La faccia secondo Goffman

La faccia secondo Goffman

Perchè parlare di Goffman per il Personal Branding?

In un certo senso già le intuizioni di Goffman[1], relative alla comunicazione faccia a faccia, anticipavano la lettura che possiamo dare delle interazioni sociali della comunicazione in Rete. L’idea suggestiva introdotta da Goffman della natura cerimoniale del self sdrammatizza il problema della molteplicità occasionale dei riconoscimenti reciproci, trasformando l’identità in un’immagine fuggevole di noi stessi che via via presentiamo agli altri, entro una cornice di buone maniere, di deferenza, di contegno che salvano la faccia e l’illusione di coerenza.

Il riferimento di Goffman all’interazione faccia a faccia e alla molteplicità del Sé può essere applicato all’interazione mediata dal computer, dove la comunicazione avviene nell’interazione tra soggetti in Rete in assenza del corpo.

Sulla scena virtuale, ancora più che su quella reale, vi è un soggetto mobile, che sceglie dietro quale maschera presentarsi che può essere differente a seconda dei social network in cui predispone un profilo; quindi l’identità è costituita da tanti self quante sono le cornici interattive.

In Rete come nell’interazione interpersonale faccia a faccia, il Personal Branding agisce sulla parte più manipolabile del Sé, quella influenzabile dall’interazione e perciò emerge una sorta di parallelismo tra la comunicazione interpersonale mediata del Personal branding online e l’interazione faccia  a faccia analizzata da Goffman[2].

Erving Goffman[3], sociologo canadese, nella prima metà dl ‘900 ha studiato le interazioni faccia a faccia: esse non avvengono a caso, ma seguono precisi codici e rituali, infatti, parla proprio di rituale dell’interazione, cioè il comportamento degli individui a seconda della situazione.

Secondo Goffman l’interazione personale si rifà ad un modello drammaturgico: cioè le azioni quotidiane degli individui sono simili a diversi script teatrali da mettere in scena, a seconda dell’inquadramento della situazione. La vita sociale viene intesa come un intreccio di molteplici e differenti allestimenti scenografici con un’adeguata rappresentazione dell’identità sociale di sé, o meglio il self. Ogni rappresentazione del self viene legata allo status che viene riconosciuto dagli altri individui che partecipano all’interazione.

L’interazione faccia a faccia tra individui si configura come un rituale: l’interazione è una situazione di compresenza tra due o più persone, all’interno della quale gli attori possono negoziare, interagire e improvvisare, ma entro una serie non infinita e non casuale ovvero ordinata di possibilità. Il rituale dell’interazione secondo Goffman prevede tre elementi:

  • almeno due persone fisicamente presenti;
  • che focalizzano l’attenzione sullo stesso oggetto o azione;
  • che condividono uno stato d’animo o un’emozione.

Durante l’interazione ognuno presenta e rivendica un’immagine di sé e questa immmagine è definita faccia. Essa consiste in un sistema di comportamenti che viene riconosciuto socialmente. La faccia corrisponde ad una linea di condotta che gli altri riterranno assunta in modo durevole. Il fatto di essere in grado di conservare la propria faccia è un aspetto essenziale per la tranquillità nella vita sociale. Ci permette di agire come se conoscessimo gli altri e fossimo da essi conosciuti.

Quando gli altri si comportano in maniera differente dal previsto, il cambiamento crea sconcerto e indignazione: ci sentiamo traditi, perchè le nostre aspettative sono state violate. Se la scoperta di un errore nel sistema di valutazione della faccia di un attore sociale è collettiva allora si parla di scandalo. Possiamo dire che la faccia è una sorta di precondizione per poter stare nella società, ed è una precondizione continuamente soggetta a giudizio.

La faccia è come una maschera che cambia a seconda degli ascoltatori e delle diverse interazioni sociali. Le persone si attaccano emotivamente alle loro facce e cercano di mantenerle; nel momento in cui la perdono soffrono e cercano di usare strategie di cortesia nelle interazioni sociali in modo da garantire l’uno la faccia dell’altro.

La legittimità di una faccia dipende dai fatti passati e implica considerazioni su quelli futuri. Ecco perché l’interazione con gli altri provoca reazioni emotive che ci portano a mettere in campo azioni di “attaccamento” e di difesa della nostra faccia. Queste azioni sono note come dignità e compostezza, il cosiddetto savoir-faire sociale. Chi dimostra di essere poco abile in tale attività, magari troppo aggressivo, corre il rischio di essere incompreso e scarsamente valorizzato socialmente.

L’accettazione da parte degli altri della nostra faccia è un rituale che dimostra che noi siamo ritenuti degni di fiducia da parte degli altri e della società.

Quando c’è un contrasto nell’interpretazione della faccia di un attore sociale, si mettono in atto strategie per consentire all’attore stesso di salvarsi la faccia. Le strategie tipiche sono tre:

  • la sfida: si richiama l’attenzione dell’attore sulla sua condotta negativa e si chiede che l’offesa venga ripagata;
  • l’offerta: si offrono vie d’uscita, minimizzare l’accaduto o ricondurlo ad un contesto scherzoso;
  • la risposta: accettazione o rifiuto dell’offerta da parte dell’attore.

Un’altra strategia messa in atto per evitare di perdere la faccia è il cosiddetto processo di elusione che consiste nell’evitare tutte le interazioni che possono comportare un pericolo per l’immagine di qualcuno. Alcuni esempi di manovre elusive sono: evitare gli argomenti che possono contraddire la condotta scelta, parlare delle proprie capacità con modestia o ironia, neutralizzare preventivamente le mosse potenzialmente aggressive, consigli utili per presentare al meglio il proprio personal brand nei social media.

Nella comunicazione la faccia, analizzata da Goffman[4], è ciò che ogni individuo mette in gioco nelle relazioni con gli altri, ovvero corrisponde all’immagine di sé.

Questo concetto descrive quindi la dimensione psico-sociale delle interazioni tra gli individui. L’approccio del sociologo canadese possiamo definirlo anti-psicologico perchè tiene conto solo delle performance dell’attore sociale e si focalizza solo sugli aspetti interazionali. La faccia è quindi il valore sociale positivo, che ognuno rivendica attraverso il suo comportamento, la linea che adotta ogni volta che si trova in una situazione di comunicazione. Goffman[5] ha analizzato il modo in cui ognuno di noi cerca di far accettare l’immagine di sé che si è costruito per gli altri e i processi atti a preservare la propria faccia sono descritti come azioni difensive: un po’ quello che succede per mantenere la reputazione e la credibilità nei social media oggi.

Il web e gli spazi offerti dai social network hanno creato dei nuovi ambienti virtuali e messo a disposizione degli utenti della rete nuove tecnologie di comunicazione, che permettono sia di esibire una forma della propria rappresentazione in pubblico, sia nuove tecniche di comunicazione tra gli utenti. In questo modo gli individui, attraverso la proiezione di Sé stessi nella rete e la gestione dei comportamenti indirizzati agli interlocutori, mettono in scena la stessa dinamica della rappresentazione teatrale di Goffman[6] all’interno degli spazi mediati dai social network anziché nelle interazioni faccia a faccia.

Le consuete interazioni faccia a faccia, infatti, non avvengono a caso, ma seguono precisi codici e forme “rituali” che, anche se non sono scritti da nessuna parte, hanno una certa forza prescrittiva. Anche se non ne siamo consapevoli, mentre siamo immersi nel flusso delle nostre azioni quotidiane, la nostra vita pubblica può dunque essere paragonata a una rappresentazione teatrale, a una messa in scena.

Ogni comunicazione contiene una notizia, ma è la modalità adottata per esprimerla a definire il tipo di relazione che c’è tra i comunicanti e la reciproca consapevolezza del ruolo che rivestono uno per l’altro.

Questi concetti sono da tenere presenti anche quando si scrive sul web. È bene mantenere presente che ciò che scriviamo non è interpretabile solo dal singolo destinatario del messaggio, ma da un numero indefinito di individui, sia nel tempo che nello spazio, perciò capire quando e quanto scrivere di sé e delle proprie esperienze personali è fondamentale: parlare di sé, anche sul web, è utile all’avvio di una relazione quando si cerca di creare empatia fra i comunicanti, mettendo in comune modelli, valori, informazioni ed esperienze.

Applicando i concetti di Goffman alla comunicazione attraverso i social network, Facebook è come un enorme palcoscenico digitale dove noi costruiamo il nostro ruolo sociale in maniera assolutamente minuziosa: scelta della foto del profilo, scelta degli interessi da inserire nel profilo, scelta delle applicazioni da usare, scelta del criterio con cui accettare inviti da amici o estranei, scelta del linguaggio da adottare e così via dicendo.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1]  Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

[2] Goffman E., I giochi di faccia, 1971.

[3] Goffman E., Il rituale dell’interazione, 1967.

[4] Goffman E., Il rituale dell’interazione, 1967.

[5] Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

[6]  Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.