Le prospettive del Counseling Aziendale

Le prospettive del Counseling Aziendale

Le prospettive del Counseling aziendale saranno rosee se si potrà dimostrare, e misurare, che il miglioramento delle relazioni del benessere individuale impatta positivamente sulle prestazioni aziendali.

Non decollerà per un approccio “buonista” o filantropico, bensì per la consapevolezza dell’azienda che si tratta di un investimento sulle persone, il cui benessere, non scindibile tra vita privata e vita professionale, influisce sulle performance.

Occorre gran serietà: di fronte ad un problema temporaneo come ad esempio il cambiamento di un capo o di ruolo, non necessariamente il lavoratore si deve impegnare in percorso di ristrutturazione di sé, costoso anche sotto il versante economico.

Aldilà di possibili, e già osservabili conflitti con altre famiglie professionali, in primis psicologi e psicoterapeuti, il counseling aziendale potrà espandersi se si creerà un’adeguata cornice culturale e se i counselor si contraddistingueranno per una solida preparazione teorica ed una limpida qualità personale.

Gli interventi di counseling aziendale dovranno essere coerenti con il clima e lo stile complessivo dell’azienda e non rappresentare una scorciatoia:chi lavora in azienda deve sempre chiedersi come fare coincidere il più possibile gli obiettivi aziendali e le aspettative delle persone che vi lavorano.

 

Non è solamente una cosa buona: se accettiamo il paradigma dell’economia della conoscenza dobbiamo esserne conseguenti; l’energia, la creatività e la passione delle persone si avranno solo se il clima aziendale è mediamente positivo e le aspirazioni personali di appartenenza, affermazione e crescita potranno in qualche misura essere soddisfatte.

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Il counseling aziendale

Il counseling aziendale

Nel mondo del lavoro, nelle aziende e nelle organizzazioni il bisogno di supportare e sostenere le risorse umane di cui si dispone è in costante crescita. I momenti di difficoltà personale, i disagi e le insoddisfazioni influiscono spesso sulle prestazioni lavorative e rallentano il processo di crescita formativa e produttiva del soggetto. Spesso nelle aziende vengono realizzati corsi ai fini di un miglioramento della comunicazione, o per la gestione delle risorse umane al fine di aumentare il benessere e conseguentemente la produttività aziendale. A tale proposito il counseling aziendale si dimostra come un’efficace relazione d’aiuto che mira alla promozione del benessere della persona, valorizzando le capacità individuali e indirizzando le energie e le motivazioni dei singoli verso sviluppi coerenti con le esigenze dell’azienda. In pratica si parte dal presupposto che il benessere dei dipendenti e la qualità della loro vita, anche lavorativa, si rifletta sulle loro motivazioni professionali e sulle loro prestazioni specifiche, incidendo sulla produttività.

Quando sul posto di lavoro, ad esempio, diventa difficile la convivenza, la condivisione di un progetto, la relazione con i colleghi; quando si incrina la coesione organizzativa, viene meno l’integrazione dei progetti personali con quelli aziendali o vi sono difficoltà motivazionali, si rende necessario un intervento di counseling. Come abbiamo già descritto in precedenza, non si tratta di fornire al soggetto soluzioni già pronte, ma di favorire un percorso di consapevolezza che aiuta gli individui a crescere, a raggiungere uno stato di benessere, attraverso l’esplorazione, la scoperta, la chiarificazione dei propri bisogni e desideri, attivando le proprie risorse e capacità personali.

Il counseling, quindi, perché le persone nelle organizzazioni sono il patrimonio più importante e perché potrà diventare una forte leva di cambiamento e di progresso, poiché sostiene il cambiamento, favorisce lo sviluppo delle potenzialità e coordina le risorse. (Dispense A.S.P.I.C., Il Counseling aziendale, Roma, 2001).

Il lavoro e la vita privata non si possono considerarli separatamente; i disagi personali spesso si riflettono sull’ambiente lavorativo incidendo pesantemente sul lavoro e sulle relazioni interpersonali. A tal fine la figura del manager counselor potrebbe rivelarsi importante per offrire aiuto e sostegno al singolo per ristabilire gli equilibri all’interno del proprio ambiente lavorativo. La promozione del benessere del singolo favorisce un aumento della qualità del lavoro e la qualità di vita dell’ambiente del lavoro e di conseguenza un più facile raggiungimento dell’obiettivo lavorativo.

L’individuo sotto stress, frustrato, teso è indebolito nella sua capacità lavorativa e relazionale, perciò il manager counselor dovrà prestare il più possibile attenzione alle sue risorse, così da intervenire prontamente alla gestione del problema.

E’ ovvio che il manager counselor deve saper utilizzare tecniche, abilità e atteggiamenti, e attraverso queste attivare e portare avanti una buona relazione con il soggetto.

L’ascolto empatico diventa strumento fondamentale per entrare in relazione con la risorsa dandole la possibilità di presentare il proprio disagio. Il manager counselor accoglie l’“altro” con i suoi sentimenti e le sue problematiche, prescindendo da qualunque tipo di giudizio, di valutazione e interpretazione. Il dipendente, percependo stima, fiducia e accoglienza da parte del counselor, si affida alla possibilità del cambiamento e già così pone le basi per il cambiamento stesso.

Dirigenti, responsabili HR, capi settore e “local manager” in generale dovrebbero perciò essere adeguatamente formati in tal senso in quanto a loro spetta prevenire, fronteggiare e risolvere le problematiche evidenziate in precedenza, le quali possono minare la resa del singolo lavoratore come di tutta l’organizzazione; o in altro modo avvalersi dell’aiuto di un counselor esterno cui affidare la gestione delle risorse umane. Ricapitolando, il counseling all’interno delle aziende dovrebbe:

    • Aumentare il benessere nei contesti lavorativi;
    • Agevolare la comunicazione all’interno dell’azienda;
    • Far crescere la motivazione al lavoro;
    • Migliorare la qualità del lavoro in termini di efficacia e di efficienza;
    • Offrire sostegno in situazioni conflittuali e di disagio;
    • Ridurre l’assenteismo;
    • Aumentare la produttività.

 

In quest’ottica di promozione del benessere all’interno di un’organizzazione, ben si colloca il concetto di empowerment. L’empowerment rappresenta una proposta all’interno di un’organizzazione al fine di promuovere il benessere dei dipendenti valorizzando da un lato le potenzialità dell’individuo e dall’altro favorendo la crescita ed il cambiamento dell’organizzazione.

L’empowerment nasce soprattutto dal desiderio di smantellare in ambito lavorativo teorie organizzative e manageriali considerate obsolete e mettere le “persone al primo posto”.
(Francescato, Leone, Moranti, 1995).

 

Mettere le persone al primo posto in un’azienda vuol dire soprattutto per i manager essere aperti al cambiamento: il processo di empowerment inizia nel momento in cui i manager stessi decidono di operare una radicale trasformazione delle aziende proprie iniziando da se stessi. Essi devono in altre parole creare un clima di fiducia con i dipendenti, incoraggiando all’autonomia, delegando, trasferendo potere ai dipendenti.

E’ così che si favorisce la crescita responsabile dell’individuo, donando fiducia, sviluppando le sue potenzialità; in questo senso un manager empowering ha una concezione del potere di tipo “integrativo, non pone se stesso al vertice del gruppo, non tenta in tutti i modi di persuadere e convincere a fare ciò cui l’altro resiste”; avrà intorno a sé persone empowered, poiché dona potere, in quanto sostiene ed incoraggia le potenzialità espressive e creative e crea autonomia nel singolo promovendo una sua crescita professionale.

Il processo di empowerment si può definire come “processo di ricostruzione di una valutazione positiva della propria autoefficacia”, nel senso che l’individuo empowered vede soddisfatti i propri bisogni di crescita e di stima personale e consapevoli di ciò danno maggiori risultati rispetto ad individui demotivati, riducendo frustrazione, stati di ansia, sentimenti di impotenza, alienazione.  Per questo l’empowerment si pone come un approccio sia relazionale sia motivazionale: relazionale poiché si può divenire empowered solo da persone empowering; motivazionale perché, come abbiamo detto, è attento ai bisogni dell’individuo: mira a liberare l’espressività e la creatività, attiva energie positive, per cui l’individuo, motivato, trova senso e significato nel lavoro che svolge.

In conclusione, l’empowerment offre un’alternativa ad un modo di essere delle organizzazioni, che mira alla qualità dello stare al lavoro, in cui l’individuo può dare qualcosa di sé: mette a disposizione dell’altro le sue energie intellettuali, fisiche ed emozionali, perché trova significato in quello che fa e perché l’essere empowered vuol dire essere motivati,  “autentici, vibranti, collegati empaticamente agli altri, solidi anelli nella rete di relazioni sostenute non tanto da un’organizzazione ma da una comunità”. (Piccardo, 1995).

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Counseling Organizzativo: Persone e competizione

Counseling Organizzativo: Persone e competizione

Le forti pressioni competitive, generate da scenari di enorme incertezza  e straordinaria rapidità, fanno sì che l’ambiente di lavoro sia particolarmente predisposto a generare problematicità nelle persone e nelle loro relazioni con i colleghi ed i capi. Quattro macro-fattori distinguono questi anni: l’ipercompetizione, l’innovazione tecnologica, la globalizzazione e le turbolenze politico-sociali di diversi Paesi.

In questo panorama, le aziende sono obbligate ad avviare processi di riorganizzazione, di ristrutturazione e di ripensamento del proprio modello di business. E’ proprio sulle persone, operai o impiegati, top manager o venditori, che ricadono gli effetti dello scenario descritto, non sulle aziende. Si devono fare più cose, più in fretta e con meno certezze, per questo le persone non sempre riescono a fronte alle pressioni competitive, oppure pagano prezzi notevoli, per se stesse e per l’azienda. Come può una persona stanca, stressata e in ansia, anche se non al massimo livello possibile di queste condizioni, essere vigile, motivata, entusiasta del suo lavoro? Alla lunga le situazioni degenerano in comportamenti aggressivi o d’arrendevolezza, a più livelli.
(da Rivista e Conoscenza, editoriali dei numeri 10-11-12 del 2005).

Il Direttore di questa rivista sottolinea con forza questi aspetti:” Mi guardo intorno e vedo persone che stanno male…che vedono frustrato l’impegno, l’interesse, la dedizione….” E ancora, “La sfiducia, la rassegnazione, la convinzione che stavolta non ce la faremo si diffondono; il clima è pesante…cresce la tendenza a cercare giustificazioni esterne”, “Lavoriamo senza piacere…siamo vittime del nostro ruolo, spesso troppo lontani dalla nostra individualità, dalla persona che vorremmo essere…”

Lavorare perché le persone possano stare meglio al lavoro è utile per aumentare la competitività delle imprese. Partiamo da un assunto: un’azienda che non ha un buon profilo competitivo non potrà in alcun modo avere una prospettiva di sviluppo. Lo dimostrano diversi studi e metodologie (ad esempio P.I.M.S, Profit Impact of Market Strategy) e il Modello E.F.Q.M. (European Foundation for Qualità Management, organizzazione europea no profit, fondata nel 1988, che gestisce l’European Qualità Award), evidenzia che un’azienda di qualità ha leadership, gestione e soddisfazione del personale molto elevate. Anche le normative di riferimento per la certificazione dei sistemi di qualità aziendale hanno ulteriormente valorizzato l’importanza della gestione e dello sviluppo delle risorse umane. E’ dimostrato che le persone rappresentano la risorsa centrale per la sostenibilità e la crescita di un’azienda, soprattutto in un tessuto produttivo che non può competere sul basso costo del lavoro; la loro motivazione e competenza e la loro intelligenza anche emotiva sono discriminanti per il successo del business.

Quando lavoriamo, che lo decidiamo o meno, ci siamo con tutti noi stessi, con le nostre capacità, energia, dinamismo, ed anche con i nostri blocchi e paure. In azienda occorre sapere accogliere e gestire le emozioni, non reprimerle. E’ normale che, sottoposti a pressioni forti, ci si arrabbi, si provino dolore e tristezza, paura e ansia. Invece, la tendenza diffusa è quella di non esprimere queste attenzioni e di tenersele dentro. Ci viene da dire che nemmeno la gioia ha molto spazio in azienda, se qualcuno è felice spesso la prima reazione è d’insofferenza perché si pensa che stia distraendosi e forse perdendo tempo. La centralità della competenza, complessivamente intesa come conoscenze (sapere), capacità (saper fare) e comportamenti (saper essere), fa sì che le aziende debbano trasformarsi in vere e proprie organizzazioni che apprendono la cosiddetta “learning organization”. Devono creare un clima favorevole allo scambio delle competenze implicite, non codificate nei manuali, ma che esistono nella testa degli individui, che nascono dall’esperienza lavorativa, che si collegano alla capacità di comprensione dei contesti d’azione, delle intuizioni e delle sensazioni. Queste fanno la vera differenza tra un’azienda che partecipa e un’azienda che vince, nel gioco dell’attuale competizione.

La differenziazione si gioca su elementi molto sottili, sulla capacità di anticipare le esigenze del mercato e sulla sintonia con i clienti per coglierne soprattutto i bisogni latenti, poiché quelli espliciti tutti li sanno intercettare. Questi sottili elementi non sono facilmente gestibili dalle procedure organizzative, emergono se il clima aziendale è positivo e motivante al punto da incoraggiare le persone a mettere a disposizione tutto il loro sapere.

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

 

 

La costruzione di un piano di counseling organizzativo

La costruzione di un piano di counseling organizzativo

La prima fase può essere definita preliminare all’introduzione dell’intervento vero e proprio ed è finalizzata a rilevare sia l’atteggiamento dell’azienda verso la proposta sia ad effettuare un’analisi della domanda da questa espressa.

 

Si procederà con la valutazione dei seguenti aspetti:

Lo stato di crisi/crescita in cui trova l’azienda

    • La cultura organizzativa per comprendere dove è concentrata la struttura di potere e l’ideologia prevalente.
    • Il modo con cui il counseling potrà essere integrato nell’organizzazione, influendo sui processi organizzativi in modo critico senza essere un’appendice della medesima.
    • I bisogni di chi partecipa (analisi dei disagi espressi dalle persone: stress sul lavoro, difficoltà nei confronti del cambiamento, livello di tensione produttiva, mancanza di flessibilità…) per capire se il counseling è lo strumento più adatto.
    • Le aspettative realistiche e irrealistiche che l’azienda ha rispetto al counseling.

 

La seconda fase volta a negoziare e a formalizzare la proposta di counseling organizzativo attraverso un accordo che specifichi responsabilità, ruoli reciproci e livelli d’intervento:

    • Livello economico/amministrativo
    • Livello professionale (finalità, obiettivi, compiti e ruoli di ciascuno nel gruppo di lavoro, implementazione e metodi di valutazione).
    • Livello psicologico (rispetto, fiducia, dialogo aperto e posizioni da chiarire)

 

    • Livello organizzativo (rete di relazioni gerarchiche e funzionali che possono promuovere la richiesta di counseling).

 

Se vi è accordo sulle due fasi precedenti, si potrà procedere con la terza fase con cui viene comunicato l’avvio dell’intervento di counseling a tutti i livelli di responsabilità e alle figure direttamente coinvolte.

Gli scopi sono:

    • Esplicitare in modo chiaro l’iniziativa decisa dall’azienda per far si che le persone abbassino il livello di guardia e partecipino attivamente, senza timore di essere valutate o giudicate.
    • Coinvolgere l’azienda e non solo i ruoli in questione per fare in modo che l’intervento possa essere di giovamento a tutto il contesto.
    • Permettere ai consulenti di muoversi liberamente senza apparire degli estranei verso cui nutrire diffidenza.
    • Definire in modo inequivocabile il ruolo dei consulenti in modo da evitare convinzioni errate (che siano delle “spie” della direzione, che siano degli psicologi in incognito, che siano dei “difensori” dei lavoratori).

 

Dopo lo svolgimento dell’intervento, si passa alla fase di conclusione che ha differenti finalità:

    • Rilevare le eventuali altre esigenze organizzative che il counseling può avere suscitato (estendere il counseling ad altre aree/figure aziendali, sviluppo professionale, analisi di clima, consulenza al management, supporto al cambiamento).
    • Dare un feedback che prevede una sintesi del processo di valutazione intermedio e finale (rilevazione della soddisfazione e dell’efficacia espressi da tutti gli attori considerati: i clienti coinvolti, la committenza, i supervisori nel caso ci siano, il counselor) e, grazie al supporto d’alcuni strumenti metodologici, stabilire dei momenti di verifica a conclusione del percorso per calcolare i risultati/cambiamenti che sono avvenuti.
    • Affrontare il processo di separazione evidenziando gli apprendimenti/cambiamenti intercorsi e i nuovi sistemi acquisiti, anticipando le prevedibili reazioni del cliente, incoraggiando i clienti a confrontarsi attivamente con la fine dell’esperienza, esaminando gli aspetti cognitivi ed emotivi (sensazione di avere ancor bisogno, timore di non farcela da soli, consapevolezza delle proprie capacità).

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Presentare il counseling organizzativo in azienda

COME DEVESSERE PRESENTATO IL COUNSELING ORGANIZZATIVO IN AZIENDA

 

Proporre un percorso di counseling ad un’azienda potrebbe avere per questa, lo stesso significato che avrebbe la proposta di mandare il personale dell’azienda sul lettino di uno psicologo. Se l’affermazione ha sapore di provocazione, il succo è che l’impresa abituata a ragionare su numeri, obiettivi e risultati, di fronte all’idea di una consulenza che integri gli aspetti tecnici con quelli emotivo-relazionali si percepisce maggiormente vulnerabile e pertanto esprime perplessità, dubbi, scetticismo, in una sola parola chiusura.

Si tratta di segnali che evidenzino resistenza e difese nei confronti di una proposta consulenziale che accompagna l’azienda ad esplorare le relazioni umane e i processi emozionali consci e soprattutto insconsci, in gioco, per favorire spazi di riflessione orientati all’azione.

Il modo migliore per affrontare e superare tali barriere consiste nell’avvicinarsi all’azienda in due modi:

Definire/utilizzare un linguaggio condiviso: s’intende inquadrare il counseling da un punto di vista teorico, applicativo, evidenziandone il funzionamento, i vantaggi per gli individui e per l’azienda, cercando di sviscerare tutte le perplessità, gli eventuali timori e di trovare quindi un terreno comune di lavoro tra committenza e counselor.

Concentrarsi sulla dimensione tecnico operativa: s’intende da un lato prendere le mosse a partire dal problema strategico e/o lavorativo che l’azienda manifesta per poi integrare la sfera relazionale e dall’altro operazionalizzare definendone gli obiettivi, le metodologie quantitative e qualitative, i momenti di supervisione, le tempistiche, i risultati che ci si prefigge raggiungere e i clienti che partecipano/usufruiscono dell’intervento medesimo.

E’ di fondamentale importanza che l’azienda si senta presa in carico innanzitutto rispetto al bisogno di cui si fa portatrice, usufruendo, in tal senso, anche di apporti di consulenza specialistici, e, nel prosieguo dell’analisi del problema, si approfondisca, con la medesima, la richiesta avanzata per valutare se e quali altre criticità questa nasconde o ha in sé. Proporre  un percorso di counseling impone delle sfide non solo all’azienda, che si trova ad affrontare un approccio consulenziale nuovo, ma, anche per il counselor che deve, innanzitutto, conquistare la fiducia della committenza, mediando tra le esigenze di quest’ultima e le richieste espresse dai benefici effettivi dell’azione, tra la produzione di risultati concreti e il perseguimento di risultati intangibili e non immediatamente visibili.

In specifico le sfide che gli si pongono davanti sono sia di tipo relazionale (mantenere i confini e contemporaneamente la confidenzialità, assumere ruoli diversi a seconda della tipologia del cliente), professionali (evitare di farsi condizionare dal “fallimento” di alcuni casi, non farsi isolare, accettare che per rendere compatibili gli obiettivi dell’organizzazione con quelli del counseling è richiesta una continua negoziazione), produttivi (dare risultati, generare un feedback positivo sull’organizzazione che ne influenzi l’autoimmagine).

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Gli ambiti di applicazione del Counseling

Gli ambiti di applicazione del Counseling

Le radici storiche del counseling come pratica affondano principalmente all’interno di due grandi aree d’intervento: quell’educativa da un lato e quella del volontariato e dell’assistenza sociale dall’altro, nutrendosi in seguito dei contributi, degli approfondimenti e degli studi provenienti dall’area della psicologia e della psicoterapia.

Gli ambiti d’intervento del counseling sono molteplici e vi sono applicazioni specifiche in campo comunitario, lavorativo, educativo e formativo, socio-sanitario, ecc… Gli ambiti di applicazione delle competenze di counseling sono in espansione e in costante aggiornamento e quelli seguenti sono soltanto alcuni. Resta inteso che per alcune professioni occorre avere maturato anche i relativi requisiti formativi, professionali e tecnici necessari.

Counseling scolastico

La scuola è uno dei campi naturali d’applicazione delle competenze di counseling. In aula le competenze di counseling possono aiutare gli insegnanti nel loro compito di educare, oltre che istruire. Gli operatori dei contesti scolastici si trovano inoltre spesso a dover gestire dinamiche di gruppo e rapporti interpersonali conflittuali, che possono trarre grande beneficio da competenze comunicative di qualità. Avere insegnanti, genitori, dirigenti formati alle competenze di counseling può favorire il confronto tra colleghi e la necessaria sinergia tra i diversi attori della scena educativa. La presenza infine nelle scuole, di “sportelli di ascolto” aperti ai ragazzi, agli insegnanti, o ai loro genitori, è una risorsa preziosa, che può svolgere un’importante funzione preventiva rispetto a diverse problematiche e può infine diventare un ottimo veicolo per promuovere una cultura del “buon comunicare” e del benessere.

Counseling educativo per tutte le età

Un percorso di counseling aiuta a crescere come persona, a sviluppare autonomia, consapevolezza di sé, senso di responsabilità, creatività e modalità di relazionarsi e comunicare improntate al rispetto di sé e dell’altro. L’educazione inoltre da qualche decennio, ha smesso di identificarsi solo con l’istruzione e punta al recupero dell’idea antica e “alta” d’educazione della persona nella sua interezza, includendo la sfera affettiva ed emotiva, la dimensione dei valori e del senso esistenziale, l’educazione interiore. Questo processo è andato di pari passo con l’affermarsi della cultura del lifelong learning – apprendimento nel corso di tutta la vita – e al fiorire di iniziative educative e formative anche al di fuori dei circuiti tradizionali e rivolte non più solo a bambini e adolescenti, ma anche agli adulti ancora disposti ad apprendere e a mettersi in discussione. In tutti questi casi le competenze di counseling si sposano naturalmente con le competenze educative intese come capacità di promuovere lo sviluppo della persona nella sua interezza facendo leva sui suoi punti di forza e sulle sue potenzialità.

Counseling di comunità

In ogni contesto sociale sarebbe importante la presenza di un facilitatore della comunicazione, ma in particolare modo in tutti i tipi di comunità più in contatto con il disagio sociale: comunità carcerarie, per tossicodipendenti, per giovani in difficoltà, ecc. In queste situazioni un intervento di counseling può agire sinergicamente con altri tipi di intervento, contribuendo a ricostruire la fiducia nell’essere umano, laddove è stata compromessa. Può venire incontro ad un bisogno d’ascolto e di comprensione da persona a persona. Può agevolare la comunicazione e il dialogo dove è difficile e ostacolato, aiutando gli utenti ad ascoltarsi e ad ascoltare ai fini dell’elaborazione di modalità di convivenza più collaborative e soddisfacenti.

Counseling spirituale o transpersonale

I momenti di disagio esistenziale e di crisi originate da una tensione spirituale sono sempre più diffusi. Quello del counseling spirituale, o transpersonale, per usare un termine più scientifico, è un ambito d’intervento in cui storicamente hanno operato i religiosi. Negli ultimi decenni si sta facendo largo un bisogno di scoprire o recuperare la dimensione del sacro in chiave laica. In questa prospettiva la spiritualità è vista come una parte costitutiva e fondamentale della natura umana, una risorsa preziosa a cui è possibile attingere e che può dare senso e pienezza alla vita, senza necessariamente ancorarsi a una confessione religiosa, ai suoi dogmi e alle sue istituzioni. Il counseling transpersonale o spirituale si occupa proprio di queste tematiche.

Counseling psicologico

L’ambito psicologico e psicoterapeutico ha dato molto al counseling. E’ soprattutto in quest’ambito che sono state studiate e approfondite le potenzialità e i metodi su cui si basa il counseling, inizialmente praticato nei contesti educativi e socio-assistenziali sulla base della buona volontà e della predisposizione al contatto umano degli operatori che lo praticavano. Anche se oggi appare riduttivo e limitante ricondurre tutte le possibili applicazioni del counseling all’ambito psicologico, resta vero che il lavoro professionale dello psicologo è uno dei campi d’applicazione delle competenze di counseling che possono essere utilizzate in sinergia con altri strumenti tecnici tipici della professione di psicologo.

Counseling medico

La buona qualità della comunicazione tra medico e paziente è un fattore coadiuvante del processo di guarigione. Il medico che utilizza competenze di counseling oltre a mettere sotto osservazione i sintomi, formulare diagnosi, prescrivere analisi cliniche e terapie, entra in relazione con il paziente riconoscendolo come persona nella sua interezza.

Counseling socio-sanitario e degli operatori del benessere

Oltre che da parte di medici e psicologi, il counseling può trovare applicazione anche da parte di quei tecnici delle professioni socio-sanitarie che quotidianamente si trovano a gestire delle relazioni d’aiuto: fisioterapisti, infermieri professionali, operatori socio-assistenziali, assistenti sociali. Stesso discorso vale per i cosiddetti operatori del benessere (naturopati, operatori shiatsu, insegnanti di yoga, ecc.).Questi operatori possono utilizzare le competenze di counseling nel loro lavoro oppure possono beneficiarne essi stessi per prevenire i rischi di burn out.

Art counseling

Si definiscono art-counseling tutti quei percorsi di counseling che ricorrono alla mediazione di una qualche forma artistica per facilitare la consapevolezza nell’interlocutore e migliorare la qualità della vita. Musica, teatro, poesia, danza, scrittura, scultura e altre forme di attività creative possono essere abbinate a un percorso di counseling in funzione del benessere dell’individuo. Ogni qual volta si facilita la libera espressione entra in atto un processo di liberazione di contenuti interni, in forma simbolica, che ha un effetto liberatorio, catartico e, una volta reintegrato, maturativo. Risvegliare e stimolare la creatività in uno specifico campo di applicazione induce contemporaneamente la scoperta di una maggior creatività anche nella gestione della propria esistenza.

Counseling nella relazione di coppia

La presenza e l’intervento di una terza persona, opportunamente preparata al suo ruolo, può essere molto importante per affrontare, comprendere e risolvere problemi di relazione interpersonale e in particolare di coppia. Può essere in grado di agevolare la relazione anche nel caso di lievi difficoltà presenti nella sfera più intima e nella vita sessuale.

 

Counseling di accompagnamento alla morte

Viviamo in una società in cui la morte è un tabù. La si vede rappresentata nei media, ma è sempre qualcosa di astratto che riguarda solo gli altri. Non se ne parla, non ci si pensa, e quando ci tocca da vicino, sovente ci si scopre impreparati. Il counseling di accompagnamento alla morte è un percorso che facilita questo ultimo e misterioso passaggio di vita, stando vicino all’altro con una delicatezza e uno stato di presenza, a volte esprimibile solo attraverso il silenzio.

Counseling aziendale

Molti problemi in azienda fanno fatica a trovare una soluzione soddisfacente, perché sono affrontati esclusivamente da un punto di vista tecnico-organizzativo, prescindendo dall’importanza del fattore umano, che include aspetti personali, emotivi e comunicativi che hanno una grande influenza sui processi produttivi e decisionali. Un intervento di counseling aziendale può aiutare ad individuare le aree problematiche e ad avviare i processi che porteranno alla chiarificazione e alla soluzione dei problemi. In altri casi può essere utile formare la sensibilità delle persone che gestiscono ruoli chiave in azienda, perché imparino ad ascoltare, ad essere empatici senza perdere in autenticità. Si tratta in questo caso di formare le persone che lavorano in azienda ad agire competenze di counseling.

Counseling telefonico

“Telefono amico”, “Telefono azzurro”, “Telefono rosa”, sono solo alcune delle realtà più note che offrono una possibilità anonima di richiesta d’aiuto a chi non avrebbe mai il coraggio o la possibilità di farlo apertamente. Il counseling telefonico, per la sua caratteristica d’intervento a distanza, breve e spesso estemporaneo, richiede particolari abilità di counseling, che sappiano sostenere con tempestività il disagio della persona al telefono e indirizzarla, quando necessario, verso il tipo d’intervento più opportuno.

Counseling nelle emergenze

E’ un campo nuovo, che si sta sviluppando molto. Prepara ad un intervento in situazioni drammatiche e immediate: tentativi di suicidio, sequestro di ostaggi, calamità naturali o accidentali, attentati, guerre, in cui è necessario aver appreso come stare vicino alle persone cha stanno vivendo, o hanno vissuto, episodi particolarmente traumatici.

Counseling in ambito privato, agevolatore nella relazione di aiuto

Al di fuori di qualsiasi struttura istituzionale o della competenza specifica di professionisti ben definiti, c’è un territorio in cui una vasta gamma di disagi esistenziali non particolarmente gravi affliggono persone che hanno bisogno prima di tutto di un orecchio attento e di un cenno d’incoraggiamento, per ritrovare la propria forza e proseguire nel loro cammino.

Nel caso di necessità più specifiche, che esulano dalle competenze del counselor agevolatore nella relazione di aiuto, questi è in grado di indirizzare il cliente verso un professionista specializzato, svolgendo di fatto un’importante funzione di orientamento e di accompagnamento.

Counseling a sostegno delle attività di volontariato sociale

Si tratta di uno degli ambiti storici d’applicazione delle competenze di counseling. In quest’ambito, a volte lasciato alla buona volontà degli operatori che vi si dedicano talvolta a scapito della qualità degli interventi, le competenze di counseling  possono introdurre un elemento di qualità professionale di gran valore a beneficio dei destinatari degli interventi.
(http://www.creaitalia.it)

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

 

 

 

 

Le aree e le applicazioni del Counseling Organizzativo

Le aree e le applicazioni del Counseling Organizzativo

 

Le principali aree in cui si esplica il counseling organizzativo sono le seguenti:

    • Tutela della salute psicofisica: abuso di sostanze, conflitti personali o familiari che si ripercuotono sul lavoro, problemi multiculturali, weel-being, weel-ness.
    • Problematiche di stress: perdita di motivazione, diminuzione della capacità lavorativa.
    • Supporto allo sviluppo e al cambiamento: pianificazione di carriera e/o sviluppo professionale, analisi dei processi e dei ruoli, miglioramento delle prestazioni e dei processi (più velocità, meno costi e meno errori), valutazione del personale, leadership e skill manageriali, facilitazioni nelle relazioni interpersonali.
    • Acquisizioni di nuovi e più efficaci schemi comportamentali, aggiornamento delle mappe mentali per adattarsi rapidamente ai continui cambiamenti.
    • Supporto nella ricerca di un soddisfacente e realistico equilibrio fra capacità del soggetto, identità e ambiente organizzativo.

 

Gli interventi di counseling organizzativo si possono suddividere tra: azioni rivolte all’organizzazione, in particolare a quelle aree funzionali/ruoli che manifestano maggiori criticità e azioni rivolte all’individuo che nel suo percorso di vita si trova ad affrontare problemi difficili da gestire, originati o nel contesto privato o in quello lavorativo, con implicazioni sul modo di lavorare, sul rendimento e quindi sui risultati portati.

In specifico, i problemi, mix tra elementi individuali e caratteristiche organizzative, che richiedono più frequentemente interventi di counseling sono:

    • La resistenza al cambiamento
    • La demotivazione
    • La gestione del tempo
    • La scarsa produttività
    • La conflittualità
    • L’assenteismo
    • Problemi d’abuso di sostanze

Le azioni rivolte all’organizzazione riguardano in primis le realtà che affrontano cambiamenti rilevanti a cui gli individui devono adeguarsi, pena la difficoltà ad integrarsi con il nuovo ambiente. Cambiare genera aspettative, ma riporta alla luce anche la paura legata all’ignoto e alla sensazione di non essere all’altezza o in grado, ad esempio, di ricoprire un nuovo ruolo, assumersi maggiori responsabilità, apprendere procedure più complesse, confrontarsi con stili culturali differenti. Pertanto se coloro che partecipano al cambiamento non sono opportunamente sostenuti, nell’affrontare la novità possono manifestare accresciuti livelli di stress; inoltre gli effetti di tutto ciò si hanno a livello delle singole componenti organizzative (ruolo, mansioni, competenze), messe in discussione e rilette in occasione dei mutamenti introdotti.

Un altro motivo che può portare a sperimentare il counseling organizzativo consiste nella presenza in azienda di un clima altamente conflittuale che rischia di minare gli equilibri interni oltre ad essere foriero di mancanza di chiarezza, con inevitabili ricadute verso l’esterno.

I conflitti sono l’esito di fattori stressogeni che si manifestano in diversi ambiti:

    • L’ambiente
    • Le relazioni interpersonali
    • La struttura organizzativa
    • Lo sviluppo professionale/di carriera
    • L’integrazione interculturale

 

I fattori legati all’ambiente possono riguardare la mancanza di sicurezza sul posto di lavoro, il dover svolgere lavori con elevata percentuale di rischio e la presenza di condizioni ambientali poco agevolanti (un ambiente rumoroso, scarsa luminosità, temperatura non adeguate…) si tratta di aspetti che possono compromettere lo stato di benessere del singolo e accrescere il livello di stress con conseguenti risvolti negativi di carattere psicosociali.

Le relazioni interpersonali, un tema per sua stessa natura delicato, in un contesto in cui i colleghi, capi, collaboratori, clienti e fornitori non sono scelti, ma imposti, hanno una probabilità maggiore di essere delle problematiche: in primo luogo anche se teoricamente sarebbe opportuno separare tra sfera lavorativa e sfera privata nella realtà portiamo sul posto di lavoro i vissuti e le situazioni esperenziali che riguardano tutta la nostra persona quindi, secondo l’approccio olistico del counseling, anche le emozioni, negative e positive, sperimentate nell’ambito privato; in secondo luogo vi possono essere delle incompatibilità caratteriali che purtroppo si manifestano in maniera più o meno evidente bella condizione lavorativa causando tensioni, incomprensioni e alla fine disaccordo esplicito.

Quindi in concreto il counselor agisce in presenza di conflittualità relazionale legata a situazioni dipendenti da fattori personali (vissuti contingenti, personalità del singolo), amplificate da motivi di carattere organizzativo (confini ambigui, sovrapposizione di compiti e responsabilità): si può ad esempio trattare di scarsa congruenza tra il contenuto del ruolo medesimo e le caratteristiche della persona o di incompatibilità tra le caratteristiche soggettive di due individui che esercitano due ruoli tra loro fortemente interrelati.

La struttura organizzativa se mal guidata può divenire fonte di disfunzioni che si manifestano sulle principali componenti strutturali (gerarchia, processi, ruoli, funzioni, procedure, competenze). Parlando dei primi livelli direzionali/manageriali spesso la loro incapacità di pianificare le strategie aziendali e di gestire con autorevolezza persone e mezzi a disposizione, alimenta un senso di disorientamento e quindi diviene motivo di conflitto interno e porta ad un innalzamento dello stress percepito. Tutto ciò può condurre a non riconoscere più l’autorità dei capi, la loro funzione svolta e in definitiva a rivolgersi ad altre imprese che forniscono una maggiore garanzia di permanenza sul mercato oltre a soddisfare le attese lavorative e professionali delle risorse in esse operanti.

Un altro motivo che arreca stress riguarda il ruolo assegnato che si può rivelare troppo al di sopra/al di sotto delle aspettative e in tal senso essere demotivante: nel primo caso lo è perché non ci si reputa all’altezza delle richieste, nel secondo perché si pensa di essere male o poco utilizzati e quindi di non essere valutati per le effettive competenze possedute e potenzialità da esprimere.

La scarsa definizione delle procedure e dei processi, si esplicita in altri segnali di disfunzione resa evidente da flussi di comunicazione inefficaci, eccesso di costi, lentezza nelle procedure, malcontento dei clienti: in tali casi è opportuno che il counselor intervenga ricostruendo in modo puntuale i processi di lavoro riferiti all’area analizzata e li traduca in dati quali-quantitativi al fine di misurare lo scostamento tra il prima e il dopo l’intervento e di apportare miglioramenti in grado di accrescere l’efficienza dei processi medesimi. Si andrà allora da azioni che prevedono un’attenta analisi e modifica dei processi organizzativi e di lavoro sino all’implementazione di sistemi informativi e/o controllo di gestione, questi ultimi, in particolare con il supporto di professionalità tecniche.

Anche l’assenza di piani di carriera e/o di sviluppo, spesso non pianificati dall’azienda diviene causa d’insoddisfazione soprattutto nei soggetti che manifestano normali ambizioni di crescita è: inevitabilmente tali soggetti se non si sentono ascoltati nei loro legittimi bisogni realizzano che l’impresa, per diverse ragioni non può o non intende investire su loro e, se propositivi, decidono di cercare altre opportunità sul mercato altrimenti esprimo sul lavoro la loro insoddisfazione, divenendo così elementi di disturbo, portati alla ricerca e alla polemica quindi in ultima analisi, poco costruttivi.

Infine se l’organizzazione non è in grado di gestire le differenze culturali, di tipo etnico, professionale, di genere, ecc…pone le basi per il diffondersi di una conflittualità interna che si riflette all’esterno e che conduce a logiche di separazione con dei risvolti negativi sull’unità dell’azienda.

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

I Padri fondatori del counseling: Robert Carkhuff e l’arte di aiutare

Robert Carkhuff e l’arte di aiutare

 

 

“ Tutti noi – nessuno escluso – siamo nati con le potenzialità per crescere. Se impariamo a mettere in pratica questo potenziale, vivremo una vita d’intensità e di pienezza indicibili. Riusciremo a sviluppare delle risposte di crescita che ci permetteranno di andare ovunque e di fare qualsiasi cosa. …[…] Crescere è la nostra vera ragione di vita. I processi umani rappresentano il veicolo della nostra crescita. Noi, come esseri umani, siamo il prodotto dei nostri processi. In effetti, siamo umani solo se siamo in grado di gestire i processi umani. E alla fine, o moriremo crescendo, oppure moriremo condizionati ed impotenti, profughi e senza casa nel nostro stesso mondo”.
(Carkhuff, ”L’arte di aiutare”, 1987).

Allievo di Rogers, psicoterapeuta, è considerato il più grande esperto internazionale di counseling e relazione d’aiuto.

Il modello operativo proposto da Carkhuff integra le feconde intuizioni della Scuola Rogersiana con gli approcci di tipo cognitivo comportamentale, in un’esposizione semplice, piana e rigorosa, che chiarisce ed approfondisce le abilità fondamentali del processo di aiuto: prestare attenzione, rispondere, personalizzare, iniziare.

Migliorare i processi terapeutici è stata l’ossessione di Carkhuff, e in questo sforzo ha seguito Rogers: migliorare i processi terapeutici significava innanzitutto migliorare i processi interpersonali nella terapia o nel processo d’aiuto.

Nel 1987 riassume il processo d’aiuto, come egli stesso riporta, nel seguente modo:

    • per cambiare o migliorare, i clienti devono agire in modo diverso da quanto fatto in precedenza: agire per muoversi da dove si trovano  a dove vogliono essere;
    • per riuscire a fare questo devono capire accuratamente i propri obiettivi e come raggiungerli: capire dove si trovano in rapporto a dove desiderano essere;
    • per capire questo devono esplorare il loro mondo in maniera esperenziale: capire dove si trovano in rapporto al loro mondo ed alle persone per loro significative;
    • i clienti devono poi imparare ad utilizzare il feedback delle loro azioni per riciclare l’intero processo  nella direzione di una più accurata esplorazione e comprensione dei suddetti elementi, perseguendo un’azione sempre più efficace nella direzione dei loro obiettivi.

(R.Carkhuff,” L’arte di aiutare, vedi capitolo “Citazioni”, 1987).

Il Modello di Carkhuff offre una base per comprendere e gestire le relazioni umane come tali. In particolare, permette di “forzare le relazioni, attraverso una sistematica formazione, nel senso di diventare relazione d’aiuto, ossia processi che comportino la crescita di una persona o di entrambe le persone coinvolte per mezzo del loro relazionarsi (e delle risorse che da ciò ne possono scaturire).

Nel contesto della relazione d’aiuto, è possibile individuare una linea di “ specializzazione “progressiva che parte dalle relazioni spontanee nella vita quotidiana per arrivare a forme d’aiuto via via più complesse, che si definiscono, a seconda del loro grado di strutturazione o di profondità, come counseling e psicoterapia.

Carkhuff ha esteso entrambi i punti fondamentali del sistema rogersiano, vale a dire

    1. l’analisi delle disposizioni personali dell’operatore d’aiuto e
    2. l’articolazione dell’apparato tecnico metodologico, indispensabile per una relazione d’aiuto efficace.

E’ stato dimostrato che, l’efficacia di una relazione di aiuto si può ricondurre a due fattori generali:

il rispondere e l’iniziare. Il fattore rispondere richiede che gli “ helper ” (chi aiuta) sappiano entrare nello schema di riferimento degli “ helpee “ (chi riceve aiuto) e sappiano comunicare con grande accuratezza, una loro reale comprensione delle esperienze a loro volta comunicate dagli helpee.

Il fattore rispondere rileva l’importanza di dimensioni quali l’empatia o sensibilità; il rispetto o calore umano; concretezza o specificità dell’helper nel mettere a fuoco il vissuto degli helpee e altre abilità ancora. L’abilità dell’helper di rispondere facilita, da parte degli helpee, l’esplorazione delloro vissuto e lo sviluppo dell’insight.

In seguito, il modello della relazione d’aiuto è stato completato con l’aggiunta delle cosiddette abilità di pre-aiuto o di prestare attenzione. Prestare attenzione agli helpee facilita il loro coinvolgimento nel processo d’aiuto. Attraverso l’azione, gli helpee producono e ricevono un feedback: quest’informazione “retroattiva” che scaturisce dall’azione, mette, in moto un processo in cui le fasi dell’aiuto si riattivano nuovamente, riciclandosi. L’obiettivo finale dell’aiuto è quello d’impegnare gli helpee in processi che portano alla crescita e allo sviluppo delle loro dimensioni umane.

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

 

 

Alexander Lowen e la bioenergetica

Alexander Lowen e la bioenergetica

“ Non esistono parole più chiare del linguaggio del corpo, una volta che si è imparato a leggerlo”.

(Lowen, il linguaggio del Corpo, 2003).

Alexander Lowen è stato uno psicoterapeuta, medico e psichiatra statunitense. Paziente e allievo di Wilhelm Reich (medico e psichiatra, allievo di Freud, noto per la sua “teoria orgonica”), Lowen è considerato il principale continuatore dell’approccio psicocorporeo.

L’analisi bioenergetica è un metodo, unico nel suo genere, che combina terapia corporea e psicoterapia verbale. Il concetto d’integrazione è basato sul fatto che mente e corpo formano un’unità. Noi siamo i nostri pensieri, emozioni, sensazioni, impulsi ed azioni.

Essa affonda le sue radici nell’opera di Sigmund Freud che fu il fondatore della psicoanalisi.

Reich, vissuto dal 1897 al 1957, fu paziente ed allievo di Freud. Mentre Freud poneva attenzione soltanto alla produzione verbale dei pazienti, Reich introdusse nella psicoanalisi anche l’osservazione del corpo, come l’espressione degli occhi e del viso, la qualità della voce e i vari tipi di tensioni muscolari.

Descrisse per primo quello che noi oggi chiamiamo linguaggio del corpo. Nello stesso modo in cui Freud notò una spaccatura fra memoria conscia ed inconscia, Reich notò una scissione fra le varie espressioni del corpo. Per esempio, una persona può ridere ma non essere consapevole che l’espressione del suo viso è triste. Può dire parole gentili, ma non rendersi conto che i suoi occhi sono pieni di risentimento o che la sua bocca ha un’espressione negativa.

Reich osservò che, appena questi pazienti iniziavano la terapia, le tensioni muscolari cambiavano. Le spalle e le braccia della persona depressa si rilassavano, le mascelle diventavano meno contratte e i denti meno serrati. La ragione per cui il paziente frenava gli impulsi e reprimeva i ricordi dolorosi era, in primo luogo, per evitare di mostrarsi vulnerabile. Quindi, allentando le tensioni muscolari croniche, il paziente sperimentava la propria vulnerabilità. Serrando la bocca e i denti egli assumeva un’espressione corporea che diceva: “Non voglio aprirmi per non essere ferito di nuovo”.

Reich sperimentò come rilassare i muscoli cronicamente tesi mediante la pressione diretta su di loro e scoprì che funzionava. In questo modo il paziente poteva entrare in contatto con emozioni forti e a lungo dimenticate e con ricordi dolorosi. L’unità di mente, corpo ed emozioni divenne più chiara.

Egli notò anche che, a questo punto, il paziente cominciava a sembrare più vivo, la sua pelle più rosea, i movimenti più spontanei, gli occhi più luminosi. Era come se avesse più energia. Era proprio così e Reich la chiamò energia “organismica” o “orgone”.

Lowen, coniò per essa il termine “ bioenergia ” allargò gli scopi del lavoro sul corpo ed introdusse il lavoro bioenergetico a casa. Anziché limitarsi alla sola pressione e manipolazione delle tensioni muscolari croniche, egli fece uso d’alcune posizioni di stress che potevano aiutare queste tensioni a rilasciarsi. La prova evidente di quest’ammorbidimento delle tensioni era l’insorgere, nei muscoli, di una fine vibrazione. Lowen poté quindi osservare come i blocchi muscolari impedivano il libero scorrere dell’energia. Per esempio, un diaframma cronicamente contratto, come una strettoia, interrompeva l’onda respiratoria, provocando una respirazione superficiale.

Come risultato diminuiva l’apporto di ossigeno ed il livello energetico calava. Questo modo superficiale di respirare è uno dei sistemi che noi usiamo per controllare le nostre emozioni. Per aiutare i pazienti a respirare meglio Lowen inventò il cavalletto bioenergetico.

E’ di grande importanza la sua osservazione che una persona il cui flusso energetico è bloccato, ha perso una parte della sua vitalità e della sua personalità. Questa perdita fa sì che questa persona si senta depressa, sia sempre in lotta e usi costantemente la forza di volontà, per eseguire i compiti quotidiani. Diventa difficile mettersi in relazione con gli altri o provare piacere. La vita perde i suoi colori e diventa grigia, tetra.

Il metodo operativo su cui si basa l’Analisi Bioenergetica comprende una serie di tecniche utilizzabili nella psicoterapia, tali da consentire un approccio non solo sistematico e coerente, ma anche più profondo e completo, alla persona e ai suoi problemi.

Gli interventi in Analisi Bioenergetica sono definibili come interventi complessi, nel senso che prevedono l’analisi del profondo secondo un approccio che procede partendo sia dal versante psichico, sia da quello corporeo: i temi emergenti, infatti, vengono affrontati ed evocati utilizzando sia il canale che, partendo dal piano mentale ed affettivo conduce al coinvolgimento corporeo, sia il canale opposto: ovvero quello che partendo dalla respirazione, dal movimento e dall’espressione corporea permette l’emergere di vissuti emotivi inconsci consentendone quindi anche il recupero e l’elaborazione a livello mentale ed affettivo. In entrambi i casi, in ogni modo, il processo regressivo e il successivo processo di consapevolizzazione, vengono fortemente stimolati e favoriti proprio dal coinvolgimento unitario dell’organismo, ovvero a livello sia psichico che somatico.

Rispetto alla metodologia dell’intervento bisogna sottolineare che l’obiettivo primario è quello di ristabilire il libero movimento dell’energia del corpo, intervenendo in modo mirato sui blocchi energetico/emozionali presenti nel paziente riscontrabili a tre livelli: a livello psichico, a livello emozionale e a livello fisico.

A livello psichico, infatti, l’Io funge da mediatore tra il mondo interno e quello esterno, fra se stessi e gli altri: in questa mediazione è proprio l’Io che controlla l’immagine di se da offrire al mondo esterno, e quali sentimenti e impulsi possono essere espressi. L’interazione tra l’Io e il corpo si attua in un processo dialettico, in cui l’Io plasma il corpo attraverso il controllo che esercita sulla muscolatura volontaria. Come già accennato quando l’espressione di un sentimento non è accettata nel mondo del bambino, questo è costretto ad inibire l’emozione mediante, ad esempio, la contrazione dei muscoli atti all’espressione dell’emozione stessa. Quando tale inibizione è lungamente protratta nel tempo l’Io abbandona il controllo sull’azione proibita e ritira l’energia dall’impulso. Il controllo dell’impulso diventa allora inconscio e il muscolo rimane in questo caso contratto. In tali casi l’intervento psicoterapeutico mira proprio a risolvere tale tematica inconscia, a livello sia psichico che corporeo: questa complessa combinazione di lavoro sul corpo e lavoro psicoanalitico costituisce l’essenza dell’Analisi Bioenergetica.

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Viktor Emil Frankl e la Logoterapia

Viktor Emil Frankl e la Logoterapia

“Che cos’è, dunque, l’uomo? Noi l’abbiamo conosciuto come forse nessun’altra generazione precedente; l’abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l’uomo può “avere”, ma ciò che l’uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l’uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos’è, dunque, l’uomo? domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è ”.

(Frankl Homo patiens. Soffrire con dignità, 2007).

Viktor Frankl è stato un neurologo e psichiatra austriaco, fondatore della logoterapia che è una forma di “analisi esistenziale”.

L’uomo, secondo Frankl, è un essere che decide e continuerà sempre a decidere ciò che è e ciò che sarà nel prossimo istante.

 

Ne segue che, se si vuole comprendere l’interezza del suo essere, non va considerato da un solo punto di vista, ma occorre sviluppare una visione antropologica che abbracci tutte le dimensioni dell’esistenza umana. L’individuo, infatti, si caratterizza per la sua singolarità, irripetibilità e finitezza e, a differenza di quanto affermato da altre scuole di pensiero, per il suo essere una totalità psico-fisico-spirituale, che non concepisce separazioni d’alcun genere.

L’originalità di Frankl sta proprio nella definizione della persona come unità nonostante la molteplicità delle sue dimensioni e nell’introduzione nella riflessione psicologica della dimensione noetica o spirituale che fa scoprire la totalità della persona sulla base delle sue relazioni, dei suoi aspetti costitutivi, delle sue espressioni, cogliendo, accanto a ciò che la condiziona, soprattutto la capacità umana di prendere posizione di fronte a qualsiasi fattore biologico, psichico o sociale.

L’unicità, la diversità di ogni essere umano rispetto agli altri, la sua «spiritualità», rappresentano la vera radice sia della libertà, che permette all’individuo di rifiutare il dominio delle forze esterne o interne, e sia della responsabilità, grazie alla quale tende verso qualcosa di altro da sé, ovvero significati da realizzare o altri esseri umani da incontrare.

Alla luce della considerazione dell’uomo come eterna e inesauribile miniera di possibilità che non si risolve mai nella sua attualità, trova piena giustificazione e comprensione il costrutto della volontà di significato, da cui traggono forza la lotta per l’esistenza e la sfida a salvare per sempre nel passato quanto viene scelto con quotidiana consapevolezza e responsabilità.

In tal modo il riscatto dalla precarietà della transitorietà del tempo aiuta ad individuare i compiti che la vita pone e a realizzarli con tenacia e a fronte alta.

Aver predetto l’avvento e la diffusione della nevrosi di massa degli anni ’70 già negli anni ’50 e, ancor prima di ciò, averne fornito la terapia negli anni ’30 costituisce il carattere «profetico» dell’intuizione frankliana e il segreto ultimo della sua generatività.

Il fondatore della logoterapia amava, infatti, ripetere che “ ogni epoca ha la sua nevrosi e ogni epoca richiede di una sua psicoterapia” (Frankl, 1992, p.9), ma la portata della sua analisi esistenziale si estende ben oltre i confini cronologici del tempo in cui è stata concepita, poiché, al di là delle emergenze contingenti cui intende rispondere, essa riesce a cogliere e tematizzare qualcosa di caratterizzante e di costitutivo della natura umana e della sua stessa esistenza nel mondo, e tocca da vicino lo psicologo, l’operatore sociale, l’insegnante, l’educatore, il medico.

Del resto, i temi della logoterapia sono in netta corrispondenza con le problematiche esistenziali dell’uomo d’oggi: basti pensare alle varie forme di disagio che danno origine a fenomeni di dipendenza, di aggressività, di suicidio, e che invocano interventi educativi e sociali ad ampio spettro, oppure all’emergente esigenza di umanizzazione del rapporto terapeutico, oltre che di quello medico, così da porre in primo piano la significatività unica e originale di ogni singola persona, al di là di tendenze riduzioniste e massificanti a livello sociale, culturale, economico, politico, oppure ancora alla valorizzazione della fondamentale capacità che ciascuno possiede di autotrascendersi e di autodistanziarsi, che si traduce anche in originali tecniche per la cura sia di disturbi sessuali che di stati fobici, ossessivi, compulsivi.

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli