Norme e cultura del disagio in Italia

Norme e cultura del disagio all’interno delle relazioni lavorative in Italia

Come anticipato nell’introduzione, attualmente l’Italia appare priva di una specifica norma sul mobbing, non divergendo quindi in maniera significativa dagli orientamenti della grande maggioranza dei Paesi Europei ed extra europei.

La giurisprudenza ovviamente, pur accusando la mancanza di una vera e propria legge sul mobbing, si avvale abbastanza efficacemente di strumenti alternativi rinvenibili tra gli articoli Costituzionali, del Codice Penale e del Codice Civile.

Il Tribunale di Torino, nel 1999  fu il primo a livello giuridico che diede al mobbing una degna attenzione. La sentenza in questione riguardava una donna che a causa dei soprusi e delle inaccettabili condizioni lavorative in cui si trovava, sviluppò una crisi depressiva, compromettendo la sua vita personale e sociale.

Purtroppo non esiste una sanzione a livello giuridico che sancisca il mobbing, tuttavia nel codice civile e penale sono presenti articoli che salvaguardano il lavoratore e la sua attività professionale.

A questo proposito, l’articolo 2043 del codice civile sancisce che:

 

“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”

 

Con questo articolo si obbliga colui che ha commesso un atto doloso o colposo a risarcire la persona vessata; infatti la sentenza no685 della Corte di Cassazione del gennaio 2011, ha stabilito che non è possibile punire il mobbing con sanzioni di tipo penale, anche se è riconosciuto il fatto dell’esistenza di comportamenti riconducibili a trattamenti di tipo vessatorio.

Si può di conseguenza procedere solamente con cause civili, dato che la Costituzione Italiana permette di difendersi da questo tipo di reato.

Per prima cosa, occorre capire se i comportamenti di mobbing derivino dal datore di lavoro stesso oppure da colleghi. A seconda di questa differenziazione cambierà infatti l’iter civilistico.

Se il danno arrecato proviene dal datore di lavoro, egli dovrà rispondere di violazione all’adempimento dell’accordo contrattuale, come stabilito dall’articolo 2087 del codice civile che sancisce che:

 

“L’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

 

Il datore di lavoro dovrà per legge mettere in atto tutte quelle migliorie, comportamenti e atteggiamenti che servono a salvaguardare l’integrità sia fisica che psicologica del lavoratore danneggiato, in quanto persona pienamente portatrice di diritti.

Il 10 marzo 2005 il Tribunale di Forlì ha stabilito inoltre che il datore di lavoro, nel caso in cui venga accusato di mobbing non direttamente dal lavoratore ma da suoi colleghi, risponderà del danno per non aver posto la giusta attenzione a quanto accade presso la sua sede lavorativa.

Se invece le violenze psicologiche o fisiche sono effettuate da colleghi, essi, dopo avvenuta denuncia, dovranno rispondere di danno ingiusto ad altra persona sempre in riferimento all’articolo 2043 del codice civile.

Il mobbing danneggia in vari modi e in diversi ambiti il lavoratore.

Innanzitutto, il soggetto ha il diritto di lavorare secondo la mansione per il quale è stato assunto. Se egli viene relegato a ruoli inferiori al suo livello professionale, ed è quindi soggetto a demansionamento, o anche lasciato completamente in inattività, è riscontrato che si possa manifestare un grave danno alla professionalità.

In tal caso è utile citare l’articolo 2013 del codice civile che stabilisce che:

 

“Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte senza alcuna diminuzione della retribuzione.”

 

Secondo questo articolo, il lavoratore può rivolgersi ad un giudice del lavoro, e dopo aver dichiarato i fatti illeciti, ottenere un decreto mediante il quale sia reintegrato nelle mansioni concordate nel contratto originario.

In virtù di quanto premesso, occorreranno precise informazioni per agire correttamente in caso si vogliano denunciare comportamenti di mobbing.

Prima di ricorrere a questa via, bisognerà quindi raccogliere tutte le informazioni sulle vessazioni che si sono subite, in modo da documentare con prove certe le accuse. Tra le varie prove dovranno inoltre rientrare tutte le sintomatologie psicologiche o fisiche insorte dopo tali modalità comportamentali persecutorie, che dovranno essere documentate tramite un certificato medico. Una volta che si ha il materiale necessario, andrà portato davanti alle competenti sedi giuridiche.

Premesso che il termine mobbing può essere usato per contraddistinguere diversi comportamenti posti in essere da uno o più persone fisiche al fine di compromettere in modo sistematico un soggetto in ambito lavorativo, la Cassazione con il decreto no8438 del 4 maggio 2004, ha stabilito che le varie responsabilità siano correlate ad una violazione delle norme insite negli obblighi contrattuali, di qualsiasi natura sia il danno provocato al lavoratore, e che questi comportamenti siano considerati tipici atti vessatori concretizzati dal datore di lavoro, che violano non solo i basilari principi della salvaguardia delle condizioni di lavoro, ma anche la professionalità del soggetto in questione, condizioni necessarie e sufficienti perché vengano presi dei provvedimenti a titolo risarcitorio.

Oltre al danno risarcibile, il mobbing provoca anche un danno morale ed esistenziale, in seguito a un ripetuto stress psicologico. Tale condizione, anche se non costituisce reato, è altresì risarcibile secondo l’articolo 2059 del codice civile che sancisce che:

 

“Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.”

 

Riguardo la compromissione in ambito lavorativo dell’immagine professionale del soggetto medesimo, il Tribunale di Agrigento, il 1 febbraio 2005 ha sancito che il danno sia possibile di tutela secondo l’articolo 2 della costituzione che dichiara:

 

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

 

A tal proposito è utile citare anche l’articolo 35 della Costituzione italiana che stabilisce che:

 

“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.”

 

A questi si aggiunge l’articolo 41 della Costituzione:

 

“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

 

Gli articoli appena citati, seppur non unicamente convergenti verso la tutela della persona lavoratrice, pongono in essere la necessità di creare un’attività economica pubblica o privata volta in primis a favorire la società; ciò può avvenire solamente se il lavoratore è sostenuto attraverso un’adeguata formazione e se la sua professionalità è correttamente valutata e riconosciuta.

 Intraprendere un’azione legale

Come sottolineato da Azzarini nel paragrafo 3.3, il sistema giuridico italiano ha tempi lunghi per la gestione di cause legate a chi è vittima di mobbing.

A questo problema si unisce il fatto che chi non è sufficientemente attrezzato per poter affrontare una causa legale, difficilmente riuscirà a ricevere un risarcimento economico.

In una causa legale sono infatti richiesti elementi talvolta faticosamente reperibili, pertanto prima di intraprendere tale azione è necessario anzitutto possedere i presupposti per essere dichiarati vittime di un caso di mobbing.

I fatti riportati devono assolutamente essere consistenti e documentati, laddove il mobbing è in genere un insieme di piccoli soprusi raramente comprovabili.

Il danno perpetrato alla persona deve essere quindi dimostrabile e quantizzabile, a tale scopo sono necessarie le certificazioni del medico legale e dello psichiatra che stabiliscono l’entità del deterioramento dello stato di salute della persona.

Le prove testimoniali sono essenziali affinché venga intentata una causa di mobbing: gli spettatori della violenza avvenuta sul posto di lavoro sono una risorsa utile a sostegno del vessato, senza di loro è poco probabile che il mobbizzato ne esca vincente. Bisogna fare attenzione alle persone cui si chiede aiuto perché, come specifica anche Azzarini, può capitare che coloro che hanno assistito agli atti vessatori vengano manipolati dall’azienda affinché venga travisata la realtà dei fatti.

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova