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Approccio centrato sulla persona: i contributi di Carl Rogers

Approccio centrato sulla persona: i contributi di Carl Rogers

 

 

“Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentale positiva. Più l’individuo è capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le false facciate con cui ha affrontato la vita e più si muove in una direzione positiva, di miglioramento” (Rogers, 1961).

Come precedentemente accennato la nascita del counseling viene attribuita allo psicologo statunitense Carl Rogers, che con il suo particolare “approccio centrato sulla persona” ha fornito un indispensabile contributo nell’ambito della psicologia umanistica nonché delineato la struttura del Counseling. Tale approccio sottende una visione olistica e ottimista della natura umana che si basa sul rispetto della persona e sulla fiducia nelle sue potenzialità di recuperare il proprio equilibrio, una visione dell’uomo come agente di scelte, libero e spontaneo. Per Rogers ogni persona ha una tendenza intrinseca che spinge all’autorealizzazione e ad utilizzare le proprie risorse in modo costruttivo, in presenza di condizioni facilitanti.

A tale tendenza viene associata dunque una volontà naturale di vivere, di migliorarsi, di conservarsi e modificarsi, e questo traspare dalle stesse parole dello psicologo statunitense: “non condivido il punto di vista tanto diffuso secondo cui l’uomo è un essere fondamentalmente irrazionale i cui impulsi, se non fossero controllati, condurrebbero alla distruzione sua e degli altri. Il comportamento dell’uomo è invece squisitamente razionale e si orienta, con una complessità sottile e ordinata, verso le mete che l’organismo gli pone” (Rogers, 1961). La tendenza attualizzante è insita nell’uomo, e consente di direzionare con successo i propri processi decisionali e esistenziali sulla scorta di risorse e capacità proprie, che riorganizzate in modo positivo, portano a risposte più adeguate ed efficaci, e ad un sano sviluppo personale.

Per Rogers, infatti, la natura dell’uomo e della sua personalità “è positiva nella sua natura-socievole, direzionata in avanti, ragionevole e realistica” (Idem). La tendenza attualizzante è presente in ogni uomo e attraverso un clima favorevole, permette ad ogni individuo il pieno sviluppo e la propria autorealizzazione attraverso l’autoregolazione. Il fine della terapia è dunque quello di creare le condizioni favorevoli che permettano alla tendenza attualizzante di operare così che la persona possa crescere verso la propria autorealizzazione.

Rogers non nega la psicopatologia, però vede disfunzionale utilizzare la diagnosi come etichetta che fa perdere di vista la persona e crea “la profezia che si autodetermina”. Il metodo terapeutico di Rogers viene detto anche “non direttivo” o “centrato sul cliente”. Non direttivo in quanto il terapeuta rispetta la tendenza ad autodeterminarsi del cliente limitandosi a creare le condizioni che possano facilitare la crescita, processo in cui a “crescere” non è in realtà solo il cliente ma anche il terapeuta stesso. Terapeuta e Cliente sono quindi in una situazione paritaria e la terapia è vista come un incontro tra due persone che fanno un percorso di crescita insieme. A riprova della fertilità di un clima favorevole e della tendenza auto-realizzante troviamo le seguenti parole: “Sulla base delle mie esperienze, ho notato che se posso contribuire a creare un clima contrassegnato da genuinità, apprezzamento e comprensione, allora avvengono cose molto stimolanti. Gruppi e persone si muovono, in un clima simile, dalla rigidità verso la flessibilità, da un esistere statico a un vivere dinamico, dalla dipendenza verso l’autonomia, dalla difensività verso l’auto-accettazione, da un essere ovvio e scontato verso una creatività imprevedibile. Diventano in tal modo una prova vivente di una tendenza alla realizzazione” (Idem). In definitiva, affinché si verifichi il cambiamento nella persona, vi deve essere un clima di accettazione, empatia e fiducia. Rogers sottolinea la necessità di sicurezza e calore umano nel rapporto terapeutico e l’importanza di instaurare una modalità relazionale accogliente e facilitante. È importante che la persona sia motivata ad intraprendere un percorso e che percepisca nel terapeuta quelle che Rogers ha definito come le tre condizioni necessarie e sufficienti che il terapeuta deve possedere affinché si manifesti il cambiamento: accettazione positiva incondizionata, empatia e congruenza.

Attraverso un’accettazione incondizionata che abbassa le difese e neutralizza la resistenza al cambiamento, e una comprensione empatica si da vita ad una autentica relazione di aiuto.

Per Rogers avere considerazione per una persona vuol dire accettarla così com’è nella sua specificità e prestargli fin dall’inizio un’attenzione sincera, in modo da costruire con la stessa una relazione autentica dalla quale poter insieme partire per raggiungere la strada del cambiamento. L’accoglienza è la porta che da accesso alla comunicazione. Se non mi sento accolto resto bloccato in partenza o per molto tempo e in tal modo la comunicazione non ha luogo, la relazione muore sul nascere. È alquanto difficile accogliere l’altro nella giusta maniera, così come è altrettanto difficile avere in concessione dall’altro più di un varco d’accesso alla propria sofferenza interiore. L’accoglienza è il primo gradino di una relazione, è attenzione privilegiata rivolta ad una persona, è andare incontro all’altro e riconoscerlo. La vera accoglienza è apertura, disponibilità all’altro. Accogliere significa dunque accettare incondizionatamente. Sappiamo tutti ad esempio quanto un sorriso semplice e sincero possa essere importante soprattutto in una particolare fase della vita.  Abbiamo tutti bisogno di essere accolti così “come siamo”, nonostante le mille e più sfaccettature di una personalità che mai, nella sua interezza, riesce a mostrarsi all’altro. La maggior parte delle relazioni in genere falliscono proprio a causa di un’erronea valutazione, vengono sfaldate proprio da un’avvertita presenza del giudizio. È alquanto facile classificare l’altro ed etichettarlo in categorie conosciute e rassicuranti. Il sentirsi catalogati però raffredda un incontro e rende difficile la comunicazione.

L’accettazione e l’ascolto attivo sono fondamentali; solo nel momento in cui si accetta l’altro, con atteggiamento positivo e privo di pregiudizio, si imbocca la strada che porta al cambiamento.

Attraverso l’accettazione positiva incondizionata si possono ristabilire, assieme al cliente, le condizioni di autostima e di sicurezza perdute e pervenire ad una più obiettiva rielaborazione delle proprie esperienze e dei propri sentimenti. Proprio attraverso questo lavoro personale si perviene a comprendere e meglio ristabilire le condizioni necessarie per superare quel disagio o malessere che ha interrotto o modificato il normale modo di vivere della persona in difficoltà. Attraverso l’ascolto attivo e partecipativo prende forma quell’atto volontario che oltrepassa le parole e nel quale si partecipa mettendo in gioco se stessi, aprendo mente e cuore fino a comprendere in profondità ciò che l’altro dice e ciò che l’altro è. L’ascolto attivo ci impegna a voler realmente comprendere l’altro in riferimento alle sue idee e ai suoi sentimenti. L’ascolto autentico dell’altro esige accettazione, coinvolgimento, partecipazione e riconoscimento. Non ci può essere ascolto senza un riconoscimento dell’altro in quanto tale, del suo essere diverso da me nella sua esclusiva e propria unicità. Ascoltare attivamente significa immaginare noi stessi nella situazione vissuta dall’altro, relazionarsi in maniera empatica, mettersi nei panni dell’altro rispettando la distinzione tra se e l’altro, è comprendere l’altro, i suoi vissuti, i suoi punti di vista, senza identificarsi con lo stesso; l’ascolto attivo è il momento in cui chi ascolta “riflette” il contenuto del messaggio dell’altro dimostrando concretamente non solo di averne capito il vero senso, ma anche di averne accettato il contenuto senza giudizi (Gordon, 2014). Il Counselor comprende i sentimenti del cliente, vede e vive il mondo del cliente come lo stesso lo percepisce, anche se è diverso dal suo modo di esperire, rispetta la diversità dell’altro e tiene conto della differenza dell’altro da sé, sta con quello che la persona porta, rimane nel “qui ed ora”, rispetta lo schema di riferimento del cliente, cioè come la persona vede se stessa, gli altri, il mondo, rispetta i suoi tempi e rimanda la sua comprensione all’altro, nel modo in cui l’altro può comprenderlo, mantenendo la distanza necessaria che gli consente di rimanere indipendente, di essere una persona separata che capisce, ma non si lascia coinvolgere dall’emozione dell’altro. Fondamentale nell’approccio rogersiano e il contesto o setting psicoterapeutico, attraverso il quale, il terapeuta cerca di capire come il paziente stesso si rappresenta con il mondo che gli sta attorno. In questo contesto si creano le condizioni per una migliore percezione di sé e per la correzione delle idee falsate di sé, permettendo al soggetto di costruirne di più congrue all’espressione dei propri bisogni, favorendo la capacità di coping (processo che nasce da interazioni che superano o sfidano le risorse di un soggetto e che è formato da molteplici componenti, quali la valutazione cognitiva degli eventi, le reazioni di disagio, le risorse personali e sociali, etc.), e restituendogli il senso di efficacia nella soluzione dei problemi. Un altro aspetto essenziale nella psicologia rogersiana è la congruenza. Essere congruente significa essere in accordo con se stessi e saper esprimere i propri bisogni, aspirazioni, sentimenti. Tutto ciò presuppone di prendersi il tempo per riflettere, comprendere ciò che l’altro è in grado di ascoltare, saper scegliere il momento e prestare attenzione al modo in cui lo si dice. Il terapeuta è nella relazione una persona reale e trasparente, autentica, capace di esperire la realtà interna ed esterna senza distorcerla, conosce se stesso e i propri limiti, è in contatto con i propri sentimenti e presta attenzione a non proiettare sugli altri. In un clima facilitante in cui siano presenti accettazione positiva incondizionata ed empatia la persona sperimenta “un’esperienza emozionale correttiva”, inizia a lasciar emergere le emozioni, impara a simbolizzare correttamente le esperienze, aumenta la congruenza e il concetto di sé diventa più fluido; la persona diventa poco alla volta più consapevole ed accettante; sensazioni, emozioni, stati d’animo possono gradualmente entrare a far parte della sua immagine di sé e così egli perviene ad una maggiore unità ed integrazione. Da questo modo di intendere la cura, verso un cliente che “lui più di tutti sa”, prende forma il Counseling di Carl Rogers.

 


 

Burnout: Discussione dei risultati e conclusioni

Discussione dei risultati e conclusioni

La correlazione positiva tra esaurimento emotivo e depersonalizzazione assieme alla correlazione negativa tra esaurimento e realizzazione lavorativa, sono coerenti con gli studi di Maslach e Jasckson (1982), per i quali sebbene interrelate, sono concettualmente diverse e correlate distintamente ad altre variabili come l’autorità decisionale, skill discretion, task controll indagate nella seguente ricerca.

Secondo il modello Job Demands-Resources model” (JD-R), il carico di lavoro (“job demand”) può portare a un deterioramento della salute con esiti di burnout in conseguenza dello “stress-lavoro correlato”, mentre le risorse (“job resources”) ad una incentivazione dell’impegno del lavoratore, “work engagement”, grazie ad un processo di tipo motivazionale.

In relazione a ciò, i risultati sono altalenanti: per certi versi se ne distaccano perché ad un maggior controllo delle attività si avrebbe un minor grado di discrezionalità; per altri, ne danno una conferma: così come si riporta con la Job demand (Demerouti et al.,2001) è emerso che all’aumentare dello sforzo fisico si riduce realizzazione lavorativa, così come si è riscontrato che ad un aumento dello sforzo fisico si abbia un aumento della pressione lavorativa.

Coerentemente con le Job-Resources (Bakker e Demerouti, 2007), è emerso che con una maggiore supervisione aumenti la skill discretion. Tuttavia ad aumento della supervisione si avrebbe anche un aumento dell’insicurezza, ciò potrebbe essere ricondotta al costrutto della supervisione violenta o abusante (abusive supervision), che per definizione corrisponde alla percezione dei sottoposti rispetto a comportamenti verbali e non verbali ostili (con esclusione del contatto fisico) emessi dai superiori; una situazione del genere si ha quando un superiore giudica come insensate le sensazioni o le idee dei suoi sottoposti o umilia un soggetto davanti ad altri (Mawritz et al., 2012)

La COR Theory (Innstrand et al., 2002; Hakanen et al., 2005) prende in considerazione il proactive coping process, cioè la capacità del lavoratore di ricercare e rafforzare le proprie risorse in modo da poter influenzare e gestire l’ambiente in cui opera. Questa teoria si basa sulla convinzione che l’individuo si adoperi attivamente per ottenere e mantenere ciò che per lui è più rilevante (ad es supporto dei colleghi). In effetti, su questo prospettiva è emersa una correlazione positiva tra il supporto dei colleghi e la skill discretion. Tuttavia, appaiono anomale la correlazione tra il supporto dei colleghi e l’insicurezza lavorativa e tra il supporto dei colleghi e la supervisione sociale.

Dalla ricerca emerge che un lavoro che richiede un alto grado di sforzo fisico sia predittore di una bassa realizzazione lavorativa, probabilmente perché, secondo la Job-Demand, un continuo sforzo fisico comporta specifici costi psicologici (Demerouti et al., 2001).Per quanto riguarda la depersonalizzazione e la skill discretion predicono l’esaurimento emotivo.

Alla luce di ciò tra i fattori di rischio vi sono lo sforzo fisico, la depersonalizzazione ad esempio, mentre tra i fattori di protezione figura il supporto dei colleghi.Rispetto all’ipotesi

“verificare quanto le esperienze di lavoro positive e negative contribuiscano alla qualità della vita lavorativa”, si deduce che le richieste caratterizzate da uno sforzo fisico ed una supervisione abusante non contribuiscano ad una buona qualità di vita lavorativa. D’altro canto, il supporto dei colleghi, la skill discretion permettono invece di avere una qualità di vita lavorativa migliore.

In conclusione la ricerca ha soddisfatto in parte le ipotesi iniziali, ma è bene far presente alcune limitazioni. In primo luogo, la generalizzazione dei nostri risultati è molto limitata perché lo studio era basato su una selezione di insegnanti di una sola località Siciliana, quindi i risultati non sono rappresentativi della Sicilia in quanto tale. In secondo luogo, si tratta di uno studio su piccola scala, pertanto sarebbe auspicabile replicare lo studio estendendo il campione della popolazione di riferimento. Sarebbe opportuo prendere in esame inoltre variabili come gli anni di insegnamento. Nonostante ciò, la ricerca offre una possibilità di dibattito. Ad ogni modo, in vista di ricerche future, sarebbe auspicabile ed interessante indagare altre variabili ed estendere la somministrazione dei questionari ad un campione più ampio, che possa essere numericamente significativo della popolazione di riferimento.

 

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https://www.researchgate.net/publication/304925751_La_qualita_dell%27ambiente_di_lav oro_percepita_dagli_infermieri_in_contesti_organizzativi_a_gestione_infermieristica_e_tr adizionale

https://www.researchgate.net/publication/305816049_La_motivazione_al_lavoro_e_la_sod disfazione_lavorativa_un_inquadramento

https://www.researchgate.net/publication/313987066_ASSERTIVITA_E_BURNOUT_UN A_RICERCA_SU_UN_GRUPPO_DI_MEDICI_OSPEDALIERI_Assertiveness_and_burn out_A_research_on_a_group_of_physicians

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https://www.researchgate.net/publication/324601731_La_valutazione_del_benessere_orga nizzativo_una_integrazione_del_questionario_ANAC_Autorita_Nazionale_Anticorruzione http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/home/_RisultatoRicerca?id=ed0d622e0a

77804266c291bc669a1d05&search=benessere http://www.elpendu.it/itstories/story$num=550

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sociali_di_stress_e_burnout_a_scuola_una_ricerca_su_un_campione_di_docenti_italiani http://link.springer.com/content/pdf/10.1007%2Fs1064301305954.pdf

 


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Burnout: analisi dei dati

Analisi dei dati

 

L’analisi correlazione di Pearson ha messo in evidenza le correlazioni delle variabili considerate nel presente studio, permettendo di valutare se le relazioni identificate riproducono quelle predette a livello teorico. In questa prospettiva, la considerevole correlazione positiva tra depersonalizzazione ed esaurimento emotivo (r= .503, p < .001) conferma le aspettative, così come la correlazione negativa con la realizzazione lavorativa (r =  – .241; p < .05 ).

Anche nel caso dell’autorità decisionale le correlazioni di entità modesta con la discrezione (r= .371; p < .01 ) e con l’esaurimento emotivo (r= – .263;p < .05) restituiscono lo schema teorico generale, dove una maggiore autorità decisionale è associata ad una maggiore discrezionalità ed a un minore esaurimento emotivo.

Contrariamente rispetto a quanto riportato nelle evidenze teoriche di Margot van der Doef e Stan Maes (1999), il controllo delle attività ha una correlazione negativa con la discrezione (r= – .374; p < .01), sembrerebbe quindi che il controllo delle attività si leghi ad un minor grado di discrezione.

Per quanto concerne lo sforzo fisico, dai dati emerge che ad un aumento di quest’ultimo si abbia una minore la realizzazione lavorativa (r= . – 256; p< .05); ciò è in linea con la JobDemand, per la quale: aspetti che richiedendo uno sforzo continuo sono associati a costi psicologici, in questo caso ad una ridotta realizzazione lavorativa (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001); Inoltre, la correlazione positiva tra sforzo fisico e pressione lavorativa (r= .315; p < .01 ) suffraga le ipotesi attese.

In linea con le Job-Resources (Bakker, Demerouti, & Euwema, 2005), si ha una correlazione positiva tra supervisione sociale e discrezione (r= .330; p < .01 ): un aumento della supervisione si legherebbe ad un aumento della skill discretion. Su questo versante la supervisione sociale correla positivamente con l’insicurezza lavorativa (r= . 739; p < .001), ciò potrebbe significare che la modalità della supervisione sociale adottata invece di conferire accoglienza e supporto, genererebbe confusione ed insicurezza.

E’ stata messo in evidenza che il supporto dei colleghi correli positivamente con la skill discretion (r= .265; p< .05): sembrerebbe confermare le considerazioni teoriche secondo cui il supporto dei colleghi permetta l’aumento delle possibilità di imparare cose nuove, dall’opportunità di valorizzare le proprie competenze. Invece, si discosta da ciò correlazione tra il supporto dei colleghi e l’insicurezza lavorativa: un aumento del supporto dei colleghi si lega ad un aumento dell’insicurezza lavorativa (r= .401; p < .001 ). Emerge infine anche una correlazione positiva tra il supporto dei colleghi e la supervisione sociale (r=.622; p < .001).

La prima regressione lineare multipla[1] mette in evidenza come tra le variabili prese in considerazione (Genere, Età, Anni_SERV, ZDeperson, ZRealiz_Lav, ZSK_Discretion, ZDecision_Authority, ZTask_Control, ZWT_Pressure, ZPhysical_Exertion, ZJob_Insecurity, ZSocialS_Superv, ZSocialS_CoWork, ZJOB_Satisfaction) il miglior modello statisticamente significativo (F(2,68)= 15.70 p < .001, R² = .32 ) identifichi due predittori statisticamente significativi: l’esaurimento emotivo aumenta in presenza di una maggiore depersonalizzazione, e diminuisce in presenza di una maggiore Skill_Discretion. Il primo predittore (depersonalizzazione) si ben collega alla considerevole correlazione positiva tra depersonalizzazione ed esaurimento emotivo (r= .503, p < .001) confermandone ulteriormente le ipotesi attese. Il secondo predittore dell’esaurimento emotivo, ovvero la skill discretion avvalora la precedente correlazione positiva tra supporto dei colleghi e skill discretion (r= .265; p< .05), perché alte possibilità di imparare cose nuove e valorizzare le proprie competenze permette di ridurre il livello di esaurimento emotivo.

Dalla seconda regressione lineare multipla[2] si evince che tra le variabili prese in considerazione (Genere, Età, Anni_SERV, ZDeperson, ZEusar_EM, ZSK_Discretion,

ZDecision_Authority, ZTask_Control, ZWT_Pressure, ZPhysical_Exertion, ZJob_Insecurity, ZSocialS_Superv, ZSocialS_CoWork, ZJOB_Satisfaction) il migliormodello statisticamente significativo (F(2,68)= 4.761  p 0.033, R² = .65 ) introduca un predittore statisticamente significativo: la realizzazione lavorativa diminuisce in presenza di un maggior sforzo fisico. Anche nelle correlazioni, all’aumento dello sforzo fisico si aveva una minore la realizzazione lavorativa (r= .– 256; p< .05). Ancora una volta subentra la Job-Demand, per la quale: aspetti che richiedendo uno sforzo continuo sono associati a costi psicologici, in questo caso ad una ridotta realizzazione lavorativa (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001).


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[1] Il metodo scelto è stato quello della forward selection che determina ilmodello ottimale partendo da zero, inserendo una alla volta le varie variabili esplicative da considerare, validate secondo il loro “contributo” predittivo. Il processo di inclusione\esclusione si blocca soddisfatti i criteri di arresto, nel nostro caso p-value minore di 0.05. Regole poco restrittive rischiano di creare un modello troppo complesso e poco efficace\efficiente (Tosato, 2009).

[2] Il metodo scelto è stato quello della forward selection che determina ilmodello ottimale partendo da zero, inserendo una alla volta le varie variabili esplicative da considerare, validate secondo il loro “contributo” predittivo. Il processo di inclusione\esclusione si blocca soddisfatti i criteri di arresto, nel nostro caso p-value minore di 0.05. Regole poco restrittive rischiano di creare un modello troppo complesso e poco efficace\efficiente (Tosato, 2009).

Burnout ricerca e insegnanti: obiettivi e ipotesi

Burnout ricerca e insegnanti: obiettivi e ipotesi

 

La presente ricerca nasce a partire dal desiderio di comprendere parte delle esperienze nell’ambito lavorativo dell’insegnante. Gli obiettivi del seguente studio sono stati:

  • Osservare i fattori di rischio ed i fattori di protezione in un campione di insegnanti di scuole secondarie.
  • Verificare quanto le esperienze di lavoro positive e negative contribuiscano alla qualità della vita lavorativa

 

  • Metodo

Alla ricerca hanno preso parte 138 docenti. Il numero dei partecipanti volontari è pari a 70, tra cui donne (67%) e uomini (33%),con 7 scuole di afferenza. L’età media del campione era pari a 50 anni (M= 50,4, DS=8,7).

 

  • Procedura

Lo studio è stato condotto da Luglio 2018 a Febbraio 2019, approfondendo prima la letteratura in merito al burnout ed implementando poi le linee guida alla base della futura ricerca. Il questionario utilizzato è stato caricato sulla piattaforma Google Docs. Il link è stato inviato tramite e-mail ad un campione di convenienza di 138 soggetti. I criteri d’inclusione allo studio sono stati: uomini e donne attualmente docenti in una scuola secondaria della Sicilia. Il modulo Google era composto da due test: Leiden Quality of Work (Margot van der Doef e Stan Maes ,1999) e Maslach Burnout Inventory (Maslach e Jackson, 1981). Il primo è stato interamente tradotto dall’inglese in italiano; per quanto concerne l’MBI è stato invece preso in esame l’adattamento italiano di Sirigatti e collaboratori (1988).

  • Strumenti

In genere, buona parte degli studi su questo argomento sono stati realizzati su docenti appartenenti a scuole secondarie. Inoltre, considerato che la maggior parte degli strumenti utilizzati in campo internazionale sono stati adattati per questa tipologia di campione, risulta opportuno indagare il rapporto tra le variabili considerate su un campione con parametri simili.

Gli strumenti che sono stati utilizzati sono:

Leiden Quality of Work (Margot van der Doef e Stan Maes, 1999): si tratta di uno strumento psicometrico formato da 60 items sulla vita lavorativa. Nel questionario della ricerca sono stati presi in esame 41 items (es. factor loading considerati: potere decisionale, controllo delle attività, supporto sociale del dirigente, soddisfazione lavorativa etc.). Ogni item presenta una scala di risposta a 5 punti con ancoraggi da: 1. Molto d’accordo a 5. Per niente d’accordo.

Maslach Burnout Inventory (adatt. Italiano, Sirigatti et al., 1988): questa scala è stata messa a punto da Maslach e Jackson (1981); si tratta dello strumento maggiormente impiegato per identificare le dimensioni psicologiche che sostanzierebbero la sindrome del burnout. Lo strumento è formato da 22 item: ciascuno di essi si inserisce in uno dei tre diversi fattori, quali esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione professionale.

È stato utilizzato l’adattamento italiano a cura di Sirigatti e collaboratori (1988) su una scala di frequenza a 7 punti (1. Mai; 2. Qualche volta all’anno; 3. Almeno una volta al mese;4. Più volte al mese; 5. Una volta alla settimana; 6. Più volte alla settimana; 7. Tutti i giorni).


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Burnout La ricerca sugli insegnanti: Introduzione

La ricerca sugli insegnanti

“Quando il mondo cessa di essere il luogo dei nostri desideri e speranze personali, quando l’affrontiamo come uomini liberi, osservandolo con ammirazione, curiosità e attenzione, entriamo nel regno dell’arte e della scienza. Se usiamo il linguaggio della logica per descrivere quel che vediamo e sentiamo, allora ci impegniamo in una ricerca scientifica. […] Elemento comune alle due esperienze è quella appassionante dedizione a ciò che trascende la volontà e gli interessi personali.”  (A. Einstein, 1954)

 

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Introduzione

Lo stress (Selye,1976) è il costrutto al quale può essere ricondotta la gamma più ricca delle diverse forme di disagio lavorativo (Cooper, 1981). La persona che sta male nel contesto lavorativo risponde nella maggior parte dei casi in termini di distress con gradi diversi di negatività ed intensità (Leiter e Maslach, 2003). A questo proposito, la sindrome del burnout è l’esito di una condizione lavorativa stressante, a cui la persona non ha saputo o potuto rispondere in modo adeguato; il burnout ha un’insorgenza graduale ed è la conseguenza di uno stress cronico (Peddiztsi e Nonnis, 2014). Il primo modello fu quello di Maslach (Maslach, 1982), per il quale la sindrome è caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale, e può insorgere in operatori che lavorano a contatto diretto con le persone (per un approfondimento si rimanda al capitolo primo e secondo). Negli ultimi anni il burnout ha attirato notevolmente l’attenzione dei ricercatori, portando alla pubblicazione di numerosi articoli. Questo grande interesse nasce dalle varie conseguenze che esso comporta sia a livello individuale che collettivo. Diversi altri recenti studi hanno utilizzato lo strumento MBI di Maslach ed il rispettivo modello (Maslach, 1982), consentendo di comparare i risultati delle ricerche con una vasta letteratura internazionale nel campo delle professioni di servizio agli altri.

Per quanto concerne la professione dell’insegnante, Maslach e collaboratori (Maslach, 1982; Sirigatti e Stefanile, 1993) misero in evidenzia che gli insegnanti in burnout possono manifestare verso i propri allievi atteggiamenti di cinismo ed indifferenza, utilizzando etichette offensive, atteggiamenti freddi e distaccati, distanza fisica e psicologica dagli allievi, disagio psicologico. I dati raccolti in Italia dal Distretto Sanitario di Milano dal gennaio 1992 al dicembre 2003, nella valutazione dell’idoneità al lavoro di numerosi dipendenti pubblici (insegnanti, impiegati, operatori sanitari e operai), hanno rivelato che il rischio da parte degli insegnanti di sviluppare disturbi psichiatrici è da 2 a 3 volte superiore a quello di impiegati, operatori sanitari e cosiddetti colletti blu (Lodolo D’Oria et al.,2004). Uno studio condotto nel 2009 (Lodolo D’Oria et al., 2005) su 1.295 insegnanti provenienti da dieci diverse regioni italiane, ha evidenziato che gli insegnanti sono inconsapevoli dei rischi per la salute legati al loro lavoro. Un altro studio condotto in Italia su un campione di 697 insegnanti di diversi ordini scolastici (Guglielmi et al., 2005) ha evidenziato la fatica mentale nella mediazione tra le richieste di lavoro degli insegnanti e le conseguenze dello stress. La letteratura sul burnout degli insegnanti da tempo infatti si interroga sulle possibili determinanti della sindrome, andando a ricercare fra una molteplicità di variabili (individuali, sociodemografiche, relazionali, organizzative) i principali predittori di burnout. Per quanto riguarda l’età di insorgenza della sindrome, alcune ricerche sugli insegnanti sostengono che il burnout si manifesti con maggiore frequenza nei primi anni di lavoro (Maslach e Leiter, 2000; Santinello, 2007), altre invece sottolineano un incremento della vulnerabilità al burnout che si verifica all’aumentare dell’anzianità di servizio, a causa delle limitate energie e risorse da investire nelle attività lavorative (Mearns e Cain, 2003). Si ritiene opportuno inserire quanto riportato nell’articolo di Peddiztsi e Nonnis (2014) a questo proposito.

“Gli insegnanti che lavorano con studenti di scuola secondaria di primo e secondo grado tendono ad avere livelli più bassi di realizzazione personale rispetto ai loro colleghi della scuola primaria (Hall-Kenyon et al., 2013; Ullrich et al., 2012) e hanno anche più frequenti sentimenti di depersonalizzazione (Pedditzi et al., 2012). Gli insegnanti maschi tendono ad ottenere punteggi più alti nella scala della depersonalizzazione (Skaalvik e Skaalvik, 2007; Pinelli et al., 1999), e le insegnanti invece tendono a totalizzare punteggi più alti nell’esaurimento emotivo ( Pedditzi et al., 2012).Sul fronte delle relazioni interpersonali, diversi studi evidenziano come fonte di burnout dei docenti la mancanza di cooperazione con i genitori degli alunni, associata al disinteresse degli stessi genitori per la crescita educativa dei propri figli ( Skaalvik e Skaalvik, 2007),nonché il rapporto con studenti problematici e l’incapacità dell’insegnante di far fronte alle condotte turbolente, iperattive, pericolose e indisciplinate di questi, la demotivazione allo studio, la scarsa cooperazione per il raggiungimento degli obiettivi didattici, la presenza di aule sovraffollate (Di Pietro e Rampazzo, 1997; Francescato et al., 1994; Pinelli et al., 1999). A questo proposito, diversi studi si concentrano sulle implicazioni che il burnout può avere sul piano educativo e dei processi di apprendimento scolastico. La sindrome può avere infatti un impatto negativo non solo sullo stato di salute e benessere dell’insegnante e dell’organizzazione scolastica, ma anche sulla relazione docente-allievo e sul processo di insegnamento-apprendimento (Pas, et al., 2010; Pedditzi, 2005; Spilt et al., 2011). Fra le variabili organizzative, studiate in relazione al burnout dei docenti si considerano: il conflitto, la partecipazione alle decisioni, il sistema retributivo, l’autonomia, il clima e le reti di supporto sociale (Aluja et al., 2005; Collie et al., 2012; Burns e Machin, 2013; Lodolo D’Oria et al., 2004; Maslach e Leiter, 2000; Olivas e Martinez, 2012). Si evidenzia in particolare lo squilibrio fra le condizioni di elevato sforzo a fronte delle scarse ricompense percepite (Zurlo et al., 2007). Tra i fattori individuali coinvolti nello stress dei docenti, alcuni studi si soffermano sull’immagine ideale e reale di sé in relazione al proprio lavoro (Pedrabissi e Santinello, 1990). Sarebbero a questo proposito più vulnerabili al burnout i docenti che hanno scelto la professione di insegnante come un ripiego e coloro che hanno compiuto questa scelta spinti da motivazioni idealistiche (Hong, 2010; Hong, 2012). L’immagine di sé e del proprio ruolo e le convinzioni personali dei docenti (Gong,2012) risultano interconnesse all’impegno nel proprio lavoro (Day et al., 2013; Spilt et al., 2011) e sono in grado di influenzare l’autostima personale e professionale. Da diversi anni in Italia6il disagio e l’insoddisfazione dei docenti spesso si associa all’immagine che l’opinione pubblica rimanda agli insegnanti che a fronte della loro bassa retribuzione economica (agli ultimi posti nelle classifiche internazionali), vengono considerati fruitori di una condizione privilegiata, legata ai loro tempi di lavoro.Il tema dell’orario di lavoro infatti risulta essere uno degli argomenti sul quale convergono il dissenso e il conflitto tra la scuola e l’opinione pubblica che spesso non tiene conto dell’orario lavorativo extra-scolastico dei docenti. Si evidenzia anche (Favretto, 1990) il ridotto riconoscimento sociale della categoria professionale rispetto a un passato in cui gli insegnanti godevano di maggiore prestigio sociale (Favretto, 1990). Anche sul versante familiare, l’immagine che il docente ha di sé tende a risentire del conflitto famiglia-lavoro e del carico di lavoro (spesso da portare a casa), ai quali possono associarsi altre esigenze personali e conflitti coniugali. L’interfaccia famiglia-lavoro (Cooper et al., 2009; Sutherland e Cooper, 1988; Hultell e Gustavsson, 2011), e nello specifico il conflitto fra le esigenze familiari e quelle lavorative (Chan et al., 2000; Innstrand et al., 2008), vengono pertanto considerate in relazione allo stress dei docenti. A tal proposito, diversi recenti studi si concentrano sulle risorse che possono moderare gli effetti negativi dello stress e il conflitto famiglia-lavoro e in particolare: il supporto sociale (Greenglass, 1994), la flessibilità (Chan et al. , 2000; Eek e Axmon, 2013), la padronanza (Hultell e Gustavsson, 2011), le strategie di coping (Doménech Betoret et al., 2010; Mearns e Cain, 2003), la resilienza (Doney, 2013) e l’autoefficacia dei docenti (Schaufeli et al., 2008; Schwarzer e Hallum, 2008; Simbula e Guglielmi, 2011).” Peddiztsi e Nonnis (2014).

A ciò si collega l’articolo di Rosa e Alessandri (2009) noto come “L’efficacia dei docenti: come promuovere l’impegno nell’organizzazione e la soddisfazione lavorativa”. L’articolo (Rosa e Alessandrini, 2009) dichiara che: “[…] le profonde trasformazioni del sistema scolastico, unitamente alla variazione della composizione demografica del contesto nazionale, hanno innescato una profonda riconsiderazione del ruolo del docente, ampliando e diversificando l’impegno richiestogli ed assegnando una funzione centrale all’aggiornamento continuo (Trombetta, 1997; Drago, 2006). All’interno della struttura organizzativa scolastica risulta di particolare rilievo il coinvolgimento attivo e la partecipazione consapevolmente critica di tutte le sue componenti: la partecipazione favorisce condizioni di benessere organizzativo ed individuale. Tra le variabili prese in considerazione, in questo studio, l’impegno nell’organizzazione scolastica e la soddisfazione lavorativa dei docenti risultano prioritari nella progettazione ed implementazione di programmi di prevenzione. Le variabili vengono studiate all’interno del quadro di riferimento della teoria sociale cognitiva di Bandura [4, 5], che vede nel soggetto ‘agente’ il perno dello sviluppo e del cambiamento umano; l’individuo è capace di influenzare intenzionalmente la qualità e la tipologia degli eventi che caratterizzano la propria esistenza: influenza l’ambiente e ne viene influenzato. All’interno della teoria sociale cognitiva le convinzioni di efficacia personale degli individui, ovvero la convinzione di essere capace di produrre determinati effetti con le proprie azioni, rappresentano il fondamento dell’«agentività» (Bandura, 2001). Quando tali convinzioni sono abbastanza elevate, gli individui sono portati ad intraprendere le attività necessarie al conseguimento di determinati scopi, a sentirsi dunque attori e non spettatori, a resistere con più forza di fronte agli ostacoli che si frappongono al raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Le convinzioni di autoefficacia, considerate al pari di altri fattori associati con la prestazione lavorativa (ad es. l’anzianità di servizio, la soddisfazione lavorativa, il profilo di personalità), predicono in maniera più puntuale il rendimento degli individui all’interno dei contesti organizzativi (Bandura, 1997). All’accrescere della complessità dei sistemi sociali, quando l’efficienza di un determinato contesto richiede la capacità di tutti i partecipanti di mettere in comune abilità e capacità per concorrere al successo, come nell’organizzazione scolastica, oltre alle convinzioni di efficacia personale è importante prendere in considerazione il ruolo svolto dalle ‘convinzioni di efficacia collettivà (Bandura,2000). Come le convinzioni di autoefficacia, anche quelle di efficacia collettiva prendono in esame un giudizio individuale rispetto alla possibilità di influenzare, agire causalmente, o confrontarsi in maniera efficace, con specifici ambiti di esperienza.

Tuttavia, a differenza dell’efficacia personale, le convinzioni di efficacia collettiva colgono una caratteristica emergente a livello di gruppo (Bandura, 2000; Gibson et al., 2005); nel caso specifico della scuola, l’insegnante percepisce l’efficacia del corpo docente e della struttura organizzativa in generale nel far fronte alle nuove sfide che via via gli si presentano.

[…] Nel nostro paese recenti studi hanno mostrato che le convinzioni di autoefficacia degli insegnanti influenzano sia la loro soddisfazione, sia l’attaccamento che hanno verso l’organizzazione nella quale lavorano (Caprara et al., 1999; Caprara et al., 2003). Inoltre è stato evidenziato che le convinzioni di efficacia degli insegnanti possono influenzare le concezioni che gli studenti hanno di sé e, di conseguenza, anche il loro rendimento scolastico (Ross, 1998; Caprara et al., 2006).  Caprara e colleghi hanno recentemente proposto un modello concettuale (Caprara, 2003) che rappresenta una cornice di riferimento, ben validata all’interno del contesto scolastico italiano, per comprendere i fattori che influenzano il coinvolgimento lavorativo, l’impegno nell’organizzazione e la soddisfazione professionale dei docenti. In questo modello le convinzioni di autoefficacia svolgono il ruolo principale in una intricata catena causale che rende conto dei livelli motivazionali dei docenti. Si ipotizza, infatti, che le percezioni dell’ambiente medino l’influenza dell’efficacia personale su quella collettiva, e che quest’ultima influenzi l’impegno e la soddisfazione lavorativa dei docenti. Per percezioni della qualità del contesto scolastico si intende la valutazione soggettiva della qualità della dirigenza, delle relazioni con i propri colleghi, con gli alunni, con le famiglie e con i membri del personale ausiliare tecnico amministrativo (ATA), oltre all’efficienza della segreteria ed allo stato della struttura scolastica. Questo modello è stato testato su un’ampia popolazione di insegnanti di scuola secondaria di secondo grado, tuttavia ad oggi nessuno studio ha esaminato la bontà di questo modello negli ordini di scuola inferiori, ovvero quello primario e quello secondario di primo grado. Comprendere la generalizzabilità di tale modello attraverso i diversi ordini scolastici è essenziale alla luce della diversità delle competenze degli insegnanti, della qualità e del peso dei fattori contestuali e personali che possono incidere sull’impegno e sulla soddisfazione del docente al variare del livello scolastico.”  (Rosa e Alessandri, 2009)

Gli Autori (Rosa e Alessandri, 2009) su questa scia teorica hanno condotto uno studio su 375 docenti (310 donne e 65 uomini) di scuola primaria e secondaria di primo grado, appartenenti a sei differenti istituti scolastici; tra questi, 362 sono di ruolo e 13 sono supplenti. Nei locali didatti ai docenti è stata somministrata una batteria formata da un insieme di items presi da diverse scale coerenti con l’obiettivo di ricerca (scala dell’efficacia personale percepita, scala dell’efficacia collettiva percepita, scala della soddisfazione lavorativa etc.). Nelle conclusioni della ricerca (Rosa e Alessandrini, 2009) si legge che: “Il presente studio attesta l’influenza delle convinzioni di efficacia lavorativa dei docenti sulla percezione dell’ambiente lavorativo, ovvero il sistema scuola, ed il folto fascio di influenze che dalla percezione del contesto si diramano verso importanti variabili organizzative quali l’efficacia collettiva, l’impegno nell’organizzazione e la soddisfazione per il proprio lavoro. Una solida convinzione nella propria efficacia scolastica influenza la percezione del contesto organizzativo che circonda il docente. Quest’ultimo, lungi dall’essere sottoposto passivamente alle influenze del clima organizzativo, è invece un soggetto attivo: attraverso la lente delle proprie abilità percepite egli legge la realtà organizzativa che lo circonda e la influenza attivamente. Tale risultato è rilevante ai fini della comprensione dei fenomeni lavorativi capaci di influenzare la qualità del sistema individuo-organizzazione, tra i quali: l’adesione dei lavoratori alle regole caratterizzanti i contesti organizzativi, la messa in atto di comportamenti professionali positivi, la partecipazione attiva dei lavoratori. “L’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative” costituisce, per Avallone e Paplomatas (2005), la salute di un’organizzazione. In tal senso, rintracciare i nessi di influenza tra autoefficacia, percezione del contesto scolastico, efficacia collettiva e variabili organizzative, è di fondamentale importanza ai fini della promozione di una sempre crescente e migliore condizione di benessere soggettivo ed organizzativo, per prevenire i fattori di rischio psicosociale all’interno della scuola. Per rischi psicosociali, Cox e Griffiths (Cox et al., 1995) intendono infatti gli “aspetti di progettazione e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono arrecare danni fisici o psicologici”. I risultati ottenuti offrono un contributo alla comprensione dei processi psicologici che permettono alle convinzioni di efficacia lavorativa, ovvero alle capacità individuali, di tramutarsi in valide strategie organizzative; queste ultime avranno ricadute concrete non solo sul funzionamento degli istituti scolastici, ma anche sulle condizioni di benessere psicofisico di chi opera nella scuola, che a sua volta influenzerà gli altri attori e protagonisti della scuola, in particolare gli alunni. Macciocu e collaboratori (2003) affermano infatti che l’interazione tra i fattori umani, organizzativi ed ambientali concorre a determinare il livello globale del benessere psicofisico e della sicurezza. La differenza nella forza dei nessi, rappresentati dai coefficienti strutturali, che connettono le variabili studiate, mostra quali elementi vengono maggiormente influenzati dalle percezioni lavorative degli insegnanti, e indicano le vie da seguire ai fini della progettazione ed implementazione di programmi rivolti alla promozione della salute e della sicurezza. Come già notato infatti l’autoefficacia lavorativa è la variabile che senza dubbio assume il rilievo centrale: influenza direttamente le percezioni del contesto scolastico ed incide in maniera diretta ed indiretta sull’impegno e sulla soddisfazione lavorativa. Poiché le convinzioni di autoefficacia lavorativa possono essere gradualmente promosse e modellate attraverso opportuni programmi di intervento (1997), esse rappresentano di certo la via individuale per la promozione del cambiamento collettivo ed organizzativo. Una solida convinzione nell’adeguatezza delle proprie capacità determina negli individui un alto livello di persistenza di fronte alle difficoltà e dischiude il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi e gratificanti. I docenti maggiormente fiduciosi nelle proprie capacità non solo si impegnano di più nel proprio lavoro ma riferiscono.” Rosa e Alessandri (2009).

Pertanto, considerando sia la rilevanza dell’argomenti “insegnanti in burnout” e della variabile modalità (dalla scelta dei metodi di valutazione alle differenti tipologie di studio) con cui le innumerevoli ricerche sono state condotte, si presenta uno studio pilota che verte su questo costrutto. Lo studio si presenta come un tentativo per indagare la qualità della vita lavorativa degli insegnanti di scuole secondarie. Prima di stilare gli obiettivi, sono stati esaminati studi precedenti sull’argomento e presenti in letteratura come articoli di ricerca. Da ciò è emerso che un certo numero di ricercatori e teorici hanno prestato attenzione al costrutto di qualità di vita lavorativa (QWL) cercando di identificare i tipi di fattori che determinano tale esperienza lavorativa (Cohen et al., 1997; De Nitish, 1984; Subburethina Bharathi et al., 2011).


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Strategie di coping ed effetti sul burnout negli insegnanti

Strategie di coping ed effetti sul burnout negli insegnanti

 

“In una recente rassegna, Guglielmi e Tatrow (1999) hanno sottolineato che la mancanza di un solido quadro teorico di riferimento costituisce la principale debolezza della maggior parte delle indagini empiriche sullo stress degli insegnanti. Uno dei modelli teorici più conosciuti nel campo dello stress lavorativo i1 e modello domanda-controllo (D-C) proposto da Karasek (1979). Il modello si basa su due concetti chiave: la domanda lavorativa (job demands: ovvero l’insieme degli stressor psicologici come il carico lavorativo e l’intensa pressione temporale) e il controllo lavorativo (la quantità di potere discrezionale che un soggetto può esercitare sul proprio lavoro). La diversa combinazione della domanda e del controllo dà luogo a due categorie lavorative che hanno suscitato l’interesse di molti psicologi del lavoro:

  1. lavori caratterizzati da una combinazione di alte richieste lavorative (high job demands) e basso controllo (low control), in grado di produrre stress psicologico e fisico (“high strain jobs”);
  2. lavori le cui caratteristiche sono una contemporanea alta domanda e un alto controllo (high demands and high control), cosiddetti attivi (“active jobs”) in grado di generare alti livelli di benessere e di crescita personale.

Un aspetto cruciale della teoria riguarda il tipo di relazione (additiva – Strain hypothesis – 0 interattiva – Buffer hypothesis -) che intercorre tra le variabili del modello.

Nell’articolo originario Karasek afferma che il benessere psicofisico può essere predetto dalla relazione sinergica della domanda con il controllo, in modo tale che una loro combinazione sia in grado di produrre un effetto più nocivo dei semplici effetti additivi. La considerevole mole di ricerche volta alla dimostrazione dell’effetto interattivo e giustificata anche dalla portata applicativa di tale effetto. Come e stato ampiamente sottolineato (Parkes, 1991; Van der Doef e Maes, 1998), se fosse provata l’ipotesi interattiva, si potrebbero progettare interventi finalizzati ad aumentare il solo controllo; simile strategia sarebbe però meno efficace se invece fosse dimostrata l’ipotesi additiva. In questi anni numerose indagini empiriche hanno avuto come cornice teorica il modello domanda/controllo di Karasek, evidenziando nell’insieme risultati inconclusivi e contrastanti. Sebbene vi siano state conferme empiriche in studi di carattere epidemiologico, che consideravano principalmente come variabili dipendenti i disturbi cardio e cerebro-vascolari (Karasek et al., 1988; Pollard e col1., 1996), altre indagini hanno riportato uno scarso supporto per l’ipotesi interattiva, mettendo in luce solo effetti additivi (Daniel e Guppy, 1994; Furda, 1995). Per quanto riguarda le cosiddette professioni d’aiuto, non sono molti gli studi che hanno considerato le dimensioni del modello D-C come variabili antecedenti e il burnout come variabile dipendente. Inoltre i risultati evidenziati sono abbastanza ambigui e contrastanti. Se da un lato Landsbergis (1988) e De Jonge et al. (1996) hanno trovato supporto per l’ipotesi interattiva, dall’altro Melamed et al. (1991) e de Rijk et al. (1998) hanno evidenziato soltanto effetti additivi. Tali discordanze vanno ricercate nei diversi punti critici di carattere teorico e metodologico mostrati in più occasioni. Innanzitutto, alcuni autori (Narayanan et al., 1999; van der Doef e Maes, 1999) hanno detto che le tradizionali scale di misura, utilizzate negli studi sullo stress lavorativo, non descrivono adeguatamente le situazioni e gli agenti stressanti specifici di ciascun lavoro, sottolineando la necessita di sviluppare misure specifiche per le diverse professioni. In secondo luogo, il fatto che inizialmente il modello trovi conferma in studi di carattere epidemiologico con vasti ed eterogenei campioni sembra dovuto all’ effetto spurio della variabile status socioeconomico, poiché in indagini basate su campioni più piccoli ed omogenei non ha mostrato analoghe conferme (Ganster, 1989). lnfine il modello è stato criticato da più parti per lo scarso rilievo dato alle differenze interindividuali circa la vulnerabilità agli stressors psicosociali (Kristensen, 1995). De Rijk et al. (1998), per esempio, in uno studio condotto su un gruppo di infermieri di terapia intensiva, hanno mostrato l’effetto interattivo delle strategie di coping orientate al compito con le variabili del modello D-C. Le assunzioni di Karasek sono state confermate solo dai soggetti caratterizzati da strategie di coping orientate al compito, poiché questi hanno rilevato punteggi più alti di esaurimento emotivo nella condizione di alto strain (alta domanda e basso controllo) rispetto alla condizione di alto apprendimento (alta domanda e alto potere discrezionale). Gli infermieri caratterizzati da basso coping orientato all’azione hanno mostrato in entrambi i casi alti valori di esaurimento emotivo. Il termine coping si riferisce all’ insieme degli sforzi volti a gestire, ridurre o tollerare le richieste poste dall’interazione con l’ambiente circostante (Cohen e Lazarus, 1973). Sebbene in letteratura sia stato identificato ed esplorato un ampio ventaglio di strategie di coping, possiamo comunque osservare una distinzione di base fra strategie e stili di coping focalizzati sul problema e stili di coping focalizzati sulla persona (Parker e Bndler, 1992). Le strategie di coping focalizzate sul problema (o compito) riguardano l’insieme dei tentativi, cognitivi e comportamentali, finalizzati alla risoluzione dello stressor, a minimizzarne gli effetti negativi o a riorganizzarlo cognitivamente. Il coping focalizzato sulla persona (o sulla gestione delle emozioni) concerne, invece, tutte quelle strategie orientate verso il se, come il rimuginare e il “sognare ad occhi aperti ” per tentare di dominare le reazioni emotive negative derivanti dagli stressor ambientali. Numerosi studi (Billing e Moos, 1981, Suls e Fletcher, 1985) hanno identificato una terza dimensione, definita evitamento, che indica il sottrarsi alla situazione stressante. Diverse ricerche hanno messo in luce gli effetti positivi delle strategie di coping focalizzate sul problema, e quelli negativi del coping orientato all’emozione, sul benessere psico-fisico (Higgins e Endler, 1995). Per quanto riguarda le strategie di coping orientate all’evitamento, ci troviamo di fronte a risultati decisamente contrastanti (Billing, Moos, 1981; Suls, Fletcher 1985).  […]” (Pisanti, Lucidi, Bertini, 2001)

Una volta riportato il preambolo teorico espresso da Pisanti e colleghi nel loro articolo (Pisanti, Lucidi e Bertini, 2001), si include di seguito lo studio condotti dagli Stessi. Nel loro lavoro (Pisanti, Lucidi e Bertini, 2001), il modello D-M è stato testato in un gruppo di docenti di scuola secondaria superiore, considerando il burnout come variabile dipendente. In aggiunta, lo studio si è proposto di esplorare gli stili individuali di coping (azione, emozione e evitamento), al fine di verificare se una loro inclusione fosse in grado di apportare miglioramenti al potere esplicativo del modello.

“Lo studio è stato condotto a Roma, alla fine dell’anno scolastico 1997-98, con l’adesione di sei istituti, diversi per il tipo di materie insegnate e per il livello socioeconomico degli studenti. Ai docenti (N = 480) è stata chiesta la partecipazione ad un’indagine, che si sarebbe svolta attraverso la compilazione di un questionario anonimo, da riporsi, una volta terminato, in un box post nella sala professori. Il gruppo finale era composto da 167 insegnanti (35% dei questionari distribuiti), la principale causa della ridotta adesione all’indagine e da attribuirsi alIa concomitanza con gli scrutini finali. I1 campione era composto da docenti per lo più di sesso femminile (N = 106) con un’eta media di 47,6 anni e con una anzianità media di servizio di 21 anni. È stato usato un questionario suddiviso in quattra sezioni: […]

  1. Caratteristiche socio-demografiche: il questionario conteneva domande relative al sesso, all’ eta, allo stato civile, all’anzianità di servizio, il tipo di materia insegnata e la quantità media di ore lavorative settimanali.
  2. Le dimensioni lavorative: i costrutti della Domanda e del ControlIo sono stati misurati con una traduzione italiana del Leiden Quality of Work Questionnaire for Teachers (Maes, van Der Doef, 1997), un questionario messo a punto per misurare le specifiche caratteristiche della situazione lavorativa dei docenti. I soggetti dovevano esprimere il proprio grado di accordo ai singoli items su una scala in formato Likert a 4 punti […]. Domanda lavorativa: viene valutata attraverso 16 affermazioni formulati sulla base delle seguenti sub-dimensioni: la pressione temporale (Es. “Mi manca il tempo per seguire individualmente gli alunni”); l’ambiguità di ruolo (“Nella mia scuola non e chiaro casa ci si aspetta da un’insegnante”); la qualità dell’interazione con gli studenti (“In questa scuola mantenere l’ordine e dura”). Controllo: viene valutata attraverso 12 items sottendenti le seguenti subdimensioni: la varietà del compito (Es. “Il mio lavoro comporta una varietà di compiti”); l’autorità decisionale (“All’intemo delle mie classi sono in grado di esercitare una certa influenza”); e la necessita di seguire corsi d ‘aggiornamento (“Il mio lavoro richiede che mi sottoponga a ulteriori corsi d’ aggiornamento”).
  3. Coping: per la misura del Coping è stata utilizzata la versione ridotta del Coping Inventory for Stressful Situations (CISS2; Endler, 1997). La scala è composta da 21 items rilevati su una scala Likert a 5 punti (1 = per niente; 5 = molto spesso). Tali affermazioni indicano la misura in cui i soggetti si impegnano in varie attivita quando devono far fronte a situazioni lavorative difficili e/o stressanti. Lo strumento considera tre dimensioni:
  • coping orientato al compito (7 items, “Mi concentro sul problema e cerco di risolverlo”);
  • coping orientato all’emozione (8 items, “Mi rimprovero di essermi messo in questa situazione”)
  • coping orientato all’orientamento (6 items), quest’ ultima dimensione è a sua volta composta da due sottoscale di 3 items ciascuna: distrazione (“Mi compro qualcosa”) e diversivo sociale (“Telefono a un amico”).

Burnout: la sindrome del burnout è stata valutata attraverso il Maslach Burnout Inventory (Maslach e coIl., 1996; Sirigatti e Stefanile, 1991). […]

La finalità del presente studio è stata quella di testare congiuntamente gli effetti di alcune dimensioni sociali e individuali suI burnout. Per raggiungere tale obiettivo è stato scelto un campione omogeneo di docenti di scuola secondaria superiore utilizzando uno strumento di misura appositamente costruito per misurare le caratteristiche lavorative degli insegnanti. Dai risultati sembra emergere una tendenza già ampiamente riscontrata in letteratura (Schreurs e Taris, 1998; Warr, 1990) le variabili indipendenti non mostrano un tipo di azione univoca ma si influenzano differentemente al variare dell’indicatore di burnout utilizzato come variabi1e dipendente. Per quanto riguarda I’ esaurimento emotivo i dati mostrano un’interazione significativa del1a domanda e del controllo, in linea con l’ipotesi “buffer” di Karasek, ulteriormente modu1ata dall’azione delle due strategie di coping non strumentali: emozione ed evitamento. […] I docenti che abitualmente affrontano i loro problemi lavorativi, preoccupandosi prioritariamente di gestire le proprie emozioni negative (coping orientato all’ emozione), evitando temporaneamente di fronteggiarli (coping orientato all’ evitamento), mostrano alti punteggi di esaurimento emotivo sia in condizione di alto strain (percezione di alta domanda e basso control1o) e sia in condizione di alto apprendimento (alta domanda e alto controllo). Sembra che al crescere dello stress, un’alta percezione di controllabilità non sempre è accompagnata da alti livelli di benessere e di crescita personale. A simili conclusioni erano giunti anche Vitaliano e colleghi (1990), i quali avevano rilevato che in condizioni di alto stress e alta percezione di controllabilità i soggetti caratterizzati da uno stile di coping tendente all’ emozione mostravano alti punteggi di depressione, uno stato psicologico molto simile all ‘esaurimento emotivo. Contrariamente allo studio di De Rijk, il coping orientato a1 compito non presenta alcun tipo di contributo significativo (né additivo nè interattivo) nella predizione dell’esaurimento emotivo. I motivi di tale divergenza possono essere ricercati nel diverso tipo di lavoro dei docenti di scuola secondaria rispetto a quello degli infermieri dei reparti di terapia intensiva considerati da De Rijk e colleghi: le restrizioni in termini di tempo, di potere decisionale e la frequenza di situazioni emotivamente stressogene sono sicuramente maggiori nella professione infermieristica. Per questo motivo gli infermieri caratterizzati da strategie di coping orientate all’ azione; hanno maggiori probabilità di sviluppare sintomatologie tipiche dell’impotenza appresa (Abramson, Seligman e Teasdale,1978). Per quanto riguarda la depersonalizzazione, le prime due equazioni di regressione mostrano significativi effetti principali sia delle variabili del modello D-C e sia delle strategie di coping orientate al compito e all’emozione, tutti nelle direzioni aspettate. Per quanto riguarda il coping orientato all’ evitamento i risultati dell’analisi della regressione mostrano un’interazione significativa tra le variabili domanda, control1o e coping orientato all’evitamento. Gli insegnanti caratterizzati da alto evitamento, a1 crescere della domanda e del controllo, tendono a percepirsi come più cinici e impersonali verso gli studenti rispetto ai colleghi con basso evitamento. Bisogna notare che la depersonalizzazione può essere considerata come una strategia di coping attuata dal docente per fare fronte all’esaurimento emotivo provocato dall’insegnamento (Maslaeh, 1993). Tale strategia è caratterizzata da una sorta di “ritiro psicologico” (Maslach, 1993) che potrebbe essere modulata dagli stili di coping orientati all’ evitamento. I risultati delle analisi della regressione multipla effettuate sulla variabile criterio realizzazione personale evidenziano considerevoli associazioni con i predittori controllo, strategie di coping orientate all’azione e all’emozione, e una debole relazione con la variabile domanda. I risultati, in linea con i precedenti studi (Cordes e Dougherty, 1993), evidenziano che i sentimenti di competenza, di produttività nel lavoro e di crescita personale si associano soprattutto con la percezione di un maggiore controllo lavorativo e con l’utilizzo di strategie di coping strumentali. La percezione di alti livelli di autonomia decisionale e di varietà del compito, unita alla sensazione di fronteggiare attivamente i problemi legati all’insegnamento, favoriscono la formazione e lo sviluppo di nuove competenze, la consapevolezza di essere efficaci nel proprio lavoro, nonché la sensazione di arricchimento personale e professionale. Nel complesso i risultati indicano che l’introduzione delle strategie individuali di coping migliora la valenza esplicativa del modello D-C. Infine bisogna notare che i differenti modelli di analisi della regressione, utilizzati nel presente studio per predire le differenti dimensioni del burnout, spiegano percentuali di varianza che oscillano tra il 12 e il 35. Tali valori, in linea con quelli ottenuti in altri studi (de Rijk et al., 1998; Parkes, 1991) appaiono abbastanza bassi. Bisogna sottolineare che l’origine dello stress è un fenomeno multicausale e diversi aspetti non sono stati presi in considerazione nel presente studio quali:

  1. stressors evidenziati in altri studi (Warr, 1994; van der Doef e Maes, 1999) come la percezione di prestigio sociale e il riconoscimento economico;
  2. comportamenti a rischio come fumare (Steptoe e Wardle, 1995);
  3. 1’interazione con gli stressor familiari (Travers e Cooper,1996);
  4. l’interazione con gli stressor ambientali (Seeber e Tregen, 1992);
  5. il ruolo del sostegno sociale (Cohen e Wills, 1985).

Quest’ultima variabile è stata riconosciuta dallo stesso Karasek (Karasek e Theorell, 1990) come ulteriore variabile moderatrice nella relazione stress-benessere.


© Il Burnout negli insegnanti – Federica Sapienza