La figura dello psicologo consulente in campo investigativo

La figura dello psicologo consulente in campo investigativo

 

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Sulla base di queste definizioni, quindi, è possibile definire lo psicologo come “un detective che indaga i fenomeni sociali con metodo quasi giudiziario e congettura i fatti basandosi sul paradigma indiziario” (Ginzburg, 1983, in Gulotta 2008).

Si è visto che, con l’introduzione della legge 397/2000, l’avvocato difensore ha la necessità di apprendere e, soprattutto, sfruttare quelle tecniche che gli consentano di rispondere alle nuove richieste e alle nuove necessità che dovrà affrontare in sede di indagini investigative (Gulotta, 2003) e che può, a tal fine, avvalersi delle competenze, delle conoscenze e delle capacità proprie del consulente psicologo.

Difatti, grazie all’articolo 391bis c.p.p., all’esperto di psicologia forense vengono riconosciuti compiti connessi alla ricerca di fonti di prova ed egli ottiene, quindi, in questa fase, un ruolo decisamente più partecipe, costruttivo e dinamico, rispetto alla sola attività di consulente tecnico, in supporto alle indagini difensive delle parti private (De Leo, Volpini, Tucciarone, 2006).

Sono molteplici i casi in cui la consulenza dello psicologo, qualificato in psicologia forense e investigativa, costituisce un valido strumento (De Leo, 2006).

Egli, ad esempio, può collaborare efficacemente nelle fasi di sopralluogo ed accertamenti tecnici, poiché in grado di esaminare i fatti alla luce della sua preparazione specifica (analisi dell’ambiente e del modus operandi, firma, ecc…).

Ha le capacità, altresì, per fornire un importante supporto sia nella fase di arresto del presunto autore di reato, rivolgendo l’attenzione alle reazioni immediate e spontanee del soggetto ed, eventualmente, all’analisi dell’ambiente proprio del soggetto stesso, per poter raccogliere informazioni utili ai fini investigativi, nonché interrogando le persone presenti; sia per contribuire alla difesa dell’indagato, ricercando elementi a discarico, eventualmente a carattere psicologico (profiling, case linkcage…) (Rossi, 2005).

In particolare, il consulente psicologo può fornire un contributo rilevante per la raccolta delle testimonianze durante la fase delle indagini ed è in grado di fornire consulenza nella scelta della strategia forense e di interrogatorio applicabile in relazione al crimine investigato e al sospettato o indagato (Rossi, Zappalà, 2005).

Come si è visto, infatti, gli articoli 391 bis/decies c.p.p., attribuiscono un ruolo importantissimo alle attività inerenti il contatto con i potenziali testimoni (“conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa”), poiché, nell’ambito delle attività investigative difensive, la raccolta delle informazioni, sia dal possibile autore dell’atto, sia dalle dichiarazioni testimoniali, rappresenta una della maggiori fonti dei dati delle investigazioni (Gulotta, 1993), poiché permette di ottenere e raccogliere notizie di grande rilevanza investigativa, quali dati e indizi, e di classificare i diversi aspetti della vicenda per cercare di fare chiarezza sui fatti oggetto di indagine.

L’intervista investigativa, inoltre, può essere impiegata per ottenere una confessione, per provocare un’ammissione di colpevolezza o di complicità, per verificare elementi provenienti da altre fonti di prove e può servire anche a preparare alcuni soggetti all’interrogatorio e per preparare l’interrogatorio di alcuni soggetti (Lavorino, 2000).  L’ascolto del testimone rappresenta, quindi, un momento fondamentale per l’indagine investigativa, soprattutto in fase di raccolta degli elementi di prova.

La normativa sull’assunzione delle sommarie informazioni

Il Codice di Procedura Penale, attraverso gli articoli 350 e 351, disciplina l’assunzione delle sommarie informazioni, che possono essere rese sia dalle persone sottoposte alle indagini sia dalle persone informate sui fatti.

Si tratta di un atto tipico delle indagini preliminari, finalizzato ad assumere informazioni utili per le investigazioni, mentre l’interrogatorio (svolto dal PM a carico dell’imputato), la testimonianza (mezzo di prova che garantisce l’oralità e il diritto al contraddittorio, svolto in dibattimento, a carico di coloro che nella fase precedente erano dette persone informate e che in questa fase assumono la dicitura di testimoni) e l’esame (mezzo di prova esperibile in dibattimento e che riguarda la dichiarazione resa da una persona in qualità di parte processuale) rientrano nella fase dibattimentale.

Come si può vedere, le differenze dipendono dal soggetto che vi è sottoposto o dalla persona che li pone in essere (Rossi, Zappalà, 2005).

Il legislatore, in particolare, prevede tre possibilità, per quel che riguarda l’assunzione di informazioni da parte dell’indagato (art. 64 c.p.p.: assunzione di sommarie informazioni, assunzione di sommarie informazioni sul luogo ovvero nell’immediatezza del fatto, ricezioni di dichiarazioni spontanee).

Con l’art. 351 c.p.p. viene sancita l’acquisizione di informazioni da una persona, informata sui fatti (vengono applicate le regole previste in tema di prova testimoniale), che non ha la qualifica di indagato e che possa permettere di ricostruire lo svolgimento degli eventi e stabilire una relativa verità processuale.

È necessario che l’acquisizione delle informazioni avvenga, in ogni fase dell’indagine, in maniera ineccepibile, al fine di garantirne la piena utilizzabilità in fase processuale.

Ciò richiede il rispetto degli articoli del c.p.p. (in particolare dell’art. 188, il cui obiettivo è il rispetto della corretta modalità con cui la confessione è stata raccolta e di come dovrà essere poi documentata in fase processuale) che disciplinano le modalità di assunzione delle informazioni.

Ovviamente, secondo il c.p.p. le dichiarazioni non possono essere forzate, né estorte con minacce o violenze.

 

 

 

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini

 

 

 

 

Il consulente psicologo nelle indagini difensive : Premessa

Il consulente psicologo nelle indagini difensive

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Premessa

Le possibili applicazioni della scienza psicologica al campo criminologico e giudiziario sono numerose e si possono trovare nel settore investigativo già da molto tempo.

Basti pensare, ad esempio, agli studi del torinese Cesare Lombroso, che contribuì allo sviluppo di questo ramo della scienza, sfruttando i contributi delle discipline comportamentali e della psicologia, studiando lo sviluppo del pensiero criminologico.

La psicologia investigativa, però, non si configura esclusivamente come un settore di studio e di ricerca all’interno della cultura giuridica, ma il suo supporto può essere utilizzato a diversi livelli. Ad esempio, sopratutto in ambito investigativo, fornisce strumenti adeguati per ottenere informazioni da luoghi e situazioni che vanno osservati con occhio tecnico, in particolare nel momento in cui è necessario incontrare le persone implicate, quali, ad esempio, le vittime, i testimoni, gli autori di reato e le persone informate sui fatti.

Negli ultimi anni, poi, si è sviluppato un dibattito sul ruolo della psicologia, intesa come disciplina in grado di offrire metodi e strumenti utilizzabili in senso investigativo.  Nel Regno Unito, il professor David Canter, fondatore, presso l’Università di Liverpool, del primo centro di Psicologia Investigativa, ha coniato il termine “investigative psychology”, con il quale intende l’uso della psicologia nel processo investigativo e, più in generale, nell’attività di Polizia Giudiziaria. La psicologia investigativa di Canter studia come reperire, valutare e utilizzare in modo efficace l’informazione investigativa, come supportare le azioni e le decisioni delle Forze di Polizia e le inferenze che si possono trarre dall’attività criminale. Nel nostro paese, invece, il professor Guglielmo Gulotta usa questa espressione per indicare lo studio dei fenomeni sociali. La psicologia investigativa, in questo senso, viene intesa come “una metodologia investigativa rivolta allo studio delle persone nelle situazioni sociali e dei fenomeni nel loro contesto naturale” (Gulotta, 2003) e, di conseguenza, è possibile considerare la psicologia investigativa forense come “l’applicazione della metodologia investigativa al crimine”, inteso come fenomeno sociale particolare (Gulotta, 1993a, 2000).

Ne deriva che sono due i suoi possibili ambiti di intervento: non solo serve ad indagare ciò che si ignora (ad esempio stabilire l’identità dell’autore sconosciuto di un crimine ed il suo modus operandi, collaborare alle indagini per morte equivoca e autopsia psicologica, ecc), ma la psicologia investigativa può essere anche utilizzata perinterpretare, sotto il profilo psicosociale, una condotta umana, al fine di valutare la responsabilità, capire il perché e le circostanze psicologiche di un determinato evento criminoso (Gulotta 2008).

 

 

 

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L’assistenza del consulente psicologo: il ruolo del consulente tecnico

L’assistenza del consulente psicologo: il ruolo del consulente tecnico

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Prima della legge 397/2000

Prima dell’entrata in vigore della legge 397/2000, il nostro Codice prevedeva disposizioni riguardanti le figure del perito, nominato dal giudice, e del consulente, nominato dal Pubblico Ministero e dalle parti private.

Si tratta di esperti che affiancano il lavoro delle parti del processo (libro terzo titolo II) ed è possibile ricorre al loro ausilio durante tutta la fase delle indagini preliminari. 

Quando si rende necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, il giudice ha la possibilità, scegliendo fra gli iscritti agli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza in una specifica disciplina, di nominare un perito, il quale ha il compito di redigere una relazione peritale che risponda ai quesiti che gli sono stati posti, attraverso le attività regolamentate dall’art. 288 c.p.p. (Attività del perito).

Le parti, invece, hanno facoltà di nominare dei propri consulenti tecnici, nche nei casi in cui non sia stata disposta una perizia. Per quel che riguarda, invece, il momento prettamente investigativo, l’esperto veniva previsto o quando le operazioni della Polizia Giudiziaria richiedevano specifiche competenze tecniche (art. 348 c.p.p.) o se il PM aveva necessità di procedere ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici o ad ogni altra operazione tecnica per cui fossero necessarie specifiche competenze (art. 359 c.p.p.). 

È lampante che l’utilizzo degli esperti in fase investigativa era prerogativa riservata agli organi inquirenti, la Polizia Giudiziaria e la Pubblica Accusa. Le altre parti potevano partecipare al momento investigativo, con consulenti di loro fiducia, solo nel caso in cui gli accertamenti, di cui all’art. 359 c.p.p., avevano le caratteristiche degli accertamenti non ripetibili (art. 360 c.p.p.).

A tale proposito, sembra utile considerare che nel codice Zanardelli veniva completamente ignorato l’istituto dell’indagine difensiva. Questo era delineato, solo in maniera ridotta, nel testo definitivo dell’art. 38 delle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del Codice di Rito penale. Questo articolo, effettivamente, consentiva, al difensore e all’investigatore privato, soltanto la possibilità di conferire con le persone informate sui fatti, non di acquisirne le dichiarazioni, informazioni ovvero documenti utili alle indagini. 

Nel codice attuale

Grazie alla modifica che l’art. 5 (attraverso i commi 1bis e 1ter) della legge 397/2000 fa dell’art. 233 c.p.p, il ruolo del consulente tecnico, in sede extraperitale e investigativa, si connota per aspetti e ambiti nuovi.

Può, come prima cosa, esaminare i beni sequestrate nel luogo in cui si trovano. Ha la possibilità, cioè, di ispezionare, previa autorizzazione successiva al sequestro, le cose in oggetto del sequestro stesso, senza però poterle rimuoverle (art. 253, Oggetto e formalità del sequestro; art. 254, Sequestro di corrispondenza; art. 255, Sequestro presso banche).  

Ha, poi, la possibilità di intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. Infine, è prevista la possibilità di esaminare, in un momento successivo all’esame del PM, un oggetto, nel caso in cui la nomina del difensore o del consulente sia stata tardiva rispetto ai tempi previsti dal codice (art. 364, nomina e assistenza del difensore).  Non bisogna, poi, dimenticare, la possibilità, per il consulente di avviare o partecipare alle eventuali attività di indagine preventiva, nel caso in cui si ipotizza che possa instaurarsi un procedimento penale. Il comma 3 dell’art. 327bis è alquanto lacunoso per quel che riguarda l’incarico al sostituto, all’investigatore privato autorizzato o al consulente tecnico, poiché non è prevista alcuna specifica forma. In particolare, riguardo alla figura del consulente tecnico, si può osservare che il riferimento alle specifiche competenze, che potrebbero rendere necessario l’incarico al consulente tecnico, serve a chiarire che il difensore ricorrerà all’ausilio di un consulente tecnico quando il compimento di un atto presuppone speciali conoscenze (Brichetti, Randazzo, 2000).  

 

 

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L’assistenza del consulente psicologo: modalità operative

L’assistenza del consulente psicologo: modalità operative

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Per quel che riguarda, invece, le modalità operative di tale mandato, sempre nel primo comma si può leggere che il difensore può avvalersi “delle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI bis”.

Dalla lettura degli art. 391bis, 391ter, 391quater, 391 sexies e 391nonies, si desume che le attività investigative di indagine previste dal codice si concretizzino nell’assunzione di informazioni, nella richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione, nella possibilità di accedere a luoghi anche se privati o non aperti al pubblico e di documentare l’attività di sopralluogo svolta, nella possibilità di formare la documentazione di atti ed accertamenti tecnici non ripetibili destinati a confluire nel fascicolo del dibattimento.

Le “forme” cui il legislatore si riferisce sono quelle previste per ogni attività, intese come le modalità di svolgimento definite per ciascuna delle attività tipizzate.

Ad esempio, se si vorrà procedere all’assunzione di informazioni, lo si dovrà fare nel rispetto delle prescrizi contenute nell’art. 391bis, per accedere in luoghi privati occorrerà procurarsi il consenso della persona che ne ha la disponibilità, ovvero un’autorizzazione del giudice, ecc.

È, comunque, ipotizzabile, che sia possibile che il difensore scelga modalità di esplicazione della propria attività investigativa anche al di fuori dei moduli stabiliti dal suddetto libro (e dunque, potrà svolgere pedinamenti, appostamenti, individuazioni di persone e cose ecc.) fermo il divieto alla coercizione della volontà privata e alla limitazione dei diritti inviolabili della persona (Bosco, 2005).

Gli elementi di prova a contenuto dichiarativo

È facilmente deducibile che l’atto investigativo tipico del difensore sia costituito dall’assunzione di informazioni.

L’avvocato, attraverso il conferimento con persone in grado di riferire sui fatti di causa, acquisisce notizie attraverso un colloquio non documentato (facoltà che sussiste anche per gli investigatori privati autorizzati e per i consulenti tecnici nominati dall’avvocato o dal sostituto).

Sono previste tre modalità per raccogliere le informazioni: il colloquio, la richiesta di dichiarazione scritta e la richiesta di informazioni da verbalizzare (art. 391bis).

Il colloquio costituisce un primo contatto informale con la persona da ascoltare. È un atto preliminare, i cui risultati non possono venire utilizzati in sede processuale.

Ha lo scopo di verificare quali circostanze la persona conosca, se essa sia credibile e se, eventualmente, sia necessario formalizzare il contenuto del colloquio con una richiesta di dichiarazione scritta o con un ascolto verbalizzato.

Il colloquio non viene vincolato ad un preciso contesto spaziale, tanto è che il Giudice per le indagini preliminari può autorizzare il difensore a comunicare anche con un soggetto detenuto, altresì se coimputato, previo avviso al suo difensore, e che il colloquio può essere svolto oralmente o essere documentato.

Sono, poi, stati previsti alcuni adempimenti essenziali per il difensore, sanzionati dall’inutilizzabilità del materiale raccolto in violazione di legge.

Si tratta di oneri informativi: sulla qualità di difensore e sullo scopo del colloquio, sulla possibilità di tacere o riferire per iscritto o di conferire oralmente (con o senza documentazione ), sul divieto di rivelare quanto eventualmente già chiesto dalla Polizia Giudiziaria. o dal PM e sulle responsabilità in caso di mendacio.

Inoltre, la persona informata dei fatti ha l’obbligo di dichiarare l’eventuale qualità di coindagato o coimputato, ma potrà avvalersi della garanzia ex art. 63 c.p.p., che dispone sugli interrogatori resi dinnanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria.

Per fare in modo che il colloquio risulti credibile e affidabile e che l’atto sia compiuto scevro di inquinamenti probatori, vige il divieto all’indagato, all’offeso ed alle altre parti private di assistervi.

Infine, l’avvocato, o il sostituto, hanno l’obbligo di interrompere l’assunzione di informazioni nel momento in cui la persona, di cui all’assunzione, sia persona imputata o sottoposta ad indagini, ovvero emergano indizi di reità a suo carico.

In questo caso, le dichiarazioni eventualmente assunte non possono essere utilizzate contro colui che le ha rese, in quanto verrebbe violato il diritto di assistenza obbligatoria al difensore.

Se il colloquio informale ha permesso di venire a conoscenza di informazioni utili al proprio assistito, è possibile richiedere una dichiarazione scritta, che deve essere firmata dal dichiarante, deve essere autenticata dal difensore o da un suo sostituto e ad essa va allegata larelazione del legale.

Il difensore, per la redazione del verbale, può farsi assistere da persone di sua fiducia.

La seconda opzione è richiedere che la persona informata dei fatti sia formalmente ascoltata per rendere informazioni da inserire in un apposito documento (art. 391bis, comma 2).

Va però specificato che queste ultime due alternative sono possibili anche in assenza di colloquio informale, ma che possono essere compiute solamente dal difensore e dal suo sostituto, non dall’investigatore o dal consulente.

Questi, però, hanno la possibilità di assistere, in veste di ausiliari, alla redazione dei verbali.

L’utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive

Merita sicuramente anche un accenno il regime di utilizzo delle indagini difensive, sia come previsto dall’art. 391decies (Utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive), sia in riferimento ai principi generali del codice di procedura penale.

È evidente che il risultato delle indagini difensive arriverà a dibattimento solo a determinate condizioni e con specifiche modalità.

Nell’attuale processo penale la prova si forma in aula, nel contraddittorio fra le parti. I risultati delle indagini, quindi, entreranno nel processo solo in questo modo. E lo stesso vale anche per il materiale delle indagini difensive e delle indagini preventive.

Il fascicolo del difensore (art. 391octies), infatti, verrà integrato a quello del PM (art. 433 c.p.p.), salvo alcune ipotesi.

Di fatto, solo nel caso degli atti irripetibili le indagini del difensore potranno entrare nel fascicolo per il dibattimento (art. 431 c.p.p.), cioè il solo fascicolo di cui il giudice avrà cognizione nel processo.

Negli altri casi, gli atti di indagine sono utilizzabili ai sensi e nei limiti indicati dagli art. 500 c.p.p. (contestazioni nell’esame testimoniale) e 513 c.p.p. (lettura delle dichiarazioni rese all’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare).

 

 

 

 

 

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L’assistenza del consulente psicologo: la normativa

L’assistenza del consulente psicologo: La normativa

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

L’incarico professionale, i termini e il mandato

L’art. 327bis fa riferimento all’incarico professionale, sancendo, attraverso il primo comma che il difensore (sia di fiducia che d’ufficio) ha la facoltà di svolgere investigazioni al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nel rispetto delle forme e degli scopi indicati dalle disposizioni contenute nel titolo VI bis del libro V del codice.

Il secondo comma, invece, stabilisce che questo incarico può aver luogo in ogni stato e grado del procedimento ed, esaurito il processo, in fase di esecuzione penale e per promuovere un giudizio di revisione.

Il terzo comma, infine, specifica che il difensore ha la possibilità di delegare, con apposito incarico, l’attività di indagine difensiva, o parte di essa, ad un suo sostituto, ad un investigatore privato autorizzato o, nel caso siano necessarie specifiche competenze, ad un consulente tecnico.

È certo, però, che l’unico soggetto titolare del diritto alle investigazioni rimane il difensore, avendo la responsabilità per la direzione e il controllo delle indagini difensive, anche quando queste vengono svolte da suoi incaricati (Triggiani, La l. 7 dicembre 2000 n. 397: prime riflessioni, in Cass. pen. 2001, 2274).

Infine, data la genericità dell’ art 327bis, che parla semplicemente di “assistito”, si può affermare che tutte le parti private nel processo penale possono avvalersi delle investigazioni difensive.

Sempre il comma 1 del citato articolo, prevede che l’avvocato difensore, che intenda svolgere indagini a favore del proprio assistito, debba essere officiato da quest’ultimo con un apposito mandato, risultante da atto scritto. Non vengono, però, richieste particolari formalità per il rilascio di tale mandato e non vengono prescritte speciali indicazioni riguardo il suo contenuto.

Il mandato, pertanto, dovrà essere rilasciato nel rispetto dell’art. 96 c.p.p., cioè con atto sottoscritto dall’assistito.

Dovrà essere trasmesso all’autorità giudiziaria a cura del difensore; oppure, la nomina potrà risultare dal verbale dell’attività compiuta dall’autorità giudiziaria, dinnanzi alla quale il difensore è stato nominato, verbalmente, dall’interessato.

Il comma 2 dell’art. 391nonies (Attività investigativa preventiva), inoltre, prevede che, nel caso in cui sussista l’eventualità che si instauri un procedimento penale, l’avvocato ha facoltà di svolgere indagini preventive, avendo ricevuto apposito mandato dal proprio cliente.

Tale mandato viene rilasciato dall’interessato con la sottoscrizione autenticata e con l’indicazione del difensore nominato e dei fatti ai quali la nomina si riferisce.

 

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L’assistenza dello psicologo alle indagini difensive

L’assistenza dello psicologo alle difensive

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Premessa

Le indagini difensive, ovvero il diritto di difendersi provando.

Tale diritto è uno dei principi cardine e maggiormente significativi, non solo di un ordinamento processuale penale di stampo accusatorio, ma anche di ogni ordinamento che voglia essere garantista e rispettoso del diritto alla difesa, nonché del principio del contraddittorio.

Un primo cenno di questa legge si ritrova nell’art. 38 disp. att. c.p.p. (Facoltà dei difensori per l’esercizio del diritto alla prova), ora abrogato, ma la codificazione delle indagini difensive è stata introdotta dalla legge 397 del 7 dicembre 2000, nel libro quinto del codice di procedura penale (Indagini preliminari e udienza preliminare), più precisamente all’articolo 327bis (Attività investigativa del difensore) e nel nuovo titolo VI bis, contenente gli articoli dal 391bis al 391decies, che ne disciplinano l’oggetto, le modalità e i termini.

La ratio si configura sia nell’estensione delle garanzie e per la realizzazione del principio di parità tra le parti del procedimento, sia nella ricerca e nell’individuazione di elementi di prova, attraverso le modalità previste dal codice, affinché possano essere introdotti nel processo penale.

Si evidenzia, in questo modo, il radicale cambiamento di metodologia di difesa che il codice Zanardelli (1989) propone, rispetto al codice Rocco del 1930: una difesa attiva, a partire dalla fase pre-processuale delle indagini preliminari, e non più una difesa passiva di attesa delle mosse del pubblico ministero, evidenziando, così, l’aspetto “dinamico” della difesa.

Al difensore vengono attribuiti molteplici poteri investigativi, che precedentemente erano riconosciuti esclusivamente alla pubblica accusa e sono imposte delle chiare regole di documentazione delle attività difensive svolte.

Tutto ciò al fine di garantire un grado di affidabilità pari a quello relativo ai risultati delle indagini che la pubblica accusa pone al vaglio del giudice.

 

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L’assistenza dello psicologo alle indagini difensive: Una introduzione

L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale

 

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Abstract

Il presente lavoro indaga il contributo che il consulente psicologo può fornire all’avvocato durante la fase delle indagini difensive. In relazione alla legge 397/2000, che disciplina tale materia, viene presentato l’ambito operativodell’esperto in psicologia della testimonianza e, alla luce di ciò, è illustrato un caso reale, in cui il contributo del consulente tecnico è stato determinante.

Introduzione

Sono esploratori cattivi quelli che pensano  che non ci sia terra se vedono solo il mare. Francis Bacon

In Italia, la figura dello psicologo esperto in psicologia giuridica, che lavora nel campo investigativo è ancora guardata con diffidenza (Gulotta, 2008), sia da parte degli appartenenti alle forze dell’ordine (Volpini, Tucciarone, De Leo, 2006), sia da parte degli attori (avvocati e giudici) del procedimento giudiziale (Rossi, Zappalà, 2005). Attualmente, la psicologia viene vista, per lo più, come disciplina utile alla formazione, selezione e sostegno degli investigatori; oppure impiegata in ambito forense, con fini peritali e valutativi. Non è ancora percepita una sua utilità, con un ruolo attivo e stabile di uno psicologo all’interno del team investigativo (Gulotta 2008). In realtà, sia i campi applicativi della psicologia al settore criminologico e giudiziario, sia i suoi metodi possono rivelarsi numerosi e di notevole interesse, trovando sempre più ampie possibilità di utilizzo. Per esempio, uno degli ambiti che maggiormente può sfruttarne i contributi è quello investigativo, ambito che, soprattutto negli ultimi decenni, ha avuto un forte input e una forte risonanza, anche a livello pubblico, soprattutto grazie alle analisi condotte, negli Stati Uniti, dal Federal Bureau of Investigation (Picozzi, Zappalà, 2002). Ma non si deve dimenticare che già alcuni primissimi studi di psicologia giudiziaria italiani presentavano alcune brillanti intuizioni sul tema. Basti ricordare, ad esempio, l’opera di F. Ferracuti, “Appunti di psicologia giudiziaria” (Scuola Ufficiali Carabinieri, 1959), in cui l’autore accennava agli errori di valutazione in cui può incorrere l’esaminatore della scena del crimine in base ai suoi processi psichici. La figura dello psicologo, infatti, nel mondo giuridico e forense, può essere investita di ruoli diversi. Ad esempio, nelle aule di tribunale, lo si può trovare impegnato nel ruolo perito (anche per le audizioni protette, in particolare quando siano coinvolti soggetti minorenni) e lo si ascolta come consulente tecnico d’ufficio e/o di parte e come teste. In ambito carcerario, d’altro canto, lo psicologo può essere l’esperto per la valutazione, il sostegno e/o il trattamento dei detenuti (esperto ex art. 80 Legge 354/75). Infine, ma non ultimo, gli psicologi impegnati in ambito di ricerca e di formazione hanno il compito di studiare l’applicazione della psicologia alla legge, le conseguenze della violenza sulla psicologia delle vittime, gli autori di reato e la loro psicologia/comportamento, la psicologia della giuria e la psicologia della testimonianza. Tutto ciò, insieme allo studio della credibilità e della menzogna, può rappresentare una parte degli strumenti che gli psicologi, impegnati in ambito giuridico e forense, utilizzano.

Inoltre, con l’entrata in vigore della legge 397/2000 (Attività investigativa del difensore), l’avvocato si trova nella situazione di evolversi e di cimentarsi nell’attività investigativa, ambito per lui nuovo, per affrontare al meglio i momenti decisionali delle scelte processuali. Deve, inoltre, saper sfruttare quelle conoscenze tecniche e cognitive che gli consentano di rispondere alle nuove necessità professionali e di indagine (Gulotta, 2003). In merito a ciò, la suddetta legge si rivela decisamente utile ed utilizzabile nel concreto, in particolare attraverso la presenza di consulenti e esperti in materia investigativa e nelle scienze forensi, i quali si ritrovano ad operare in un ruolo con funzione investigativa. Date queste premesse, pertanto, non si può non pensare allo psicologo quale esperto in scienze forensi, criminali, investigative che possa trovare uno spazio nella fase di indagine di un procedimento penale e di come il lavoro da lui svolto possa poi potenzialmente essere utilizzato e trovare spazio nel giudizio vero e proprio.

Scopo del presente lavoro, quindi, è fornire uno stimolo, una proposta da cui partire per osservare il ruolo dello psicologo nel mondo delle investigazioni, con particolare riferimento all’ambito operativo del consulente tecnico in ausilio alle indagini difensive che l’avvocato può svolgere al fine di trovare elementi di prova a favore del suo assistito. La psicologia investigativa, infatti, sfrutta “differenti strumenti per rispondere, in relazione ad eventi umani, a domande di questo tipo: «Cosa è successo?» «Cosa sta succedendo?» «Cosa potrebbe succedere?» «Come?» «Perché?»” (Gulotta e coll., 2000). La metodologia delle indagini riguarda sì le persone, i sospetti autori di reato, ma soprattutto deve esaminare le situazioni umane ed interpersonali (Jorgesen, 1989). E la ricerca investigativa, oltre ad avere lo scopo di trovare le prove, ha anche la funzione di descrivere e spiegare (Gulotta, 2008). Inoltre, come affermano nel loro lavoro Volpini, Tucciarone e De Leo (2006), la psicologia investigativa può dimostrarsi utile per risolvere, o comunque ridurre, le carenze e gli errori, spesso presenti nel campo dell’investigazione. Tutto ciò può essere ben riassunto affermando che:  “Lo psicologo-investigatore e lo psicanalista sono come archeologi che raccolgono frammenti sparsi e stabiliscono un collegamento fra la realtà che non c’è più e la realtà soggettiva del paziente o dell’autore del reato” (Gulotta, 2008).

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini

La figura del consulente psicologo in campo investigativo

La figura del consulente psicologo in campo investigativo

Sulla base di queste definizioni, quindi, è possibile definire lo psicologo come “un detective che indaga i fenomeni sociali con metodo quasi giudiziario e congettura i fatti basandosi sul paradigma indiziario” (Ginzburg, 1983, in Gulotta 2008).

Si è visto che, con l’introduzione della legge 397/2000, l’avvocato difensore ha la necessità di apprendere e, soprattutto, sfruttare quelle tecniche che gli consentano di rispondere alle nuove richieste e alle nuove necessità che dovrà affrontare in sede di indagini investigative (Gulotta, 2003) e che può, a tal fine, avvalersi delle competenze, delle conoscenze e delle capacità proprie del consulente psicologo.

Difatti, grazie all’articolo 391bis c.p.p., all’esperto di psicologia forense vengono riconosciuti compiti connessi alla ricerca di fonti di prova ed egli ottiene, quindi, in questa fase, un ruolo decisamente più partecipe, costruttivo e dinamico, rispetto alla sola attività di consulente tecnico, in supporto alle indagini difensive delle parti private (De Leo, Volpini, Tucciarone, 2006).

Sono molteplici i casi in cui la consulenza dello psicologo, qualificato in psicologia forense e investigativa, costituisce un valido strumento (De Leo, 2006). 

Egli, ad esempio, può collaborare efficacemente nelle fasi di sopralluogo ed accertamenti tecnici, poiché in grado di esaminare i fatti alla luce della sua preparazione specifica (analisi dell’ambiente e del modus operandi, firma, ecc…). 

Ha le capacità, altresì, per fornire un importante supporto sia nella fase di arresto del presunto autore di reato, rivolgendo l’attenzione alle reazioni immediate e spontanee del soggetto ed, eventualmente, all’analisi dell’ambiente proprio del soggetto stesso, per poter raccogliere informazioni utili ai fini investigativi, nonché interrogando le persone presenti; sia per contribuire alla difesa dell’indagato, ricercando elementi a discarico, eventualmente a carattere psicologico (profiling, case linkcage…) (Rossi, 2005).

In particolare, il consulente psicologo può fornire un contributo rilevante per la raccolta delle testimonianze durante la fase delle indagini ed è in grado di fornire consulenza nella scelta della strategia forense e di interrogatorio applicabile in relazione al crimine investigato e al sospettato o indagato (Rossi, Zappalà, 2005).

Come si è visto, infatti, gli articoli 391 bis/decies c.p.p., attribuiscono un ruolo importantissimo alle attività inerenti il contatto con i potenziali testimoni (“conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa”), poiché, nell’ambito delle attività investigative difensive, la raccolta delle informazioni, sia dal possibile autore dell’atto, sia dalle dichiarazioni testimoniali, rappresenta una della maggiori fonti dei dati delle investigazioni (Gulotta, 1993), poiché permette di ottenere e raccogliere notizie di grande rilevanza investigativa, quali dati e indizi, e di classificare i diversi aspetti della vicenda per cercare di fare chiarezza sui fatti oggetto di indagine.

L’intervista investigativa, inoltre, può essere impiegata per ottenere una confessione, per provocare un’ammissione di colpevolezza o di complicità, per verificare elementi provenienti da altre fonti di prove e può servire anche a preparare alcuni soggetti all’interrogatorio e per preparare l’interrogatorio di alcuni soggetti (Lavorino, 2000).  L’ascolto del testimone rappresenta, quindi, un momento fondamentale per l’indagine investigativa, soprattutto in fase di raccolta degli elementi di prova. 

La normativa sull’assunzione delle sommarie informazioni

Il Codice di Procedura Penale, attraverso gli articoli 350 e 351, disciplina l’assunzione delle sommarie informazioni, che possono essere rese sia dalle persone sottoposte alle indagini sia dalle persone informate sui fatti.

Si tratta di un atto tipico delle indagini preliminari, finalizzato ad assumere informazioni utili per le investigazioni, mentre l’interrogatorio (svolto dal PM a carico dell’imputato), la testimonianza (mezzo di prova che garantisce l’oralità e il diritto al contraddittorio, svolto in dibattimento, a carico di coloro che nella fase precedente erano dette persone informate e che in questa fase assumono la dicitura di testimoni) e l’esame (mezzo di prova esperibile in dibattimento e che riguarda la dichiarazione resa da una persona in qualità di parte processuale) rientrano nella fase dibattimentale. 

Come si può vedere, le differenze dipendono dal soggetto che vi è sottoposto o dalla persona che li pone in essere (Rossi, Zappalà, 2005).

Il legislatore, in particolare, prevede tre possibilità, per quel che riguarda l’assunzione di informazioni da parte dell’indagato (art. 64 c.p.p.: assunzione di sommarie informazioni, assunzione di sommarie informazioni sul luogo ovvero nell’immediatezza del fatto, ricezioni di dichiarazioni spontanee). 

Con l’art. 351 c.p.p. viene sancita l’acquisizione di informazioni da una persona, informata sui fatti (vengono applicate le regole previste in tema di prova testimoniale), che non ha la qualifica di indagato e che possa permettere di ricostruire lo svolgimento degli eventi e stabilire una relativa verità processuale.

È necessario che l’acquisizione delle informazioni avvenga, in ogni fase dell’indagine, in maniera ineccepibile, al fine di garantirne la piena utilizzabilità in fase processuale.

Ciò richiede il rispetto degli articoli del c.p.p. (in particolare dell’art. 188, il cui obiettivo è il rispetto della corretta modalità con cui la confessione è stata raccolta e di come dovrà essere poi documentata in fase processuale) che disciplinano le modalità di assunzione delle informazioni.

Ovviamente, secondo il c.p.p. le dichiarazioni non possono essere forzate, né estorte con minacce o violenze.

 

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini

 

 

Il consulente psicologo : Premessa

Il consulente psicologo 

Premessa

Le possibili applicazioni della scienza psicologica al campo criminologico e giudiziario sono numerose e si possono trovare nel settore investigativo già da molto tempo.

Basti pensare, ad esempio, agli studi del torinese Cesare Lombroso, che contribuì allo sviluppo di questo ramo della scienza, sfruttando i contributi delle discipline comportamentali e della psicologia, studiando lo sviluppo del pensiero criminologico.

La psicologia investigativa, però, non si configura esclusivamente come un settore di studio e di ricerca all’interno della cultura giuridica, ma il suo supporto può essere utilizzato a diversi livelli. Ad esempio, sopratutto in ambito investigativo, fornisce strumenti adeguati per ottenere informazioni da luoghi e situazioni che vanno osservati con occhio tecnico, in particolare nel momento in cui è necessario incontrare le persone implicate, quali, ad esempio, le vittime, i testimoni, gli autori di reato e le persone informate sui fatti.

Negli ultimi anni, poi, si è sviluppato un dibattito sul ruolo della psicologia, intesa come disciplina in grado di offrire metodi e strumenti utilizzabili in senso investigativo.  Nel Regno Unito, il professor David Canter, fondatore, presso l’Università di Liverpool, del primo centro di Psicologia Investigativa, ha coniato il termine “investigative psychology”, con il quale intende l’uso della psicologia nel processo investigativo e, più in generale, nell’attività di Polizia Giudiziaria. La psicologia investigativa di Canter studia come reperire, valutare e utilizzare in modo efficace l’informazione investigativa, come supportare le azioni e le decisioni delle Forze di Polizia e le inferenze che si possono trarre dall’attività criminale. Nel nostro paese, invece, il professor Guglielmo Gulotta usa questa espressione per indicare lo studio dei fenomeni sociali. La psicologia investigativa, in questo senso, viene intesa come “una metodologia investigativa rivolta allo studio delle persone nelle situazioni sociali e dei fenomeni nel loro contesto naturale” (Gulotta, 2003) e, di conseguenza, è possibile considerare la psicologia investigativa forense come “l’applicazione della metodologia investigativa al crimine”, inteso come fenomeno sociale particolare (Gulotta, 1993a, 2000). 

Ne deriva che sono due i suoi possibili ambiti di intervento: non solo serve ad indagare ciò che si ignora (ad esempio stabilire l’identità dell’autore sconosciuto di un crimine ed il suo modus operandi, collaborare alle indagini per morte equivoca e autopsia psicologica, ecc), ma la psicologia investigativa può essere anche utilizzata per interpretare, sotto il profilo psicosociale, una condotta umana, al fine di valutare la responsabilità, capire il perché e le circostanze psicologiche di un determinato evento criminoso (Gulotta 2008).  

 

 

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini

 

 

 

 

L’assistenza del consulente psicologo: il ruolo del consulente tecnico

L’assistenza del consulente psicologo: il ruolo del consulente tecnico

Prima della legge 397/2000

Prima dell’entrata in vigore della legge 397/2000, il nostro Codice prevedeva disposizioni riguardanti le figure del perito, nominato dal giudice, e del consulente, nominato dal Pubblico Ministero e dalle parti private.

Si tratta di esperti che affiancano il lavoro delle parti del processo (libro terzo titolo II) ed è possibile ricorre al loro ausilio durante tutta la fase delle indagini preliminari.

Quando si rende necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, il giudice ha la possibilità, scegliendo fra gli iscritti agli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza in una specifica disciplina, di nominare un perito, il quale ha il compito di redigere una relazione peritale che risponda ai quesiti che gli sono stati posti, attraverso le attività regolamentate dall’art. 288 c.p.p. (Attività del perito).

Le parti, invece, hanno facoltà di nominare dei propri consulenti tecnici, nche nei casi in cui non sia stata disposta una perizia. Per quel che riguarda, invece, il momento prettamente investigativo, l’esperto veniva previsto o quando le operazioni della Polizia Giudiziaria richiedevano specifiche competenze tecniche (art. 348 c.p.p.) o se il PM aveva necessità di procedere ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici o ad ogni altra operazione tecnica per cui fossero necessarie specifiche competenze (art. 359 c.p.p.).

È lampante che l’utilizzo degli esperti in fase investigativa era prerogativa riservata agli organi inquirenti, la Polizia Giudiziaria e la Pubblica Accusa. Le altre parti potevano partecipare al momento investigativo, con consulenti di loro fiducia, solo nel caso in cui gli accertamenti, di cui all’art. 359 c.p.p., avevano le caratteristiche degli accertamenti non ripetibili (art. 360 c.p.p.).

A tale proposito, sembra utile considerare che nel codice Zanardelli veniva completamente ignorato l’istituto dell’indagine difensiva. Questo era delineato, solo in maniera ridotta, nel testo definitivo dell’art. 38 dellenorme di attuazione, coordinamento e transitorie del Codice di Rito penale. Questo articolo, effettivamente, consentiva, al difensore e all’investigatore privato, soltanto la possibilità di conferire con le persone informate sui fatti, non di acquisirne le dichiarazioni, informazioni ovvero documenti utili alle indagini.

Nel codice attuale

Grazie alla modifica che l’art. 5 (attraverso i commi 1bis e 1ter) della legge 397/2000 fa dell’art. 233 c.p.p, il ruolo del consulente tecnico, in sede extraperitale e investigativa, si connota per aspetti e ambiti nuovi.

Può, come prima cosa, esaminare i beni sequestrate nel luogo in cui si trovano. Ha la possibilità, cioè, di ispezionare, previa autorizzazione successiva al sequestro, le cose in oggetto del sequestro stesso, senza però poterle rimuoverle (art. 253, Oggetto e formalità del sequestro; art. 254, Sequestro di corrispondenza; art. 255, Sequestro presso banche).

Ha, poi, la possibilità di intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. Infine, è prevista la possibilità di esaminare, in un momento successivo all’esame del PM, un oggetto, nel caso in cui la nomina del difensore o del consulente sia stata tardiva rispetto ai tempi previsti dal codice (art. 364, nomina e assistenza del difensore).  Non bisogna, poi, dimenticare, la possibilità, per il consulente di avviare o partecipare alle eventuali attività di indagine preventiva, nel caso in cui si ipotizza che possa instaurarsi un procedimento penale. Il comma 3 dell’art. 327bis è alquanto lacunoso per quel che riguarda l’incarico al sostituto, all’investigatore privato autorizzato o al consulente tecnico, poiché non è prevista alcuna specifica forma. In particolare, riguardo alla figura del consulente tecnico, si può osservare che il riferimento alle specifiche competenze, che potrebbero rendere necessario l’incarico al consulente tecnico, serve a chiarire che il difensore ricorrerà all’ausilio di un consulente tecnico quando il compimento di un atto presuppone speciali conoscenze (Brichetti, Randazzo, 2000).

 

 

 

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini