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Word-order e inferenze causali

Word-order e inferenze causali

Gli esseri umani hanno una naturale tendenza a ricercare le cause di eventi che osservano o di cui sentono parlare. Ad esempio, quando si viene a conoscenza di un incidente, non siamo soddisfatti di ricevere informazioni circa il luogo, l’ora e il numero delle vittime, ma il nostro interesse principale riguarda il perché sia accaduto.

L’ordine delle parole può influire su effetti riguardanti la memoria e su diversi processi cognitivi, quali la formazione di impressioni e i processi di categorizzazione. In accordo con le iconicity assumptions si è visto come la disposizione delle componenti all’interno della frase sia strettamente connessa a fenomeni di comprensione narrativa, i quali conducono le persone alla costruzione di schemi rappresentativi del contenuto, attraverso la raccolta e la rielaborazione delle informazioni in entrata.

La direzione di questo processo risulta essere in linea al naturale andamento cronologico degli eventi, dove ciò che viene espresso prima è antecedente e causa di ciò che accade successivamente. Anche quando non è chiaramente espresso il nesso temporale (Hopper1979).

Le inferenze causali che le persone attribuiscono agli eventi quotidiani sono, dunque, influenzate dall’ordine in cui soggetto, oggetto e verbo sono disposti nelle frasi transitive.
Oltre a risolvere indizi significativi sulle relazioni sociali il Word Order, quindi, esprime anche relazioni temporali. Le persone generalmente si aspettano che le cause degli eventi vengano esposte prima degli effetti, probabilmente facendo riferimento a ciò che è la loro esperienza nel mondo reale.
Autori come Bruner, Virtue e Kurby (2012) si focalizzano sulla connessione tra la sfera temporale e la dimensione causale. Attraverso un esperimento in cui una stessa situazione viene presentata, in un caso, in cui la causa precede l’effetto, nell’altro, in cui l’effetto precede la causa, gli autori dimostrano, analizzando i tempi di risposta, che, in linea con le ipotesi, i partecipanti risultano nettamente più rapidi nell’interpretare situazioni che seguono l’ordine canonico causa-effetto.
Altre ricerche (Bettinsoli, M. L., Maass, A., Kashima, Y., & Suitner, C. ,2015), in aggiunta, suggeriscono la possibilità che coloro che parlano lingue differenti, con ordini strutturali diversi, favoriscono alcune attribuzioni causali rispetto ad altre. Ad esempio, i parlanti di lingue che presentano schema OSV possono, in media, percepire il paziente come più co-responsabile di un evento rispetto i parlanti di lingue SOV, ed entrambi possono essere probabilmente più propensi a considerare cause situazionali rispetto a parlanti di lingue «verbal-first» .
Molteplici ricerche basate sull’analisi di fatti di cronaca che riportano atti di violenza contro le donne (Bohner, 2001; Frazer & Miller, 2008; Henley, Miller, & Beazley, 1995) hanno evidenziato, infatti, che l’utilizzo di forme grammaticali differenti influenzano l’attribuzione causale e la percezione di responsabilità.
Se consideriamo la struttura delle frasi in forma attiva e passiva, si può notare come i ruoli semantici di agente e paziente subiscano un cambiano di posizione all’interno della frase. Il paziente, ossia chi subisce l’azione, è solitamente menzionato dopo l’agente, il quale rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione della frase in forma attiva. La situazione si rovescia passando invece alla forma passiva in cui il paziente prende posizione dominante, godendo di maggior attenzione (Johnson-Laird, 1968), e acquisendo maggiore responsabilità per l’azione descritta.

Nel caso di atti violenti contro le donne, l’uso di forme passive, dunque, aumenta la loro co-responsabilità rispetto all’azione, facendo intendere un ruolo più attivo nel determinare la situazione (Bohner, 2001; Frazer& Miller, 2008). Ciò che cambia attraverso la forma passiva, insieme al tempo grammaticale del verbo, è la posizione seriale delle parole: l’oggetto, di solito posto dopo il soggetto, si trova ora all’inizio della costruzione.
Gli effetti che vengono maggiormente presi in considerazione, relativamente al Word Order, fanno riferimento, dunque, all’usuale tendenza delle persone ad attribuire in misura maggiore la causa di un’azione (o di un evento) all’elemento che, nella frase, appare in prima posizione (rispetto a posizioni successive).

Riassumiamo quindi quelle che possono essere le potenzialità informative, e quali le influenze, determinate dalla struttura della frase: in primo luogo, i lettori / ascoltatori possono ritrovarsi a prestare maggiore attenzione al primo elemento menzionato e ad usarlo come punto di partenza quando gli viene chiesto di spiegare l’evento. In questo caso, viene nuovamente preso in considerazione l’aspetto funzionale dell’effetto primacy, secondo cui le persone tendono a ricordare maggiormente i primi elementi presentati all’interno di una lunga lista e gli ultimi (recency).
La scelta della posizione delle componenti S,V,O, in secondo luogo, può rispecchiare un ordine mentale preciso ed una prospettiva descrittiva mirata, anche se per il più delle volte in maniera inconscia (perspective taking).
In un evento, infatti, le persone possono soffermarsi su particolari differenti, adottando quindi lenti di lettura differenti. Il primo termine svela la direzione di interpretazione dell’accaduto che viene adottata (da chi esprime il concetto) e trasmessa a colui che ascolta, riflettendo il punto di vista del parlante e influenzando quello del ricevente.
I lettori / ascoltatori possono dedurre l’intenzione di chi parla, pensando che l’elemento sia stato volutamente posizionato in prima posizione perché ritenuto maggiormente interessante (caso della lingua italiana).
Partendo dall’ipotesi che l’attribuzione causale possa essere influenzata dalla posizione degli elementi sintattici all’interno di una frase, Bettinsoli, M. L., Maass, A., Kashima, Y., & Suitner, C. (2015) hanno condotto uno studio sperimentale al fine di testare il ruolo del Word Order nella percezione di causalità. Gli autori hanno costruito sei semplici frasi manipolando l’ordine di tre elementi grammaticali (soggetto, oggetto e verbo) nelle sei possibili combinazioni SVO, SOV, VSO, VOS, OVS, OSV. In seguito hanno chiesto a partecipanti Italiani e Inglesi di valutare la misura in cui l’azione descritta fosse dovuta a fattori disposizionali ( riferiti al soggetto) o situazionali (contesto espresso dal verbo).
In linea con l’ipotesi, i risultati hanno mostrato una maggiore attribuzione causale all’elemento che appariva in prima posizione, indipendentemente dalla sua funzione.
L’importanza di tale processo è emersa in letteratura attraverso la teorizzazione del Linguistic Category Model, in cui autori come Semin e Fiedler (1988) hanno dimostrato che il grado di astrattezza di un termine sia determinante nel suggerire un’attribuzione causale disposizionale, piuttosto che situazionale.
E’ stato dunque messo in evidenza come l’ordine in cui soggetto, oggetto e verbo sono disposti all’interno di una frase svolga un ruolo nell’attribuzione di causalità.
Secondo altri studi di ricerca (Fernbach, Darlow, & Sloman 2010; Fernbach, Darlow,& Sloman, 2011), anch’essi di recente pubblicazione, analizzando le discrepanze tra le diverse teorie riguardanti bias causali, è stato riscontrato che, nei momenti di incertezza, le persone costruiscono attribuzioni causa-effetto seguendo norme probabilistiche che spesso conducono in errore.
A tal proposito viene fatto riferimento ai ragionamenti predittivi e diagnostici che generano probabilità differenti a seconda della forza delle cause alternative, del potere causale e delle priorità di causalità. Il ragionamento predittivo è il processo attraverso il quale gli individui deducono la probabilità di un effetto a partire dalla sua causa, mentre il ragionamento diagnostico procede in modo opposto, ossia la probabilità di una causa viene dedotta a partire dall’ effetto.
È stato evidenziato come la maggior parte delle attribuzioni seguano ragionamenti predittivi, piuttosto che diagnostici, a seguito di una maggiore facilità intuitiva e di attivazione: una sorta di scorciatoia cognitiva basata sull’esperienza e su credenze comuni, insufficienti per la formulazione di giudizi effettivamente probabilistici.
Il ruolo del Word Order nelle inferenze causali emerge, dunque, anche dagli studi relativi al ragionamento predittivo e diagnostico.
In una serie di studi precedenti, infatti, Fernbach e colleghi hanno testato le differenze tra le diverse tipologie di inferenza causale. Attraverso tre esperimenti hanno dimostrato che gli individui tendono a sottovalutare l’eventuale ruolo di cause alternative durante il processo di inferenza predittiva, ma non durante quello di inferenza diagnostica. Quando compiono inferenze predittive, gli individui considerano la causa data come unica sola spiegazione dell’effetto; al contrario, quando generano inferenze diagnostiche, l’effetto viene spiegato prendendo in considerazione ulteriori legami causali rispetto a quello proposto (Fernbach, Darlow, & Sloman, 2010).
In un’ulteriore teorizzazione, Meder e colleghi (2014) hanno suggerito che il processo di ragionamento diagnostico è influenzato sia dalla convinzione circa l’esistenza di una relazione causale tra una certa causa e un effetto, sia dalla probabilità che l’effetto sia stato prodotto da strutture causali alternative (Meder, Mayrhofer, & Waldmann, 2014).
Le persone mostrano sistematici bias, ossia trascurano informazioni rilevanti nella formulazione di giudizi probabilistici basati su informazioni causali, facendo riferimento e affidandosi alla loro esperienza.
Questo fenomeno suggerisce il fatto che il modo in cui le persone ragionano non sia normativo, tanto meno coerente con le «causal Bayes nets». Le reti bayesiane (BN – Bayesian Network) rappresentano un modello grafico probabilistico che mostra un insieme di variabili stocastiche (che assumono valori differenti in presenza di fenomeni aleatori, fenomeni che ripetuti sotto le medesime condizioni iniziali possono non produrre i medesimi risultati), con le loro dipendenze condizionali attraverso l’uso di un grafo aciclico diretto (DAG) . Possono essere chiamate anche «reti causali», in quanto gli archi che connettono i nodi concettuali rappresentano relazioni causali dirette. Per fare un esempio del funzionamento di una rete Bayesiana potremmo considerare la relazione probabilistica esistente tra i sintomi e le malattie.
Dati i sintomi, la rete può essere usata per calcolare la probabilità della presenza di diverse malattie.
Nel calcolo delle reti bayesiane, perché possa essere considerata per “data” l’evidenza di un nodo, dobbiamo esser certi della verità o falsità della proposizione rappresentata dal nodo stesso”. Gli statistici bayesiani sostengono che tale inferenza costituisce la base più logica per discriminare tra ipotesi alternative in conflitto. Vediamo nello schema che segue un esempio di rappresentazione probabilistica mediante le reti di Bayes.

L’evidenza più diretta, in ogni caso, scaturisce dai lavori di Tversky e Kahnemen (1980) i quali condussero altri studi circa le relazioni causali. Gli autori chiedendo ai partecipanti di comparare la probabilità causale tra eventi presentati per indagare le diversità di attribuzione, manipolano la fondamentale natura asimmetrica della causalità: le cause generano effetti, ma non vice versa.
Gli autori ipotizzano che la preferenza per i ragionamenti predittivi, a discapito di quelli diagnostici, sia dipesa dal fatto che risulta più naturale, per le persone, seguire una causalità di questo tipo verso cui, di conseguenza, confidano maggiormente. Il loro pensiero è che, probabilmente, il fluire dei ragionamenti, dalla causa all’effetto, conduca le persone verso attribuzioni non normative.
Questo implica che quando ci si trova di fonte a relazioni causali, l’attenzione sia focalizzata sulla ricerca di informazioni “altre” su cui basare la connessione degli eventi o da cui generare alternative causali (euristiche di probabilità).

 

 

 

 

© Ordine di presentazione di variabili causa e effetto e la percezione dei rischi in ambito della salute – Dr.ssa Alice Spollon

 

Word Order e influenza semantica nei binomi

Word Order e influenza semantica nei binomi

L’ordine delle parole all’interno della frase ha quindi un ruolo determinante nei processi di categorizzazione e di attribuzione di un significato particolare ai concetti esposti. Questo è dimostrato anche da numerose ricerche sui binomi linguistici (Hegarty, Watson, Flechter, & McQueen, 2011; McGuire & McGuire, 1982; Mollin, 2012). Mollin (2012), lungo il suo percorso di ricerca, ha evidenziato come la maggior parte dei binomi siano costruiti secondo un ordine preciso (fratelli- sorelle, uomo- donna, cane- gatto). Questi, presentano un forte ordine canonico e riflettono uno specifico contenuto semantico secondo cui il primo termine è quello caratterizzato da più agentività e da maggior potere.

Con l’obiettivo di approfondire tale argomento risulta efficace, a questo punto, aprire un’altra parentesi teorica e ritornare alla riflessione sulla direzione da sinistra a destra, propria della lettura e della scrittura nella maggioranza delle lingue mondiali.
“La scrittura è fondamentale nella società e noi siamo continuamente soggetti a stimoli linguistici. Per noi occidentali le parole scorrono verso destra e questo riferimento spaziale diviene un punto fondamentale, come il fatto che il cielo sta sopra le nostre teste “.

A sostegno di quanto detto, vi sono numerose ricerche, anche di recente pubblicazione, che affrontano temi come la teoria dell’embodiment (Barsalou, 1999) e dello spatial agency bias (Anjan Chatterjee, 2002; Maass, Suitner & co., 2011,2014 ). Si tratta di ricerche sistematiche che analizzano l’influenza del contesto sull’elaborazione cognitiva (la dimensione spaziale spesso resta fuori dalla nostra consapevolezza, ma questo non significa che i riferimenti spaziali non siano elaborati dal nostro cervello). In queste ricerche viene dimostrato come l’influenza della scrittura va oltre il contesto linguistico, condizionando addirittura l’interpretazione di un’azione.

Con il termine “agency”, in particolare, ci si riferisce alla capacità di agire attivamente sul mondo fisico e sociale. Durante una relazione, le persone coinvolte assumono spesso ruoli complementari rispetto a questa caratteristica: l’agente è colui il quale mette in atto un comportamento verso il ricevente, il quale, a sua volta, assume un ruolo più passivo.

Il neuropsicologo Anjan Chatterjee (2002), attraverso un esperimento condotto con una persona afasica (difficoltà nella produzione e nella comprensione linguistica), in cui viene utilizzata una strategia spaziale per comprendere le frasi, ha scoperto che queste due figure sono legate a specifiche posizioni nello spazio in base al ruolo rivestito. “Se gli veniva chiesto di descrivere una scena in cui un soggetto agiva su un oggetto, egli indicava quello posto a sinistra come l’agente e quello posto a destra come il ricevente, anche se l’azione si svolgeva chiaramente nella direzione opposta”.

La direzione spaziale è usata, quindi, non solo per rappresentare l’azione (Chatterjee, 2002), ma anche il suo potenziale: cioè la condizione sociale di agire (agency). Dall’analisi di questo fenomeno si giunse alla conclusione che si trattasse di lateralizzazione emisferica.
Oggi sappiamo che il fattore di maggior impatto sui processi cognitivi risulta essere la direzione di lettura e scrittura, ossia un fattore culturale. È per questo motivo che il SAB (spacial agency bias) si inserisce nella più grande teoria dell’embodiment.
Susanna Timeo, Anne Maass, e Caterina Suitner (2012), oltre alla direzione di scrittura, richiamano in causa l’ordine delle componenti sintattiche del periodo, ribadendo l’influenza del Word Order. Lingue come l’arabo, invece, procedono verso sinistra, ma comunque mantengono la precedenza del soggetto sull’oggetto; in questo caso, pertanto, l’agente sarà alla destra del ricevente. Pochissime altre lingue come, ad esempio, quella parlata in Madagascar hanno invece una disposizione sintattica tale per cui l’oggetto è posto prima del soggetto.

L’importanza del Word Order e dell’effetto primacy, quindi, viene messa in luce da un excursus teorico di considerevole rilevanza. Ritornando, infatti, agli studi sui binomi linguistici, il quadro concettuale può essere ampliato ulteriormente. Vi sono altre evidenze sperimentali che mostrano come il primo termine sia percepito dal lettore come più attivo e potente (Johnson, 1967), più mascolino (Hegarty et al., 2011) e con uno status più elevato, rispetto al secondo termine menzionato (McGuire & McGuire, 1982).

In questi studi viene dimostrato che l’ordine delle parole, anche nei binomi, non è mai casuale ma, piuttosto, segue ragionamenti o regole cognitive ben precise che conferiscono al concetto espresso un ruolo semantico identificabile e motivabile all’interno della cultura di riferimento.
Mollin (2012) nelle sue ricerche evidenzia, in aggiunta, il fatto che, nei binomi, il primo termine menzionato precede cronologicamente il secondo (“primavera e estate”, “prima e dopo”), oppure ne è la causa (“prova ed errore”). In assenza di marcatori linguistici espliciti (ad esempio: prima, perché ecc.) i lettori / ascoltatori tendono a dedurre sia l’ordine cronologico, che quello di relazioni causa-effetto, dall’ordine in cui gli eventi sono narrati (iconicity assumption), assegnando agli elementi menzionati all’inizio della frase il primato temporale e causale rispetto a quelli citati in seguito.

Clark (1971) ha condotto delle ricerche sulla capacità di acquisizione del significato degli avverbi “prima” e “dopo”, in bambini dei 3 ai 5 anni. Dai risultati, si evince che le maggiori difficoltà di comprensione emergono per le situazioni presentate con un ordine cronologico rovesciato in cui la strategia “order of mention”, utilizzata dai bambini, non trova corrispondenza immediata di significato. Si ipotizza quindi, attraverso sviluppi cognitivi e neuro-cognitivi, che lo stesso problema persista negli adulti, tranne quando c’è una forte relazione causale tra gli eventi: le espressioni in cui l’ordine degli eventi non è canonico, risultano più difficili (non impossibili) da comprendere, in quanto richiedono un maggiore sforzo cognitivo (Mandler, 1986; Münte et al., 1998). Pertanto, la comprensione del testo è generalmente compromessa quando l’ordine narrativo non corrisponde all’ordine cronologico o causale degli eventi (Ohtsuka & Brewer , 1992) .

Così, la ricerca sui binomi e sui modelli situazionali concorda sul fatto che l’ordine in cui le parole vengono disposte, fornisce informazioni sui collegamenti temporali e causali tra gli eventi. Tuttavia l’ordinamento temporale non implica necessariamente relazioni causali, è solamente una condizione preliminare per il ragionamento causale, che può spiegare perché alcune inferenze temporali e causali, spesso, vanno di pari passo.

 

 

 

 

 

© Ordine di presentazione di variabili causa e effetto e la percezione dei rischi in ambito della salute – Dr.ssa Alice Spollon

 

Il Word Order in psicologia e l’effetto primacy

Il Word Order in psicologia e l’effetto primacy

Con il passaggio alle lingue romanze, caratterizzate dall’eliminazione dei casi, l’ordine delle parole si trasforma, dunque, presentando schema SVO ed evidenziando maggiormente una forma mentis, una modalità di pensare e ragionare, che prevede che il Soggetto venga presentato prima dell’Oggetto (Tabullo et al., 2012). Si tratta di uno schema tipicamente occidentale che si è riflesso culturalmente nell’interazione tra le persone, adattandosi meglio alla naturale direzione di lettura e scrittura che prevede un andamento che va da sinistra a destra.
Il vantaggio di questa struttura consta nel fatto che i due sostantivi non siano entrambi anticipati al verbo, evitando così fraintendimenti di significato, oltre al fatto che, come già sostenuto in precedenza, si tratta di uno schema che si mantiene coerente con il modo in cui concettualmente ci rappresentiamo le costruzioni transitive attive. Normalmente un’azione si sviluppa nella nostra mente con direzionalità sinistra – destra: il soggetto agente si troverà, dunque, prima dell’oggetto paziente.
Fenomeni come una maggiore attenzione, una facilitazione di memorizzazione (primacy effect), una maggiore accessibilità e recupero in memoria, e una concezione di maggiore agentività (Gernsbacher & Hargreaves, 1988; Carreiras, Gernsbacher, & Villa, 1995; Kim, Lee & Gernsbacher, 2004; Mayberry & Ferreira, 2013) vengono tutti riconosciuti come caratteristiche attribuite all’elemento posto in prima posizione, il quale gode di una maggiore rilevanza piuttosto evidente.
Il primo elemento menzionato all’interno di una frase è quindi quello che viene meglio ricordato, in virtù della maggior attenzione solitamente posta alle prime componenti della frase. Che sia il soggetto, o l’oggetto della frase, il primo elemento gode di un trattamento privilegiato sia in forma scritta che orale.
Attraverso i risultati di numerosi studi, tra cui alcuni che mettono a confronto lo spagnolo e l’inglese (Carreiras, M., Gernsbacher, M.A. 1995), si evidenzia come l’effetto primacy (accessibilità in memoria), permanga sia in casi in cui si tratta di persone, sia quando si tratta di un oggetto inanimato. Si può quindi far riferimento ad una structure building framework , ossia ad un quadro generale che guida strutture e rappresentazioni mentali sotto forma di uno schema a più livelli. Gli elementi prima citati sono più accessibili perché costituiscono la base degli schemi mentali e perché, è proprio attraverso questi che le informazioni successive vengono mappate sviluppando l’intera rappresentazione.

Anche altri psicolinguisti come MacWhinney e collaboratori (1977), infatti, hanno suggerito che gli elementi posti all’inizio della frase giochino un importante ruolo pragmatico, in quanto, servono come punto di partenza sia per la costruzione del messaggio del parlante, sia per la costruzione della rappresentazione dell’ascoltatore.

Questo processo genera ripercussioni anche sulla Perspective-taking : la scelta di un ordine specifico delle parole, nella descrizione di una situazione, porta l’ascoltatore/lettore a focalizzarsi su certi aspetti del discorso, piuttosto che su altri. Con questo, si fa riferimento alla possibilità di dirigere volontariamente il punto di vista adottato dal ricevente nell’interpretazione delle informazioni, attraverso scelte puramente lessicali che, tuttavia, si riflettono a livello mentale.

Sebbene l’ordine soggetto-verbo-oggetto predomini sull’ordine oggetto-verbo-soggetto, questo dato statistico non può essere interpretato meccanicamente. La scelta dell’elemento iniziale, infatti, riflette spesso una strategia comunicativa da parte di chi parla o scrive, che pone all’inizio della frase l’elemento che lui o lei pensa essere il più interessante.
Ad esempio, nella frase di seguito riportata (3), il parlante dà più importanza al tempo di arrivo, mentre nella (4) è l’azione che viene enfatizzata, nella (5), infine, è l’agente dell’azione ad essere sottolineato :

3) A las siete vendra Juan.
Alle sette arriva Juan.

4) Vendra Juan a las siete.
Verrà Juan alle sette.

5) Juan vendra a las siete.
Juan verrà alle sette.

I termini scelti razionalmente (o implicitamente) per occupare la prima posizione, dunque, costituiranno i nodi centrali delle strutture mentali che, completandosi attraverso l’integrazione costante di informazioni in entrata, formeranno le rappresentazioni del concetto in questione. Si tratta di elementi di ancoraggio delle mappe cognitive che forniscono una struttura gerarchica per le rappresentazioni e l’organizzazione dei dati.

In uno dei suoi lavori, Asch (1946) evidenzia inoltre come, nel rapporto con gli altri, pur se di essi conosciamo pochi dati, utilizziamo schemi cognitivi preesistenti, al fine di avere dell’altro una valutazione più ampia. Il primo tratto descrittivo, di una lunga lista, è di quello che maggiormente influenza l’ascoltatore nella formulazione dell’impressione complessiva anche durante interazioni sociali. Probabilmente perché, come già evidenziato in precedenza, al primo elemento viene conferita maggiore importanza (Hamilton & Sherman, 1996). Egli affermava, infatti, che la percezione sociale totale di un’altra persona, non è semplicemente la sommatoria dei singoli concetti utilizzati per definire quella persona, ma è individuabile un’associazione e interazione tra tali concetti.

La realtà (Voci, 2003) non viene registrata nella nostra mente per quella che è, ma viene trasformata, rielaborata e dotata di significato attraverso schemi mentali che, a loro volta, sono influenzati da una combinazione di fattori cognitivi, affettivi e motivazionali. Il processo cognitivo che trasforma e altera la realtà è definito “categorizzazione”: le nostre conoscenze (competenza cognitiva) sono organizzate in modo tale da riflettere le relazioni tra i concetti attraverso un’articolata (e flessibile) rete di significati.

In riferimento a tale fenomeno Asch (1946), seguendo una cornice più ampia, sottolinea l’importanza del concetto di primacy anche nella formazione di stereotipi, focalizzando l’attenzione sui processi di categorizzazione e formazione delle impressioni. Gli stereotipi influiscono sul modo di percepire e interpretare le informazioni che originano la nostra impressione, circa la personalità di chi incontriamo, attraverso processi automatici che tuttavia richiedono inferenze consapevoli. Tutte le informazioni in entrata, vengono dunque filtrate e integrate sulla base di schemi mentali posseduti, al fine di generare un’idea globale ed unitaria, su di cui i dati successivi vengono categorizzati di conseguenza, coerentemente con i precedenti.
Il processo di formazione delle impressioni può avvenire in modo automatico, attivando schemi consolidati e ricorrenti (a partire da segnali standard, peculiari di determinati contesti e situazioni), o in modo consapevole. La discriminante è rappresentata dalla disposizione di risorse cognitive sufficienti ad un’elaborazione attiva delle informazioni in entrata, da una motivazione sufficiente o dalla presenza di elementi contro-stereotipici che impongono una maggiore attenzione all’analisi dei dati (in quanto evadono gli usuali schemi di lettura della realtà). La motivazione, ad esempio, può essere determinante anche nell’influenzare la forza di attivazione di un pregiudizio, anche sulla base della spinta che fornisce al desiderio di giungere il più velocemente possibile ad una conclusione. Così facendo la mente sarà indirizzata verso scorciatoie di elaborazione costituite da categorie precostruite e caratterizzate da pregiudizi.
Si può concludere, quindi, sottolineando come le informazioni possedute in memoria influenzino il modo in cui i dati in entrata vengono percepiti, assimilati ed integrati nella formazione delle impressioni sulla realtà circostante. Gli stessi comportamenti vengono influenzati, nel loro significato, sulla base delle categorie attivate per interpretarli, specialmente per quanto riguarda la valenza (positiva o negativa) di riferimento. Le informazioni possedute in memoria filtrano l’ingresso delle nuove informazioni, con le quali si fondono per dare origine ad un’idea globale che viene guidata essenzialmente dall’individuale percezione di priorità di certe caratteristiche.
Il primo termine costituisce la base di tali strutture cognitive di comprensione e impone determinati legami concettuali, piuttosto che altri, sulla base di ciò che risulta essere l’esperienza della realtà da parte del parlante.
Lo steso processo di influenza può verificarsi dunque, anche nell’interpretazione di eventi o informazioni riguardanti la salute. È fondamentale, per cui, comprendere l’importanza della comunicazione e della struttura del messaggio, la quale è in grado di condizionare anche atteggiamenti e comportamenti.
Citando il modello classico di elaborazione ELM di Petty & Cacioppo (1986) , il quale costituisce una delle principali basi della psicologia sociale, si ricorda che gli atteggiamenti sono stati identificati come una delle variabili più influenti nel determinare il verificarsi di comportamenti di un individuo. Agendo su di essi infatti, attraverso una struttura comunicativa mirata, si potranno ottenere modifiche comportamentali più durature nel tempo

 

 

 

© Ordine di presentazione di variabili causa e effetto e la percezione dei rischi in ambito della salute – Dr.ssa Alice Spollon