L’assistenza del consulente psicologo: Le modalità operative

L’assistenza del consulente psicologo: Le modalità operative

Per quel che riguarda, invece, le modalità operative di tale mandato, sempre nel primo comma si può leggere che il difensore può avvalersi “delle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI bis”.

Dalla lettura degli art. 391bis, 391ter, 391quater, 391 sexies e 391nonies, si desume che le attività investigative di indagine previste dal codice si concretizzino nell’assunzione di informazioni, nella richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione, nella possibilità di accedere a luoghi anche se privati o non aperti al pubblico e di documentare l’attività di sopralluogo svolta, nella possibilità di formare la documentazione di atti ed accertamenti tecnici non ripetibili destinati a confluire nel fascicolo del dibattimento.

Le “forme” cui il legislatore si riferisce sono quelle previste per ogni attività, intese come le modalità di svolgimento definite per ciascuna delle attività tipizzate.

Ad esempio, se si vorrà procedere all’assunzione di informazioni, lo si dovrà fare nel rispetto delle prescrizi contenute nell’art. 391bis, per accedere in luoghi privati occorrerà procurarsi il consenso della persona che ne ha la disponibilità, ovvero un’autorizzazione del giudice, ecc.

È, comunque, ipotizzabile, che sia possibile che il difensore scelga modalità di esplicazione della propria attività investigativa anche al di fuori dei moduli stabiliti dal suddetto libro (e dunque, potrà svolgere pedinamenti, appostamenti, individuazioni di persone e cose ecc.) fermo il divieto alla coercizione della volontà privata e alla limitazione dei diritti inviolabili della persona (Bosco, 2005). 

Gli elementi di prova a contenuto dichiarativo

È facilmente deducibile che l’atto investigativo tipico del difensore sia costituito dall’assunzione di informazioni.

L’avvocato, attraverso il conferimento con persone in grado di riferire sui fatti di causa, acquisisce notizie attraverso un colloquio non documentato (facoltà che sussiste anche per gli investigatori privati autorizzati e per i consulenti tecnici nominati dall’avvocato o dal sostituto).

Sono previste tre modalità per raccogliere le informazioni: il colloquio, la richiesta di dichiarazione scritta e la richiesta di informazioni da verbalizzare (art. 391bis).

Il colloquio costituisce un primo contatto informale con la persona da ascoltare. È un atto preliminare, i cui risultati non possono venire utilizzati in sede processuale.

Ha lo scopo di verificare quali circostanze la persona conosca, se essa sia credibile e se, eventualmente, sia necessario formalizzare il contenuto del colloquio con una richiesta di dichiarazione scritta o con un ascolto verbalizzato.

Il colloquio non viene vincolato ad un preciso contesto spaziale, tanto è che il Giudice per le indagini preliminari può autorizzare il difensore a comunicare anche con un soggetto detenuto, altresì se coimputato,previo avviso al suo difensore, e che il colloquio può essere svolto oralmente o essere documentato.

Sono, poi, stati previsti alcuni adempimenti essenziali per il difensore, sanzionati dall’inutilizzabilità del materiale raccolto in violazione di legge.

Si tratta di oneri informativi: sulla qualità di difensore e sullo scopo del colloquio, sulla possibilità di tacere o riferire per iscritto o di conferire oralmente (con o senza documentazione ), sul divieto di rivelare quanto eventualmente già chiesto dalla Polizia Giudiziaria. o dal PM e sulle responsabilità in caso di mendacio.

Inoltre, la persona informata dei fatti ha l’obbligo di dichiarare l’eventuale qualità di coindagato o coimputato, ma potrà avvalersi della garanzia ex art. 63 c.p.p., che dispone sugli interrogatori resi dinnanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria. 

Per fare in modo che il colloquio risulti credibile e affidabile e che l’atto sia compiuto scevro di inquinamenti probatori, vige il divieto all’indagato, all’offeso ed alle altre parti private di assistervi.

Infine, l’avvocato, o il sostituto, hanno l’obbligo di interrompere l’assunzione di informazioni nel momento in cui la persona, di cui all’assunzione, sia persona imputata o sottoposta ad indagini, ovvero emergano indizi di reità a suo carico.

In questo caso, le dichiarazioni eventualmente assunte non possono essere utilizzate contro colui che le ha rese, in quanto verrebbe violato il diritto di assistenza obbligatoria al difensore.

Se il colloquio informale ha permesso di venire a conoscenza di informazioni utili al proprio assistito, è possibile richiedere una dichiarazione scritta, che deve essere firmata dal dichiarante, deve essere autenticata dal difensore o da un suo sostituto e ad essa va allegata la relazione del legale.

Il difensore, per la redazione del verbale, può farsi assistere da persone di sua fiducia.

La seconda opzione è richiedere che la persona informata dei fatti sia formalmente ascoltata per rendere informazioni da inserire in un apposito documento (art. 391bis, comma 2).

Va però specificato che queste ultime due alternative sono possibili anche in assenza di colloquio informale, ma che possono essere compiute solamente dal difensore e dal suo sostituto, non dall’investigatore o dal consulente.

Questi, però, hanno la possibilità di assistere, in veste di ausiliari, alla redazione dei verbali. 

L’utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive

Merita sicuramente anche un accenno il regime di utilizzo delle indagini difensive, sia come previsto dall’art. 391decies (Utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive), sia in riferimento ai principi generali del codice di procedura penale.

È evidente che il risultato delle indagini difensive arriverà a dibattimento solo a determinate condizioni e con specifiche modalità.

Nell’attuale processo penale la prova si forma in aula, nel contraddittorio fra le parti. I risultati delle indagini, quindi, entreranno nel processo solo in questo modo. E lo stesso vale anche per il materiale delle indagini difensive e delle indagini preventive.

Il fascicolo del difensore (art. 391octies), infatti, verrà integrato a quello del PM (art. 433 c.p.p.), salvo alcune ipotesi.

Di fatto, solo nel caso degli atti irripetibili le indagini del difensore potranno entrare nel fascicolo per il dibattimento (art. 431 c.p.p.), cioè il solo fascicolo di cui il giudice avrà cognizione nel processo.

Negli altri casi, gli atti di indagine sono utilizzabili ai sensi e nei limiti indicati dagli art. 500 c.p.p.(contestazioni nell’esame testimoniale) e 513 c.p.p. (lettura delle dichiarazioni rese all’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare).

 

 

 

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini

 

 

 

L’assistenza del consulente psicologo: La normativa

L’assistenza del consulente psicologo: La normativa

L’incarico professionale, i termini e il mandato

L’art. 327bis fa riferimento all’incarico professionale, sancendo, attraverso il primo comma che il difensore (sia di fiducia che d’ufficio) ha la facoltà di svolgere investigazioni al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nel rispetto delle forme e degli scopi indicati dalle disposizioni contenute nel titolo VI bis del libro V del codice.

Il secondo comma, invece, stabilisce che questo incarico può aver luogo in ogni stato e grado del procedimento ed, esaurito il processo, in fase di esecuzione penale e per promuovere un giudizio di revisione.

Il terzo comma, infine, specifica che il difensore ha la possibilità di delegare, con apposito incarico, l’attività di indagine difensiva, o parte di essa, ad un suo sostituto, ad un investigatore privato autorizzato o, nel caso siano necessarie specifiche competenze, ad un consulente tecnico.

È certo, però, che l’unico soggetto titolare del diritto alle investigazioni rimane il difensore, avendo la responsabilità per la direzione e il controllo delle indagini difensive, anche quando queste vengono svolte da suoi incaricati (Triggiani, La l. 7 dicembre 2000 n. 397: prime riflessioni, in Cass. pen. 2001, 2274). 

Infine, data la genericità dell’ art 327bis, che parla semplicemente di “assistito”, si può affermare che tutte le parti private nel processo penale possono avvalersi delle investigazioni difensive.

Sempre il comma 1 del citato articolo, prevede che l’avvocato difensore, che intenda svolgere indagini a favore del proprio assistito, debba essere officiato da quest’ultimo con un apposito mandato, risultante da atto scritto. Non vengono, però, richieste particolari formalità per il rilascio di tale mandato e non vengono prescritte speciali indicazioni riguardo il suo contenuto.

Il mandato, pertanto, dovrà essere rilasciato nel rispetto dell’art. 96 c.p.p., cioè con atto sottoscritto dall’assistito.

Dovrà essere trasmesso all’autorità giudiziaria a cura del difensore; oppure, la nomina potrà risultare dal verbale dell’attività compiuta dall’autorità giudiziaria, dinnanzi alla quale il difensore è stato nominato, verbalmente, dall’interessato. 

Il comma 2 dell’art. 391nonies (Attività investigativa preventiva), inoltre, prevede che, nel caso in cui sussista l’eventualità che si instauri un procedimento penale, l’avvocato ha facoltà di svolgere indagini preventive, avendo ricevuto apposito mandato dal proprio cliente.

Tale mandato viene rilasciato dall’interessato con la sottoscrizione autenticata e con l’indicazione del difensore nominato e dei fatti ai quali la nomina si riferisce. 

 

© L’assistenza del consulentepsicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini

 

 

 

La vittimologia: Vittime (in)coscienti

 La vittimologia: Vittime (in)coscienti

 

La vittimologia costituisce una giovane branca della criminologia, nata con lo scopo di apportare una nuova prospettiva allo studio della dinamica criminale.
Numerose ricerche cliniche e criminologiche, hanno portato al concetto che alcune vittime eserciterebbero una sorta di attrazione sui criminali. Infatti, se è ammesso che determinati fattori biologici, psicologici e sociali possano predisporre un soggetto alla devianza criminale, andando a rinforzare le sue inclinazioni delinquenziali, è plausibile anche l’esistenza di caratteristiche che rendano un individuo particolarmente vulnerabile ed esposto a subire certe azioni criminali.
Queste predisposizioni vittimogene, oltre a poter quantificare il rischio di divenire vittima di reato, vanno a delineare un profilo di vittima “potenziale”, o vittima latente” (Ellenberger, 1954). Questi, possono ispirare l’idea criminale, e far precipitare l’azione stessa.
Tra le vittime potenziali alcune sono caratterizzate da predisposizioni specifiche, che possono essere innate (sesso, ritardo mentale, ecc.) o acquisite (disabilità in generale come la sordità, cecità, o tratti psicologici sviluppati nel corso degli anni), permanenti (sesso), temporanee (età, ecc.)o passeggere ( stati psico- biologici di breve durata: depressione, ebbrezza alcolica, ecc.). Altre, invece, sono per una predisposizione generale, portate a diventare delle vittime nate.
Restando in ambito delle predisposizioni specifiche riportate sopra, possiamo trovare numerose evidenze empiriche e statistiche. Per esempio, i soggetti che si trovano ad essere più esposti a vari tipi di reato, che vanno dal maltrattamento psicologico, all’abuso, sono sicuramente quelli che hanno una minore possibilità di difendersi, per la loro età e/o per una disabilità psico- fisica. I minori di età e gli anziani posso essere vittima di vari agiti criminali. Indagini statistiche effettuate in vari paesi attestano che dal 5 al 10% dei bambini hanno avuto un esperienza fisica di violenza durante l’infanzia . Le persone anziane presentano un elevato rischio di essere vittimizzate, soprattutto per reati contro la proprietà e reati finanziari. Meno frequentemente possono essere vittime di abuso, maltrattamento o trascuratezza. I fattori scatenanti la vittimizzazione possono essere l’interesse economico, la dipendenza psicofisica dai familiari, solitudine, stress evocato dall’handicap dell’anziano (Pritchard, 2001). Fattori esterni di stress, come presenza di patologie psichiatriche in famiglia, o perdita di lavoro, possono ripercuotersi in forme di aggressività sull’anziano.
Il genere sessuale risulta essere il fattore vittimogeno più importante per alcuni delitti. Infatti lo stupro è un crimine commesso quasi esclusivamente sulle donne.
Le statistiche non lasciano speranze. 5.700.000 donne negli Stati Uniti, suboscono atti di violenza,grave o meno grave, dal proprio marito, e di queste almeno una donna su cinque ha subisce maltrattamenti ripetuti e reiterati all’interno della vita coniugale. Il fenomeno del wife beating (moglie maltrattata), risulta essere collegato ad alcune variabili psicosociali come l’alcolismo e la dipendenza economica dal coniuge.
La “vittima nata” 
Come esistono criminali recidivi, che si rendono continuamente colpevoli di reati, esistono vittime recidive, persone che sono inclini a collezionare una serie ininterrotta di fallimenti, sfortune, problemi di ogni genere. Spesso a determinare questa facilità alla vittimizzazione, è la combinazione di tanti elementi che vanno ad integrarsi tra loro. In particolare, le tendenze sadomasochistiche, sono spesso accompagnate da gravi sensi di colpa, e conseguentemente da atti mirati alla autopunizione fisica, morale e sociale. Gli aspetti depressivi dell’atteggiamento fatalistico li ritroviamo in certe persone che hanno una ridotta voglia di vivere, non curanti nei confronti della morte o della possibilità di suicidarsi. Persone totalmente incapaci di tutelarsi dai pericoli della vita, che amano mettersi in situazioni fobiche (reattività controfobica), che rinunciano alla loro realizzazione (equivalente suicidario esistenziale), o che mettono in atto comportamenti aggressivi contro se stessi e gli altri (equivalente suicidario fisico).
Quando ci troviamo di fronte ad un narcisismo molto forte, e all’impossibilità di diventare i più invidiati, ecco che si ribaltano le prospettive, e da una ricerca ossessiva di diventare degli eroi, si passa al culto dell’eroe in negativo, e si diventa i più brutti, infelici e sfortunati del mondo. Questi atteggiamenti disfattisti possono anche essere sostituiti dalla ricerca di superstimolazioni continue, emotive, intellettuali e fisiche. I cosiddetti sensation seekers, solitamente amanti di sport estremi, sono in costante ricerca di iperstimolazioni, e spesso loro stessi sono a creare delle situazioni vittimologiche. L’assunzione di droghe, dormire con estranei, saltare con il paracadute, corse con veicoli a motore, alpinismo e ogni altro sport estremo sono comportamenti che forniscono le sensazioni cui il seeker tanto anela, ma al prezzo di mettere in rischio la sua incolumità e quella delle persone che gli stanno attorno. Una continua sfida contro la morte, che spesso nasconde ciò che è alla base dei comportamenti suicidari, l’incuranza per la propria vita.
Bibliografia
V.Volterra. 2005. Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica. Masson.
DSM-IV-TR. 2004. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Masson-Ravizza.

 

 

© La vittimologia: Vittime (in)coscienti  – Dott.ssa Federica Falco

 

 

Chi è il Serial Killer

 Chi è il Serial Killer

 

“ Il delitto anche se non ha la lingua può parlare” (cit. Amleto, atto 11, scena 2)
Negli ultimi anni, la Psicologia Investigativa, una branca della Psicologia Giuridica, si sta diffondendo e specializzando sempre più, ponendosi come obiettivo quello di sostenere le indagini giudiziarie tramite l’utilizzo di teorie e metodi scientifici.
Se la ricostruzione della scena del crimine fa riferimento agli strumenti dell’indagine forense e al ragionamento deduttivo, al contrario la costruzione del profilo criminale si fonda sul ragionamento ipotetico, per quanto concerne le motivazioni e le caratteristiche di personalità dell’autore del reato.
Il criminal profiling si sta rilevando un’efficace metodologia ma è importante sottolineare che essa non sostituisce la classica investigazione, la criminalistica e tutte quelle procedure che sono frutto di esperienze e lavoro sul campo, ma offre una serie di strumenti utili da porre accanto ai tradizionali sistemi adottati nella lotta contro il crimine.
Un punto basilare sul quale poggia il criminal profiling è il seguente:
il comportamento di un individuo (non necessariamente un criminale) riflette la sua personalità, ne consegue che l’autore di un crimine nel commettere un reato rispecchia le sue peculiarità psicologiche e personali, nelle quali confluiscono aspetti correlati a diverse variabili quali caratteristiche intrinseche del soggetto, influenze dell’ambiente ed eventuali patologie.
Il criminal profiling implica l’utilizzo di specializzazioni diverse provenienti da ambiti della scienza che tra loro operano con modalità interdisciplinari.
Il primo fondamentale tassello utile per tracciare un criminal profiling attendibile è costituito dalla raccolta delle informazioni effettuate con tutte le tecniche a disposizione:
    • analisi della scena del delitto: posizione del corpo della vittima, armi, prove materiali correlate all’evento criminale, testimonianze;
    • dati relativi alla vittima: informazioni biografiche e familiari, ultima volta che è stata vista, elementi di connessione con il luogo in cui è stato commesso il crimine;
    • dati di carattere medico-legale quali cause della morte, ferite, tracce sul cadavere relazionabili a interventi post-mortem, risultati provenienti dall’autopsia e dagli esami di laboratorio;
    • analisi del luogo in cui è avvenuto il crimine tramite valutazioni delle potenzialità criminali di quel luogo; è importante considerare se in quell’area sono già avvenuvti crimini analoghi.
L’elaborazione della raccolta dei dati dovrebbe consentire di tracciare un primo quadro generale all’interno del quale contestualizzare il crimine; a tal fine è utile definire le caratteristiche (fisiche, comportamentali, ecc) dell’autore del crimine, raccogliere informazioni relative al resto (impronta) e al tempo impiegato per commettere il crimine, valutare la relazione tra l’autore e la vittima.
I suddetti elementi raccolti permettono di tracciare un criminal profiling che può essere d’aiuto all’investigazione, orientando le procedure e, entro certi limiti, restringendo il campo di analisi.
MA CHI E’ IN REALTA’ IL SERIAL KILLER?

 
Egli è un individuo che uccide almeno tre persone,in tempi e luoghi diversi. I suoi crimini quasi mai hanno una  motivazione evidente, anche se nella maggior parte dei casi lo sfondo sessuale è piuttosto chiaro; comunque non colpisce per rubare,per vendetta o per passione, ma risponde esclusivamente a istanze interiori che non riesce a frenare.
Tra le tipologie che lo caratterizzano:
    1. Serial killer: uccide tre o più vittime in luoghi diversi e con un periodo definito ‘cooling off time’ (che può essere tradotto con ‘intervallo emotivo’) tra un omicidio e l’altro; in ciascuno evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima;può colpire a caso oppure sceglierla accuratamente; spesso ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato.
    2. Mass murderer: (‘assassino di massa’). Uccide quattro o più vittime nello stesso luogo e in un unico evento;di solito il soggetto non conosce le proprie vittime e la scelta è per lo più casuale.
    3. Spree killer(‘assassino compulsivo’) uccide due o più vittime in luoghi diversi e in uno spazio di tempo molto breve:questi delitti spesso hanno un’unica causa scatenante e sono tra loro concatenati; anche in questo caso, il soggetto non conosce le sue vittime e, dato che non nasconde le sue tracce,viene catturato facilmente.
In genere è maschio (ridottissima la percentuale di donne) e bianco( 90% dei casi) ; il primo omicidio è avvenuto intorno ai venticinque anni ed è determinante l’influenza di fattori legati alla sfera sessuale. Rilevanti risultano essere i suoi vissuti legati alla fanciullezza,segnata da episodi di violenza,anche sessuale;non a caso i genitori del presunto serial killer risultano essere spesso violenti o assenti(madre o padre delinquenti). Inoltre l’infanzia e adolescenza di tali individui sono segnate da comportamenti violenti ed aberranti nei confronti degli animali.
Sul piano dei rapporti personali si constata una notevole fragilità determinata soprattutto dalla mancanza di riferimenti familiari che, però permette loro di presentarsi con un apparente normalità;inoltre si hanno ripercussioni nel legame con l’altro sesso, diffusa è ,infatti, l’omossessualità.
L’intelligenza non è mai bassa, in genere nella media, questo però non permette loro di raggiungere una posizione professionale stabile ed appagante.
Nell’omicida seriale possono essere presenti più parafilie (si intende con questo termine  ricorrenti ed intensi impulsi sessuali, fantasie o comportamenti che coinvolgono oggetti, attività o situazioni insolite.) ma, in primo luogo questo individuo trae piacere fisico nell’uccidere, di conseguenza quasi mai interrompe il meccanismo compulsivo che lo porta ad assassinare; infatti il serial killer cessa di colpire generalmente quando è arrestato o perde la vita.

Bibliografia:
Pychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei  disturbi mentali (DSM-IV-TR), Tr.it. Masson, Milano, 2000.
Centini M., I Serial Killer. Xenia , Milano, 2001.
Picozzi M., Zappalà A., Criminal Profiling. Dall’analisi della scena del delitto al profilo        psicologico del criminale. Mc Graw-Hill, Milano, 2002.

 

 

© Chi è il Serial Killer – Dr.ssa Elena Flamia e Dr.ssa Iolanda Pantalone

 

La donna killer

La donna killer

Donne che uccidono 
“Il rosa non è altro che un rosso sangue sbiadito da troppi lavaggi”

 
Non tutti gli omicida seriali sono serial killer sessuali. Eppure sembra che l’elemento sessuale- sadico , sia in qualche modo giustificativo e peculiare dell’appellativo di serial killer.
Le ricerche in campo criminologico, solitamente, tendono a sottostimare l’entità dell’omicidio seriale femminile. Principalmente perché molti autori, sono propensi a credere che non esistano donne serial killer, se il movente sessuale, e la manifestazione di più perversioni, sono assenti. Perciò se viene a mancare l’elemento di sadismo nell’omicidio seriale femminile, la donna non viene considerata serial killer, ma piuttosto un “assassina multipla“.
Questa discriminazione terminologica, è in perfetta linea con la teoria psicoanalitica freudiana riguardo la sessualità di genere.
Secondo tale prospettiva, gli uomini presentano, rispetto alle donne, la maggior parte delle devianze sessuali, almeno nelle forme più estreme e questo può essere attribuibile ad una presunta maggiore vulnerabilità dell’uomo riguardo alla propria identità di genere, e ad un minor controllo delle pulsioni sessuali.
Del resto, il comportamento delle donne serial killer sembra avere connotazioni differenti ed essere fenomeno meno dipendente da problematiche riguardanti la sfera sessuale.Non solo. Il minor grado di aggressività sadica nelle assassine, è anche riconducibile al tipo di cultura femminile, in cui manifestazioni di rabbia e violenza sono scoraggiate,e alla relativa assenza dell’ormone maschile legato all’aggressività, il testosterone.
In effetti, a differenza degli uomini, le cause scatenanti il comportamento omicidiario seriale femminile sembrano essere altre, come il denaro, la gelosia, la vendetta, il potere/dominio.
Per cui, possiamo asserire che la maggior parte delle donne sia estranea all’esperienza di fantasie omicide sessualmente sadiche, mentre agisce per motivazioni economiche o di potere.
Le assassine seriali, spesso, riescono a portare avanti per anni la catena di omicidi. Mediamente uccidono ogni otto anni, il doppio del tempo rispetto agli uomini. La scelta delle armi, l’accurata selezione delle vittime e una pianificazione metodica dei delitti volta a simulare una morte naturale, sono tutti elementi che, combinati con una forte resistenza culturale e sociale che nega l’esistenza dell’omicidio seriale femminile, sono alla base di questa loro maggiore longevità. Mentre gli uomini scelgono vittime sconosciute, le donne prediligono vittime con le quali hanno qualche tipo di rapporto: mariti, amanti, genitori, figli, parenti e conoscenti,  vengono uccisi prevalentemente con modalità sedentarie, cioè nell’abitazione stessa dell’assassina, o sul posto di lavoro, spesso in case di cura, ospedali e altri luoghi chiusi.
Non si notano comportamenti predatori nei confronti delle vittime. Manifestazioni di overkilling,ovvero mutilazioni, smembramenti o aggressioni sessuali, risultano quasi sempre assenti. Alcune donne fanno eccezione e i loro omicidi possono raggiungere notevoli livelli di brutalità che li avvicinano a quelli maschili. In Italia, Leonarda Cianciulli tagliava a pezzi i corpi delle donne uccise, e ne fabbricava delle saponette e dei dolcetti da offrire agli ospiti. In effetti, l’uso di modalità più violente, caratterizza sempre di più gli omici seriali femminili, anche se l’arma preferita rimane il veleno.
Esaminando la casistica internazionale, si notano degli elementi che accomunano le storie di vita delle assassine seriali. La provenienza da “famiglie multiproblematiche“, episodi di abuso durante l’infanzia, uno sviluppo molto intenso e precoce della sessualità, accompagnata ad una personalità aggressiva, violenta e bisognosa di dominare gli altri.
La classificazione di Kelleher individua le principali tipologie di donne killer:

la vedova nera: si tratta di una donna che di solito, uccide sistematicamente membri della famiglia. È la più attenta e metodica delle assassine, spesso, c’è un interesse economico. La “vedova nera” tipica inizia ad uccidere in età matura, è molto intelligente, manipolativa, estremamente organizzata e paziente. Gli omicidi sono, di solito, perpetrati in un periodo di tempo molto lungo ed è difficile che venga sospettata;
l’angelo della morte: è una donna che uccide sistematicamente le persone che sono affidate alle sue cure o delle quali, comunque, si deve occupare per qualche motivo. La spinta principale sembra essere il suo Io onnipotente e il suo bisogno di dominio. È ossessionata dal bisogno di controllare le vite delle persone di cui si occupa.
la predatrice sessuale: è il tipo più raro di assassina seriale, agisce da sola e sceglie le proprie vittime in base al sesso. Il movente principale è di natura sessuale. Probabilmente, col passare degli anni, questa tipologia di assassine seriali è destinata ad aumentare e ci sarà un progressivo avvicinamento delle modalità femminili a quelle maschili, fenomeno che, in qualche misura, è già avviato;

la vendicatrice: di solito uccide i membri della sua stessa famiglia per motivi di gelosia o di vendetta.
assassina per profitto: uccide sistematicamente le vittime durante la commissione di altre attività criminali oppure per un guadagno economico, agisce da sola e non è assimilabile alla “vedova nera”, poiché concentra  l’energia distruttiva su vittime estranee alla sua famiglia.
l’assassina in gruppo: uccide con altre donne o con uomini e i suoi omicidi, brutali e solitamente, di natura sessuale;
l’assassina psicotica: uccide in risposta ad un delirio interiore accompagnato da allucinazioni. Gli omicidi sono commessi in modo casuale, senza movente chiaro ed in presenza di effettivi disturbi psicologici nell’assassina.
Fin dai tempi più remoti,ed ancora oggi è difficile pensare alla delicatezza della figura femminile, e associarla alla mostruosità di tali azioni. Eppure, casi come la famosa “saponificatrice di Correggio” e Aileen Wourmos, fanno sicuramente avvertire l’esigenza di una rivalutazione della donna nel’ambito dell’omicidio seriale.

 

 

© La Donna Killer – Dr.ssa Federica Falco