Il dibattito tra Psicologia e Counseling

Il dibattito tra Psicologia e Counseling

Premessa: l’Ordine degli psicologi della Lombardia (OPL) ha avviato un’iniziativa tesa a favorire la trasparenza dell’offerta formativa e la standardizzazione dei criteri di valutazione della stessa da parte degli psicologi che intendono formarsi alla psicoterapia.
Il punto critico sta tuttavia nel paragrafo d.8 della “carta etica” nel quale si dice che:
Le Scuole di Psicoterapia s’impegnano a non organizzare corsi che insegnino strumenti o tecniche peculiari della professione psicologica (colloquio psicologico, test, assessment, ecc.) ad allievi privi dell’abilitazione alla professione di Psicologo e/o Medico chirurgo. Si impegnano altresì a non rilasciare titolo o altra attestazione relativa a professione intellettuale non regolamentata dalla vigente normativa”.
Questo significa che:
  • Le scuole che erogano corsi di counseling (ma anche insegnamenti a mediatori familiari, psicopedagogisti, volontari, operatori sociosanitari etc.)  si troveranno automaticamente escluse dall’elenco delle scuole che l’OPL ritiene “etiche”. In pratica cadranno nella categoria delle “non etiche” con evidente e grave danno all’immagine delle scuole stesse. Questo nonostante siano un’alta percentuale le scuole impegnate a dare corsi in tal senso con indubbio vantaggio per la società civile nel suo insieme.

 

L’impostazione della “Carta etica” si fonda sul presupposto enunciato all’art. 21 del codice deontologico degli psicologi che raccomanda il divieto di fare formazione in scienze psicologiche a non-psicologi: Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche.
Come procedere: in conclusione, nonostante l’art 33 della Costituzione stabilisca che “Le arti e le scienze sono libere e libero n’è l’insegnamento”, la sentenza stabilisce che tale insegnamento possa essere perseguito (fino alla radiazione dall’albo, si dice espressamente) di fronte alla possibilità che tale insegnamento venga utilizzato da non-psicologi per adempiere a funzioni riservate agli psicologi laddove, tuttavia, si precisa come tali funzioni non sono state ancora definite (da 20 anni dalla data della pubblicazione della Legge 56/89) in quanto “atti tipici” da tutelare (come ad esempio i test) distinguendoli da quei comportamenti che non possono definirsi tali.
A seguito di un’approfondita consultazione alcuni Ricorrenti sono giunti, anche su indicazioni del Legale avv. Angiolini, a ritenere che vi fossero ampi margini per un ricorso per perseguire una strategia coerente ed efficace per:
  • Tutelare gli psicologi (dalla minaccia di denunce sino alla radiazione dall’Albo) che abitualmente svolgono attività d’insegnamento di elementi di psicologia a non-psicologi (insegnanti, mediatori familiari, counselors, operatori socio-sanitari etc.)
  • Tutelare i counselors nel loro diritto di ricevere un’adeguata formazione professionale (che nessuna legge impedisce) e che, nell’attuale regime normativo, potrebbe tranquillamente essere svolta da medici ma anche da counselors con meno qualifiche professionali degli psicologi con conseguente discapito del livello formativo dei counselors.
  • Tutelare le scuole di formazione nella psicoterapia che vengono discriminate nel non poter comparire nella lista promossa dall’OPL come aderenti al “codice etico”e che  risulterebbero paradossalmente svantaggiate nella formazione nel counseling di fronte alle scuole che non utilizzano psicologi per i corsi di formazione nel counseling.

 

Si è ritenuto quindi di dover procedere a testa alta nella formazione in tali ambiti e difendendo la legittimità dei due ambiti professionali:
    1. uno fortemente professionalizzato come la psicoterapia che richiede una formazione  che la  legge limita a laureati in psicologia e/o medicina,
    2. ed uno che abilita allo svolgimento d’attività collegate alla “relazione di aiuto” svolte da persone che ne siano motivate e che posseggano i requisiti previsti dalla Associazione Europea di Counseling a cui aderiscono le associazioni di categoria della maggior parte dei paesi europei

 

Le differenziazioni tra le due professioni (come architetti e geometri, dentisti ed odontoiatri, etc.) debbono trovare una soluzione adeguata in ambito legislativo che definisca gli “atti tipici” delle singole professioni e non nelle aule dei tribunali a seguito di incriminazioni legali in modo totalmente anacronistico rispetto alla realtà di altri paesi civili.
La difesa della figura del counselor e del suo diritto a ricevere un’adeguata formazione non implica in nessun modo disattenzione per le difficoltà d’inserimento lavorativo degli psicologi la quale, va tuttavia affrontata con politiche di promozione coraggiosa  ed efficace per le quali si è fatto sino ad ora ben poco.

 

Differenze tra il counseling e la psicoterapia.
Da un punto di vista epistemologico il counseling si differenzia dalla psicoterapia per:
  • l’adozione di un metodo diverso da quelli riferiti a “medico-paziente” propri dei modelli psicoterapeutici;
  • la definizione dell’obiettivo concreto e del contesto spazio-temporale della relazione counselor-cliente;
  • l’esclusione della patologia come settore d’intervento.

 

La consulenza alla persona/counseling si differenzia dalla psicoterapia perché interviene in quelle situazioni che non richiedono una ristrutturazione profonda della personalità, ma che consentono di attivare nella persona che ne fa richiesta tutte le risorse per trovare la soluzione a problematiche di diversa natura che la persona intende affrontare.
A differenza del paziente nella psicoterapia, il cliente nel counseling non ha bisogno di essere curato né aiutato a superare una sofferenza psicologica, ma si avvale delle competenze del counselor come sussidio delle capacità che già possiede in modo da conseguire gli obiettivi che desidera, nei modi e nei tempi che gli sono consoni.
Schema: Aree di applicazione.

La figura del Counselor

La figura del Counselor

 

Il Counseling è oggi una professione d’aiuto tipica di una società molto mobile e competitiva, e il counselor è la figura esplicativa di tale attività. Si è appena affacciata in Europa e la sua figura è una mediazione tra l’analista psicologo e la persona bisognosa d’aiuto, quindi più vicina all’ambito sociale dove opera e presta la sua attività. Per svolgere la professione di counselor relazionale è necessaria una solida base formativa nel campo delle scienze psicosociali (laurea in: sociologia, psicologia, scienze dell’educazione, pedagogia, servizio sociale) a cui fa seguito di solito un percorso specialistico post-laurea, ad esempio un corretto Master, universitario o in ogni modo erogato da strutture qualificate e riconosciute. Oltre ad un idoneo bagaglio formativo, il counselor ha una buona base di partenza nel campo della “intelligenza emotivo-relazionale”; ad esempio deve essere una persona portata all’empatia, alla obiettività e al relativismo, disponibile a mettersi in discussione ed inoltre cortese, estroversa e con un buon grado di auto-consapevolezza.  Studi e approfondimenti, sono però poca cosa di fronte all’esperienza maturata nell’applicare tali conoscenze ogni giorno e farle proprie con uno stile di vita che dimostri la spiccata predisposizione al sociale, con la voglia di aiutare e portare sollievo, senza mirare troppo al materialismo economico che caratterizza troppo spesso persone e strutture rinomate che lavorano in questo campo.

 

Particolare importante è l’abitudine a non far ricorrere all’utilizzo di farmaci o psicofarmaci le persone. Crediamo fortemente che il semplice “allargare la mente”, far crescere la consapevolezza giorno dopo giorno, possa semplicemente bastare. Per determinati casi però, il ricorrere alle strutture preposte può essere, e deve, la norma comportamentale da seguire.

 

Chi si rivolge al counselor è orientato alla crescita della propria persona; infatti, la vera rivoluzione della metodologia adottata nei colloqui di counseling è il mettere al centro la persona nel senso più ampio del termine. Alcune definizioni che si riferiscono anche alla cultura orientale, parlano di metodo olistico, comprendendo con ciò il corpo, la mente e la sfera spirituale che ogni uomo possiede.

 

La figura del counselor nasce intorno agli anni trenta in America e si sviluppa inizialmente nei paesi Anglosassoni prendendo piede come vera e propria professione, approdando in Europa attraverso la Gran Bretagna dove in breve tempo si afferma attraverso ruoli e funzioni ben specificate, se ne manifesta la presenza in molti stati.

 

In l’Italia, da diversi anni, vede all’opera nel campo sociale, formativo, e delle libere professioni, una nuova personalità che si é formata a quest’indirizzo. Fino agli anni 70 circa non esisteva una specifica definizione di questa competenza, poi vedendo sempre più validi professionisti specializzati operare in settori differenti con competenze da counselor, formati in centri e scuole diverse per indirizzo e metodo seguiti, si è provveduto a declinare il loro profilo professionale specifico.

 

Il counselor può essere definito come una persona che in un contesto professionale è capace di sostenere in modo adeguato una relazione con un interlocutore tirando fuori il meglio delle sue qualità, operando in relazione stretta col proprio cliente, attraverso un preciso percorso sia razionale che emotivo significativo per il proprio interlocutore.

 

Il Counselor ha un ruolo definito, non può essere confuso con un semplice consulente, o con un esperto di comunicazione, nè semplicemente un esperto in soluzione di problemi. Oltre ad essere consulente, diviene confidente per la persona, attraverso le proprie conoscenze e competenze è in grado di aiutare, con lo sviluppo di una intensa e completa esperienza relazionale e professionale, la soluzione dei quesiti che creano disagio esistenziale e/o relazionale del suo o dei suoi clienti.

 

La competenza del counselor si sviluppa attraverso la relazione interpersonale: il counseling può essere attuato in diversi ambienti lavorativi.

 

In quali situazioni è possibile operare come counselor?
In realtà non esiste un campo d’attività specifico per il counseling.
Il ruolo del counselor è quello di una persona che favorisce l’emergere delle potenzialità del cliente, aiutandolo a superare quei limiti del proprio modo di pensarsi e di credersi, che ostacolano la sua realizzazione, questo può avvenire in ogni tipo di situazione, in ogni campo professionale.

 

Possiamo vedere qui di seguito alcuni modi di intendere il lavoro del counselor:
    • counseling con singole persone, con coppie, con famiglie o gruppi;
    • counseling nelle aziende di differenti dimensioni o in varie strutture lavorative strutturate ed organizzate;
    • counseling con persone anziane presso centri organizzati come pure in attività domiciliari;
    • counseling nella sfera normale della sessualità con singoli o tra membri di una coppia;
    • counseling in comunità come scuole, istituzioni, organizzazioni di varia natura;
    • counseling di sostegno a violenze subite o ad abusi a sfondo sessuale;
    • counseling professionale per persone come per organizzazioni nella gestione delle risorse umane in generale;
    • counseling nel mondo dello spettacolo e dell’arte, della musica, del teatro, della  letteratura, della danza, della pittura, come in tante altre forme creative;
    • counseling nella gestione delle crisi in ambito di protezione civile o in situazioni di emergenza;
    • counseling nella gestione di forme differenti di integrazione razziale e culturale.

 

Il counselor è dunque una Figura Professionale che, a seguito di un corso di studi formativo, in possesso di un diploma rilasciato dalla scuola di formazione di riferimento, a sua volta riconosciuta come competente nel proprio settore con un orientamento teorico/pratico specifico.
Il counselor in forma generica può essere definito la persona che, in un ambiente professionale, è capace di sostenere in modo adeguato una relazione con un interlocutore che manifesta temi personali, privati ed emotivamente significativi.
Il counselor ha un suo ruolo ben definito e non deve essere confuso con un consulente esperto di comunicazione né con un esperto in Problem Solving Aziendale.

 

Operando per differenze possiamo definire:
    • Il Consulente come una figura professionale attraverso le proprie conoscenze, esprime un proprio parere di competenza su un quesito d’ordine tecnico.
    • Il Counselor, invece, è la figura professionale che attraverso le proprie conoscenze e competenze è in grado di favorire la soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale ad un individuo o un gruppo d’individui.

 

Prendiamo in considerazione un sistema aziendale. 
Lo psicologo del lavoro si occupa della selezione del personale, mette a disposizione dell’azienda le sue conoscenze tecniche relative alla struttura della personalità, ed in base a test psicoattitudinali, proiettivi, colloqui ecc. seleziona il miglior elemento che possa ricoprire un determinato ruolo in base alle esigenze specifiche dell’azienda in questione.
Il counselor aziendale è un professionista al quale tutti i dipendenti dell’azienda (compreso lo psicologo del lavoro addetto alla selezione) si possono rivolgere in caso di difficoltà relazionali tra colleghi o difficoltà esistenziali che possono compromettere la propria attività lavorativa e dunque la propria vita.
La competenza del counselor dunque è nella relazione! 

 

Il counseling può essere attuato in diversi contesti lavorativi. 
Può essere definito come la possibilità di dare un consiglio professionale o un piccolo sostegno a chi ne fa richiesta all’interno di un ambiente ospedaliero, religioso, scolastico, aziendale oppure privato.
Ha il semplice obiettivo di indirizzare la persona verso una possibile soluzione di una problematica presente in un determinato ambito o nata da difficoltà relazionali che possono impedire la libera espressione individuale.

 

Cosa fa e cosa non fa il counselor?

 

I campi d’intervento del counselor sono definibili con estrema facilità determinando dei semplici punti di riferimento che si evidenziano in base alle specifiche formazioni professionali che saranno riportate di seguito.
Per ora definiamo cosa il Counselor non fa se non diversamente autorizzato.
Non fa terapia, non opera cure di nessun genere, non fa psicoterapia, né consulenza, non insegna psicologia e genericamente non usa mai il prefisso psico se non acquisito per competenza. ( es. Counselor Operatore Psicosociale, Counselor Operatore Psicopedagogico)

 

Qual è la differenza tra un Operatore Psicopedagogico ed un Counselor Operatore Psicopedagogico? 

 

Il secondo ha nella propria formazione un percorso di sviluppo personale individuale e/o di gruppo, che gli consente di operare come detto in precedenza “un counseling libero da propri, circa rigidi, pregiudizi”.- (Rollo May).

 

Va evidenziato dunque che il Counseling Psicologico prevedendo tra l’altro la diagnosi psicologica, l’orientamento, la prevenzione, il sostegno, la riabilitazione, è un’attività d’esclusiva competenza del ruolo professionale dello psicologo (che avrà seguito a sua volta una formazione per Counselor). Inoltre, il Counseling Medico prevede la diagnosi fisica, può prescrivere farmaci,

 

Esami specialistici, ricoveri ecc… è di pertinenza esclusiva del ruolo professionale del medico.
(www.sicoitalia.it).

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Counseling come attività di supporto allo sviluppo globale dell’individuo

Il Counseling come attività di supporto allo sviluppo globale dell’individuo

 

 

Il counseling organizzativo si forma sulla base dell’esperienza del counseling individuale, inteso come azione d’aiuto al singolo per ottenere un orientamento comportamentale in differenti ambiti  (scolastico e lavorativo, familiare e di coppia, sanitario, inerente allo stress ambientale…).

 

 

Il primo obiettivo del counseling è quello di favorire e/o mantenere uno stato di benessere nella persona che si rifletterà come conseguenza nelle relazioni e nei contesti di vita in cui essa vive: in particolare supporta gli individui che affrontano fasi di transizione psicosociali, siano esse normative o idiosincratiche (i canonici momenti di passaggio, propri di un percorso evolutivo e i cambiamenti improvvisi che possono sconvolgere i normali ritmi di vita) e sostiene i processi di scelta insiti negli stessi momenti di transizione psicosociale.

 

I due ambiti in cui, inizialmente nei paesi anglosassoni, si esprime il counseling sono quello scolastico e quello professionale, a testimoniare l’importanza di scegliere un percorso di studi e di lavoro, adatto per il soggetto e quindi motivante per la sua realizzazione personale. Il counseling professionale ha preso maggiormente piede, quando si è sviluppata l’idea che il lavoro possa avere una parte centrale nella vita e nell’identità delle persone: lo stadio in cui esso è cresciuto e diverso di più riguarda il passaggio dall’era industriale e quella dell’informazione. In tale periodo si affermano da un lato la life career development, un’azione di sviluppo delle traiettorie di carriera e dall’altro l’outplacement e il career counseling  come sostegno alle situazioni di ristrutturazione aziendale e di riconversione del tessuto produttivo.

 

 

Le direttrici del counseling come supporto alla persona sono riassumibili nei punti di seguito descritti. Il counseling è una relazione d’aiuto ovvero un contesto in cui si creano legami basato, come afferma il Filosofo Martin Buber, su un rapporto io-tu, in cui vi è un riconoscimento e un’accettazione incondizionata dell’altro. Essa diviene un’esperienza in comune che comporta reciprocità e rappresenta un luogo accogliente e non giudicante in cui la persona, in ragione di questo co-esistere con l’altro, trova una condizione di cura amorevole dove attuare profondi mutamenti; essa mira a far sentire l’altro talmente accettato da consentirgli di esprimere il vero sé e appagare bisogni umani basilari, entrando in contatto con i propri vissuti emotivi e con i blocchi che impediscono il dispiegarsi d’energie/potenzialità.

 

A prescindere dai compiti specifici d’ogni professione d’aiuto tale relazione ha come scopo ultimo la promozione dello sviluppo e della maturazione dell’individuo, un processo evolutivo che si costruisce grazie alla presenza di un operatore, dotato di un’elevata consapevolezza di sé, in grado di comprendere il problema e di aiutare la persona a trasformarsi (aumento dell’autostima, maggiore stabilità emotiva e migliore integrazione sociale).L’aiuto riesce a riattivare e riorganizzare le risorse interiori (emozionali, affettive, cognitive…), presenti nel soggetto, senza nulla aggiungere all’esterno. Ha l’obiettivo di aiutare le persone ad aiutarsi quindi di facilitare e sostenere, fornendo un posto in cui osservare in modo distaccato la propria condizione di conflitto, ma non di consigliare, se per consiglio intendiamo prescrizioni e indicazioni direttive su come agire.

 

 

L’operatore non si sostituisce all’individuo nella soluzione del problema, bensì lo porta ad un maggiore livello di coscienza dei vissuti emotivi e degli schemi comportamentali e di pensiero che attiva, usando la comprensione empatica (sentire il mondo personale del cliente “come se” fosse il nostro senza mai perdere la qualità del “come se) e non la spiegazione razionale e l’interpretazione. Rogers sostiene che non è compito dell’operatore cambiare l’individuo, ma sarà quest’ultimo che cercherà di cambiare e sviluppare sé stesso, fino ad assumere fiduciosamente l’autodirezione.

 

Opera nel campo della decisione e della scelta, vocazionale e personale. L’operatore, si propone di accompagnare la persona ad affrontare stati di normale conflittualità, sperimentati nel momento in cui questa deve rendere una decisione importante, per superare una situazione, vissuta come problematica.

 

 

Considerando che l’atto del decidere implica sempre uno sforzo emotivo e cognitivo, conseguente la scelta migliore e l’abbandono delle possibili scelte, in taluni casi si va incontro ad una confusione e disorientamento da cui é difficile uscire, senza il confronto con un agente esterno. E’importante evidenziare però che si è sempre in una condizione di normalità e che la persona è considerata capace di valutare e assumere una decisione in piena autonomia, senza cadere in stati d’indecisione e di blocco, paralizzanti. E’ infine considerato un intervento breve, circoscritto a un problema specifico (affrontare eventi stressanti della vita, migliorare le relazioni, prendere decisioni su specifiche questioni, intraprendere un cammino per sviluppare maggiore consapevolezza personale…) portato dal cliente, riguardo cui operare delle scelte o degli aggiustamenti.

 

Prevede una prima fase di chiarificazione a cui deve seguire una fase d’azione in cui poter monitorare il graduale riappropriarsi delle competenze, essenziali ad attuare il benessere psicofisico.

 

Poiché, non è semplice circoscrivere il problema, la fase di diagnosi è fondamentale per impostare un intervento di counseling efficace: ad esempio nell’orientamento spesso la richiesta d’aiuto nasconde sullo sfondo una domanda latente, estesa ad aree differenti, che è essenziale fare emergere egestire, se necessario, attraverso l’invio ad altre figure professionali.

 

 

Lo scopo è il cambiamento, sia esso interno alla persona o relativo alla situazione esterna, che conduce al superamento del bisogno: è pertanto un obiettivo d’ordine adattivo e non strutturale (il focus non è sulla struttura di personalità che può comportare la ristrutturazione globale del proprio modo di essere) sebbene, perché ci sia un reale cambiamento, è necessario agire anche, almeno indirettamente, sugli schemi cognitivi che determinano il comportamento di un individuo.

 

Centrale infine è la relazione tra il counselor e il cliente, un’esperienza d’apprendimento interattivo tra due soggetti in contatto tra loro, posti in una posizione di parità e uniti da un patto di fiducia e di rispetto reciproco: spesso il buon esito del percorso  intrapreso dipende proprio dalla qualità dell’alleanza che si è creata tra i due.

 

 

In conclusione il fine ultimo del Counseling individuale è lo sviluppo armonico e funzionale della personalità che si esprime nella riscoperta di modi di vivere più fruttuosi e miranti ad un elevato stato di benessere.

 

Il risultato del Counseling è misurabile attraverso il grado in cui si riesce a rendere una persona capace d’azioni razionali e buone, a renderla più soddisfatta, più in pace con se stessa, più capace di condurre una vita serena socialmente integrata.

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Gli sviluppi del Counseling

Gli sviluppi del Counseling

 

Oggi il counseling è uno strumento di consulenza individuale ampiamente usato come pratica di supporto allo sviluppo delle persone anche negli ambienti organizzativi (counseling organizzativo), in risposta al crescere della complessità e delle difficoltà ambientali.
Le capacità richieste e gli ambienti lavorativi cambiano rapidamente e diviene sempre più rilevante la necessità di un supporto che aiuti le persone a riprogettare il proprio percorso professionale.

 

Il counseling organizzativo non cura la “patologia, ma fornisce un supporto che ha l’obiettivo di stimolare e valorizzare le capacità delle persone di vivere in modo più integrato e soddisfacente.

 

Molto spesso, il counseling è confuso con altre attività come quelle del mentoring e del coaching, che si possono definire “cugine del counseling”.

 

Dal punto di vista tecnico, il counseling, mentoring e coaching sono forme di aiuto che si differenziano tra loro solo per l’area di applicazione: il counseling cerca di risolvere una determinata area problematica, il mentoring cerca di fornire una guida alla comprensione dell’organizzazione aziendale e delle sue regole, mentre il coaching cura l’acquisizione di conoscenze e capacità professionali critiche per lo svolgimento del lavoro.

 

E’ interessante ricordare che il termine “coach” deriva dal Middle English “coche” e corrisponde al termine inglese moderno “wagon” (carro) o “carriage” (carrozza, vettura).

 

Tornando al counseling organizzativo, possiamo affermare che esso rappresenti una sintesi tra un intervento d’aiuto individuale, di sviluppo professionale e la conoscenza delle tematiche del cambiamento e della cultura organizzativa, favorendo il confronto tra le parole chiave delle organizzazioni (cambiamento, prestazione, capacità, obiettivi) e le mappe cognitive ed emotive delle persone (esperienze, emozioni, cognizioni, memorie).

 

E’ sostanzialmente un’attività di cerniera tra la consulenza comportamentale e la consulenza organizzativa.
E’ senz’altro un processo delicato, poiché la richiesta d’adattamento organizzativo può essere percepita dalla persona come un’intrusione sgradevole o come un’opportunità, infatti, qui si gioca la professionalità del Counselor, che ha il compito di dare alla persona l’opportunità di scoprire un modo di vita più proficua e finalizzata ad un più elevato standard di benessere (e quindi di maggior produttività per l’organizzazione), grazie alla possibilità di agire sulle sue risorse “sane” non ancora completamente utilizzate. L’intervento del counseling è quindi un intervento di supporto, mirato a specifiche situazioni problematiche, con una durata piuttosto breve, focalizzato sul presente, che si esprime con colloqui individuali periodici con la/le persone/a coinvolta/e dall’organizzazione.

 

In ambito aziendale, le difficoltà lavorative che più frequentemente spingono l’organizzazione a coinvolgere i dipendenti in un progetto di counseling sono:

 

– la resistenza al cambiamento;
– la demotivazione;
– la gestione del tempo;
– le difficoltà relazionali;
– lo stress;
– la mancanza di concentrazione;
– la scarsa produttività;
– la conflittualità;
– l’assenteismo.

 

Il counselor deve quindi affrontare sia problemi che si originano dalla persona, sia problematiche che derivano dal rapporto tra organizzazione e persona, nonché provenienti dall’esterno di entrambe le entità.

 

Il punto critico del successo per il counselor organizzativo starebbe nel riuscire a conciliare i bisogni dell’organizzazione (efficacia, efficienza, risultati, ecc.) e dei dipendenti (benessere, soddisfazione, coinvolgimento emotivo, ecc.) inseriti nel processo di counseling.
(Biggio, 2005).

 

 

 

 

 

 

 

 

I fondamenti del Counseling organizzativo

I fondamenti del Counseling organizzativo

Il counseling si sviluppa, quando l’azienda si accorge dell’importanza che gli aspetti emozionali rivestono per il buon andamento della vita dell’organizzazione. Gli orientamenti e gli autori che hanno approfondito il connubio tra benessere organizzativo e benessere psicologico possono essere considerati gli anticipatori del counseling organizzativo: essi hanno in comune l’attenzione per le risorse umane e per la dimensione relazionale in quanto ambiente favorevole alla crescita e allo sviluppo dell’individuo e dell’organizzazione.
I principali orientamenti sono di seguiti elencati:
    • Lo Sviluppo Organizzativo – concepisce lo sviluppo dell’organizzazione come dinamica del cambiamento che coinvolge sia gli elementi del sistema uomo sia quelli del sistema ambiente, in forte integrazione reciproca; si definisce e si realizza solo attraverso la partecipazione attiva delle persone del sistema oggetto dell’intervento.
    • Il Comportamento Organizzativo – utilizza ed applica prospettive teoriche e di ricerca multidisciplinari, di matrice psicologica, sociologica ed economica; ha l’obiettivo comune di studiare le azioni e le interazioni d’individui e gruppi nelle organizzazioni, per comprendere e predire le determinanti delle prestazioni individuali, di gruppo e dell’organizzazione, e per spiegarne il funzionamento, individuando le possibili aree di miglioramento. Anche da un punto di vista manageriale l’analisi delle relazioni tra gli individui e il loro ambiente è un tema di grande rilevanza e attualità, poiché le persone costituiscono una delle principali fonti di vantaggio competitivo e vengono considerate, in misura sempre maggiore, un fattore strategico di successo per l’organizzazione.
    • Sviluppo professionale delle risorse umane – cerca di integrare gli obiettivi dell’organizzazione con la crescita delle persone attraverso un caring della persona e una serie di stimoli d’attivazione cognitiva ed emotiva: lo sviluppo professionale è visto nell’ambito di una dimensione psicologica complessiva della persona.
    • Consulenza di processo – intesa come relazione d’aiuto fra persone, gruppi, organizzazioni, affronta le dinamiche della relazione d’aiuto caratterizzata da una complessa interazione tra chi chiede e offre aiuto ( colui che aiuta è indotto a calarsi nel ruolo dell’esperto, e a porsi in una posizione di potere nei confronti di chi lo chiede). La logica della Consulenza di Processo invece sostiene che il consulente non deve imporre le sue soluzioni agli altri, prendendo e risolvendo il problema come fosse suo, ma deve lasciarlo al cliente, aiutandolo a definirlo e risolverlo con le sue capacità.
(E.H.Schein, 2001)
 Paradigma del cambiamento/apprendimento esperienziale – produrre cambiamenti comportamentali attraverso l’apprendimento di nuovi schemi cognitivi e valoriali, prodotti da un ciclo d’azione, riflessione, generalizzazione, verifica, finalizzato a dare senso a ciò che accade nell’esperienza; il cambiamento passa attraverso l’apprendimento esperienziale che coniuga differenti modalità di acquisizione: l’osservazione riflessiva (comprensione del significato delle idee e delle situazioni per mezzo dell’osservazione condotta sul vissuto personale, sul comportamento, proprio ed altrui o sulla dinamica interpersonale scaturita dall’esperienza concreta), la concettualizzazione astratta (la logica e i concetti, influenzati dai paradigmi interpretativi individuali), la sperimentazione attiva (il cambiamento di persone e situazioni mediante l’azione pragmatica volta alla realizzazione di risultati).
(Kolb, Fry 1975).
Figura: Il Ciclo dell’apprendimento di Kolb (1984).
    • Action Research -Teoria del campo – un tipo di ricerca che sintetizza due momenti fondamentali: il momento teorico di studio, analisi, osservazione, conoscenza della realtà e quello pratico d’intervento, cambiamento della stessa secondo un processo integrato e dinamico. Alla pari di un laboratorio sperimentale, il gruppo studia un fenomeno osservandolo nel suo cambiamento, producendo un nuovo apprendimento e questo a sua volta, secondo un processo ciclico e dinamico, produce cambiamento; pone al centro la collaborazione, poiché, è necessario coinvolgere tutti gli interlocutori che partecipano a detto fenomeno al fine di raccogliere i diversi punti di vista, forniti da coloro che agiscono nel contesto preso in esame. (Comunian, 1990).
    • Tematiche del Benessere e della Salute organizzativa – considerando il benessere individuale come funzionale al miglioramento del clima, della cultura organizzativa e quindi delle prestazioni aziendali: un’organizzazione capace non è solo  in grado di essere efficace e produttiva, ma anche di crescere e svilupparsi promuovendo e mantenendo un adeguato grado di benessere fisico e psicologico, alimentando costruttivamente la convivenza sociale di chi vi lavora. Inducono le organizzazioni a trovare soluzioni in grado di agire sia sul contesto, sia sull’individuo: le organizzazioni, attraverso la definizione della struttura di lavoro e l’adozione di alcune pratiche possono contribuire o meno al benessere e influire direttamente sullo stato dell’intero sistema; gli individui sono incoraggiati a sviluppare comportamenti di self-empowerment rispetto alla propria carriera e al mercato del lavoro (career counseling) in modo da costruirsi opportunità.
In ultima analisi ritengono che il benessere organizzativo risieda nella qualità della relazione esistente tra le persone e l’ambiente di lavoro: la riduzione della qualità della vita lavorativa in generale e la diminuzione del senso individuale di benessere rende, pertanto, onerosa la convivenza e lo sviluppo dell’organizzazione.
    • Lo sviluppo identitario e la tematica dell’adattamento: le life skills – si tratta d’indurre i contesti organizzativi a sviluppare le abilità personali e relazionali per un comportamento adattivo e positivo che rendono gli individui capaci di affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana e in primis di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. E’ la persona con la sua identità personale e professionale che anima il profilo delle life skills, articolate in specifici segmenti (area della comunicazione interpersonale e delle relazioni umane – area del problem solving e del decision making – area del benessere fisico e della cura di sé – area dello sviluppo dell’identità e della progettualità) per farlo divenire azione organizzativa.

 

 

 

Definizioni e concezioni di consulenza e counseling

Definizioni e concezioni di consulenza e counseling

 

In ambito organizzativo, se si prescinde dalla consulenza di tipo individuale (o alla persona), non sono molti i contributi della letteratura che fanno riferimento alla voce consulenza e consulenza individuale, molto più frequenti sono i contributi che si riferiscono al counseling (o counselling) nelle sue diverse accezioni e declinazioni. Nel tentativo di dare una definizione “iniziale” e provvisoria di consulenza, distinguendola artatamente dal counseling, ci siamo avvalsi di alcune osservazioni formulate a proposito della consulenza alla persona in ambito organizzativo, per poi volgere l’attenzione alla letteratura sul counseling e tentare una esplorazione panoramica del “campo”.
L’etimologia di consulenza ci fa risalire al verbo latino consulo, di cui ci sembra importante cogliere nel Dizionario Latino­Italiano del Calonghi oltre ai più conosciuti significati di consultarsi, riflettere, domandare un consiglio a qualcuno, il valore di aver cura, darsi pensiero, venire in aiuto a qualcuno. Dopo il riferimento etimologico, si potrebbe dare la definizione di Consulenza (ingl.Counseling, ted.Beratung, fr.Consultation) che fornisce Umberto Galimberti  nel Dizionario di Psicologia UTET.

 

Il Counseling viene così definito: “Forma di rapporto interpersonale in cui un individuo che ha un problema, ma non possiede le conoscenze e le capacità per risolverlo, si rivolge ad un altro individuo, il consulente, che, grazie alla propria esperienza e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione“.

 

Parlando della consulenza centrata sul cliente nell’ambito delle strutture consultoriali diffuse sul territorio, Galimberti sostiene che “ questo intervento si distingue dalla psicoterapia sia perché si rivolge a persone considerate “normali”, sia perché non si fa carico del problema, ma offre semplicemente un consiglio su come affrontarlo, lasciando al soggetto la piena responsabilità delle sue azioni successive”. Le altre tipologie di consulenza prese in esame sono la consulenza centrata sul collega, rivolta al personale sanitario, assistenziale o educativo che lavora con pazienti o con persone in difficoltà, e la consulenza centrata sull’organizzazione.

 

Guardando ai contributi più significativi sviluppati sulla consulenza alla persona in ambito organizzativo, è importante citare il contributo di Schein (1989, 1992, 2001), secondo cui la funzione di consulenza si sostanzia nel cercare di migliorare determinate situazioni aziendali per mezzo di un processo che, in senso lato, può essere definito “aiutare a…” e si fonda sulla consapevolezza da parte del consulente che svolgere il proprio ruolo significa essenzialmente svolgere un “intervento coadiuvante”.

 

Schein lega strettamente la sua concezione di consulenza ai costrutti di processo e di relazione di aiuto, mettendo a punto e sistematizzando, in particolare, un modello di consulenza denominata “consulenza di processo” (vera e propria «filosofia dell’attività d’aiuto a persone, gruppi, organizzazioni e comunità»), distinta da altri modelli definiti “modello dell’acquisizione di informazioni o competenze (expertise)” e “modello medico­paziente” (più coerenti, questi ultimi, con concezioni della consulenza che si ispirano ad approcci meccanicisti o comportamentisti).

 

In sintesi, la consulenza di processo è presentata come «un insieme di attività, fornite dal consulente, che hanno lo scopo di aiutare il cliente a percepire, capire e agire sugli eventi che si verificano nel suo ambiente» ed è «il processo di consulenza stesso, quindi, ad aiutare il cliente a definire gli interventi diagnostici che consentiranno di impostare la corretta sequenza di passi risolutivi». Si tratta di una consulenza “generativa”, la cui premessa fondamentale è rappresentata dal fatto che il cliente “possiede”, dall’inizio e durante tutto il processo di consulenza, la responsabilità della osservazione e della “formulazione” attiva dei rimedi e che il consulente svolge il ruolo fondamentale di sostegno al cliente nell’affinamento delle sue capacità di identificazione e risoluzione dei problemi posti in consulenza senza mai “appropriarsene”, ma anzi incoraggiandolo ad assumersi la responsabilità finale della decisione operativa e delle azioni da intraprendere.

 

Il consulente si propone dunque come facilitatore (nell’accezione rogersiana), o meglio come io ausiliario, che accompagna il cliente nella rilettura della situazione di malessere della propria realtà, individuando le risorse e le capacità di cui può disporre. L’ambito di intervento del counseling si focalizza per:
    • lo spostamento del baricentro della relazione sul cliente­persona e sui suoi bisogni, a partire dall’ipotesi che l’individuo abbia in sé ampie possibilità di comprendere se stesso, di modificare il proprio concetto di sé e i propri atteggiamenti e di acquisire un comportamento autodiretto;
    • l’attenzione alla comunicazione verbale e non verbale;
    • il colloquio come strumento privilegiato; le predisposizioni che rendono il counselor capace di entrare in sintonia con il suo cliente. (ISFOL, 2006).

 

Il counseling nasce negli anni Cinquanta negli Stati Uniti e negli anni Settanta in Europa, in particolare nel Regno Unito (scritto “counselling”), come attività d’orientamento e strumento di supporto dei servizi sociali.  Uno dei suoi primi campi d’applicazione è stato il reinserimento dei reduci della seconda guerra mondiale nella società civile. Il termine si può tradurre in italiano approssimativamente con la parola “consulenza”.

 

L’etimo è latino e deriva dal verbo consulo, ossia “aver cura di, venire in aiuto di”.

 

La nascita del Counseling, come quella d’altri movimenti, riflette la struttura socioculturale, politica ed economica del periodo storico in cui prende origine e si sviluppa.

 

Se ne possono ricercare le radici alla fine del 1800, quando negli Stati Uniti partirono dei programmi d’orientamento e guida professionale come supporto ai giovani al termine della scuola elementare e superiore. Già nei primi anni del 1900 comparvero associazioni che avevano come scopo la guida nel percorso lavorativo e di studio. All’interno delle università e campus si trovavano infatti dei punti di riferimento per chi voleva essere guidato nella scelta della professione.

 

Nel 1952 nacque l’American Counseling Association sull’onda di un incredibile sviluppo del Counseling come servizio di consulenza ed educazione.

 

Negli anni ‘60 era in atto un cambiamento fondamentale: si stava passando da un modello centrato sulla malattia ad un modello orientato alla salute della persona. In seguito alla riorganizzazione territoriale dei servizi psichiatrici si cominciò a prendere in considerazione per la prima volta la prevenzione dei disturbi mentali da attuarsi appunto attraverso servizi di consulenza e d’educazione.

 

Negli anni ‘70 cominciò così a diffondersi la psicologia della salute alla cui base c’era una concezione positiva dell’essere umano.

 

In Europa il Counseling approdò negli anni 70, principalmente in Gran Bretagna, come servizio d’orientamento pedagogico e strumento di supporto nei servizi sociali e nel volontariato.

 

Furono create poi due importanti associazioni di riferimento, nel 1976 la British Association for Counseling (BAC), che nel 2000 si è trasformò  in BACP  British Association for Counseling and Psychoteraphy (Giannella, 2009, pag. 54) e nel 1994 la European Association for Counseling(EAC).

 

In Italia le origini del Counseling possono essere rintracciate nella storia dell’assistenza sociale, intorno agli anni ’20-30 del secolo scorso, quando furono istituite le prime scuole, esclusivamente femminili, per la preparazione di personale da destinare al sostegno dei lavoratori delle fabbriche.

 

Si era nel pieno del periodo fascista in cui il servizio sociale aveva il solo scopo di svolgere attività politico-sociali in linea con le esigenze dello stato.

 

Dopo il crollo del regime e la fine degli eventi bellici cominciarono a delinearsi le diverse tematiche d’intervento sociale sulla popolazione.

 

Il counseling, come lo intendiamo oggi, arrivò negli anni ’70 quando scuole, istituti e centri di formazione iniziarono a preparare validi professionisti con competenze di counselor che, tuttavia furono così definiti solo dagli anni ’90.

 

Nel 1993 si costituì in Italia la S.I.Co. Società Italiana di Counseling, con l’obiettivo di riunire in un’unica associazione i Counselor e le organizzazioni che si occuparono di Counseling.

 

Il movimento di pensiero che sottese il sorgere del counseling fu quello che proveniva da altre discipline, oltre alla psicologia, ovviamente, quali l’antropologia, la filosofia, la sociologia, la pedagogia che tutto insieme portò alla nascita di una diversa visione dell’essere nel mondo dell’uomo, in contrapposizione con la psicanalisi ritenuta troppo deterministica, centrata sulla patologia, e strutturata su una relazione troppo asimmetrica con i pazienti coinvolti in percorsi troppo lunghi, costosi e non sempre efficaci.

 

In quest’orizzonte di senso l’attenzione si sposta dalla patologia, e dalla sofferenza all’idea di salutogenesi fondata sulla prevenzione e non più sulla cura sul ben-essere, sulla salute mentale e non sulla malattia, il paziente diventa cliente, soggetto non più passivo, ma responsabile della propria vita, in grado di partecipare attivamente al processo d’aiuto che lo riguarda, trovando in sé stesso le risorse per risolvere i problemi.

 

Nasce l’approccio centrato sulla persona – cliente, grazie a Carl Rogers seguito da altri tipi d’approccio, quale quelli della Gestalt e quello Sistemico, tanto per citarne alcuni, che condividono con il primo l’attenzione centrata sulle potenzialità e le capacità, anziché sulla patologia, su risposte fornite in tempi più brevi e con costi inferiori, anche per chi non può permettersi percorsi lunghi e non sempre efficaci.

 

La rivoluzione Rogersiana, rispetto all’approccio della psicologia tradizionale, iniziò dallo spostare l’attenzione del lavoro psicoterapeutico dalla risoluzione del problema al facilitare l’emersione delle risorse interiori dell’individuo. Questo processo, oltre a generare crescita interiore, determina anche maggiore capacità di affrontare e gestire altre problematiche. Un’altra importante caratterista che contraddistinse il lavoro di C.Rogers fu lo spostare l’attenzione dagli aspetti intellettivi (la mente) a quelli emotivi (la percezione); oltre a ciò, diversamente dall’approccio Freudiano il passato passa in secondo piano rispetto al presente.

 

Nel Counseling lo psicoterapeuta lascia in parte il suo ruolo d’esperto inteso come qualche cosa che determina “up & down”, si pone verso il cliente avendo cura della comunicazione e della relazione, utilizza accoglienza e rispetto anziché formalità e freddezza.

 

C.Rogers ha sicuramente espresso nel proprio approccio ciò che egli era, una persona umana e sensibile, umile e capace, ben radicata sia nel proprio mondo percettivo sia in quello intellettivo. Sicuramente una figura interiormente libera, eppure pienamente responsabile del proprio apporto educativo all’umanità.

 

“ Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore di venirle in aiuto non è quello di dirle esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di aiutarla a comprendere la situazione e a gestire il problema facendole prendere, da sola e pienamente, le responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé “.  (Carl Rogers).

 

 

 

 

 

 

Counselling: Introduzione

Counselling: Introduzione

 

 

Negli ultimi anni è aumentato l’interesse verso le pratiche che aiutano l’individuo a svilupparsi.

 

Nelle organizzazioni lentamente l’attenzione va verso l’individuo, le capacità manageriali e di sviluppo dei singoli, proponendo forme di rapporto “one to one”. Emerge l’esigenza di accompagnare gli individui nella gestione delle complessità e difficoltà ambientali. Si tratta di dare un aiuto a stimolare e valorizzare le capacità delle persone di vivere in maniera più integrata e soddisfacente. Tutto ciò sfocia nel counselling (nato all’esterno dell’azienda).

 

In ambito aziendale, il counselling si confronta con le nuove tendenze gestionali basate sullo sviluppo individuale: la facilitazione delle relazioni interpersonali e di gruppo, la comunicazione e il feedback attivo, le behavioral interpersonal skill, i nuovi modelli di leadership, l’empowerment, la gestione dei processi tramite la ownership individuale (Biggio, 2007).

 

 

Il Counselling organizzativo è un intervento richiesto dalle organizzazioni che, nell’esplicitare la loro funzione strategica e operativa, incontrano problemi di diversa natura, che può causare disfunzioni alle organizzazioni medesime e in alcuni casi compromettere, la loro stessa sopravvivenza. S’inserisce tra quegli orientamenti finalizzati a coniugare il paradigma della produttività con il benessere individuale, quindi a conciliari due obiettivi in genere poco compatibili come il conseguimento del profitto e la realizzazione della persona.

 

Una delle principali criticità delle organizzazioni moderne è l’incertezza che compare innanzi tutto come tratto socio-economico distintivo. I confini delle strutture, dei gruppi e dei ruoli, rischiano, grazie alla connettività illimitata, di essere sempre più lassi e difficilmente decifrabili, il lavoro si esprime in larga parte sotto forma di contratti flessibili e richiede versatilità, autoimprenditorialità e capacità di reinventarsi, la velocità del progresso tecnologico accentua il processo d’invecchiamento delle risorse e lascia indietro chi non è in grado di tenere il passo con l’innovazione.

 

L’incertezza proviene dal macro-ambiente si avverte inoltre come stato d’animo: vivere in contesti insicuri induce l’emergere d’ansie spesso sopite ma pronte a riaffiorare, non appena un mix di condizioni e variabili si affacciano sulla scena pubblica o privata:

 

Contrasto legate a fattori organizzativi e di macrosistema (scarsa definizione della struttura dei ruoli, dei processi di leadership, presenza di un compito primario vago ed ambiguo, instabilità dei mercati e dell’economia in generale) e a tensioni che riguardano la sfera personale (eventi accaduti nella vita del singolo, causa di sentimenti di disorientamento e d’impotenza) sono situazioni che acuiscono uno stato di preoccupazione e di agitazione.

 

 

Nel momento in cui l’incertezza regna sovrana, sia nell’ambito interno alla persona sia in quello esterno, la mission e gli obiettivi dell’azienda sono sostenuti a fatica e l’azienda stessa rischia di essere scossa da ragioni  relazionali ed emozionali, consce e inconsce, che sostituiscono l’organizzazione nascosta, ovvero quella dimensione sommersa e meno razionale che si cela dietro l’apparente quotidianità della vita lavorativa.

 

Il quadro delineato fa da sfondo agli interventi di counselling proposti alle realtà organizzative che, incapaci di trovare una risposta efficace ai problemi, richiedono assistenza ad esperti, incaricati di risolvere le difficoltà che le assillano, difficoltà che, pur essendo percepite non sono delineate nelle loro molteplici cause. Affidarsi ad un occhio esterno significa in primo luogo riconoscere che, l’imprenditore e l’azienda, con le loro sole armi, non sono in grado di affrontare le criticità emerse e in secondo luogo vuole dire ricercare chi sa essere più oggettivo perché non direttamente coinvolto nella situazione.

 

 

La stesura di seguito prodotta intende approfondire la tematica del counselling organizzativo sia sotto l’aspetto teorico dai principali paradigmi che lo hanno anticipato, sia sotto l’aspetto pratico delle modalità con cui si costruisce e gestisce un intervento di counselling.