La metodologia del bilancio di competenze

La metodologia del bilancio

Gli elementi fondamentali della metodologia adottata per il bilancio sono:

    • l’individualizzazione e personalizzazione del percorso;
    • una forte attivazione del soggetto nella ricostruzione, riappropriazione e valorizzazione delle competenze maturate e nella ricerca d’informazioni sul territorio;
    • l’utilizzo privilegiato, nella fase di esplorazione delle risorse personali, di un approccio fondato prevalentemente sull’autovalutazione;
    • la realizzazione di una mediazione sociale (colloqui individuali col responsabile del bilancio, incontri con esperti e sessioni di gruppo, indagini e contatti sul territorio, prove di verifica), quindi il confronto con una pluralitàdi punti di vista e l’attivazione di una rete di servizi;
    • il rapporto tra consulente di bilancio e cliente del servizio come filo conduttore di tutti gli altri ambiti e dimensioni in cui si svolge il lavoro di bilancio.

 

I prodotti del bilancio

Gli output “visibili” del percorso di bilancio, (simili a quelli dell’esperienza francese) sono sostanzialmente:

    • un progetto professionale contenente le ipotesi di sviluppo, le attività da intraprendere per realizzarle e il piano d’azione;
    • un documento di sintesi, in cui il consulente di bilancio riorganizza e porta a sintesi le informazioni ed i punti di vista relativi al soggetto raccolti durante il percorso; il soggetto ne è l’unico destinatario e può deciderne l’utilizzo; restituzioni parziali possono essere concordate con i referenti aziendali o con altri referenti esterni (selezionatori del personale, consulenti di carriera, ecc.) interessati agli esiti del percorso, purché ci sia l’assenso del titolare del bilancio.
    • un portafoglio di competenze, vale a dire una specifica raccolta e descrizione degli elementi (o delle prove) che attestano le risorse acquisite suscettibili di valorizzazione e/o trasferibilità nei progetti elaborati; il “portafoglio”, che il soggetto può tenere aggiornato con le acquisizioni successive, ha la duplice valenza d’aiuto alla memoria e di autovalorizzazione da un lato, di progettazione della comunicazione verso l’esterno dall’altro.

 

Gli strumenti di bilancio

Gli strumenti utilizzati nel percorso di bilancio sono essenzialmente il colloquio e il lavoro di gruppo.

Il percorso proposto privilegia infatti il rapporto a due consultante-consulente, e dunque prioritariamente il “colloquio”, prevedendo alcuni “laboratori di gruppo” nelle fasi del percorso relative alla conoscenza dell’ambiente e all’elaborazione del progetto.

Il colloquio viene utilizzato come strumento per la consulenza di carriera per quanto attiene gli ambiti di approfondimento presenti nel percorso di bilancio e le dimensioni da far oggetto della riflessione che si sviluppa tra i due interlocutori agenti nella relazione. Risulta essenziale una funzione di filtro efficace che assuma come riferimento i requisiti fondamentali definiti per i potenziali clienti del bilancio e le condizioni di attuabilità fissate (caratteristiche professionali e personali dei soggetti, situazione lavorativa, motivazione e disponibilità al cambiamento, ecc.). La relazione consulente/cliente non vuole e non dovrebbe configurarsi come consulenza psicologica in senso stretto.

A proposito dei laboratori, in essi il gruppo non assume una valenza paragonabile a quella dei vari percorsi di orientamento in gruppo. I gruppi di bilancio, costituiti ogni volta da membri diversi, omogenei o eterogenei a seconda dell’obiettivo del singolo laboratorio, possono svolgere le seguenti funzioni:

    • acquisizione di strumenti di lettura e descrizione della competenza professionale;
    • allargamento delle rappresentazioni sul mercato del lavoro;
    • acquisizione e messa in comune d’informazioni relative a singoli settori o ruoli professionali;
    • ambito per eventuali “role-playing”

 

I laboratori proposti nel percorso di bilancio, che riprendono alcuni dei nuclei tematici affrontati negli Ateliers francesi, sono i seguenti:

    • – Analisi delle competenze professionali.
    • – Mercato del Lavoro e figure professionali.

 

Si può inoltre prevedere la possibilità, coerentemente con l’approccio scelto per l’esperienza di bilancio, di effettuare prove relative a competenze tecnico professionali con le seguenti valenze:

    • aiuto al cliente e al consulente per sostenere un esame di realtà sulle competenze acquisite del soggetto, sia nel caso di scarsa fiducia in sé e probabile sottovalutazione, sia nel caso di sopravvalutazione.
    • aiuto al cliente e al consulente per effettuare un esame di realtà sulla fattibilità di un progetto e sugli eventuali scarti da colmare, monitorando le competenze chiave della figura professionale ipotizzata;
    • utilizzo anche “indiretto” di tali prove per una riflessione da parte del soggetto sulla propria capacità di reggere lo stress, sui propri livelli d’organizzazione mentale, sull’utilizzo del tempo, ecc.

 

Le prove più facilmente proponibili possono riguardare verifiche relative ai livelli di conoscenza  delle lingue straniere, dell’informatica in generale e di alcune particolari applicazioni o il possesso di abilità tecnico professionali specifiche (utilizzo di macchine a controllo numerico, disegno tecnico, ecc.).

Può anche essere utile predisporre, quali altre occasioni di verifica, esercitazioni di gruppo per fornire al soggetto e al consulente spunti di riflessione su specifiche abilità/potenzialità nell’area del diagnosticare, relazionarsi ed affrontare, considerate come:

    • – abilità trasversali (all’origine della formulazione del progetto);
    • – abilità ritenute fondamentali per il ruolo ipotizzato e da monitorare prima della scelta finale.

 

Si propone infine una batteria di strumenti di supporto al cliente e al consulente nello svolgimento del percorso, finalizzati alla raccolta, elaborazione e organizzazione delle informazioni riguardanti il soggetto (storia, competenze, risorse personali, interessi professionali, ecc.), alla ricostruzione dei percorsi formativi e lavorativi: schede strutturate, mappe descrittive, questionari finalizzati all’esplorazione e all’autovalutazione d’alcune dimensioni del sé, griglie contenenti punti d’attenzione per la gestione dei colloqui. (Selvatici, D’Angelo, 2002).

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

L’Azione di Bilancio delle competenze: le fasi del percorso

L’Azione di Bilancio delle competenze: le fasi del percorso

Il percorso di bilancio, si articola in tre fasi fondamentali, che rappresentano la sequenza temporale di riferimento per la realizzazione dell’azione:

La prima fase, il filtro-presentazione/accoglienza, costituisce la fase preliminare rispetto allo svolgimento vero e proprio dell’azione di bilancio, ma rappresenta un passaggio essenziale ai fini di una corretta impostazione dell’intero percorso. Le azioni da sviluppare in questa fase a cura dei soggetti “ in gioco” (consulente da un lato e cliente prima potenziale e quindi “effettivo” dall’altro), sono così sintetizzabili:

    •  valutazione dell’opportunità di un percorso di bilancio rispetto ad altre proposte offerte dal Servizio (o da altri soggetti sul territorio) sulla base di:

 

a) caratteristiche oggettive e soggettive del richiedente;

b) motivazione ad investire sul proprio percorso formativo e professionale;

c) grado d’individuazione/formulazione di ipotesi progettuali;

    • identificazione, al di là del “dichiarato”, della domanda e delle attese del richiedente, comprendendone le ragioni personali, sociale e professionali;
    • presentazione del bilancio al richiedente (finalità, metodologie e strumenti, soggetti che intervengono, ruolo del consulente, regole, tempi) e verifica della sua disponibilità ad aderire alla proposta;
    •   oncreta definizione di un percorso di bilancio e stipulazione del contratto, sia dal punto di vista pedagogico (relazione di lavoro consultante-consulente) che formale (sottoscrizione del documento di adesione).

 

Per quanto riguarda le modalità d’attuazione di questa prima fase del percorso, si fa riferimento a due diverse “funzioni”:

    • una funzione di “filtro” per una prima verifica dei bisogni del cliente attraverso alcune domande chiave poste da un operatore, la compilazione della scheda d’ingresso e l’eventuale invio al “percorso di bilancio”.
    • una funzione di “accoglienza” per un’analisi più approfondita della domanda, un’informazione dettagliata sul percorso e la definizione del “contratto”.

 

La seconda fase, la dinamica del bilancio, si articola a sua volta in quattro aree, corrispondenti agli ambiti di esplorazione, riflessione e approfondimento per il soggetto e rappresenta il “cuore” del percorso. Gli obiettivi sono così riassumibili:

    • identificare e ricostruire l’insieme di conoscenze, abilità e risorse psico-sociali in possesso del cliente;
    • analizzare e valorizzare sia le competenze maturate sia i meccanismi e i processi che presiedono e sostengono l’acquisizione di tali competenze da parte del soggetto, riguardo agli ambiti formativi e lavorativi di riferimento;
    • aumentare e valorizzare le conoscenze del soggetto circa le opportunità offerte dal contesto esterno;
    • favorire il confronto tra risorse possedute e opportunità offerte dal contesto, allo scopo di individuare le risorse “spendibili” e/o da potenziare e mettere a fuoco le competenze “trasferibili”;
    • facilitare e sostenere il processo di costruzione di ipotesi professionali.

 

Le azioni specifiche dell’attività di bilancio da svilupparsi in questa fase fanno riferimento a quattro aree/dimensioni di riflessione ed elaborazione da parte dei soggetti coinvolti e si possono descrivere in questo modo:

Area “Conoscersi meglio”

    • ricostruzione della biografia personale e professionale;
    • identificazione e puntualizzazione di desideri, aspettative e orientamenti professionali (cosa si vorrebbe e cosi ci si aspetta);
    • avvio alla costruzione del “portafoglio di competenze”;
    • identificazione delle competenze in termini di conoscenze, abilità e risorse pscio-sociali disponibili; definizione delle competenze tecnico professionali acquisite.
    • riflessione sui propri punti forti e sulle eventuali aree di sviluppo;
    • prima sintesi di bilancio e d’individuazione di prime ipotesi di progetto/aree di professionalità da esplorare.

 

Area “Conoscenza e interazione con l’ambiente”

    • acquisizione d’informazioni e ampliamento dei propri quadri di riferimento sulle tendenze del mercato del lavoro, le prospettive occupazionali locali, le professioni e i percorsi di formazione.
    • acquisizione di chiavi di lettura del sistema delle professioni;
    • verifica del rapporto tra risorse personali e professionali e contesti nei quali poter operare;
    • riflessione sulle ipotesi di progetto elaborate.

 

Area “ Ipotesi di progetto e verifica esterna”

    • analisi e valutazione delle competenze in funzione dell’ipotesi di progetto elaborato;
    • verifica della fattibilità dell’ipotesi di progetto attraverso il confronto con “l’esterno”.

 

 

Area “Progetto e piano d’azione”

    • individuazione delle competenze spendibili e mobilizzabili e delle eventuali aree di sviluppo in funzione del progetto da elaborare;
    • ripensamento del percorso di bilancio per individuare gli eventuali scarti e le tappe intermedie per la realizzazione del progetto;
    • definizione di un progetto di sviluppo professionale e messa a punto d’azione.

 

Le modalità d’azione di questa fase sono pensate per creare spazio di scambio ed elaborazione delle informazioni, finalizzato alla conoscenza e alla decisione: da un lato il cliente, dall’altro l’équipe di bilancio, ciascuno con le proprie informazioni, risorse e competenze. I consulenti di bilancio si collocano in questa fase come proponenti e garanti di uno schema logico d’azione attraverso la quale il cliente, aumentando il livello di consapevolezza della propria competenza e dei contesti in cui tale competenza potrebbe essere valorizzata o evolvere, progetta intenzionalmente e gestisce con maggior efficacia lo sviluppo della sua carriera sociale e professionale.

La terza fase, la restituzione e l’accompagnamento, termina il percorso e “accompagna”, monitorandola, la fase d’avvio del progetto professionale. Gli obiettivi da perseguire in questa fase sono i seguenti:

    • rielaborare, mettere in relazione e portare a sintesi gli elementi relativi al soggetto emersi dalla fase di esplorazione e analisi;
    • mettere a punto il piano d’azione e definire le modalità di attuazione del progetto professionale del cliente;
    • restituire al cliente gli elementi rilevanti del bilancio e confrontarsi sui suoi contenuti e risultati, utilizzando come strumento il documento di sintesi del bilancio;
    • mettere a punto il portafoglio di competenze, valorizzandone anche l’aspetto di costruzione dinamica;
    • avviare il progetto di sviluppo e realizzare azioni di sostegno e accompagnamento, prevedendo anche un’eventuale ridefinizione/messa a punto del progetto stesso.

 

Coerentemente con gli obiettivi di questa fase, le azioni fondamentali sono:

    • La riorganizzazione e sistematizzazione degli elementi emersi dal bilancio, la restituzione orale al cliente, la verifica delle acquisizioni del bilancio in una logica di appropriazione personale da parte del soggetto.
    • L’elaborazione e proposta da parte del consulente di bilancio di una bozza di documento provvisorio da discutere con il cliente per la stesura definitiva.
    • La discussione e il confronto tra il consulente di bilancio e il cliente sulle modalità di realizzazione del progetto professionale e la messa a punto di un piano d’azione che definisca le strategie operative, i tempi, modalità e strumenti per lo sviluppo del progetto stesso.
    • L’elaborazione del documento di sintesi definitivo, in cui si affrontano i seguenti punti:

 

a) i contenuti principali della richiesta di bilancio formulata dal cliente:

b) lo svolgimento e l’articolazione del percorso di bilancio;

c) le acquisizioni del bilancio, ovvero le informazioni e gli elementi più importanti scaturiti dal percorso.

d) il progetto di sviluppo professionale, lavorativo e il piano d’azione.

    • L’organizzazione e messa a punto, a cura del cliente, del portafoglio delle competenze.
    • L’azione di “accompagnamento”, per supportare il cliente nello sviluppo del progetto e verificarne con lui lo stato d’avanzamento.

 

Analizzando le modalità d’attuazione di questa terza fase, si può dire in sintesi che il consulente di bilancio si assume qui la responsabilità della “restituzione” al cliente degli elementi significativi e utili evidenziati dal percorso realizzato e dell’elaborazione della relativa documentazione scritta.

Per quanto riguarda la durata e i tempi di svolgimento del bilancio, si prevede di realizzare l’intero percorso, esclusa l’azione di accompagnamento, in circa 24 ore (comprendendo i colloqui individuali e i laboratori di gruppo), lungo un arco di tempo di tre-quattro mesi; mentre per sviluppare l’intervento di monitoraggio del progetto e del piano d’azione si possono prevedere otto ore complessive, distribuite lungo un arco temporale di sei mesi circa.

La rappresentazione grafica consente di prendere in visione dell’articolazione delle diverse attività che caratterizzano l’intero percorso e che comprendono le attività di gruppo ( laboratori, ricerche e verifiche sul territorio, esercitazioni) e le attività individuali (colloqui, ricerca, riflessioni ed elaborazione individuale).

L’azione di bilancio è rappresentata come un percorso strutturato: un focus ed una proposta di attività e strumenti, sulla base degli obiettivi e dei contenuti propri di ogni fase.

(Selvatici, D’Angelo, 2002).

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Caratteristiche dell’azione di bilancio delle competenze

Caratteristiche dell’azione di bilancio delle competenze

Il bilancio di competenze come metodo e come intervento, può essere considerato come un insieme d’azioni riconducibile agli interventi di consulenza tipici della fase centrale di sviluppo professionale e di carriera di una persona. (A.Selvatici, M.G. D’Angelo, 2002)

Il bilancio di competenze è una metodica e una pratica professionale che nasce in Canada e si sviluppa principalmente in Francia a cavallo degli anni ’80 e ’90 e che sin dalle origini riguarda in generale l’area della formazione, gestione, valorizzazione e sviluppo delle risorse umane e trova un ampio utilizzo nelle attività inerenti i processi di inserimento e reinserimento professionale. Alla base di tale pratica è possibile collocare la teoria dello sviluppo vocazionale di Donald Super (1953) e la metodologia d’attivazione dello sviluppo vocazionale.

Una delle principali finalità degli interventi di bilancio riguarda, infatti, lo sviluppo di una maggior consapevolezza di sé e dei contesti nei quali le “vocazioni” possono presentare o avere una maggior probabilità di realizzazione.

In questa prospettiva il bilancio di competenze può essere considerato uno sviluppo e una specificazione delle pratiche d’orientamento e di sostegno alle transizioni al lavoro e nel lavoro ampiamente diffuse sul territorio francese.

Il Bilancio di competenze può essere considerato un luogo e un tempo, nel quale e attraverso il quale il soggetto ha l’occasione di sviluppare una maggior conoscenza di sé e una maggiore conoscenza dei contesti sociali e organizzativi in cui è inserito e contestualmente ha la possibilità di negoziare, in primo luogo con se stesso, un progetto di sviluppo realistico di crescita socio professionale. (Ruffini, Sarchielli, 2007).

Le finalità

Per comprendere un’azione di tipica di bilancio delle competenze, bisogna porsi delle domande-chiave:

A chi è rivolta e quali sono le finalità specifiche di un’azione di bilancio di competenze?
Quali benefici/risultati deve attendersi chi intraprende un percorso di bilancio?
Quali sono le attività che connotano un’azione “strutturata” (un servizio) di bilancio?
Quali sono le caratteristiche “distintive” dell’azione di bilancio rispetto ad altre azioni che si rivolgono tendenzialmente agli stessi target di utenti/destinatari e che assumono, almeno apparentemente, connotazioni analoghe?


Il bilancio di competenze si propone di perseguire una serie di finalità che ne contraddistingue la funzione specifica rispetto ad altre metodiche d’orientamento e che si possono così sintetizzare:

    • l’identificazione di competenze e potenzialità che il cliente/utente può investire nell’elaborazione/realizzazione di un progetto d’inserimento sociale e professionale;
    • l’acquisizione di autonome capacità d’autovalutazione, d’attivazione e di scelta;
    • lo sviluppo, rispetto a sé e al mercato del lavoro, di quadri di riferimento socio-culturali e di registri emotivi appropriati per reggere situazioni di transizione/cambiamento e per investire/reinvestire sulla propria progettualità;
    • la costruzione di un progetto di sviluppo professionale.

(A.Selvatici, M.G. D’Angelo, 2002).

Sostenere il soggetto/cliente nella ricostruzione, analisi e valutazione delle proprie acquisizioni professionali e delle competenze maturate attraverso le esperienze professionali e personali, facilitando l’identificazione delle componenti motivazionali, valoriali, comportamentali che caratterizzano il suo percorso di sviluppo socio-professionale e la sua configurazione di competenze. Sostenere il soggetto nella costruzione di un progetto di sviluppo professionale (che può includere un progetto formativo), contribuendo all’elaborazione di un piano d’azione realistico per perseguire gli obiettivi professionali definiti e accompagnandone l’attuazione.

(Ruffini, Sarchielli, 2007).

I destinatari/clienti

I destinatari potenziali di un’azione tipica di bilancio sono tutti i soggetti che, avendo già maturato un’esperienza di lavoro, intendono fare il punto sulla propria situazione professionale e sulle competenze acquisite in vista di uno sviluppo professionale e/o di una transizione lavorativa.

Se facciamo riferimento ad una serie di situazioni di lavorative/professionali diffuse, si possono identificare alcune categorie di destinatari/clienti potenziali:

    • lavoratori che ricercano uno sviluppo professionale e/o di carriera;
    • lavoratori coinvolti in processi di mobilità intraziendale;
    • lavoratori in mobilità esterna all’azienda;
    • disoccupati impegnati nella ricerca di una nuova collocazione lavorativa;
    • persone che intendono reinserirsi nel lavoro dopo un periodo di lontananza volontaria.

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

 

 

Comportamento e capacità

Comportamento e capacità

Il nucleo centrale è rappresentato dai comportamenti: essi sono l’aspetto visibile e concreto da cui non si può prescindere. Partire dai comportamenti non significa restare ancorati al loro ambito, bensì cercare di correlarli con l’insieme delle capacità che li rendono possibili.

In seguito, ci sono alcuni esempi di comportamenti che possono essere rilevanti nelle organizzazioni e delle relative capacità. La definizione delle capacità si trova nel Glossario delle capacità.

Come si può notare ogni comportamento è il risultato di una combinazione di capacità e non è possibile stabilire una relazione uno ad uno,se non in rarissimi casi.

In questa prospettiva solo la completa combinazione delle capacità assicura la possibilità di messa in atto del comportamento: esse vanno considerate come elementi di un sistema e non come sommatoria.

Pertanto la mancanza di una delle capacità produrrà un comportamento diverso, non un’intensità minore del medesimo comportamento. (Levati, Saraò, 2007).

Comportamenti e ruolo

C’è da osservare che i comportamenti sono relativamente limitati al numero, poiché in realtà anche i ruoli possibili all’interno dell’organizzazione risultano pochi, contrariamente alle posizioni che possono essere numerose e differenti.

La posizione circoscrive quali attività devono essere svolte (cosa fare), la cultura a quali regole, valori, norme è necessario attenersi nello svolgimento delle attività (come fare).

Il comportamento cui ci si riferisce è dunque ciò che una persona fa concretamente per svolgere il suo lavoro, quello che è possibile osservare nella sua quotidianità.

Ciò che permette a una persona di esprimere i comportamenti richiesti dal ruolo è la competenza, articolata in un sistema in cui interagiscono capacità, conoscenze ed esperienze finalizzate di un individuo.

Le competenze appartengono alla dimensione psicologica dell’individuo, non sono comportamenti né modelli di comportamento, ma si esprimono attraverso i comportamenti. (Levati, Saraò, 2007).

Comportamenti e motivazione

Il passaggio dalla competenza al comportamento in atto è assicurato dall’azione della motivazione alimentata dal più generale contesto.

Possono esistere situazioni in cui un sistema di conoscenze, esperienze e capacità rimane potenziale e non ha la possibilità di esprimersi perché la situazione non lo favorisce, ma non solo nella forma più ovvia perché non crea l’opportunità concreta per la singola persona di esprimersi, ma soprattutto perché non si creano quelle condizioni contestuali che spingono la persona a livello motivazionale a voler esprimere le proprie potenzialità.

E’ a questo livello che rientra l’Immagine di Sé come fattore rilevante della dinamica della competenza.

Comportamenti e prestazione efficace

I comportamenti diventano prestazione efficace se si coniugano in maniera congruente con il ruolo organizzativo. In questo senso si può affermare che non esistono competenze organizzative, ma solo comportamenti richiesti dall’organizzazione, che sono realizzati da competenze attivate dall’individuo nella realtà specifica che l’ambiente richiede.

E’ vero che le competenze sono caratteristiche intrinseche dell’individuo che hanno una loro stabilità nella loro componente di capacità e una loro flessibilità e possibilità d’incremento e acquisizione nelle componenti di conoscenza ed esperienze finalizzate.

Le competenze in quanto tali potrebbero rimanere ad un livello senza l’intervento del contesto che crea le condizioni oggettive (l’opportunità) e la motivazione che creano le condizioni soggettive (l’investimento individuale) per esprimerle.

Modello delle competenze e cambiamento organizzativo

Le capacità delle persone, sia quelle espresse sia quelle potenziali, una volta rilevate, rappresentano il patrimonio stabile dell’organizzazione, tanto più prezioso per il fatto che, come si è detto, le capacità non si possono creare o indurre dal nulla.

L’adattamento ad una situazione diversa consiste nel valutare quale combinazione di competenze sono necessarie per rendere possibili i comportamenti richiesti dai nuovi ruoli.

E’ chiaro che in una situazione di cambiamento le competenze in possesso degli individui possono essere immediatamente utilizzabili od obsolete, ma diventa anche immediatamente chiaro l’eventuale percorso necessario per riallineare, le competenze individuali alle nuove esigenze organizzative. (Levati, Saraò, 2007).

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Le Competenze individuali vs. Competenze organizzative

Le Competenze individuali vs. Competenze organizzative.

Gli obiettivi che si possono perseguire attraverso la misurazione delle competenze interessano sia i “singoli”, di qualsiasi livello, sia l’intera organizzazione.

In particolare i “singoli” hanno l’obiettivo di:

    • Fare il punto sulle proprie competenze e chiarire i propri obiettivi professionali;
    • Pianificare un proprio percorso professionale coerente con le possibilità aziendali;
    • Rafforzare la propria capacità di reagire positivamente ai cambiamenti lavorativi.

L’organizzazione invece ha come obiettivo quello di:

    • Favorire la convergenza tra i piani delle persone e quelli aziendali, ottimizzando l’uso delle risorse;
    • Migliorare la conoscenza delle proprie risorse umane, il potenziale disponibile e competenze trasferibili;
    • Sviluppare un presidio dei percorsi di carriera e delle competenze.

I due obiettivi sono evidentemente contrapposti in quanto i “singoli” pongono l’accento sul riconoscimento del loro valore e sulle loro possibilità di crescita, mentre l’organizzazione è interessata alle condizioni del proprio successo, alle sue possibilità di generare un differenziale competitivo partendo dalla strategia di business.

In questo caso la scelta vincente per un’impresa dovrebbe essere quella di integrare i due obiettivi attraverso un equilibrio dinamico che consenta “al singolo” di migliorare le proprie competenze e la propria crescita professionale con la consapevolezza che il proprio saper fare contribuisce a determinare le competenze distintive dell’organizzazione.

In questa direzione l’impresa potrà contare su competenze collettive e complessive per poter competere sul mercato con una strategia che integra competenze individuali con strutture, processi e tecnologia aziendale.

Qualora non percepiscano un livello di fiducia adeguato nel processo di “give and take” le persone possono ravvisare dei pericoli nel trasferire quote del proprio sapere e di conseguenza possono evitare di contribuire alla costruzione delle “competenze organizzative”.

La condizione necessaria per realizzare l’integrazione dei due obiettivi è rappresentata da una forte cultura d’impresa, grazie alla quale è possibile far coincidere l’individualità dell’azienda con l’individualità dei suoi membri.

Definizione e riprogettazione dei ruoli organizzativi.

Attraverso il “Modello delle Competenze”diviene possibile definire quali siano i fattori più rilevanti per l’esercizio di un ruolo organizzativo specifico o comunque per l’efficace svolgimento dei compiti attribuiti ad una figura professionale. Particolarmente importante è poi la distinzione, sempre con riferimento ad un ruolo organizzativo definito, delle “competenze di soglia” e di quelle “distintive”. Le prime identificano i fattori indispensabili per una prestazione di valore medio, di buono standard, che si possono considerare necessari per svolgere validamente un ceto ruolo. Le “competenze distintive”, a loro volta, caratterizzano in modo rilevante i best performer, i lavoratori che ottengono risultati significativamente e continuamente superiori alla media.

Attraverso l’individuazione di questi due ordini di competenze è possibile avere chiaro quali siano i requisiti professionali determinanti per l’efficace impiego del lavoro, soprattutto del lavoro complesso e specializzato.

Il “Modello delle competenze” consente anche una semplificazione nella riprogettazione dei ruoli organizzativi nel caso l’organizzazione sia orientata ad attuare progetti di reengineering sia come ridefinizione delle modalità di funzionamento di parte dell’azienda sia come più ambiziosa ingegneria della trasformazione aziendale. In queste situazioni, il delicato contratto psicologico, stabilito dalla relazione tra individui e organizzazione, è sempre più semplice da gestire e si presume sarà alta la motivazione da parte dei lavoratori obbligati a cambiare ruolo a seguito di un reengineering strutturale, soprattutto se il “Modello” è animato da una forte leadership.

Sviluppo delle Competenze

Nelle organizzazioni che possiedono un consolidato Modello delle Competenze, per la gestione delle risorse umane è ormai prassi operativa partire da Piani Strategici di “sviluppo organizzativo” da una parte e di “determinazione dei fabbisogni” dall’altra.

Dopodiché, nell’ottica di far convergere le due sfere strategiche di gestione del personale, si passa al confronto tra i risultati dell’Analisi Organizzativa (analisi delle posizioni, valutazione delle posizioni e analisi dei carichi di lavoro) e dell’Analisi del Personale (valutazione delle prestazioni e valutazione del potenziale) al fine di definire le politiche, i piani operativi e gli interventi di selezione, formazione e sviluppo. In questo modo l’azienda è in grado di:

    • Comprendere qual è il proprio portafoglio di competenze a livello complessivo, o di specifiche aree, unità di business o processi;
    • Identificare criticità e opportunità, punti di forza e di debolezza relativi ai propri ruoli professionali chiave;
    • Decidere in quale direzione investire per acquisire, mantenere o accrescere le competenze in funzione delle strategie e dei programmi che intende realizzare;
    • Condividere con i singoli piani di formazione e sviluppo a fronte delle positività e delle mancanze riscontrate;
    • Decidere, se è stato attivato un sistema retributivo basato sulle competenze, interventi d’adeguamento retributivo.

A livello di sviluppo delle competenze, tanto per l’attività di selezione quanto per quella di formazione il vantaggio è evidente, dato che non ci si riferisce più a generiche descrizioni della personalità, ma ad elementi chiari e misurabili del comportamento che rendono possibile agli operatori impegnati nella gestione del personale di riferirsi a dati pressoché oggettivi e concreti.

Pianificare la formazione con l’approccio delle competenze significa fare riferimento ai comportamenti di successo che sono legati all’interpretazione del ruolo.

Ad esempio, se si vuole fare formazione per i Responsabili Operativi di Stabilimento non si fa più riferimento alla Job Description della posizione ed alle attitudini che si ipotizzano essere implicate ma si analizzeranno i comportamenti che si sono riscontrati come di successo in una serie di casi concreti affrontati da chi già ricopre il ruolo.

Il vantaggio è di mirare la formazione solo e soltanto alle competenze distintive del ruolo e graduarne la portata in funzione della necessità.

(Sbrana,Torre,1996).

Figura: Il Modello delle Competenze sinteticamente rappresentato.

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Il Modello delle competenze

Il Modello delle competenze

Nato agli inizi degli anni ’70 quando David McClelland, uno psicologo di notevole fama, apprezzato per i suoi studi sulla motivazione, fu incaricato di riprogettare la selezione dei funzionari del Foreign Service Information Officers, una sorta di diplomatici dislocati all’estero per favorire l’approvazione ed il consenso della politica americana nel mondo.

Ancor prima di definire un modello rappresentativo delle competenze che si vogliono rendere un oggetto di valutazione e sviluppo è necessario porsi alcune domande fondamentali, come ad esempio:

    • Quali e quante competenze si vogliono prendere in considerazione?
    • A quali aree e processi dell’azienda le competenze sono riferite?
    • A quali livelli dell’organizzazione, a quali e a quante persone sarà esteso il modello delle competenze?
    • Mantenere e accrescere le competenze necessarie al funzionamento di tutta l’azienda o solo alcuni processi critici?
    • Presidiare tutte le competenze o quelle su cui poggiano i principali differenziali competitivi?

 

Stabilito il modello delle competenze da sviluppare questo dovrà essere coerente con i valori, gli obiettivi e le strategie di business dell’impresa.

La sua costruzione passa attraverso le seguenti fasi fondamentali:

1.    Individuazione delle competenze

E’ la fase in cui sulla base della strategia aziendale definita si analizzano i principali processi aziendali, le aree di business, le modalità operative, i valori, la cultura con l’obiettivo d’identificare le competenze che le risorse devono possedere per garantire all’azienda la realizzazione delle performance attese e degli obiettivi di business pianificati.

2.    Traduzione delle competenze in comportamenti osservabili.

Questa fase ha come obiettivo quello di tradurre ogni competenza, definita nel Manuale, in comportamenti osservabili. Da un modello generico di competenza le definizioni vanno adattate al contesto aziendale di riferimento in termini di linguaggio, valori condivisi, cultura.

Attraverso la declinazione delle competenze è possibile differenziare i ruoli aziendali in termini d’attese comportamentali. Se si prende come esempio la competenza, negoziazione risulta essere diverso il livello di competenza richiesto nel caso di un ruolo che deve gestire spesso situazioni conflittuali da uno che deve invece operare dal punto di vista d’integrazione.

3.    Rilevazione e mappatura delle competenze.

Questa fase è abbastanza lunga e articolata, si pone come obiettivo quello di rispondere nel modo più completo possibile a questa domanda: “Quali sono le competenze richieste ed i comportamenti attesi per realizzare una prestazione eccellente in quel determinato ruolo?”.

E’ una fase che va ripetuta per ogni competenza associata ad ogni singolo ruolo.

L’output che se ne ricava rappresenta il profilo (la mappa) delle competenze che identificano i vari ruoli aziendali e i livelli a loro associati. Un altro sviluppo di questa fase è quello di costruire la mappa delle competenze di una o più famiglie professionali, di un’area di business, di un processo, di una funzione o addirittura dell’intera azienda. In quest’ultimo caso si parla di core competence, che rappresentano l’elemento distintivo di ogni impresa, il patrimonio di conoscenze, le abilità, le capacità e i comportamenti individuali e collettivi che consentono alle organizzazioni di realizzare la loro strategia pianificata. Il percorso da seguire comprende le seguenti tappe:

•    Rilevazione delle attività;
•    Individuazione delle azioni che costituiscono i comportamenti;
•    Definizione delle capacità che sottendono i comportamenti.

La fase iniziale del processo di costruzione del modello applicativo riguarderà ovviamente l’individuazione dei comportamenti, poiché solo i comportamenti sono l’elemento visibile e oggettivamente accertabile. Le informazioni di partenza necessarie a questo scopo si possono ricavare da due fonti: le job description delle posizioni e gli organigrammi.

Nelle job description si trovano elencate in linea generale lo scopo, le finalità e le responsabilità della posizione, nell’organigramma si trovano le relazioni gerarchiche e funzionali ad essa collegate.

E’ importante distinguere tra attività di fatto e attività di cui il titolare ha responsabilità. Queste ultime, infatti, nella realtà non è detto che vengano svolte direttamente dal titolare, bensì dai suoi collaboratori e quindi non possono essere riferite a comportamenti realmente attuati nell’ambito del ruolo preso in considerazione.

Un altro riferimento utile è rappresentato anche dagli out-put concreti, dai prodotti del lavoro, nel senso di materiali verificabili (relazioni, piani, modelli ecc…), sulla base dei quali è possibile ricostruire appunto le attività necessarie per elaborarli.

Quanto si può ricavare dall’analisi delle job description, degli organigrammi  dei prodotti è una prima traccia per l’individuazione delle attività connesse al ruolo.

Dalla descrizione delle attività è possibile risalire ai comportamenti, che rappresentano una categoria più generale, che raccoglie e classifica le azioni necessarie per lo svolgimento delle attività. (Levati, Saraò, 2007).

4.    Gestione delle competenze (diagnosi-sviluppo).

Quest’ultima fase utilizza la mappatura delle competenze aziendali per progettare un sistema integrato alla gestione delle risorse umane che comprendono la pianificazione, la selezione, la valutazione, la formazione, la diffusione delle competenze, il percorso di carriera, la mobilità interna, la riconversione professionale, in coerenza con la strategia, i valori e gli obiettivi di business. Questa fase si distingue al suo interno in altre due microfasi:

Diagnosi -deputata al censimento delle competenze possedute. Grazie alla diagnosi si ottiene una fotografia attendibile del livello di competenze possedute dalle risorse, questa è necessaria per compiere il confronto con il livello atteso o richiesto, dopodiché si condivide con i diretti interessati i gap formativi da colmare per garantire all’azienda competenze adeguate alla strategia. Questa microfase deve essere in grado di fornire indicazioni sia sul tipo di competenze critiche da sviluppare sia su com’è segmentata la popolazione in base alla distanza dal profilo atteso, questo in funzione del fatto che le successive attività di sviluppo e formazione vengano tarate e differenziate in base ad esigenze specifiche.

Sviluppo – attraverso questa microfase si realizzano le attività di potenziamento delle competenze risultate carenti in fase diagnosi e attraverso una verifica continua della validità degli interventi viene riavviato il ciclo delle competenze.

Gli strumenti per la rilevazione obiettiva delle competenze sono differenti e possono essere utilizzati in maniera combinata nelle diverse fasi che caratterizzano il processo di misurazione.

I più utilizzati e conosciuti sono:

    • Questionari di personalità;
    • Questionari motivazionali;
    • Questionari sulle competenze;
    • In-basket;
    • Role-playing;
    • Esercizi di gruppo;
    • Intervista di feedback.

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

 

 

Competenza: Dalla descrizione alla definizione

Competenza: Dalla descrizione alla definizione

Non si può parlare di competenza senza partire dalla definizione più ripresa e più citata in letteratura, che rappresenta in qualche modo un punto di partenza irrinunciabile. Essa, proposta inizialmente da Klemp (1980) e ripresa da Boyatzis (1982), ha trovato poi in Spencer e Spencer (1993) una sua formulazione più compiuta.

Questa definizione si compone di due parti, la prima individua che cosa la competenza è: “una caratteristica intrinseca di un individuo casualmente collegata ad una performance eccellente in una mansione”.

La seconda elenca i suoi fattori costitutivi: ”si compone di motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità”.

Sono sottolineate alcune parti perché ognuna di esse implica delle questioni che è necessario affrontare e risolvere se si vuole giungere a una compiuta definizione di competenza.

Le quattro questioni fondamentali

Competenza come caratteristica intrinseca

Una prima questione è aperta dal definire la competenza come caratteristica intrinseca, che include “i modi di comportarsi di pensare che si ripetono nelle loro grandi linee nelle diverse situazioni e perdurano per un periodo di tempo ragionevolmente lungo” (Guion, 1991, pag.335) e che “ significa che la competenza è parte integrante e duratura della personalità di un individuo” (Spencer e Spencer, 1993, pag.30).

Attribuire alla competenza questo carattere di stabilità è necessario per poter predire il comportamento in un’ampia gamma di situazioni e di compiti di lavoro.

Alla natura intrinseca della competenza vanno quindi fatti risalire due caratteristiche a essa essenziali, la ripetibilità della performance e il mantenimento della sua qualità, al di là della molteplicità di situazioni in cui essa si può esprimere.

In questo senso una performance, anche eccellente o addirittura straordinaria, non è di per sé indice di competenza, ma potrebbe essere il frutto di un’occasionale e favorevole confluenza di circostanze fortuite, come effettivamente ci testimonia l’esperienza.

Stabilità e ripetitività della performance sono dunque caratteri tipici e qualificanti della nozione di competenza. In questo senso essa è vista quindi come un attributo della personalità, intesa come nucleo centrale stabile del soggetto.

Questa attribuzione apre alcune questioni riguardanti il processo d’acquisizione e d’incremento delle competenze. Infatti, l’ipotesi che le competenze siano caratteristiche intrinseche e stabili di un soggetto sembra scontrarsi con l’evidenza che esse appaiono una realtà passibile di sviluppo: in che modo esso può avvenire, se la competenza fa parte di un nostro patrimonio innato e immodificabile?

Spencer e Spencer di fronte a questo problema cercano di risolverlo ammettendo che esistono due tipi di competenze, quelle di superficie, più facili da sviluppare e quelle profonde modificabili “dal training, dalla psicoterapia e/o da esperienze positive di sviluppo, anche se occorre più tempo e si va incontro a maggiori difficoltà” (trad.it.,pag.33).

Una prima questione da risolvere è dunque come nelle competenze l’essere stabili e intrinseche, caratteristiche indispensabili per produrre performance ripetibili e qualitativamente uniformi, pur nella varietà di specifici compiti e circostanze, possano essere compatibili con la loro possibilità di acquisizione e di sviluppo.

Il collegamento causale

Una seconda questione riguarda il rapporto causale tra competenza e performance.

La definizione di partenza sembra rimandare ad uno schema in cui in modo lineare è possibile risalire dall’effetto all’elemento che lo ha provocato e questo fatto presupporrebbe una differenza di genere tra performance e fattore causale.

In realtà si ritrova una frequente sovrapposizione tra il concetto di performance e il concetto di competenza, definiti entrambi come comportamenti, cosa che rende difficile comprendere tra che cosa si stabilisca un nesso causale. Ad esempio T.Hooghiemstra (1992) afferma che competenza è “ il contributo personale e specifico di ciascun collaboratore” (pag.18) in un’organizzazione, nel senso che la competenza è descritta e s’identifica con i comportamenti realmente attuati e osservabili nella performance.

In questo caso o il comportamento diventerebbe spiegazione di se stesso oppure il concetto di competenza sarebbe perfettamente inutile perché solo sinonimo di performance.

Anche C.Woodruffe (1992) cade in un equivoco simile, assimilando inizialmente il concetto di competenza a quello di comportamento, ma non riuscendo a mantenersi coerente rispetto a questo assunto, proprio per la necessità di risalire in qualche modo a un elemento causale.

Dopo aver definito la competenza “un insieme di modelli di comportamento che il titolare deve possedere in una posizione per eseguirne con efficacia compiti e funzioni” e aver ribadito che “ciascuna competenza consiste di un gruppo di comportamenti” e che le “competenze come le intendiamo riguardano i comportamenti che le persone debbono esplicitare per svolgere la mansione in modo competente” (trad. it, pag.50 e 53), elenca tra le competenze a cui far risalire le performance l’acutezza mentale, la fiducia in sé, la sensibilità interpersonale che così espresse non sembrano dei comportamenti, ma piuttosto delle caratteristiche personali a cui possono al limite essere fatti risalire dei particolari tipi di comportamento.

Questa confusione tra competenze, performance, comportamento e caratteristiche individuali, che si ritrova spesso, in generale pare nascere dal lodevole sforzo di presentare le competenze in un modo che possa essere accettato e applicato nella realtà aziendale.

Parlare quindi di comportamenti invece che di tratti o caratteristiche di personalità, è apparso più semplice e concreto e, soprattutto forse, più accettabile per qualsiasi interlocutore aziendale.

Una seconda questione da affrontare è dunque il rapporto e la differenza che esiste tra comportamento, performance e competenza e in che senso è da intendere il loro collegamento causale.

Specificità della mansione in cui la competenza si esprime

Nella definizione di Boyatzis si fa riferimento all’eccellenza della performance in una mansione come il cardine concettuale della competenza.

Effettivamente tutti gli autori tendono a concordare che espressione di competenza non è una semplice performance, ma un livello superiore di performance e in realtà questo è il motivo dell’interesse del mondo aziendale per le competenze: scoprire il loro segreto per assicurarsi il maggior numero possibile di performance eccellenti, o, da un altro punto di vista, mettere le persone in condizioni di poter esprimere performance eccellenti.

In che cosa una persona può dirsi competente?Con riferimento più ovvio, sembra quello del lavoro di ciascuno e questo ha portato ad un legame immediato con la performance in una mansione.

La maggior parte delle tecniche di rilevazione delle competenze parte da una sorta di benchmarking delle performance rispetto a singole mansioni, possibilmente all’interno della stessa azienda.

Si tratta di una specie di rilevazione delle best performance, nella speranza di poter stendere elenchi e disporre di standard di riferimento, come si fa con le procedure aziendali. Se la competenza si appiattisce sul concetto di performance eccellente, si apre la questione se la competenza sia legata specificatamente a una mansione particolare o se invece sia proprio una sua caratteristica peculiare proprio il poter essere esportata anche in contesti diversi dall’attuale posto di lavoro (Sarchielli, 1996). C.Woodruffe (1992) s’interroga esplicitamente sulla questione, chiedendosi “se è possibile arrivare ad un elenco di competenze valide per ogni tipo d’azienda o d’attività” (pag.58) e conclude con un “sì e no” affermando che è” difficile riadattare alla meglio un elenco preesistente. La soluzione migliore è di partire da zero e compilare un elenco delle competenze più adatte ad una mansione data in un’organizzazione specifica”.(pag.50-60).

In questo caso si considera la competenza specificatamente legata ad una mansione all’interno di una particolare organizzazione, quindi difficilmente esportabile in un’altra. L’aver espresso la competenza A nell’azienda X non mi assicura che possa essere espressa nell’azienda Y o che si mantenga tale al cambiamento dei contenuti della mansione o della strategia o della cultura aziendale.

Se le competenze sono così strettamente legatealla singola e specifica mansione, non si vede il vantaggio di un approccio basato sulle competenze rispetto al tradizionale approccio basato sulle prestazioni, poiché entrambi sarebbero eccessivamente legati a uno status quo e non permetterebbero una flessibilità di pianificazione e una gestione del cambiamento in grado di far fronte alle pressioni di trasformazione che le organizzazioni attualmente devono affrontare.

L’unica possibilità è una faticosa e continua rianalisi delle performance, come ammette C.Woodruffe (1992) “Gli elenchi delle competenze sono più utili se compilati guardando al futuro…per poter prevedere quali competenze saranno più utili è necessario formulare previsioni sul futuro le più affinate possibili e poi rivedere continuamente l’elenco delle competenze”   (trad.it, pag.64).

Altri autori non concordano su questo caso: oltre ai casi in cui la competenza viene definita come caratteristica fortemente situazionale e di fatto identificata con la prestazione eccellente in una mansione, ve ne sono altri, invece, in cui la sua peculiarità è vista proprio nell’assicurare prestazioni eccellenti al di là dello specifico contesto in cui essa viene espressa, quindi la competenza è considerata una caratteristica meta-situazionale per eccellenza.  Come suggerisce Schon (1992) l’essenza della competenza sta nella capacità di dialogo con il contesto, come in una conversazione in cui pur all’interno di un sistema di conoscenze (le parole) e di regole (turno, ritmo ecc.) che sono note, non tutto è prevedibile, ma nell’efficacia attraverso una continua gestione di ciò che di inaspettato accade. In questo caso è chiaro che la specificità del contesto non ha nessuna importanza, anzi, la competenza trova la sua peculiarità di espressione proprio come capacità di agire a elevati livelli di performance in qualsiasi contesto.

Una terza questione riguarda dunque il tipo di rapporto che si stabilisce tra la competenza rispetto alla specifica situazione in cui essa s’esprime: la competenza è dipendente dalla situazione e quindi addirittura legata alla prestazione nella mansione o è capace di superare non solo l’orizzonte della mansione, ma anche lo specifico contesto aziendale di riferimento e aprirsi al futuro?

I fattori costitutivi

Un forte sforzo da parte dei vari autori che si preoccupano dell’argomento è quello da un lato di produrre repertori di competenze dall’altro di elencare gli elementi che le dovrebbero comporre.

Woodruffe, riprendendo Krampen (1998) afferma che “ le persone agiscono in maniera competente in una situazione data soltanto se sanno come agire e se sono interessate alle conseguenze della loro azione “ (trad. it. Pag.56, 1996).

In questo caso la motivazione sembra un generico interesse ad agire in una situazione particolare, che pare nascere da un calcolo di convenienza per la persona, quindi apparentemente non difficile da valutare, accertare e al limite indurre.

Spencer e Spencer presentano, di fatto, una concezione abbastanza diversa, pur dichiarando di rifarsi alla definizione di McClelland ( 1971), che, come i precedenti, sottolinea l’aspetto di “ interesse ricorrente per la situazione o condizione di un obiettivo, presente nella mente e che spinge, dirige e seleziona il comportamento di un individuo” (pag.31).

Per loro la motivazione sembra essere una caratteristica individuale, combinazione d’altre due caratteristiche, che solitamente sono chiamate ambizione e tensione al risultato: le persone motivate sono descritte come coloro che “ si pongono costantemente obiettivi impegnativi, si assumono la responsabilità della loro realizzazione e sfruttano il feedback per lavorare sempre meglio”. La motivazione come caratteristica legata alla persona, è inserita nella parte sommersa dell’”iceberg personalità” e quindi risulta un elemento difficile da valutare e sviluppare, come lo sono i tratti.

In quest’ottica la motivazione diventa una sorta di fattore di personalità, ingrediente importante della competenza, che può essere rilevata, ma su cui non si può sostanzialmente agire. Di conseguenza le persone o sono motivate per natura o non è possibile motivarle, il che comporterebbe non irrilevanti problemi di gestione.

Per quel che riguarda i fattori costitutivi della competenza, in generale siamo di fronte ad un doppio ordine di difficoltà, da un lato la non chiarezza e univocità delle definizioni e dei concetti, come nel riportato della motivazione e dall’altro l’estrema varietà e numerosità dei fattori individuati come elementi della competenza e inclusi negli elenchi dei suoi componenti.

Oltre a quello citato di Boyatzis e ripreso da Spencer e Spencer in cui sono inclusi motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità, si possono trovare citati fiducia in sé, self-control, resistenza allo stress e alla fatica, visione personale, atteggiamenti e valori  ( Hooghiemstra, 1992), corpo di conoscenza che la persona usa (Klemp, 1980), capacità di saper selezionale e organizzare le risorse disponibili (Montmollin, 1984), creatività e abilità cognitive (Sarchielli, 1996), per non parlare dei vari repertori presentati nel reading di Boam e Sparrow (1992).

Si pone dunque il problema di mantenere un’ampia articolazione di dimensioni di riferimento, senza impropri riduzionismi, ma di cogliere la specificità del fenomeno competenza, spiegando come le sue diverse parti si collocano tra loro e interagiscono.

Figura: Il valore delle competenze per l’organizzazione.

 

 

 

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Counseling e Bilancio delle Competenze

Counseling e Bilancio delle Competenze

Il mondo del lavoro richiede in modo crescente alle persone ed alle imprese nuove capacità di cambiamento, progettualità e sistemi di comunicazione in grado di affrontare le sfide poste dall’economia globalizzata. Cambiare lavoro, cambiare impresa, ripensarsi e riprogettarsi sono abilità ormai sempre più indispensabili per i lavoratori a tutti i livelli. Ridefinire l’organizzazione del lavoro, costruendo sistemi di comunicazione orientati a favorire la partecipazione, la motivazione, l’emergere delle potenzialità degli individui, la produzione di soluzioni innovative per risolvere problemi ed affrontare il mercato in modo competitivo.

Per affrontare le sfide del mercato, bisogna puntare sulle Risorse Umane, le quali occupano un ruolo centrale nella gestione delle aziende moderne; sono un vero e proprio capitale per l’impresa, un lavoratore nell’arco della propria vita è in grado di crescere professionalmente e socialmente, migliorando il proprio modo di lavorare sia singolarmente sia in gruppo.(Giannini, 1990).

Si rende dunque necessario porre una gran cura nella gestione del personale attraverso una valutazione dei lavoratori secondo quelle che sono le loro effettive capacità e non solo in base alla loro posizione occupata all’interno dell’organizzazione.

I ruoli da ricoprire sono sempre più complessi, il lavoro non consiste più in una serie di compiti da eseguire, ma si sta trasformando in una sorte di “missione” da compiere, in cui le condizioni operative risultano difficilmente rappresentabili attraverso procedure e dove scelte e decisioni non dipendono più strettamente dalla gerarchia. (Boldizzoni, 1994).

La cultura aziendale non è più un lusso, ma rappresenta uno strumento di gestione del personale al fine di motivare le persone, facendo sentir loro che stanno partecipando ad un’impresa importante in grado di riempire di significato la loro vita. Diffondere la missione e la visione aziendale ad ogni livello organizzativo può influenzare positivamente la partecipazione dei lavoratori ad ogni iniziativa d’impresa, come può esserlo ad esempio un programma di mappatura delle competenze.

Il capitale umano sta assumendo un’importanza crescente per lo sviluppo aziendale tanto da poter giustificare la definizione della nuova “economia delle risorse umane”, secondo le quali è il fattore umano a dover accumulare sempre più competenze e capacità decisionali.

Il segreto per lo sviluppo competitivo è sempre più insito nella risorsa umana che si distingue attraverso la capacità degli individui di acquisire, governare e applicare il patrimonio di conoscenze.

In questo contesto, la performance aziendale viene valutata come l’effetto di vantaggi competitivi sempre più legati al know-how interno ed alle competenze acquisite e sviluppate nel tempo. Per Competenza s’intende “una caratteristica intrinseca di un individuo casualmente collegata ad una performance efficace o superiore nella mansione” (Boyatzis, 1982).

Con questa definizione dinamica e comportamentale è possibile superare le modalità di considerare staticamente le Competenze come frutto di conoscenze acquisite e consolidate.

Da qui nasce l’esigenza per un’azienda di possedere un sistema che sia in grado di misurare e  valutare le performance attuali e future di ciascuna risorsa che ricopre uno specifico ruolo:

“Il Modello delle Competenze”.

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Analogie e differenze tra Coaching e Counseling

Analogie e differenze tra Coaching e Counseling

Il Counseling e il Coaching hanno ormai affermato la loro utilità nel mondo del rinnovamento personale e professionale. Le competenze che ognuno dei due approcci richiede sono fondamentalmente simili, anche se si differenziano nei campi per i campi di applicazione e le tecniche utilizzate. E’ utile, quindi, proporre alcuni elementi di riflessione, partendo dalle loro analogie ed esaminando poi le differenze.

Le analogie:

Premettendo che non sono modelli terapeutici, entrambi sono metodi di sostegno e sviluppo dell’essere umano: partono cioè dalla persona e dalle sue risorse interiori, come base per migliorare la realtà presente, in un’ottica di recupero ed espansione delle potenzialità individuali.

Entrambi quindi condividono una visione ottimistica della natura umana, delle capacità dell’individuo di superare gli ostacoli che lo hanno frenato, di recuperare talenti che aveva “sepolto”, di correggere schemi di comportamento e di pensiero che sono autolimitanti.

Il cliente, per entrambi, è il vero protagonista dell’incontro: la interazione è sinergica, per certi versi paritaria – anche se ovviamente il timone della conduzione del colloquio resta nelle mani del counselor o del coach. La “centratura” sul cliente rende entrambi i metodi molto adatti ad  essere svolti in una relazione uno-a-uno, dove cioè il professionista segue un singolo cliente. Sono però frequenti anche interventi in contesti di gruppo, su tematiche specifiche.

 

La comunicazione è caratterizzata da:

Saper ascoltare in modo consapevole e profondo;

Saper negoziare significati condivisi delle situazioni;

Saper offrire risposte finalizzate alla crescita del cliente o al raggiungimento del suo obiettivo nel caso del coach.

La realizzazione di un contesto sicuro e degno di fiducia è un fattore fondamentale.

Entrambi i metodi aiutano a sviluppare competenze trasversali, che la persona potrà utilizzare nell’ambito della propria vita personale o professionale.

Sia il Counselor che il Coach sono legati a un “contratto” che stabilisce gli obiettivi che si vogliono raggiungere e che vengono “monitorati” lungo il percorso, che tende ad essere relativamente breve (attorno alle 10 sedute per un percorso individuale, anche se il numero può variare in relazione agli obiettivi che si vogliono raggiungere).

Le differenze:

Il Counseling si colloca tra le relazioni di aiuto e ha lo scopo di aiutare la persona a individuare nuove possibilità rispetto a disagi emotivi, situazioni complesse, relazioni in crisi, momenti di crescita e di cambiamento, scelte da compiere. Si usa dire che il Counseling è “l’arte di aiutarsi”; infatti aiuta la persona a scoprire la propria rappresentazione del mondo, a comprenderne la natura e le origini, e a modificarla laddove sia problematica e fonte di “ristrettezza” interiore. La rinnovata energia che emana da questo confronto mette la persona stessa in grado di trovare risposte nuove e diverse ai problemi che la stavano ostacolando.

Il Coaching aiuta a sviluppare caratteristiche e competenze personali, liberando potenzialità legate principalmente – ma non solo – all’ambito professionale, come ad esempio la capacità comunicativa, il lavoro in un team o la sua conduzione, la capacità di leadership, il miglioramento della propria efficacia in termini di governabilità del tempo e di riduzione dello stress. La capacità di trasformare in modo positivo questi fattori è cruciale per una performance professionale eccellente. Il Coaching quindi si focalizza maggiormente sulle azioni, gli obiettivi, il rendimento, le soluzioni, le strategie,  i risultati.

Il Counselor e il Coach, ricevono volutamente, nella nostra Scuola, una preparazione di base analoga in modo che siano in grado di tarare di volta in volta il loro intervento, a seconda delle diverse esigenze del cliente.

Se ad esempio arriva come cliente una  persona che sta attraversando un momento di difficoltà  che mette alla prova il suo modo di scegliere, sentire e percepire, che si sta confrontando con un disagio emotivo o relazionale, l’attività sarà principalmente di Counseling. Altri esempi dove l’approccio è tipicamente di Counseling sono l’attraversamento di una “fase di passaggio” che richiede riflessione e trasformazione (una separazione; un lutto famigliare; la nascita di un figlio; un avanzamento di carriera; l’andare in pensione…), oppure il bisogno di una maggiore autorealizzazione. Quando si lavora come Counselor si pone l’attenzione su come aiutare il cliente a comprendere e governare meglio i propri processi interiori, con particolare attenzione alla sfera emotiva, sentimentale, relazionale e famigliare.

Se invece arriva una richiesta una persona che si rende conto di ottenere risultati inferiori a quelle che sente essere le sue potenzialità e i suoi talenti, che vive ormai con frustrazione questi limiti ed è alla ricerca di modalità efficaci per il cambiamento… allora il focus dell’operatore sarà nella direzione del Coaching.

L’approccio di Coaching è indicato anche alla persona che ha già ottenuto risultati validi e importanti, ma viene con il desiderio di alzare il livello della propria professionalità, acquisendo nuovi concetti, facendo nuove esperienze potenzianti, diventando più cosciente di come gestire con equilibrio la pressione professionale all’interno di una vita impegnata, realizzando nuovi traguardi.

In modo approssimativo si possono legare i due tipi di interventi a una modalità più ricettiva, empatica, relazionale, legata all’ascolto la prima, e più proattiva, cognitiva e di mentoring, la seconda. In realtà spesso i due confini sfumano, ed è bene conoscerli entrambi e utilizzare le diverse tecniche nei diversi momenti e a seconda delle diverse tematiche che lo stesso cliente può portare in tempi successivi. Sottolineo qui come il professionista formato a entrambi i modelli possa “tarare” di volta in volta il suo intervento, usando la sua sensibilità oltre che le sue competenze.  (http://www.outplacement.it)

 

 

 

 

EXECUTIVE COACHING

 

COUNSELING

 

IL SERVIZIO

 

Strumento aziendale di consulenza al manager e all’imprenditore per lo sviluppo del potenziale

 

Strumento di supporto “personale” al superamento di criticità

 

LA FIGURA PROFESSIONALE Il coach è un “allenatore” che aiuta una persona a raggiungere una performance d’eccellenza.

E’ un professionista del supporto alla persona in ambito professionale, di norma un consulente esterno all’azienda. Ha una buona conoscenza dell’organizzazione aziendale ma anche delle dinamiche e del funzionamento della persona.

La FIC è la Federazione Italiana Coach.

Il counselor è uno specialista della relazione d’aiuto al superamento di momenti critici.

E’ un diplomato o laureato che ha conseguito un percorso almeno triennale di specializzazione in Counseling. La sua professionalità si inquadra nell’ ambito delle relazioni di aiuto.

Codice deontologico S.I.Co. (Società Italiana Counselor).

OBIETTIVI E CONTENUTI Il coaching è una metodologia che aiuta a sviluppare ed ottimizzare le competenze della persona/manager per raggiungere una performance efficace e competitiva all’interno dell’azienda.

Il coach lavora sulle competenze trasversali del coachee (quindi non specialistiche tecniche).  Durante gli incontri si instaura una relazione di fiducia, si definiscono obiettivi specifici ed una serie di azioni per raggiungerli.

 

Il counseling ha come scopo quello di coadiuvare la persona nel fare chiarezza e individuare nuove opzioni o possibilità per affrontare situazioni complesse, di crescita e/o di cambiamento, aiutandolo ad elaborare l’emotività connessa ad una data situazione critica.
STRUMENTI In generale tra gli strumenti del coaching abbiamo:

rapport, ascolto attivo, definizione di obiettivi motivanti, tecnica delle domande,  il feedback, definizione di un piano di azione.

Di norma tutto ciò che aiuta la persona a prendere consapevolezza e assumere decisioni verso un obiettivo concreto.

Gli strumenti di approccio del counselor si basano fondamentalmente sull’accoglienza della persona, accettandola così com’è, sull’ascolto recettivo ed attivo mantenendo una momentanea sospensione del giudizio, sull’empatia che consente un’intesa non solo psicologica ma anche conoscitiva e spirituale.

 

CONTESTI L’intervento di coaching è applicabile a diverse situazioni come il cambiamento di ruolo interno all’azienda (orizzontale o verticale), l’ingresso in una nuova azienda, l’assunzione di ruoli di particolare complessità, la gestione di situazioni conflittuali, l’affiancamento nel passaggio generazionale, oppure nei momenti critici nella carriera del manager. Il counseling può essere attuato in diversi contesti:

– counseling individuale

– counseling scolastico

– counseling aziendale

– counseling sessuologico

– counseling per persone in situazioni di difficoltà

RUOLI E RESPONSABILITÁ DELL’OPERATORE E DELL’UTENTE Il coach è la guida e il responsabile del processo e della verifica del percorso verso il raggiungimento dei risultati. Deve garantire la riservatezza delle informazioni.

Il coachee deve avere una relazione privilegiata con il coach, deve avere forte motivazione a crescere e raggiungere nuovi obiettivi, dimostrare disponibilità a mettersi in gioco e voglia di sperimentare nuovi comportamenti impegnandosi in azione concrete per raggiungere gli obiettivi definiti.

 

Il ruolo del counselor è quello di favorire lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità già insite nel cliente e lo aiuta a superare quei problemi che gli impediscono di esprimersi pienamente e liberamente, attraverso l’uso dell’ascolto attivo e del feedback.

Il cliente è colui che, a causa di problemi personali o di periodi di difficoltà specifici, ha una performance scarsa e quindi necessita di un supporto e una correzione. Deve essere disposto e motivato ad esaminare la sua situazione sotto nuovi punti di vista

TEMPI Ha una durata massima di 6/8 mesi nell’arco dei quali avvengono 10/12 incontri complessivi, “vis a vis” (della durata di 2 ore) o telefonici (di 60/90 minuti). Il fine degli incontri è la risoluzione dei quesiti del cliente. La durata dell’intervento è perciò quella strettamente necessaria al cliente e può variare da qualche incontro ad alcuni mesi. Gli incontri sono individuali, “vis a vis”, di 45/60 minuti mediamente una volta a settimana.
COSTI

 

Tra 150 e 500 € per un incontro di 2 ore

 

Tra 40 e 140 € a incontro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Counseling e Coaching

Counseling e Coaching

Spesso si fa confusione fra due attività apparentemente simili, in realtà distanti fra loro.

Il coaching è uno strumento prezioso di sviluppo organizzativo.

Il sito dell’International Coaching Federation (ICF), la Federazione che raccoglie il maggior numero di coach nel maggior numero di nazioni, riporta la seguente definizione: “ Il coaching è una relazione che si evolve mantenendo costante il proprio focus su clienti che stanno agendo per realizzare i propri sogni, i propri obiettivi e i propri desideri. Il coaching usa un processo di esplorazione e di scoperta personale per migliorare il livello di consapevolezza e responsabilità del cliente e fornisce al cliente struttura, supporto, feedback. Il processo di coaching aiuta il cliente sia a definire sia a raggiungere obiettivi professionali e personali più rapidamente e più facilmente di quanto sarebbe possibile altrimenti “.

Questa definizione evidenzia alcuni elementi qualificanti del coaching:

    • il coaching è un tipo di relazione;
    • il fulcro dell’attenzione è sempre e comunque il cliente;
    • come tutte le relazioni, è una relazione che si evolve e che attraversa diverse fasi;
    • è il cliente che agisce per realizzare i suoi sogni, i suoi obiettivi, i suoi desideri;
    • il coaching fornisce al cliente struttura, supporto e feedback per il suo cammino;
    • all’interno della struttura, il cliente mette alla prova le proprie capacità e diventa più consapevole di quello che è e di quello che sa fare;
    • una delle funzioni principali del coaching è quella di aiutare il cliente a definire degli obiettivi di miglioramento, traducendo vaghe aspirazioni in specifici risultati da raggiungere, sia in campo professionale che personale;
    • il coaching è una sorta di “catalizzatore” del miglioramento, nel senso che con il supporto del coach il cliente viaggia più velocemente nel suo percorso di sviluppo.

La difficoltà è capire come una relazione caratterizzata in questo modo possa essere concretizzata in azienda: si parla infatti di “sogni” dei clienti, di “processi” di esplorazione e scoperta personale… come possono essere questi elementi inclusi in un processo aziendale, in particolare in contesti produttivi? Come possono i desideri dei clienti, dei singoli coachee, essere conciliati con i desideri dell’organizzazione, del committente, tanto da far sì che l’azienda paghi un percorso di coaching al suo dipendente? Diamo una prospettiva decisamente più aziendale ed operativa sul coaching inteso come strumento di sviluppo di competenze.

Il coaching è:

–    un processo di acquisizione e di applicazione  di competenze professionali e manageriali.

–    basato su di una metodologia precisa (protocolli) e caratterizzato da un preciso orientamento alla persona;

–    Condotto da un professionista qualificato (il coach).

Il coaching si svolge in ambito lavorativo, articolandosi in una serie di incontri (sessioni) tra il coach e i singoli partecipanti.

Nell’ambito degli obiettivi dell’iniziativa di coaching, il coach e i singoli partecipanti (coachee) lavorano su performance e competenze specifiche concordate con l’azienda e aventi un impatto diretto o indiretto sui risultati di business- con una prospettiva a lungo termine di sviluppo delle competenze del coachee.

Il coaching prevede, da parte del coach:

    • la stimolazione delle risorse e abilità uniche del coachee per il raggiungimento degli obiettivi concordati;
    • l’integrazione di tecniche o strategie comportamentali specifiche a seconda dei bisogni del coachee;
    • il fornire una prospettiva da osservatore, funzionale all’acquisizione di competenze tramite processi di apprendimento dall’esperienza.

Affinché  l’intervento di coaching abbia successo, l’azienda deve avere:

    • individuato dei risultati di business da raggiungere;
    • creato un piano strategico per raggiungere questi risultati di business;
    • individuato i criteri chiave di performance che la sua forza lavoro deve consolidare o migliorare per implementare il piano strategico;
    • scelto il coaching a ragion veduta, come strumento per supportare le persone nell’implementare il piano strategico, in particolar modo dove tal implementazione richieda ai dipendenti di mettere in campo competenze nuove o più evolute.

Se queste condizioni sono presenti e sono chiaramente comunicate ai coaching, si parte già a “ventre a terra”: fin dai primi incontri si percepisce una forte motivazione da parte dei coachee e si lavora subito su questioni rilevanti per il miglioramento della performance. In caso contrario, si dovrà dedicare parecchio tempo, all’interno delle sessioni di coaching, a spiegare il quadro generale, oltre che a vincere la naturale diffidenza iniziale.

Nel primo caso il coach è percepito chiaramente come “partner” e “supporto”: il coach sa bene quali sono gli obiettivi di sviluppo e il perché degli stessi.

Nel secondo caso, invece, non essendo chiari il contesto e gli obiettivi aziendali, il coach, può essere vissuto come un intruso nella routine lavorativa delle persone, o, peggio ancora, come una “spia”(“ecco che viene questo qui per vedere come lavoro per poi riportare ai miei superiori”) o come uno “psicologo”(“i miei capi pensano che non stia facendo un buon lavoro, e che ho dei problemi, tant’è che mi mandano uno strizzacervelli”..)

Il coaching invece di essere vissuto come un aiuto per centrare gli obiettivi aziendali, rischia di essere visto come un aggravio al lavoro: gli obiettivi di coaching, nel percepito del coachee, diventano un ulteriore lavoro da fare, senza legami apparenti con gli obiettivi aziendali.

(Terni, 2007).

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli