News: Ansia e depressione per colpa del lavoro

Ansia e depressione per colpa del lavoro

 

Italiani sempre più vittime dello stress professionale

Tratto da Milanoweb.com

 

16/02/2010 – 10milioni di "salariati" non lavorano tranquillamente.

Oltre  8 milioni di persone temono per la propria salute fisica e poco più di 4milioni sentono precario il proprio status psicologico.

Più di 2,8milioni di italiani riconoscono nella professione che esercitano la causa del proprio precario stato di salute.

Soffrono soprattutto le donne, maggiormente esposte a discriminazione e atteggiamenti prepotenti e, in generale, le persone di età compresa fra i 35 e i 44 anni.

Il fenomeno è acuito dalla grave crisi economica che sta coinvolgendo il mondo. Gli esperti rivelano che con la crisi "si lavora con meno personale a causa dei tagli, aumentano le responsabilità, lo stress e i sintomi psichici".

Altri studi mettono in relazione il lavoro con le cattive condizioni psicofisiche.

Una ricerca finlandese, per esempio, ha recentemente evidenziato che nei lavoratori stressati il rischio di soffrire di una malattia cardiovascolare è doppio rispetto a chi lavora in condizioni tranquille.

L’argomento stress-lavoro verrà trattato oggi nel corso della "XI Giornata Nazionale di informazione sulla promozione della salute nei posti di lavoro" organizzata da Ispesl (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro).

 

 

News: Stress da lavoro aziende francesi ingaggiano psicologi

 

L’ONDATA DI SUICIDI CHE HA COLPITO ALCUNE GRANDI IMPRESE E

BANCHE HA SPINTO I VERTICI A PREVENIRE IL DISAGIO

 

Tratto da www.lastampa.it

PARIGI

Lo chiamano "Effetto France Telecom": le imprese francesi si rivolgono sempre più agli psicologi per combattere lo "stress da lavoro" dei loro dipendenti e prevenire eventuali suicidi. A spingere le le aziende è stata l’ondata di suicidi che ha colpito in primis France Telecom (32 suicidi negli ultimi due anni di cui 17 nel 2009) ma anche altre imprese francesi (Renault, Edf, Sncf e Psa) e alcune banche. E se prima erano i medici aziendali o i direttori delle risorse umane ad interessarsi al problema, ora sempre più spesso sono proprio i vertici aziendali.

Èstato il rischio di incorrere in sanzioni a portare le aziende a far ricorso a società esterne specializzate, tra le quali figurano in prima fila Psya, Preventis, Ifas o Stimulus. Sempre più spesso, infatti, in Francia i tribunali tendono a classificare i suicidi sul posto di lavoro come infortunio sul lavoro e a riconoscere quindi la responsabilità dell’azienda. Ma il danno che si vuole evitare è anche quello legato all’immagine: in piena bufera, nel settembre scorso, sono raddoppiate le domande di disdette dei contratti con France Telecom da parte di privati. Non solo. Il benessere all’interno dell’azienda, come quello che sembra respirarsi fra i dipendenti di Google, diventa anche una ’arma in piu« da parte delle aziende per accattivare nuovi talenti e raggiungere risultati economici migliori.

Il fenomeno della richiesta da parte delle imprese di un sostegno psicologico per i propri dipendenti, »ha iniziato a svilupparsi in Francia già 4 o 5 anni fa ma le vicende di France Telecom, Renault e Edf hanno considerevolmente accelerato il processo« spiega all’Adnkronos, Emmanuel Charlot, direttore partnership e sviluppo di Psya, una società di prevenzione e di gestione dei rischi psicosociali che ha tra i suoi clienti circa cento grandi aziende francesi. «Basta pensare che il nostro fatturato nel 2009 ha subito una forte accelerazione (+52%) rispetto al 2008: si tratta della più forte crescita del nostro giro d’affari dalla nascita della società. E questo è molto rivelatore».

Anche Stimulus, società specializzata nella prevenzione dello stress al lavoro, registra una maggiore attenzione delle impresa al fenomeno. Quello che osserviamo, in questi ultimi mesi, sottolinea il direttore generale di Stimulus, Patrick Legeron, «è un forte aumento delle domande» da parte delle aziende francesi. «Molte imprese che non si interessavano a questo fenomeno si sentono ormai obbligate ad affrontare il problema: a spingerle purtroppo è soprattutto la paura di trovarsi confrontati agli stessi fenomeni più che la semplice volontà di creare benessere ai propri dipendenti».

Uno dei grandi cambiamenti che abbiamo osservato, con il ripetersi di vicende tragiche sui luoghi di lavoro, rileva ancora Legeron, «è che ormai il tema dello stress e del rischio psicosociale al lavoro è diventato un tema a cui si dedicano direttamente i presidenti e direttori generali. Quindi c’è stato sia un cambiamento quantitativo -sempre più aziende fanno appello a società specializzate- che qualitativo». A dimostrazione che questo ricorso a specialisti per fronteggiare lo stress al lavoro è in continuo aumento è la crescita del fatturato di Stimulus negli ultimi anni: «nel 2006, nel 2007 e nel 2008 il nostro giro d’affari è cresciuto del 40% l’anno» sottolinea il numero uno della società spiegando che questo ha avuto anche ripercussioni su Stimulus stesso: «in due anni, tra il 2007 e fine 2009, abbiamo raddoppiato il numero dei nostri dipendenti e dei nostri consulenti. Ora non abbiamo solo psicologi ma anche specialisti dell’organizzazione del lavoro, del management, statistici e medici del lavoro».

A spingere le imprese ad una maggiore prevenzione anche il quadro legislativo: dopo il recepimento nel 2008 dell’accordo-quadro europeo del 2004 contro lo stress al lavoro, il Governo ha amplificato la sua azione di prevenzione. Nell’ottobre del 2009 il ministro del Lavoro, Xavier Darcos, ha annunciato, infatti, un piano che prevede che le 2.500 aziende francesi con più di 1.000 dipendenti lancino, entro il primo febbraio 2010, delle negoziazioni con i rappresentanti del personale sulla prevenzione dello stress al lavoro mentre alle Pmi è chiesto l’adozione di misure concrete di prevenzione.

La vicenda dei suicidi a France Telecom e l’ingiunzione del ministro del Lavoro, sottolinea Martine Feltrin, direttrice e fondatrice di Preventis, un centro di intervento per la salute sul Lavoro, «hanno incitato fortemente le aziende francesi a fare ricorso a società specializzate». Per Preventis, «l’aumento di richieste da parte delle aziende francesi è stato di circa il 30% rispetto al 2008».

I problemi che maggiormente sono stati riscontrati nei lavoratori che hanno fatto appello a questo tipo di servizio, che «è anonimo e confidenziale» spiega Charlot, «sono quelli legati ai rapporti interpersonali con un collega o con un superiore gerarchico e quelli legati al mancato riconoscimento del proprio lavoro.  I dipendenti, generalmente, -spiega il direttore partnership e sviluppo di Psya- sono pronti ad impegnarsi di più nel loro lavoro ma vorrebbero che il loro impegno venisse maggiormente riconosciuto e non necessariamente al livello pecuniario.

Inizialmente -rileva- siamo stati molto sorpresi dalla sistematicità di questo tipo di problema e ora stiamo lavorando con i canadesi dell’Università di Laval di Quebec per poter dare risposte adeguate».

I rapporti interpersonali e la mancanza di riconoscimento del lavoro sono per Legeron, che è anche psichiatra, tra i problemi che maggiormente si riscontrano nei posti di lavoro. «

Tra i problemi riscontrati c’è quello legato alla grande pressione psicologica alla quale vengono sottoposti i lavoratori: lavorare sempre meglio, sempre di più, sempre più velocemente e sempre con minori mezzi. Poi ci sono i problemi legati ai rapporti tra gli individui -i lavoratori spesso lamentano la mancanza di convivialità, di solidarietà e la solitudine- e il mobbing; i problemi legati alla mobilità e ai trasferimenti – a France Telecom è una delle cause di maggior malessere-; quelli legati alla mancanza di riconoscimento del lavoro svolto e il disinteresse: ’si lavora tanto ma per favorire fondi di pensioni statunitense o gli azionistì, ci spiegano spesso i lavoratori».

Se avessi due bacchette magiche, rileva dal canto suo Feltrin, che è anche psico-sociologa e vittimologa, «ridarei la parola che spesso nelle imprese è stata negata e ricreerei la solidarietà. Nei casi dei suicidi, infatti, quello che è deleterio è l’isolamento in cui si trovano molte persone».

Tuttavia, rileva Charlot, «registriamo una vera volontà di cambiamento da parte delle aziende francesi che sempre di più intendono affrontare i problemi legati alla salute sul posto di lavoro. Sembrano sempre di più prendere coscienza della necessità di gratificare i propri dipendenti e di creare un quadro di lavoro migliore». Dello stesso pare anche Feltrin che evidenzia come «le imprese inizino a poco a poco a capire la parte di responsabilità che possono avere su alcuni malesseri dei propri dipendenti e iniziano a interrogarsi sulla loro organizzazione del lavoro».

In Francia, come in Gran Bretagna e in Germania, si cerca di recuperare il ritardo. Inpole position, nella lotta allo stress sul lavoro, figurano invece il Canada e l’Europa del Nord. «Il benessere dei propri dipendenti -spiega il direttore generale di Stimulus- è importante strategicamente per le aziende. Quando la gente è felice, c’è meno assenteismo, il lavoro è migliore e i risultati economici si vedono. Per Nokia in Finlandia, che ha anche un responsabile per il benessere, il ritorno dell’investimento fatto per rendere più piacevole il lavoro è particolarmente positivo».

 

 

News: Ricerca e benessere

 

 

RICERCA E BENESSERE

Il benessere al servizio delle persone

 

È partito in questi giorni un progetto denominato “Ricerca e benessere: il benessere al servizio delle persone” dedicato al mondo delle Spa e Centri Benessere.

Stando ai più grandi economisti (Pilzer, 2007) il trend del benessere è in continua crescita, fattore che sta spingendo molte aziende ed imprenditori ad investire risorse, energie e denaro in un settore spesso non supportato da conferme e validità scientifiche.

Allo scopo di tutelare sia i consumatori, sia i Centri che erogano i servizi, nasce il progetto “Ricerca e Benessere” che si propone di indagare quanto i trattamenti eseguiti presso un Centro, contribuiscano all’accrescimento del  benessere personale declinato in dimensioni tra cui, ad esempio, Autoimmagine, Autostima, Rilassamento e Riduzione dello Stress.

Il progetto è diviso in due fasi: una fase di ricerca e una fase di comunicazione.

La parte di comunicazione è affidata ad Accademia del Benessere.

La parte di ricerca è gestita dal Dr. Andrea Castello, Dr.ssa Anna Rosso, Dr.ssa Tania Braga, Dr. Francesco De Paola che fanno parte dell’Istituto per la Ricerca Forma Mentis che si occupa di ricerca in campo psicologico, con particolare attenzione all’ambito sociale, educativo, aziendale, sportivo, del benessere e salute lavorativa, avvalendosi di Psicologi professionisti.

Promuove una cultura condivisa del benessere della persona, nelle varie sfere, per una consapevolezza sempre maggiore circa le condizioni che ne permettono il corretto  sviluppo psicofisico.

Il protocollo utilizzato nella ricerca ha inizio con l‘analisi della letteratura presente sull’argomento, e la successiva formulazione di ipotesi espresse secondo un modello teorico attinente il più possibile alla realtà (verificato secondo Modelli ad Equazioni strutturali o SEM) e prevede la definizione di un campione significativo di soggetti disponibili a rispondere ad una serie di domande contenute in un questionario strutturato ad hoc, sulla base dei valori psicometrici migliori per le dimensioni da indagare.

Dopo aver somministrato il questionario ai soggetti scelti, il protocollo prosegue con la raccolta e l’analisi delle risposte, testandone successivamente le qualità psicometriche quali l’attendibilità (alpha di Cronbach), la correlazione inter-item, la significatività ed altre.

Sulla base dei risultati ottenuti, confermata l’ipotesi di partenza, verrà redatto un articolo scientifico da pubblicare su una delle principali riviste di settore, online sul sito dedicato e su www.psicologiadellavoro.org.

Al termine della ricerca verrà redatto, e messo online, un elenco dei Centri validati consultabile dai consumatori, che potranno così orientarsi nell’individuare le strutture nelle quali si è riscontrato l’effettivo miglioramento del benessere oggetto della ricerca stessa.

 

News: Ridurre lo stress per ridurre i costi

 

RIDURRE LO STRESS PER RIDURRE I COSTI

 

 

SECONDO IL NATIONAL INSTITUTE FOR HEALTH AND CLINICAL EXCELLENCE BRITANNICO

 

Articolo di Alessandra Carboni

Tratto dal Corriere della Sera.it

 

I titolari delle imprese accantonare atteggiamenti rigidi e autoritari e imparare a gratificare i propri dipendenti per ridurre frustrazione, demotivazione e anche costi

MILANO – Un consiglio ai datori di lavoro: abbiate cura dei vostri dipendenti e fate sì che possano lavorare senza stress e liberi dall’ansia. Così facendo l’azienda potrebbe risparmiare migliaia di euro.

IL COSTO DELLO STRESS – Il suggerimento arriva dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) britannico, che mette in luce come ogni anno nel Regno Unito vadano persi più o meno 13 milioni di giorni lavorativi proprio a causa dello stress accumulato negli uffici dai dipendenti. Il tutto, ovviamente, con relative ripercussioni sui conti aziendali. Il NICE ha infatti stimato che, tra perdita di produttività e spese per la sostituzioni degli stressati assenti in malattia, ogni anno il costo complessivo dello stress gravi sulle aziende del Regno d’oltremanica per un totale di circa 31 miliardi di euro.

SOLUZIONI E RISPARMIO – La principale responsabilità di tale situazione sarebbe – sempre secondo gli esperti del National Institute – dei manager, che dovrebbero accantonare atteggiamenti rigidi e autoritari e imparare invece a gratificare i quadri inferiori, dando loro feedback positivi, consentendo maggiore flessibilità sul lavoro e concedendo giorni liberi come premio. Inoltre, i dirigenti potrebbero investire in corsi di formazione per i manager e in assistenza allo staff dei dipendenti al fine di agevolarne l’avanzamento di carriera: in questo modo il fardello che appesantisce i loro conti sarebbe decurtato di un terzo. Secondo i conteggi del NICE, adottando tutte queste accortezze un’azienda media con mille dipendenti arriverebbe a risparmiare circa 278 mila euro in un anno. Come sottolineato dal Professor Cary Cooper, esperto in psicologia del lavoro presso la Lancaster University, «non bisogna sottovalutare l’importanza di dire "bravo" a un dipendente», ma a quanto pare è più facile che un lavoratore sia rimproverato per un errore commesso piuttosto che gratificato per un risultato raggiunto.

 

 

Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: Capitolo 2 – Un esempio di studio

Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: Capitolo 2 – Un esempio di studio

 

UN ESEMPIO DI STUDIO

Il primo scopo di questa ricerca è di provocare un conflitto epistemologico o relazionale nelle interazioni e di mettere a confronto le conseguenze reciproche di questi due tipi di conflitto, e in una condizione in cui non viene introdotto alcun conflitto; questo verrà studiato per l’apprendimento e anche per la percezione dell’interazione. Inoltre, si analizzerà come il modo di distribuire informazioni (interdipendenza contro dipendenza della fonte) influenzi la percezione dell’interazione e l’effetto del tipo di conflitto nell’apprendimento.

Un conflitto, nella sua forma epistemologica, può favorire il rapporto e focalizza i partecipanti sul compito, portandoli così a un migliore apprendimento rispetto a quando non sono di fronte a un conflitto. Parimenti, un conflitto relazionale può essere negativo per il rapporto e mettere in risalto le attività relazionali di valutazione e confronto, e portare così a un peggiore apprendimento rispetto all’assenza di conflitto.

Inoltre, gli effetti di questo tipo di conflitto possono essere modulati dalla situazione in cui hanno avuto luogo. L’interdipendenza delle fonti dovrebbe rendere più pertinente l’interazione e quindi favorire interazioni e rapporto. Dovrebbe anche ridurre le attività di confronto sociale. In questa si-tuazione l’apprendimento dipenderebbe dalla forma del conflitto. Un conflitto epistemologico dovrebbe portare a un apprendimento forte e durevole. Un conflitto relazionale dovrebbe al contrario deteriorare la prestazione. Quando i partecipanti hanno informazioni identiche (fonte indipendente) possono esserci due opzioni:

 

 

    • il rapporto con il partner può essere percepito come meno rilevante (indipendenza), il che può portare i partecipanti a prestare minore attenzione a ciò che il loro partner dice e alla norma in cui lo dice;

 

    • la situazione può rendere saliente il confronto sociale. Se ciò accade, l’indipendenza delle fonti può dare una forma relazionale a tutte le interazioni. Non si dovrebbero quindi trovare differenze tra le condizioni.

 

 

Il conflitto relazionale, opposto a quello epistemologico, è stato introdotto nell’interazione grazie a un complice; è stata realizzata anche un’interazione senza conflitto (gruppo di controllo). Alle coppie, composte da un partecipante e da un complice (elemento di controllo), si è chiesto di lavora-re in cooperazione su due testi. Nella condizione di indipendenza delle fonti (informazioni identiche), il partecipante e il complice leggono i due testi. Nella condizione di interdipendenza delle fonti (informazioni complementari), un partecipante legge un testo, l’altro partecipante legge l’altro testo.

Il tipo di conflitto riguarda la percezione dell’interazione con il partner. La quantità di scambi e di divergenze percepiti è maggiore nelle condizioni conflittuali (epistemologiche e relazionali) che nel gruppo di controllo. Al contrario, solo il conflitto relazionale porta ad attività relazionali più percepite (valutando le competenze del partner, cercando di imporre il proprio punto di vista, ecc.). Quindi, la differenza tra conflitto epistemologico e relazionale non consiste né nella quantità di interazioni, né nel grado di conflittualità che ogni conflitto comporta, ma nella sua forma, con il conflitto relazionale che focalizza l’attenzione dei partecipanti sulla valutazione delle competenze.

Per quanto riguarda la qualità del rapporto con il partner (il complice), i partecipanti che dovevano affrontare un conflitto relazionale percepivano il rapporto come meno positivo rispetto a coloro che erano nel gruppo di controllo. È stato dimostrato, su periodi più lunghi, che i metodi di ap-prendimento basati sulla controversia favorivano l’attrazione interpersonale e il rapporto, rispetto a metodi di apprendimento basati sulla concorrenza che cercavano il dibattito (Johnson & Johnson, 1994; Johnson, Johnson e Tjosvold, 2000). Gli attuali risultati mostrano che solamente un’interazione basata sul conflitto epistemologico è sufficiente ad aumentare una rappresentazione positiva del rapporto, mentre un’interazione basata sul conflitto relazionale porta a una rappresentazione negativa del rapporto.

Inoltre, come previsto dalla letteratura sulla risoluzione del conflitto, il conflitto non portava allo stesso livello di apprendimento nella forma epistemologica o relazionale. D’altra parte, la ricerca ha mostrato che una regolazione epistemologica del conflitto può portare a un più profondo processo di informazione rispetto alla regolazione relazionale; ciò è stato osservato attraverso diversi metodi, come l’osservazione a posteriori (Mugny et al., 1978-79; Carugati et al. 1980), e focalizzandosi (o meno) sul confronto o la competizione sociale (Quiamzade & Butera, 2001; Tjosvold & Johnson, 1980, Tjosvold et al., 1981; Monteil & Chambres, 1990; Johnson & Johnson, 1994). Gli at-tuali risultati, ottenuti provocando direttamente un conflitto relazionale o epistemologico, hanno supportato la stessa idea e l’hanno ampliata; si è dimostrato che un conflitto nella sua forma epistemologica è più favorevole per l’apprendimento rispetto che nella sua forma relazionale. Dall’altra parte, non c’era consenso in letteratura sulle conseguenze del conflitto relazionale messo a confronto con situazioni di non conflitto. Infatti, gli studi esistenti non permettevano di concludere che un conflitto relazionale avrebbe portato a più (Johnson & Johnson, 1993), uguale (Mugny et al., 1978-79, Carugati et al. 1980), o meno (Butera et al. 2000; Monteil & Chambres, 1990) apprendimento rispetto all’assenza di conflitto. I risultati di questo studio supportano la terza opzione. Infatti, dopo un periodo di quattro settimane, il conflitto relazionale porta a un peggiore apprendimento rispetto al gruppo di controllo. Questo tipo di conflitto è non solo sfavorevole per l’apprendimento, ma anche nocivo. Questo sottolinea un’importante differenza tra studi realizzati nella tradizione della psicologia dello sviluppo sociale (Mugny et al., 1978-79; Carugati et al. 1980-81) e questo studio, per quanto riguarda la regolazione relazionale del conflitto. In questo esperimento il conflitto relazionale deteriora la prestazione ritardata, laddove nei suddetti studi, la regolazione relazionale cancella il beneficio del conflitto (rendendolo equivalente all’assenza di conflitto). In questi studi la regolazione relazionale del conflitto corrisponde alla condiscendenza, un modo per evitare il conflitto, in maniera da mantenere un rapporto positivo con il partner (Doise & Mugny, 1984). Ciò che è stato pro-vocato in questo studio, nella condizione del conflitto relazionale, è molto diverso, poiché è un attacco alle competenze dei partecipanti, invitandoli a risolvere il conflitto in modo difensivo. È pos-sibile supporre che questi due tipi di regolazione relazionale del conflitto non portino alle stesse attività cognitive. Evitare il conflitto attraverso l’arrendevolezza significa evitare le attività cognitive di coordinamento dei punti di vista (soluzione epistemologica): questo evitare può allora cancellare i benefici dell’interazione. Risolvere il conflitto in modo difensivo significa al contrario caricare il sistema cognitivo di ulteriore lavoro per provare la propria conoscenza. Questo carico cognitivo può quindi interferire con l’elaborazione del compito e può essere dannoso per l’apprendimento. Il con-fronto tra accondiscendenza e comportamento difensivo nel conflitto relazionale, qui piuttosto speculativo, sembra molto promettente per la comprensione della mancanza di miglioramento nelle interazioni cooperative; la futura ricerca è sulla strada di affrontare direttamente la questione.

Per quanto riguarda il confronto tra conflitto epistemologico e il gruppo di controllo, erano attese le conseguenze benefiche del conflitto epistemologico sull’apprendimento (Mugny et al. 1973-76; Mugny et al. 1978-79; Doise et al. 1975-76; Ames & Murray, 1982; Gilly & Roux, 1984; Tjosvold & Johnson, 1977; 1980; Smith et al. 1981; 1984). Tuttavia, in questo esperimento, la differenza tra i partecipanti che sono stati messi di fronte a un conflitto epistemologico e quelli che non hanno dovuto affrontare un conflitto sono solo marginali sulla prestazione immediata e non significativi per quella ritardata. Sembra che i partecipanti alla condizione di conflitto epistemologico non abbiano appreso tanto quanto ci si aspettava. Una possibile soluzione viene suggerita da un esperimento di Mugny et al. (1978-79), nel quale la forza del conflitto epistemologico è stata manipolata. Il conflitto provocato da un complice era “forte” (il complice e il soggetto insistevano sulla divergenza) o “debole” (il complice semplicemente evocava la soluzione divergente). In un gruppo di controllo non c’era conflitto. I risultati mostrano che solo una forte condizione di conflitto porta i ragazzi a progredire. La semplice presentazione della divergenza (conflitto debole) non era sufficiente a indurre l’avanzamento. Sulla base di questi risultati è possibile sostenere che in questo esperimento il conflitto epistemologico provocato non era abbastanza forte da migliorare l’apprendimento significativamente. Questa ipotesi verrà anch’essa sperimentata nella futura ricerca.

I risultati hanno anche dimostrato che la distribuzione delle risorse attenua il risultato dell’interazione e l’effetto del conflitto. Si prevedono due benefici nella condizione di interdipen-denza delle fonti:

    • primo, l’interdipendenza renderebbe l’interazione rilevante dal punto di vista del partecipan-te (Butera et al., 1994), il che favorirebbe le attività di scambio e cooperazione (Lambiotte et al., 1987; Buchs, Butera & Mugny, 2002);
    • secondo, l’interdipendenza ridurrebbe le istanze di confronto sociale che possono essere minacciose quando i partner ricevono identiche fonti (Pepitone, 1972; Sanders et al. 1978; Buchs, Butera & Mugny, 2002).

 

Una maggiore quantità di scambi percepiti tra sé stessi e il partner quando i partecipanti ricevo-no informazioni complementari supporta l’esistenza del primo di questi benefici. Un rapporto percepito meno positivamente e una maggiore quantità di attività relazionali percepite quando i partecipanti ricevono fonti identiche, supportano l’esistenza del secondo beneficio.

Per quanto riguarda la prestazione, va notato che non è stato osservato nessun principale effetto della distribuzione delle fonti. Malgrado il fatto che i partecipanti, quando ricevevano informazioni complementari, non avessero accesso all’intera informazione (leggevano solo il testo), avevano prestazioni altrettanto buone di coloro che avevano letto l’intera informazione, cioè entrambi i testi (nella condizione di indipendenza). Inoltre, l’assenza di un effetto di ruolo (ascoltatore rispetto a colui che faceva il riassunto) e di un’interazione tra distribuzione delle fonti e ruolo, ci permette di considerare che i partecipanti non sono stati penalizzati dalla non lettura del testo di cui erano ascol-tatori nella condizione di interdipendenza delle fonti. Ciò può essere spiegato dal fatto che la spiegazione del complice era molto chiara e permetteva agli ascoltatori di comprendere il testo allo stesso modo in cui l’avrebbero compreso se lo avessero letto. Questo può anche spiegare perché i partecipanti che erano nella condizione di conflitto epistemologico non siano realmente progrediti, rispetto al gruppo di controllo: la qualità del riassunto del complice era forse tale da produrre una specie di effetto limite massimo. La prestazione ha subìto un effetto di deterioramento nel ritardo che separava la prima misurazione dalla seconda. Quattro settimane più tardi solo le informazioni che erano state veramente integrate erano rimaste. Questo ci permette di capire perché l’attesa interazione tra tipo di conflitto e distribuzione delle fonti appare solo nella prestazione ritardata. In questo esperimento i partecipanti hanno fatto tutti bene nel test immediato (in media, 3 o 4 risposte sbagliate su 12), perché il tempo che separa la spiegazione (durante l’interazione) dalla misurazione era molto breve. Quindi non è sull’apprendimento immediato che i partecipanti si differenziano l’uno dall’altro, ma sull’apprendimento duraturo, quello che rimane dopo. In merito a questa ultima misurazione, il modo di distribuzione delle fonti interessava l’effetto sul tipo di conflitto.

Secondo Johnson & Johnson (1994), i conflitti hanno un effetto sull’apprendimento solo se hanno luogo in un contesto di reale collaborazione. I risultati supportano questa opinione, poiché l’atteso effetto di deterioramento del conflitto relazionale appariva nella condizione di interdipendenza e non in quella di indipendenza. Sembra che una modalità indipendente di distribuzione delle risorse impedisca ai partecipanti di percepire la complementarietà tra loro e il loro partner (ecco perché i partecipanti a questa condizione percepivano di meno le interazioni) e allo stesso tempo aumenti le attività di confronto sociale (ecco perché i partecipanti percepivano di più le attività relazionali). I partecipanti a questa condizione erano quindi insensibili a ciò che il complice diceva e al modo in cui lo diceva. Tutte le interazioni, anche nella loro forma iniziale (conflittuale o meno, relazionale o epistemologica) focalizzano l’attenzione sugli aspetti relazionali più che sul compito, il che rende tutte le interazioni equivalenti per l’apprendimento.

Anche se questo studio non ha riprodotto le conseguenze benefiche di un conflitto epistemologico sull’apprendimento, ha sottolineato due importanti questioni:

    • ha mostrato che un conflitto può deteriorare l’apprendimento se si tratta di un conflitto relazionale, basato sulla minaccia delle competenze individuali;
    • ha sottolineato l’importanza del contesto in cui ha luogo il conflitto. Infatti, ha dimostrato che non appena i partecipanti lavorano su informazioni identiche (in condizioni di indipendenza delle fonti), le attività relazionali sono aumentate, ci sono meno interazioni, il rapporto è percepito come meno positivo e tutti i tipi di interazioni sono equivalenti per l’apprendimento.

 

Questi risultati sono importanti per la comprensione dei processi di apprendimento all’università, in particolare per quelli che riguardano il lavoro in squadra. Infatti, tutte le situazioni che richiedono agli studenti di lavorare insieme – per es. esercizi, laboratori, assegnazioni per gruppi, ecc. – sfidano l’insegnante a stabilire le condizioni che favoriranno un apprendimento durevole e a evitare quelle che lo impediranno. I risultati presentati suggeriscono che il tipo di distribuzione delle fonti – che l’insegnante controlla assegnando i materiali pedagogici – ha un impatto importante sull’effetto dei vari conflitti che possono sorgere durante le interazioni degli studenti. Infatti, sembra che ci possa essere un problema ogniqualvolta che, per mancanza di fonti o per limitato accesso ad esse, l’insegnante debba distribuire i materiali pedagogici in un modo tale che gli studenti vengono ad avere informazioni complementari. I risultati suggeriscono che, in questo caso, gli studenti saranno particolarmente sensibili alla qualità del rapporto con i loro compagni e che il loro la-voro sarà danneggiato da un conflitto relazionale. Sfortunatamente, la competitività tra gli studenti è ancora troppo speso instaurata dagli insegnanti. La ricerca applicata ci dirà se questi risultati posso-no essere d’aiuto.

 

© Compiti di prestazione e compiti di apprendimento: sviluppi recenti  – Fabrizio Manini

Torna a “Apprendimento e Prestazioni

 

 

stress relief

Psicologia del Lavoro

Argomenti

Argomenti

Tutti gli argomenti trattati sul nostro sito con aggiornamento settimanale, per avere sempre news aggiornate e nuove.

Nelle varie sezioni affrontiamo argomenti che riteniamo utili non solo alle persone, ma anche agli esperti e ai professionisti che si occupano e lavorano nel campo della Psicologia del lavoro.

Sempre articoli nuovi che spaziano negli svariati aspetti della psicologia, per dare una visione a 360°. Cerchiamo di corroborare la ricerca scientifica con la nostra esperienza personale per dare spunti di riflessione diversi.

Per aiutare la navigazione le varie tematihe pubblicate saranno raggruppate in diverse categorie, per facilitare la scelta dell’argomento tra gli svriati che toccheremo. Infatti le tematiche riguardano, nello specifico, argomenti propri della psicologia del lavoro, come l’assessment, il benessre orgranizzativo, gli struenti per le valutazioni dello stress e del benessere lavorativo; sino a quelli più prettamente clinici, come l’intelligenza emotiva, la salute e il benessere, la PNL.

Trattiamo, inoltre, di marketing e abbiamo sezioni dedicate interamente a professionisti ed imprenditori, che possono contattarci direttamente tramite il nostro format oppure scrivendoci una mail.

Questo sito infine raggruppa diversi tipi di articoli,  da quelli scientifici a tesi di laurea, sino ad arrivare ad argomenti scritti di nostro pugno e che riguardano la nostra esperienza pratica e clinica.

Le categorie in cui abbiamo deciso di raggruppare i nostri articoli sono le seguenti:
    1. Apprendimento
    2. Assessment
    3. Clima aziendale/Organizzativo
    4. Coaching
    5. Competenze
    6. Comunicazione
    7. Consulenza Aziendale
    8. Counselling
    9. Disagio Lavorativo
    10. Formazione
    11. Intelligenza Emotiva
    12. Marketing
    13. PNL
    14. Psicologia delle Decisioni
    15. Psicologia del Turismo
    16. Psicologia Giuridica
    17. Psicologia Sociale
    18. Responsabilità Sociale
    19. Risorse Umane
    20. Salute e Benessere
    21. Sicurezza
    22. Psicologia Clinica

Gli aricoli verranno condivisi sia nella nostra newsletter mensile, alla quale ci si può abbuonare senza costi iscrivendosi al nostro format. Condividiamo i nostri articoli verngono settimanalmente pubblicati sulla nostra pagina di facebook, continuamente aggiornata. Dandoci un semplice like vi rendermo partecipi delle nostre news e dei nostri eventi.

E ora passiamo a voi: se avete piacere o interesse di condividere un vostro articolo sul nostro sito e renderlo fruibile a tutti i nostri lettori potete inoltrarci le vostre richieste alla mail info@psicologiadellavoro.org