica, purchè tali elementi non vadano in contrasto con l’art. 58 del Regolamento.

 


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I prodotti alimentari biologici contro i prodotti alimentari convenzionali

I prodotti alimentari biologici contro i prodotti alimentari convenzionali

 

Foto di Couleur da Pixabay

 

Uno studio molto interessante dell’inglese Soil Association ha messo in evidenza aspetti riguardanti le differenze tra i cibi coltivati secondo gli standard dell’agricoltura biologica e quelli coltivati in maniera convenzionale; in particolare lo studio ha esaminato quattro aree:

  • food safety (sicurezza alimentare): in che misura i cibi biologici e non biologici contengono componenti indesiderati e potenzialmente dannosi per la salute (prodotti chimici, agenti patogeni, etc.);
  • primary nurients (nutrienti primari): quale contributo i cibi biologici e non biologici danno in termini di vitamine e minerali essenziali al fine di mantenere una buona salute;
  • secondary nutrients (elementi nutritivi secondari): possono le pratiche agricole influenzare la concentrazione di elementi secondari nella pianta (antiossidanti) e quindi le proprietà salutari che il cibo porta;
  • observed health effects (effetti osservati sulla salute): la capacità di un alimento di sostenere la salute, la crescita e la riproduzione.

Lo studio, riguardante la sicurezza alimentare, evidenzia che anche se prove certe di collegamenti tra pesticidi e malattie sono tutt’ora oggetto di ricerca, è evidente che un’esposizione prolungata a pesticidi e fertilizzanti può avere effetti sulla salute umana; mangiare cibo biologico riduce al minimo l’esposizione a residui di pesticidi. Non ci sono prove che sostengono l’idea che le colture biologiche, a causa del divieto di utilizzo di pesticidi, siano più esposti agli attacchi di funghi e quindi da aflatossine. Riguardo agli OGM (organismi geneticamente modificati), si evidenzia come la generale preoccupazione riguardo ad essi persista tra scienziati e studiosi.

Sempre lo stesso studio mette in evidenza come l’uso di ruotine di antibiotici in zootecnia non biologica, per prevenire malattie negli animali o come promotori di crescita, sta aumentando il rischio nella specie umana di resistenza batterica. Mentre più di 500 tipi di additivi (coloranti, conservanti, aromi, etc.) sono consentiti nei prodotti non biologici, in quelli biologici sono solo 30; inoltre ingredienti come i grassi idrogenati, che fanno aumentare il rischio di malattie cardiache, sono proibiti in agricoltura biologica. Il contenuto di nitrato potenzialmente tossico è minore in prodotti coltivati in agricoltura biologica; è interessante anche notare come la vitamina C, che aiuta ad inibire l’effetto dannoso dei nitrati, è minore negli alimenti convenzionali rispetto a quelli biologici.

Sui nutrienti primari, la letteratura presenta molte ricerche condotte però con metodi e risultati abbastanza insoddisfacenti per definire i cibi biologici più nutrienti di quelli convenzionali (solo 27 su 99 studi sono stati ritenuti validi per spiegare tale differenza); in generale le prove scientifiche valide hanno dimostrato una chiara tendenza verso il fatto che frutta e verdura biologica abbiano livelli più elevati di componenti desiderabili come fibra, minerali essenziali e vitamina C rispetto alla frutta e verdura non biologica.

A causa delle restrizioni sull’uso di pesticidi e fungicidi, gli agricoltori sono più propensi a selezionare prodotti alimentati biologici, con maggiore resistenza a parassiti e malattie e che presentano livelli più elevati di elementi nutritivi secondari (fitonutrienti).

Ci sono segnalazioni sugli effetti positivi che gli alimenti biologici hanno sulla salute degli esseri umani che ne consumano: minor esposizione a raffreddori ed influenza, convalescenza più rapida, miglior salute in generale, minor rischio di infortuni durante lo sport, pelle chiara e più sana, miglioramento della salute dentale, etc. inoltre effetti positivi si sono visti in terapie contro il cancro), e nella qualità del seme aumentandone la concentrazione media (Soil Association, 2002).

Anche se è molto difficile illustrare le incidenze che i prodotti alimentari biologici hanno sugli essere umani, a causa di molti altri fattori intervenenti che rendono complicati lo studio e la ricerca, qui si è voluto sottolineare come l’agricoltura biologica possa portare benefici sia a noi sia alla natura che ci circonda, con prodotti migliori qualitativamente, più sani e con un gusto migliore dei prodotti convenzionali (Soil Association, 2002).

 


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Focus: i prodotti alimentari biologici. Cosa sono? 

Focus: i prodotti alimentari biologici. Cosa sono?

 

 

I prodotti biologici comprendono una vasta gamma di prodotti: alimentari, di cosmesi e per la cura della pelle, prodotti per la casa, vestiti e calzature, etc.

I prodotti alimentari biologici vanno in netta contrapposizione ai prodotti geneticamente modificati (OGM), i quali sono studiati e creati appositamente per soddisfare il più possibile i gusti e preferenze dei consumatori favorendone la commercializzazione ed il profitto; i prodotti alimentari biologici mantengono un contatto con le tradizioni e le radici, nel rispetto della natura.

I prodotti alimentari biologici che si possono trovare in commercio possono essere: carne e carni conservate (insaccati); frutta e derivati (succhi, confetture, etc.); verdure e derivati (salse, sughi, zuppe, etc.); vino e birra; alimenti per bambini; latte; yogurt; prodotti di pasticceria; pane e pasta; prodotti per la colazione (cereali, biscotti, etc.); legumi.

I prodotti alimentari biologici trasformati sono prodotti che utilizzano ingredienti biologici di base: olio di oliva, salsa di pomodoro, marmellata, verdure sottaceto, piatti preparati, cereali per la colazione; tali prodotti dovrebbero essere ottenuti mediante processi atti a garantire la persistenza dell’integrità biologica e delle qualità essenziali del prodotto in tutte le fasi della catene di produzione.

Relativamente alla trasformazione della materia prima, è escluso l’utilizzo di aromi, di tutti i coloranti, gli edulcoranti, gli esalatori di sapidità; è escluso l’uso di conservanti nei trasformati vegetali, sono drasticamente ridotti gli altri additivi e coadiuvanti tecnologici; è escluso l’uso di radiazioni ionizzanti (Reg. Ce 834/07 e Reg. CE 889/08 Normativa Europea).

 


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Regolamentazione dell’agricoltura biologica

Regolamentazione dell’agricoltura biologica

Foto di kangbch da Pixabay

 

La tappa fondamentale che vede l’agricoltura biologica riconosciuta  a livello legislativo è l’entrata in vigore, nel 1993, del Reg. (CEE) 2092/91 che stabilisce le norme relative alla produzione, trasformazione, commercializzazione ed etichettatura dei prodotti biologici.

Questo regolamento, al quale sono seguite numerose modifiche negli anni successivi, considera le motivazioni che sono alla base della necessità della Comunità Europea di regolamentare il settore, mettendo in luce il substrato politico e culturale da cui il Regolamento nasce.

Ad esempio la prima considerazione sottolinea che: i consumatori richiedono in misura sempre maggiore prodotti agricoli e derrate alimentari ottenuti con metodi biologici… e che questo fenomeno sta quindi creando un nuovo mercato peri prodotti agricoli”(Consiglio UE. Regolamento (CEE) del Consiglio n°2092/91 del 24 giugno 1991. Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 198 del 22/07/1991 pag. 01- 15 inINIPA, AGER S.r.l. ed ANAGRIBIOS, 2004).

Appare evidente che durante la stesura del Regolamento era precisa la consapevolezza che l’intera materia fosse in corso di determinazione; si trattava quindi di definire l’impalcatura di un sistema di controllo, di tutte le fasi della produzione e della commercializzazione, alla quale si sarebbero aggiunte le specifiche determinazioni tecniche.

Tale regolamento, con le sue successive modifiche e integrazioni, ha disciplinato il settore in tutti gli stati membri dell’Unione Europea fino al dicembre 2008. Dal gennaio 2009 è subentrato il Regolamento (CE) 834/07, attualmente in vigore.


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Agricoltura biologica: Ifoam

Agricoltura biologica: IFOAM

 

Nel 1972 nasce in Francia l’IFOAM (International Federation of Organic Agricolture Movements), un’organizzazione internazionale che raggruppa le Associazioni operanti in agricoltura biologica.

Lo scopo di fondo di tale associazione era di produrre cibi sani e di elevata qualita?, nel rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi.

I membri associati possono essere singole personalita? come ricercatori, agronomi, operatori agricoli, esperti di economia, sociologia, ecologia e nutrizione, che hanno un ruolo consultivo senza diritto di voto; i soci effettivi sono individuati nelle associazioni senza scopo di lucro che hanno come obiettivo quello di sostenere e sviluppare sistemi di agricoltura compatibili con l’ambiente.

L’assemblea generale dei soci ha cadenza biennale ed indica le vie di sviluppo della Federazione, che devono essere svolte da un Comitato Direttivo, eletto dall’assemblea. Le attivita? dell’IFOAM sono affidate a vari gruppi di lavoro, ad esempio: il gruppo “Agro Cole” si occupa della diffusione delle tecniche biologiche nei paesi in via di sviluppo; il Comitato Tecnico ha il compito di aggiornare biennalmente la normativa relativa al disciplinare di produzione nella quale di definiscono gli standards di produzione che qualificano i prodotti biologici in commercio; il Comitato Scientifico promuove convegni sui singoli temi; infine un Comitato per i rapporti con la CEE ha collaborato a lungo con gli addetti della comunita? per la prima proposta di regolamento in materia di agricoltura biologica (INIPA, AGER S.r.l. ed ANAGRIBIOS, 2004).

 


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Nascita dell’agricoltura biologica

Nascita dell’agricoltura biologica

 

Foto di lumix2004 da Pixabay

 

Fu il filosofo austriaco Rudolf Steiner, nel suo “Corso di Agricoltura” nel 1924, ad introdurre il concetto di agricoltura biodinamica ed a gettare le basi per quella che oggi viene chiamata agricoltura biologica; secondo il filosofo suolo, colture, allevamenti, ambiente, flora e fauna fanno parte di un unico “organismo” (azienda agricola) nel quale interagiscono in equilibrio con le forze terrestri e cosmiche e pertanto nelle varie pratiche colturali devono essere impiegati solo metodi e prodotti naturali, tenendo presenti i ritmi naturali della Terra e del cosmo.

Successivamente negli anni ’40 si sviluppa un movimento basato sulle teorie del “Testamento agricolo” di Sir Howard (1940), secondo il quale la sostanza organica assume un ruolo di primaria importanza (organic farming). Dopo la seconda guerra mondiale fino agli ’50 si sviluppa in Svizzera il Movimento dei giovani agricoltori, fondato da Hans Peter Rusch e Hans Müller, nel quale viene posta attenzione all’humus ed alla sostanza organica, nonché sulle lavorazioni del terreno le quali devono essere ridotte al minimo per non modificarne la composizione microbica. Negli anni a seguire l’agricoltura organica aumenta in Europa e nel resto del mondo, trovando comunque alcuni ostacoli negli anni ’60 e ’70 specialmente grazie all’incremento dell’uso di prodotti chimici; negli anni ’60 infatti c’è un forte utilizzo della meccanizzazione e di prodotti chimici in quella che è chiamata “rivoluzione verde”, consistente nel massimo profitto ottenibile dalla produzione agricola, fortemente in contrasto con i principi “etico-ecologici” proposti. Il panorama però cambia negli anni ’70 ed i movimenti rivolti ad una maggiore ricerca della coscienza ambientale prendono nuovo vigore, anche a seguito dei problemi derivati dall’eccessivo impiego della chimica in agricoltura (es. DDT) e della crisi petrolifera (Benvenuto e Malossini, 2007).

 


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Comportamento di acquisto: Cos’è l’agricoltura biologica

Comportamento di acquisto: Cos’è l’agricoltura biologica

Foto di andreyalpha da Pixabay

 

Il termine “agricoltura biologica”, come descrive l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (AIAB, 2008), indica un metodo di coltivazione e di allevamento che ammette solo l’impiego di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi); significa quindi sviluppare un metodo di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo. E’ un metodo di produzione definito dal punto di vista legislativo a livello comunitario inizialmente con il Regolamento CEE 2092/91, e successivamente sostituito dai Reg. CE 834/07 e 889/08 ed a livello nazionale con il D. M. 18354/09.

Nelle coltivazioni, si provvede innanzitutto in via preventiva, selezionando specie resistenti alle malattie e intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate come per esempio: la rotazione delle colture, non coltivando consecutivamente nello stesso terreno la stessa pianta in modo da sfruttare meno intensivamente il terreno; la piantumazione di siepi e alberi che danno ospitalità a predatori naturali di parassiti e fungono da barriera fisica a possibili inquinamenti esterni; la consociazione, coltivando in parallelo piante sgradite l’una ai parassiti dell’altra. I fertilizzanti impiegati sono naturali come il letame opportunamente compostato e altre sostanze organiche compostate e sovesci, cioè incorporazioni nel terreno di piante appositamente seminate, come trifoglio o senape. Per la difesa delle colture in caso di necessità si interviene con sostanze naturali vegetali, animali o minerali: estratti di piante, insetti che predano parassiti, farina di roccia o minerali naturali. Qualora si ritenesse necessario intervenire per la difesa delle coltivazioni da parassiti e altre avversità, l’agricoltore può fare ricorso esclusivamente alle sostanze di origine naturale espressamente autorizzate e dettagliate dal Regolamento europeo.

Per quanto riguarda la zootecnia, il metodo di produzione biologico segue i criteri normativi definiti dall’Unione Europea (Regolamento CE 1804/99) ed a livello nazionale (D. M. 91436 del 4 Agosto 2000). Gli animali devono essere alimentati secondo i loro fabbisogni con prodotti vegetali ottenuti con metodo di produzione biologico; il numero di capi allevabili è strettamente legato alla superficie disponibile; i sistemi di allevamento adottati devono soddisfare i bisogni etologici e fisiologici degli animali e cioè consentire loro di esprimere il loro comportamento naturale con sistemi di vita adeguati; il trapianto degli embrioni e l’uso degli ormoni per regolare l’ovulazione sono vietati eccetto in caso di trattamento veterinario, ed è inoltre vietato l’impiego di razze ottenute mediante manipolazione genetica; il trasporto degli animali deve essere il meno lungo possibile ed è vietato l’uso di tranquillanti durante il tragitto; al momento della macellazione o dell’abbattimento deve esserci un trattamento in modo da limitare la tensione degli animali e offrire garanzie sulla separazione di quelli biologici da quelli convenzionali.

Nella scelta delle razze, è preferibile allevare razze autoctone ben adattate alle condizioni ambientali locali, resistenti alle malattie e adatte alla stabulazione all’aperto.

Le strutture per l’allevamento devono essere salubri e dimensionate al carico di bestiame; inoltre devono consentire l’isolamento dei capi che necessitano di cure mediche. Lo spazio libero minimo a disposizione degli animali per ogni specie e categoria viene definito nel Regolamento CE 1804/99, sia al coperto che all’esterno. La dieta del bestiame dovrebbe essere composta totalmente da cibi biologici, e bilanciata in accordo con i fabbisogni nutrizionali degli animali; non possono mai essere somministrati agli animali allevati con metodo biologico: stimolatori di crescita o stimolatori dell’appetito sintetici, conservanti e coloranti, urea, sottoprodotti animali (es. residui di macello o farine di pesce) ai ruminanti ed agli erbivori monogastrici fatta eccezione per il latte ed i prodotti lattiero-caseari, escrementi o altri rifiuti animali, alimenti sottoposti a trattamenti con solventi (es. panelli di soia o altri semi oleosi) o addizionati di agenti chimici in genere, organismi geneticamente modificati, vitamine sintetiche.

 


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