Articolo 5 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Analisi delle fonti

ANALISI DELLE FONTI DELLO STRESS LAVORO – CORRELATO

 

Nel corso degli ultimi trenta anni, in tutti i settori lavorativi e nell’ambito dei vari governi, è aumentata progressivamente la consapevolezza che lo stress correlato al lavoro ha delle conseguenze indesiderate sulla salute degli individui e su quella delle organizzazioni di appartenenza.

Molti, come abbiamo mostrato nel primo capitolo, sono i dati che affermano la significativa correlazione tra lo stress e le caratteristiche dell’organizzazione del lavoro (o meglio della sua assenza o della sua inadeguatezza e insufficienza).

I dati rivelano che il 28% dei lavoratori dell’UE ha riferito disturbi correlati allo stress. Percentuale che equivale a circa 41 milioni di lavoratori europei colpiti ogni anno da stress legato all’attività lavorativa. (European Foundation, 2001) Mentre fino a pochi anni fa le patologie da lavoro erano prevalentemente ad eziologia monofattoriale, per esposizione lavorativa abnorme a rischi prevalentemente fisici quali: polveri, fumi, gas e vapori, rumore, più recentemente risultano invece in aumento il disagio  lavorativo e le patologie definite “stress-correlate” di tipo aspecifico ad eziologia multifattoriale.

A questo nuovo scenario di riferimento consegue l’urgente necessità di orientare la ricerca delle scienze psicosociali allo studio delle cosiddette “work – related diseases” o malattie “lavoro-associate” a genesi multifattoriale che aumentano il ventaglio dei “pericoli” e dei “rischi” nei luoghi di lavoro.

A questa considerazione di carattere scientifico-culturale, si aggiunge una riflessione imposta dalla più recente giurisprudenza. Le recenti disposizioni (vedi D.L.gs del 9 aprile 2008, n.81 e accordo europeo dell’8 ottobre 2004 come riportato nel primo capitolo) introducono l’obbligo di valutare tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori. Le nuove norme rafforzano e tendono ad estendere l’adempimento, da parte del Datore di Lavoro, obbligandolo ad includere nel documento di valutazione dei rischi anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, introducendo inevitabilmente la valutazione dei rischi “psicosociali”.

Gran parte dei rischi fisici è misurabile in modo oggettivo, e con un buon grado di affidabilità e validità. Per la misurazione di alcuni dei rischi fisici sono stati anche individuati degli standard che possono essere utilizzati per regolare l’esposizione a queste potenziali fonti di danno.

I rischi psicosociali correlati al lavoro riguardano aspetti relativi alla progettazione ed alla gestione del lavoro ed al suo contesto sociale ed organizzativo potenzialmente in grado di causare danni psicologici o fisici. Essi sono stati identificati come una delle maggiori sfide per la salute e per la sicurezza occupazionale e sono legati a problemi sul posto di lavoro quali stress da lavoro e violenza, molestie e mobbing.

I rischi fisici possono, quindi, essere considerarsi di più facile valutazione, gestione e controllo presso i luoghi di lavoro rispetto ai rischi psicosociali.

La figura sotto riportata esplica il percorso rischio – danno prendendo in considerazione, nella relazione rischio – stress – salute, sia i rischi psicosociali ché fisici.

Fonte: European Agency for Safety and Health at Work, 2000

1 – Andare al cuore dell’organizzazione: i fattori di rischio psicosociali

In letteratura i rischi psicosociali sono stati definiti come “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali che potenzialmente possono arrecare danni fisici o psicologici” (Cox e Griffiths, 1995).

L’indagine pubblicata dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (2000), che ha preso in esame i dati delle ricerche, condotte in ambito comunitario ed extracomunitario, sullo stress correlato al lavoro, mostra che gli aspetti psicologici del lavoro sono stati oggetto di ricerca almeno sin dagli anni ’50. In una prima fase, l’attenzione degli psicologi si è concentrata principalmente sugli ostacoli all’adattamento dell’uomo al lavoro. Negli anni 60’, con la comparsa delle ricerche psicosociali sull’ambiente di lavoro e la diffusione della psicologia del lavoro, l’interesse si è progressivamente spostato da una prospettiva individuale per dirigersi verso l’analisi delle caratteristiche degli ambienti di lavoro potenzialmente dannosi per l’uomo. Attualmente, esiste ampia evidenza scientifica che identifica, come stressoggene, e quindi potenzialmente dannose una gamma di caratteristiche del lavoro, alcune relative al contesto altre ai contenuti specifici del lavoro, che sono riassunte nella tabella sottostante (tabella 3).

In particolare, ciascuno di questi aspetti del lavoro, in base a determinate condizioni, presenta un potenziale di danno e pertanto rappresenta una fonte di rischio psicosociale. In letteratura esistono diverse classificazioni dei fattori di rischio psicosociali, ad esempio Kasl (1991) individua cinque gruppi:

    1. aspetti temporali della giornata di lavoro e dell’attività lavorativa;
    1. contenuto dell’attività lavorativa (indipendentemente dagli aspetti temporali); 3)
    1. rapporti interpersonali nel gruppo di lavoro;
    1. rapporti interpersonali con i superiori;
    1. condizioni dell’organizzazione (Kasl, 1991 citato in Broferio et al., 2008 e citato in Pappone et al., 2005).

La classificazione proposta dalla European Agency for Safety and Health at Work, (2000) funge da monito per far emergere gli spetti più ricorrenti di debolezza e di criticità nelle organizzazioni del lavoro al fine di richiamare l’attenzione e l’indispensabile valutazione per poter identificare gli spazi e gli ambiti nei quali si va potenzialmente annidando quel “malessere” a carattere collettivo, di gruppo, che spesso poi, se trascurato, sottovalutato o non oggettivato, conduce a situazioni di disagio lavorativo diffuso e difficile da recuperare, in tempi utili, senza rischiare l’insorgenza di gravi e permanenti danni ai lavoratori.

E’ importante osservare, nella tabella sottostante, la compresenza, nel pieno rispetto delle logiche di cultura europea, in un contesto di analisi dell’organizzazione del lavoro, di aspetti di natura più meramente tecnico – strutturale come “l’ambiente di lavoro e le attrezzature”, con aspetti relativi alla gestione delle risorse umane come lo “sviluppo di carriera e ruolo nell’organizzazione”, con aspetti di carattere meramente relazionali come “relazioni interpersonali sul lavoro”

Tabella 3: Caratteristiche stressanti del lavoro

Fonte: European Agency for Safety and Health at Work, 2002

Le dimensioni sopra citate influenzano la percezione che una persona ha delle situazioni di lavoro, sono esse stesse potenzialmente causa di stress all’origine e sono aspetti fondamentali della valutazione dei rischi psicosociali.

1.1 Principali fattori di rischio psicosociali legati al contesto

Funzione e cultura organizzativa:

Il clima e la cultura organizzativa definiscono la personalità dell’organizzazione ed influiscono nella percezione che il lavoratore ha della stessa e nella determinazione del suo senso di appartenenza ad essa.

Gli studi sulle percezioni e sulle descrizioni dei lavoratori dipendenti della loro organizzazione evidenziano come l’organizzazione si caratterizza prevalentemente per tre diversi ambiti di funzione e cultura organizzativa:

    • a) l’organizzazione come ambiente di mansioni ;
    • b) l’organizzazione come ambiente di sviluppo;
    • c) l’organizzazione come ambiente di soluzione dei problemi.

Nei casi in cui l’organizzazione risulti carente in relazione a questi ambienti (ad esempio mancanza di definizione dei compiti e degli obiettivi organizzativi, livelli bassi di possibilità di sviluppo personale, basso appoggio per la risoluzione dei problemi), dall’analisi delle prove raccolte in letteratura, è molto probabile che l’organizzazione sia vissuta come stressante e quindi potenzialmente a rischio per la salute dei lavoratori (Cox & Leiter, 1992 citati in Bernardi e Sprini, 2005).

La cultura dell’organizzazione viene veicolata e trasmessa dallo stile di leadership e dal comportamento adottato da dirigenti e superiori (Leka et al., 2003). Landy e Corey & Wolf (1992) hanno dimostrato che il comportamento della direzione e gli stili di supervisione esercitano un impatto significativo sul benessere emotivo dei lavoratori (Landy, 1992 e Corey & Wolf, 1992 citati in Cox et al., 2000).

Ruolo nell’organizzazione:

Il ruolo nell’organizzazione può essere una possibile fonte di rischio psico-sociale in relazione a tre suoi aspetti potenzialmente pericolosi: 1) l’ambiguità di ruolo; 2) il conflitto di ruolo; 3) la responsabilità per altre persone.

    1. L’ambiguità di ruolo si verifica quando un lavoratore non dispone di una sufficiente chiarezza di informazioni circa gli ambiti e le responsabilità dell’impiego svolto, le aspettative dei colleghi di lavoro rispetto al ruolo ed i compiti che gli vengono affidati.
    1. Il conflitto di ruolo avviene quando le richieste che vengono fatte al soggetto sono in conflitto con i propri valori od incompatibili con la corretta esecuzione del lavoro. Nell’ambito del conflitto di ruolo Cooper distingue: a) conflitto ruolo persona: quando l’individuo preferirebbe svolgere un incarico in maniera differente da quanto viene proposto dal mansionario (job description); b) conflitto intramandatario: quando ad un individuo viene assegnato un compito, ma non le risorse sufficienti per portarlo a termine con successo; c) conflitto intermandatari: quando ad un individuo si chiede di comportarsi in modo tale per cui il suo comportamento può essere gradito a qualcuno e sgradito ad altri; d) sovraccarico di ruolo: quando all’individuo viene assegnato più lavoro di quanto possa essere effettivamente eseguito (Cooper 1988, citato in Favretto, 1994). In letteratura è stato dimostrato che l’ambiguità ed il conflitto di ruolo interferiscono negativamente sulla soddisfazione lavorativa ed aumentano sensibilmente il carico di tensione, stress cronico, derivante dal lavoro (Dewe, 2000; Sulky & Smith, 2005 citati in Dewe e Cooper, 2007).
    1. La responsabilità per altre persone risulta essere particolarmente dannosa per la salute. Gli studi in letteratura (French & Caplan, 1970, Leiter, 1991 citati in Cox et al., 2000) hanno dimostrato che la responsabilità nei confronti di altre persone può determinare rischi di cardiopatie coronariche, comportamenti autolesivi come il fumo eccessivo, un aumento della pressione sanguigna diastolica e, nelle professioni di aiuto è associata ad esaurimento emotivo ed alla depersonalizzazione nelle relazioni con il paziente.

Evoluzione della carriera:

La mancanza di una evoluzione di carriera rispetto alle proprie aspettative di status e di riconoscimento rappresenta un’altra fonte di rischio potenzialmente stressogena legata alla delusione per la frustrazione delle proprie ambizioni.

“Le sovra-promozioni, collegate ad un conseguente senso di inadeguatezza ed al timore di non essere all’altezza del compito, così come le retrocessioni, connesse invece a sensazioni di frustrazione, insoddisfazione e demotivazione, possono influire negativamente sulla performance lavorativa degli individui e minare pericolosamente il loro benessere fisico e mentale” (Favretto, 1994). Oltre all’incongruenza di posizione, in letteratura è stata individuata un ulteriore fonte di stress, sempre più frequente, legata all’evoluzione di carriera: l’insicurezza lavorativa collegata al pericolo di perdere il posto di lavoro (a seguito di esuberi di personale, prepensionamento forzato, mobilità, cassa integrazione, contratti atipici) che può provocare ansia, disturbi psicosomatici e varie patologie fisiche e psichiche (Mak & Muller, 2000; Wichert et al., 2000; Anhkanasy et al., 2004, citato in Dewe e Cooper, 2007; Gallie, 2005 e Maxwell, 2004, citati in Dollar et al., 2007).

Autonomia decisionale e controllo:

Secondo i dati della “Third European Survey on Working Conditions” della Fondazione Europea, pubblicata nel 2001 ed i dati della Ricerca sullo Stress correlato al Lavoro (Ispesl, 2002) dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, come osservato nel primo capitolo, l’autonomia decisionale ed il controllo rappresentano due questioni prioritarie ed importanti nella progettazione delle mansioni e nell’organizzazione del lavoro e, fra le primarie cause individuate come fonte di stress lavorativo. Questi aspetti riguardano la possibilità che i lavoratori hanno di partecipare al processo decisionale che incide sul proprio lavoro: sull’ordine dei propri compiti, sui metodi di lavoro, su tempi di lavoro e sugli orari di lavoro.

Le ricerche condotte (French & Caplan, 1972, Margolis et al., 1974, Spector ,1986, citati in Cox et al., 2000) evidenziano come l’opportunità di partecipare al processo decisionale produca una maggiore soddisfazione lavorativa ed un aumento dell’autostima, di converso la mancata partecipazione risulta essere fortemente correlata allo stress e a cattive condizioni di salute fisica.

Come abbiamo potuto osservare nel secondo capitolo, la dimensione “controllo lavorativo” è stata ampiamente indagata nella ricerca empirica, attraverso l’impiego del modello di Karasek (1979) ed è stata confermata la sua correlazione allo stresslavoro correlato. De Witte et al., (2007)suggerisce, in un ottica di promozione della salute e del benessere lavorativo, di considerare il controllo come un importante strumento sul quale intervenire attraverso la ri-progettazione del lavoro per realizzare la crescita ed il benessere sul lavoro.

Rapporti interpersonali sul lavoro:

Un altro fattore di rischio psico-sociale fa riferimento alle dinamiche di relazione nei luoghi di lavoro: con i colleghi, con i superiori e con i subalterni. Levi L., che intorno agli anni 70 presso il Laboratory for Clinical Stress Reserch di Stoccolma, nell’ambito degli studi sui fenomeni psicosomatici, ha elaborato il cosiddetto modello psicosociale, ha evidenziato come le interazioni sociali ed i rapporti interpersonali se non gestiti in maniera adeguata possono rappresentare una fonte di stress in grado di elicitare nelle persone disturbi psicosomatici (Levi, 1970 citato in Bernardi e Sprini, 2005).

Come abbiamo potuto osservare, nel secondo capitolo, alcune ricerche hanno rilevato che un appoggio interpersonale scarso sul lavoro determina maggiori livelli di ansia, esaurimento emotivo, tensione e scarsa soddisfazione per il proprio lavoro, nonché un aumento dei rischi di malattie cardiovascolari. Cooper già negli anni ‘80 sosteneva con convinzione che buoni rapporti tra lavoratori e componenti dei gruppi di lavoro sono fondamentali per la salute individuale e dell’organizzazione (Cooper, 1981, citato in Cox et al., 2000). Esiste una convinzione diffusa che i rapporti sociali, sia sul lavoro che al di fuori, svolgano un ruolo di moderazione e che, quando i rapporti forniscono un appoggio limitato, gli effetti negativi di esposizione ad altri rischi psicosociali sono più probabili o marcati (es: Cohen & Willis, 1985, citati in Cox et al., 2000; Wichert et al., 2000).

Karasek e colleghi già (1982) in uno studio condotto su oltre 1.000 lavoratori svedesi, hanno dimostrato che l’appoggio offerto dai superiori e dai colleghi attenuava gli effetti esercitati dalle richieste di lavoro sulla depressione e accresceva la soddisfazione per il proprio impiego (Karasek, 1982 citato in Cox et al., 2000).

Depolo (2003) sostiene che il gruppo formato dai colleghi di lavoro costituisce una delle reti sociali più importanti della vita adulta e che la scarsa qualità di queste relazioni depriva la persona di un importante fattore antistress. Se l’ambiente di lavoro viene vissuto come insicuro ed ostile, l’esperienza lavorativa viene a perdere la sua funzione di integrazione sociale e realizzazione del sé, tornando a rappresentare un fattore di rischio per la qualità della vita dei lavoratori (Depolo, 2003).

Interfaccia casa lavoro:

Il concetto di interfaccia casa-lavoro si riferisce alle pressioni che possono provenire da problemi di natura familiare ma anche in linea generale al contesto di vita al di fuori dal lavoro che espongono l’individuo a conflitti che si ripercuotono sulla situazione lavorativa in termini di performance, efficienza lavorativa ed adattamento al lavoro.

Secondo gli studi di Cooper (1986) i conflitti si riferiscono prevalentemente a questioni che riguardono richieste di tempo, di impegno o la mancanza di un adeguato supporto familiare (Cooper, 1986 citato in Bernardi e Sprini, 2005).

1.2 I principali fattori di rischio psicosociali legati alcontenuto

Spostando l’attenzione ai rischi psicosociali legati ai contenuti, si segnalano:

Ambiente di lavoro ed attrezzature:

Un ambiente di lavoro non confortevole (la scarsa illuminazione, l’alta temperatura, il freddo eccessivo, la cattiva ventilazione, le correnti d’aria, il rumore, gli spazi insufficienti, le scarse condizioni igieniche) può determinare una esperienza di stress, disturbare il lavoratore riducendo la sua tolleranza ad altri stressors e la sua motivazione al lavoro, aumentare il rischio di incidenti, di disturbi fisici e psicologici ed, in linea generale incidere negativamente sul benessere e la soddisfazione dei lavoratori (es: Holt, 1982 citato in Cox et al., 2000). Inoltre, agenti fisici o chimici presenti nell’ambiente e la sensazione di scarso potere di controllo su di essi sono da considerare anch’essi elementi stressogeni così come la carenza di strumentazioni e attrezzature adeguate allo svolgimento del proprio lavoro (Bernardi e Sprini, 2005).

Pianificazione dei compiti:

Un ruolo importante, quale cause di stress, è legato alla pianificazione dei fattori relativi al compito di lavoro. Tra essi possiamo includere: la carenza di varietà, la ripetitività, la monotonia, la scarsa possibilità di apprendere e la noia. Suddetti fattori sono spesso associati a risposte d’ansia, a depressione ed ad uno scarso benessere psicologico (Broadbent & Gath, 1981; O’Hanlon, 1981; Smith, 1981 citati in Cox et al., 2000). In presenza di tali tipi di compiti si può anche riscontrare un aumento dei disturbi quali ad esempio quelli muscolo-scheletrici (Jensen et al., 2002; Larsman, 2006).

Carico di lavoro e ritmi:

Il carico di lavoro è stato uno primi aspetti del lavoro ad interessare i ricercatori e a ricevere attenzione. I primi risultati scientifici (Frankeauser, 1975; Stewart, 1976 citati in Bernardi e Sprini, 2005) hanno subito evidenziato che sia il carico di lavoro sovradimensionato che quello sottodimensionato possono essere fonte di pericolosità per la salute. Alcuni autori (French & Caplan, 1970 citati in Bernardi e Sprini, 2005; Winnubst et al., 1996) hanno operato una distinzione tra carico di lavoro quantitativo ossia la quantità di lavoro da realizzare (avere troppe cose da fare) e carico di lavoro qualitativo ossia la difficoltà e la complessità del lavoro da realizzare. Entrambe le due dimensioni sono state associate all’esperienza di stress.

“La ripetitività, la monotonia, industriale, i compiti parcellizzati e scanditi dalla macchina rappresentano situazioni lavorative facilmente omologabili a quelle di sottocarico lavorativo. A compiti come questi, infatti, spesso si associa la mancanza di stimolazione con la scarsa possibilità di utilizzare le proprie abilità e la riduzione della discrezionalità decisionale.” (Favretto, 1994).

Il carico di lavoro va considerato anche in relazione al ritmo di lavoro ossia la rapidità e l’urgenza con cui il lavoro deve essere terminato. Esistono diverse prove (Cox 1985; Smith 1985 citati in Cox et al.,2000; Winnubst et al., 1996) che hanno dimostrato che il lavoro svolto ad un ritmo elevato è dannoso per la salute fisica e psicologica.

Esistono delle prove in letteratura circa la diversa distribuzione dei rischi psicosociali nell’ambito di differenti tipologie di lavoro effettuato. Rientra in questi studi un lavoro di Warr (1992) in cui viene effettuato un confronto tra la differente distribuzione dei rischi in un lavoro manuale e in uno manageriale. Il lavoro manuale aumenta la probabilità di esposizione a rischi legati al carico di lavoro (sia eccessivo che ridotto), al basso potere decisionale e di partecipazione ed alla scarsa varietà dei compiti, ed uno uso ridotto delle potenziali capacità nel caso di lavoro ritenuto poco qualificato. Il lavoro manageriale aumenta l’esposizione a rischi legati al sovraccarico di lavoro, a problemi di ruolo e all’incertezza lavorativa (Warr, 1992).

Orario di lavoro:

Sono stati condotti diversi studi, in ambito comunitario, sulla problematica degli orari di lavoro sia rispetto alla tipologia di lavoro a turni sia rispetto al superamento dell’orario ordinario, ossia del lavoro straordinario. Nella relazione sulle condizioni di lavoro della fondazione europea (1996) è stato evidenziato che il 49% dei lavoratori comunitari lavora più di 40 ore a settimana ed il 23% più di 45 ore e si è registrato un aumento di problemi di salute (legati prevalentemente allo stress) in funzione delle ore lavorate. Alcuni di questi studi, hanno dimostrato che il lavoro prolungato desta particolari preoccupazioni per la salute fisica e psicologica sottoponendo il lavoratore a diversi rischi professionali in ordine alla sicurezza nei luoghi di lavoro. In particolare Rosa et al., (1989) hanno dimostrato dopo un periodo di sette mesi con turni di 12 ore lavorative giornaliere per 3-4 volte la settimana si registra una abbassamento dello stato di allerta, una aumento della sensazione di fatica ed una diminuzione delle ore di sonno rispetto a turni di 8 ore lavorative giornaliere distribuite durante la settimana. È stato, inoltre, evidenziato (Stampi, 1989) che l’accumulo di sonno interferisce negativamente con le prestazioni ed il rendimento lavorativo abbassando conseguentemente la produttività individuale (Rosa et al., 1989; Stampi, 1989 citati in Bernardi F., Sprini G., 2005).

1.3 Rischi psicosociali emergenti

I cambiamenti che nelle recenti decadi hanno interessato il mondo del lavoro legati al modo in cui il lavoro è ideato, organizzato e gestito, nonché al contesto economico e sociale del lavoro, fanno emergere “nuovi rischi psicosociali” aumentano il livello di stress e possono causare un grave deterioramento della salute mentale e fisica dei lavoratori (Cox e Griffiths, 2003).

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha istituito, su disposizione ricevuta dalla Commissione che ha emanato “la nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006” (Comunicazione 2002) “un osservatorio dei rischi” per “anticipare rischi nuovi ed emergenti”. Per rischio emergente si intende qualunque rischio nuovo e/o in aumento. Con nuovo ci si riferisce ad un rischio che non esisteva prima ed è causato da nuovi tipi di luoghi di lavoro, da nuovi processi organizzativi, nuove tecnologie o da trasformazioni sociali o organizzative, oppure da problemi di lunga data trascurati che alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e dei cambiamenti nella pubblica percezione vengono rivalutati come “rischi”. Il rischio si considera in aumento quando il numero dei pericoli che costituiscono il rischio è in aumento; la probabilità di esposizione ai pericoli è in aumento e quando gli effetti dei pericoli sulla salute stanno peggiorando.

L’indagine e gli studi specializzati rivelano che i rischi psicosociali emergenti per la sicurezza e la salute spesso sono la conseguenza di trasformazioni tecniche o organizzative. Le trasformazioni socio-economiche, demografiche e politiche, compreso l’attuale fenomeno della globalizzazione, sono anch’essi fattori importanti. I rischi psicosociali emergenti più importanti individuati dagli esperti e riportati in una pubblicazione dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro nel 2007  (http://riskobservatory.osha.europa.eu/risks/forecasts/psychosocial_risks) si possono raggruppare nei seguenti gruppi:

Nuove forme di contratti di lavoro e insicurezza del posto dilavoro

L’aumentato uso di contratti di lavoro precari, insieme alla tendenza verso una produzione snella (produzione di beni e servizi eliminando gli sprechi) e il ricorso al l’outsourcing (l’uso di imprese esterne per svolgere il lavoro) può incidere sulla salute e la sicurezza dei lavoratori. I lavoratori con contratti precari tendono a svolgere i lavori più pericolosi, a lavorare in condizioni peggiori e a ricevere meno formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Lavorare in mercati del lavoro instabili può dare origine a una sensazione di insicurezza del posto di lavoro e aumentare lo stress legato al lavoro. In letteratura c’è una crescente preoccupazione che, i cambiamenti che coinvolgono il mondo del lavoro possano portare a conseguenze negative per i lavoratori (Cox e Griffiths, 2003; Landsbergis, 2003). Inoltre, il cambiamento organizzativo scarsamente gestito può causare un ulteriore stress (Armenakis & Bedeia, 1999, Mack, Nelson & Quick, 1998 citati in Dollar et al., 2007), ridotta soddisfazione sul lavoro e ridotto impegno organizzativo (Armenakis & Bedeian, 1999 citato in Dollar et al., 2007), e maggiore turnover (Kickul, Lester & Finkl, 2002; Korsgaard, Sapienza & Schweiger, 2002 citati in Dollar et al., 2007).

Intensificazione del lavoro

Molti lavoratori gestiscono quantità di informazioni sempre maggiori e devono far fronte a volumi di lavoro più elevati e a una maggiore pressione sul lavoro. Alcuni lavoratori, in particolare coloro che sono impiegati in nuove forme di occupazione o in settori altamente competitivi, tendono a sentirsi meno sicuri. Per esempio, possono temere che la loro efficienza e il loro rendimento vengano valutati con maggior rigore, e quindi tendono a lavorare più ore per portare a termine i loro compiti.

Talvolta non sono ricompensati per il maggior volume di lavoro che svolgono, oppure non ricevono il sostegno sociale necessario per portarlo a termine. Un volume di lavoro superiore e un atteggiamento più esigente nei confronti di alcuni lavoratori può aumentare lo stress legato al lavoro e incidere sulla salute e sicurezza degli stessi.

Come evidenziato nel primo capitolo recenti studi hanno mostrato un aumento nella percezione degli addetti dell’intensità del lavoro (Winnubst et al., 1996; Green & McIntosh, 2001; Gallie, 2005 citato in Dollar et al., 2007).

Elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro

Questo problema non è nuovo, ma suscita grande preoccupazione, soprattutto nei settori in crescita e sempre più concorrenziali della sanità e dei servizi. Le molestie sul luogo di lavoro sono considerate dagli esperti un fattore che contribuisce ad accrescere le pressioni emotive esercitate sui lavoratori. Il problema della violenza e del bullismo può riguardare tutti i tipi di impiego in tutti i settori. Sia per le vittime che per i testimoni, la violenza e il bullismo provocano stress e possono compromettere gravemente la salute sia mentale sia fisica. In letteratura si possono ritrovare ampie dimostrazioni: il bullismo è stato collegato ad una varietà di seri risultati negativi inclusi sintomi psicosomatici, irritazione, depressione e scarsa salute fisica (es: Mikkelsen & Einarsen, 2002), nonché a diminuita soddisfazione sul lavoro, crescente assenteismo e diminuito impegno organizzativo (Agervold & Mikkelsen, 2004; Hoel & Cooper, 2000 citati in Dollar et al., 2007). I dati emergenti dalla ricerca longitudinale supportano il legame epidemiologico tra bullismo e salute; in particolare sembra che il bullismo possa preconizzare lo sviluppo di nuove malattie cardiovascolari (Kivimaki et al., 2003 in Dollar et al., 2007).

Scarso equilibrio fra vita e lavoro

I problemi sul lavoro possono riversarsi sulla vita privata di una persona. Il lavoro informale e incerto, elevati volumi di lavoro e orari di lavoro variabili o imprevedibili, soprattutto quando non c’è la possibilità per il dipendente di adeguarli alle proprie esigenze personali, possono generare un conflitto fra le esigenze di lavoro e la vita privata. La conseguenza è uno scarso equilibrio fra vita e lavoro che ha un effetto dannoso sul benessere del lavoratore (Van den Bossche, Smulders & Houtman, 2006 citati in Dollar et al., 2007).

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

Articolo 4 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – principali teorie

Approccio Tecnico

 

In questo primo approccio lo stress sul lavoro viene concepito come una caratteristica avversa oppure dannosa dell’ambiente di lavoro, pertanto come una caratteristica di uno stimolo dell’ambiente che viene considerato dall’individuo in termini di carico, livello di richieste o di elementi minacciosi o che possono arrecare danno (Cox, 1990; Cox & Mackay, 1981; Fletcher, 1988 citati in Cox et al., 2000).

Approccio Fisiologico,

Questo approccio trova le sue origini nella concettualizzazione di Selye (1975) che ha definito lo stress come “sindrome generale di adattamento” (SGA). Lo stress viene concepito come “una risposta generale aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente capitolo secondo dall’ambiente”. In definitiva è uno “stato fisiologico normale” finalizzato all’adattamento dell’individuo all’ambiente (Selye, 1975, citato in Favretto, 1994). L’autore (1950, 1956) ha inoltre sostenuto che la reazione fisiologica si componesse di tre fasi, una fase iniziale di allarme (attivazione midollare surrenale-simpatica) seguita da una fase di resistenza (attivazione corticale surrenalica) correlata alla durata dello stato di stress che, in alcuni casi, dava luogo ad una fase finale di esaurimento (riattivazione terminale del sistema midollare surrenale-simpatico). Si ritiene che il manifestarsi ripetuto, intenso o prolungato di questa reazione fisiologica determini un indebolimento del corpo e contribuisca a quelle che Selye (1956) ha definito le “malattie di adattamento” (Selye, 1956 citato in Cox et al., 2000).

Approccio Psicologico

Lo sviluppo di questo approccio ha rappresentato, in parte, un tentativo per superare le critiche mosse alle impostazioni precedenti. La prima si riferisce al fatto che sia il modello tecnico che quello fisiologico non forniscono un’adeguata spiegazione dei dati empirici esistenti. La seconda critica riguarda il fatto che entrambi i modelli sono concettualmente datati, poiché vengono collocati all’interno di un modello stimolo-reazione relativamente semplice e tengono in scarsa considerazione le differenze individuali di natura psicologica ed i processi percettivi e cognitivi che li possono avvalorare (Sutherland & Cooper, 1990; Cox, 1993 citati in Cox et al., 2000).

Pertanto questi modelli considerano la persona come “passiva” nella traduzione delle caratteristiche dello stimolo dell’ambiente in risposte di natura fisiologica e psicologica. Soprattutto, questi modelli ignorano le interazioni tra la persona ed i diversi ambienti che costituiscono una parte fondamentale delle impostazioni fondate su sistemi nel campo della biologia,della psicologia e delle scienze comportamentali. In particolare ignorano i contesti psicosociali ed organizzativi per lo stress occupazionale. E’ proprio su quest’ultimo punto che l’approccio psicologico pone le sue fondamenta. Lo stress viene definito in termini di interazione dinamica tra la persona e l’ambiente di lavoro. Questo terzo approccio per la definizione e lo studio dello stress presta invece una particolare attenzione ai fattori ambientali e, in particolare, ai contesti organizzativi e psicosociali dello stress correlato al lavoro. Lo stress viene indotto dall’esistenza di interazioni problematiche tra la persona e l’ambiente, oppure viene misurato in termini di processi cognitivi e reazioni emotive che sono alla base di tali interazioni. Attualmente, esiste un consenso sempre maggiore nei confronti di questo tipo di approccio per la definizione dello stress. Le impostazioni psicologiche, infatti, risultano in linea con la definizione di stress quale “stato psicologico negativo, con componenti emotive e cognitive, e sugli effetti sulla salute sia dei singoli lavoratori dipendenti che delle loro organizzazioni” data dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization, ILO 1986) e con la definizione di benessere proposta dall’Organizzazione Mondiale della la Sanità (1986):

    • “Benessere è uno stato mentale dinamico caratterizzato da un’adeguata armonia tra capacità, esigenze e aspettative di un individuo, ed esigenze e opportunità ambientali”.

Queste impostazioni sono altresì in accordo con la letteratura in via di sviluppo in materia di valutazione dei rischi individuali (Cox e Griffiths, 1996). Queste concordanze e sovrapposizioni stanno ad indicare una coerenza sempre maggiore nel modo attuale di pensare in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Al fine di sintetizzare il processo di stress, in accordo con l’approccio psicologico, sono stati proposti vari modelli descrittivi. Il più importante è quello di Cooper (Cooper, 1986) come viene illustrato nella figura 1 sotto riportata. Il modello di Cooper si concentra sulla natura e tipologia dello stress correlato al lavoro e sui riscontri sia individuali che organizzativi. Secondo l’autore numerosi sono i fattori fisici ambientali identificabili quali “fonti di stress” che possono incidere negativamente sui lavoratori e sull’organizzazione.

Nell’analizzare i loro possibili “effetti” è necessario tener conto dell’importanza e della significatività della “reattività soggettiva” di ciascun individuo. Pertanto risposte fisiologiche e/o comportamentali allo stress sono collegate alla situazione, ma anche ad alcune caratteristiche di personalità dell’individuo. Parte del processo di stress è rappresentato dai rapporti tra l’ambiente di lavoro oggettivo e le percezioni sul lavoro del lavoratore dipendente, tra tali percezioni e l’esperienza di stress, nonché tra tale esperienza ed i cambiamenti nel comportamento, nella funzione fisiologica e nella salute.

Le strategie di fronteggiamento o adattamento (coping) rappresentano una componente importante di questo processo, Cooper et al., (2001) sostengono che la sequenza di stress è rappresentata dal concetto di “adattamento” e lo stress ha luogo quando c’è un mal-adattamento o uno squilibrio tra la persona e l’ambiente in termini di richieste e di risorse per soddisfarle. L’idea di “mal-adattamento” è importante perché i ricercatori dovrebbero prestare più attenzione alla sua natura ed in particolare ai concetti coinvolti, piuttosto che semplicemente identificare quelle componenti strutturali che vi partecipano. Gli autori sostengono che “l’adattamento è significativamente dipendente dalla valutazione ed è il processo di valutazione che lega la persona all’ambiente”. (Cooper et al., 2001 citati in Dewe e Cooper, 2007)

E’ possibile individuare, rispetto all’impostazione psicologica due varianti, che dominano la teoria contemporanea sullo stress:

quella interazionale e quella transazionale. La prima si concentra sulle caratteristiche strutturali dell’interazione tra l’individuo e il proprio ambiente di lavoro, mentre la seconda presta una maggiore attenzione ai meccanismi psicologici che rafforzano tale interazione. I modelli transazionali riguardano principalmente la valutazione cognitiva ed il coping (strategie di fronteggiamento). Per certi versi costituiscono uno sviluppo dei modelli interazionali e sono ampiamente in accordo con gli stessi ((Cox et al., 2000).

Teorie Interazionali

Tra le diverse teorie proposte all’interno di quelle ascrivibili alle teorie internazionali le due più accreditate sono: quella di Karasek (1979) teoria “Demand-Control” (DC Model) e quella di French et al. (1982) Person-Environment Fit (P-E Fit.)

Entrambi i modelli si basano sulla definizione proposta da McGrath (1976) della discrepanza o sbilanciamento tra la persona e

l’ambiente. Lo stress, secondo l’autore, insorge quando la richiesta è eccessiva rispetto alle capacità e alle risorse possedute dalla persona per fronteggiarla e l’individuo a causa di tale discrepanza o sbilanciamento percepisce la situazione come minacciosa (McGrath, 1976, citato in Dewe e Cooper, 2007).

Modello Richiesta-Controllo (Demand-Control Model)

Nel 1979 Robert A. Karasek pubblicò il suo primo studio sullo stress lavorativo percepito. Il suo modello originale suggerisce che la relazione tra elevata domanda lavorativa (job demand, JD) e bassa libertà decisionale (decision latitude, DL) definiscono una condizione di “job strain o perceived job stress“ (stress lavorativo percepito), in grado di spiegare i livelli di stress cronico e l’incremento del rischio cardiovascolare.

Le due principali dimensioni lavorative (domanda vs. controllo) sono considerate variabili indipendenti e poste su assi ortogonali. La job demand si riferisce all’impegno lavorativo richiesto:

    • carico di lavoro,
    • i ritmi di lavoro,
    • la coerenza delle richieste.

La decision latitude è definita da due componenti: la skill discretion e la decision authority: la prima individua condizioni connotate dalla possibilità di imparare cose nuove, dal grado di ripetitività dei compiti e dall’opportunità di valorizzare le proprie competenze; la seconda identifica fondamentalmente il livello di controllo dell’individuo sulla programmazione ed organizzazione del lavoro (Karasek, 1979). Le combinazioni tra l’alta o bassa domanda e l’alto o basso controllo danno luogo a 4 diversi tipi di esperienze psicosociali di lavoro:

    • Lavori ad alto strain (high strain): ad un alto livello di domanda corrisponde un basso livello di controllo. Sono queilavori che creano al lavoratore un alta tensione psicologica la quale si può manifestare in sintomi di ansietà, depressione, esaurimento e vari disturbi psicosomatici.
    • Lavori attivi (active): ad un altro grado di controllo e discrezionalità da parte dell’individuo sulla propria attività corrisponde un elevato grado di domanda psicologica. Questo tipodi contesto lavorativo è caratterizzato da un elevato grado di apprendimento, dalla possibilità di esprimere le proprie capacità ed attitudini e da elevata responsabilità.
    • Lavori a bassa domanda e alto controllo (low strain): ad una domanda psicologica poco pressante corrisponde un alto controllo.Rappresentano situazioni lavorative ottimali, in cui l’individuo può gestire in autonomia la sua attività lavorativa. I lavoratori che appartengono a questa tipologia sono spesso soddisfatti della loro professione. Secondo Karasek sono quei lavori che non procurano nessun problema di tensione psicologica agli individui ed essendo piuttosto rilassanti tendono a proteggere il lavoratore dal rischio di effetti psicofisici.
    • Lavori passivi (passive): ad una bassa domanda corrisponde un altrettanto basso controllo. Si identificano in questa tipologia quei lavori le cui mansioni non incentivano le capacità individuali per i quali si registrano marcati livelli di insoddisfazione. Secondo l’autore questi lavori non creano stress o tensione psicologica, ma disincentivano l’apprendimento e di conseguenza favoriscono l’impoverimento delle abilità lavorative.

Oltre a consentire un’analisi sistemica e simultanea delle due variabili considerate fondamentali nella genesi dello stress, forte anche delle ottime proprietà psicometriche dello strumento d’indagine che ne deriva (Levi, 2000), il modello di Karasek introduce un altro elemento innovativo: la possibilità di predire da un lato le conseguenze negative sulla salute dei lavoratori derivanti dall’esposizione a condizioni di job strain, dall’altro i vantaggi in termini di messa in atto di comportamenti organizzativi positivi (motivazione verso l’apprendimento organizzativo e l’innovazione) a seguito di una progettazione delle condizioni lavorative nella modalità Active (Karasek et al., 1998). Il JCD model è infatti fortemente applicativo, proprio perché finalizzato alla messa in atto di interventi job re-design (ri-progettazione) dei compiti lavorativi (Levi, 2000 citato in Mastrangelo et al., 2008).

Recentemente è stato pubblicato uno studio che ha testato e confermato le ipotesi che sono il cuore di questo modello: richieste elevate sul lavoro (carico di lavoro) in combinazione con scarso controllo sul lavoro (autonomia) aumentano lo stress acuto (non soddisfazione sul lavoro, ipotesi di stress acuto), mentre richieste elevate sul lavoro in combinazione con alto controllo sul lavoro aumentano apprendimento e sviluppo nel lavoro (qui: apprendimento di nuove abilità; ipotesi di apprendimento).

Il modello di Karasek è stato utilizzato anche in un recente studio condotto in Italia con l’obiettivo di sperimentare un modello di monitoraggio, da riproporre per un’indagine mirata su scala europea, che permettesse di fornire un quadro complessivo delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori. Tale ricerca è stata condotta in una regione italiana, il Veneto, scelta come regione-pilota. Anche in questo caso, come per lo studio precedentemente illustrato, i risultati hanno confermato la validità del modello e la sua efficacia applicativa. Inoltre i risultati hanno mostrato che la frequenza di coloro che hanno espresso un elevato stress da lavoro (high strain) è pari al 27% dell’intero campione di riferimento, 2.174 lavoratori. Il rischio di stress da lavoro è maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Tali risultati sembrano in linea con quelli mostrati dall’indagine europea, come descritto nel primo capitolo (Mastrangelo et al., 2008).

Il modello proposto da Karasek è stato approfondito da J.V. Johnson e collaboratori fra gli Anni ’80 e ‘90. Sostanzialmente è stata aggiunta una terza dimensione: la work place social support o social network, dando origine ad un nuovo modello “Domanda-Controllo-Supporto” (Johnson et al., 1988). La dimensione “supporto sociale” si riferisce a tutti i livelli di interazione sociale utili disponibili sul lavoro da parte di colleghi e superiori. Sembra che il “supporto sociale” svolga un ruolo fondamentale nella gestione dello stress correlato al lavoro. Viene utilizzato come “moderatore” in relazione a eventuali effetti nocivi sulla salute di richieste psicologiche eccessive (Theorell, 1997 citato in Cox et al., 2000).

In accordo con questo modello il più elevato rischio di malattie cardiovascolari è stato rilevato, da Johnson et al., (1988, 1989),

nei gruppi connotati da una elevata domanda lavorativa (JD), da una bassa possibilità decisionale (DL) e da un basso supporto sociale (SS) da parte di colleghi e capi. In particolare la presenza di “altri amichevoli” sul lavoro sarebbe elemento positivo per il benessere psicologico dei lavoratori.

Nel 1985 Karasek ha definito la versione base del Job Content Questionnaire (JCQ) su 49 items, che si mantiene tuttora valida. Il modello e il questionario di Karasek sono stati applicati soprattutto nello studio delle patologie cardiovascolari. Sono stati pubblicati numerosi studi, per lo più scandinavi e nord-americani, la maggior parte dei quali ha evidenziato una correlazione positiva tra job strain e malattie cardiovascolari o fattori di rischio cardiovascolare (Mastrangelo et al., 2008).

Baldasseroni et al., (2003) riportano i limiti principali di questo modello:

    • appare difficile concettualizzare e rendere misurabile il concetto di “job control” che sembra riferirsi a diversi, ma non ben definiti aspetti che hanno a che fare con l’autonomia;non è sempre chiaro cosa Karasek intenda con i termini interactions e joint effects di richieste lavorative e ampiezza di decisione: la discussione va avanti, ma non è stata ancora determinata l’esatta formulazione matematica dell’interazione;

      il modello sembra troppo semplice, perché il controllo non è l’unica risorsa disponibile per fronteggiare le richieste dell’ambiente; per esempio anche il supporto sociale collegato al lavoro può funzionare da moderatore delle richieste lavorative ambientali. In particolare, come già osservato, la presenza di “altri amichevoli” sul lavoro sarebbe elemento positivo per il benessere psicologico dei lavoratori: vi è testimonianza in letteratura del fatto che il supporto sociale protegge dallo sviluppo di disturbi psicologici, agendo contro stressors e avversità, promuove il benessere ed è terapeutico per chi ha già sviluppato sintomi di qualche genere (Wichert et al., 2000).

Adattamento Persona-Ambiente (Person-Environment Fit)

Questo modello di French, Caplan e Van Harrison (1982) è stato sviluppato da un gruppo di psicologi sociali e del lavoro dell’Institute for Social Research dell’ Università del Michigan, e si inscrive nella teoria del campo psicologico di derivazione “lewiniana” in cui il comportamento umano è funzione degli aspetti personali ed ambientali. Infatti, per comprendere e descrivere il fenomeno stress, si tiene conto non solo delle abilità, aspettative, motivazioni o rappresentazioni sociali della persona (P), ma anche dei fattori e delle variabili connessi all’ambiente lavorativo (E).

Gli autori hanno elaborato una teoria dello stress correlato al lavoro che si basa sostanzialmente sul concetto “dell’adattamento” Persona-Ambiente.

Sono stati individuati due aspetti fondamentali dell’adattamento:

    • Il livello in cui gli atteggiamenti e le capacità di un lavoratore dipendente soddisfano le richieste del lavoro.La misura in cui l’ambiente di lavoro soddisfa le esigenze dei lavoratori, ed in particolare, la misura in cui si incoraggia e si permette all’individuo di utilizzare le proprie conoscenze e capacità nell’organizzazione del lavoro.

Franch et al. (1974) hanno concluso che la mancanza di adattamento ad uno o entrambi gli aspetti può dar luogo a situazioni di stress e che si possono anche verificare delle ripercussioni sulla salute (French et al., 1974 citati in Faretto, 1997).

Il modello di French, Caplan e Van Harrison ha il merito di equilibrare la valutazione personale e soggettiva degli eventi stressanti con le dimensioni organizzative e le caratteristiche oggettive (competenze, attitudini, abilità professionali) delle risorse umane.

Il modello P/E analizza infatti, i fenomeni secondo due punti di vista: soggettivo ed ambientale.

Dal punto di vista del lavoratore viene studiata la relazione esistente tra i bisogni, le aspettative della persona e la possibilità che l’organizzazione ha di soddisfarli. Dal punto di vista dell’organizzazione vengono analizzate le capacità che ha il lavoratore di far fronte alle richieste lavorative. Il modello opera quindi una distinzione tra la valutazione soggettiva dell’individuo nei riguardi dell’ambiente in cui è inserito e della propria immagine lavorativa, rispetto alla valutazione oggettiva delle caratteristiche intrinseche al lavoro ed alla persona stessa. Il modello ipotizza lo sviluppo di strain (inteso come manifestazione a breve termine di stress a livello fisiologico,  psicologico e/o comportamentale), quando c’è discrepanza, ossia mancanza di adattamento, tra le richieste dell’ambiente lavorativo e le abilità della persona a rispondervi. Lo strain sarà più elevato se c’è prevalenza delle richieste sulle capacità o discrepanza tra le aspettative della persona e le risorse ambientali disponibili per soddisfarle. Le richieste ambientali includono il carico di lavoro e la complessità del lavoro. Le aspettative includono il guadagno, la partecipazione e coinvolgimento, e l’utilizzazione delle abilità.

Nell’ambito del modello, quindi, “Person” fa riferimento alla relazione tra bisogni, aspettative e possibilità di soddisfarli; “Environment” alla capacità del lavoratore di far fronte alle richieste lavorative.

La trasformazione del modello in un metodo di ricerca implica  l’individuazione di dimensioni da misurare e di relazioni tra le dimensioni.

Le dimensioni più importanti sono:

    • caratteristiche dell’ambiente lavorativo: tipo di organizzazione, compiti o mansioni attribuite al singolo, regole e metodi di lavoro.
    • caratteristiche della risorsa: competenza e professionalità, attitudini,
    • valutazione soggettiva delle richieste oggettive dell’ambiente, influenzata da stati emozionali, motivazionali ecc.
    • valutazione soggettiva delle doti personali: valutazione di abilità, competenza, valore personale, cioè autopercezione delle potenzialità (Baldasseroni et al., 2003)

Teorie Transazionali

I modelli transazionali, come anticipato precedentemente, si occupano principalmente dei meccanismi psicologici alla base dell’interazione tra la persona e l’ambiente di riferimento. Tali meccanismi si riferiscono alla valutazione cognitiva ed alle strategie di fronteggiamento.

Modello Squilibrio sforzo-ricompensa (Effort-Reward Imbalance)

Johannes Siegrist (1996) ha elaborato un modello alternativo di stress, basato sulla discrepanza tra l’impegno profuso nel lavoro e le ricompense, materiali e immateriali, che da esso si ottengono. In altre parole, in base a tale modello, lo stress sul lavoro è conseguenza dell’elevato sforzo realizzato in contrapposizione ad una ricompensa limitata. Si riconoscono due fonti di sforzo: una estrinseca, le richieste di lavoro, ed una intrinseca, la motivazione del singolo lavoratore in una situazione impegnativa. Esistono tre livelli di compenso importanti: le gratificazioni economiche, la ricompensa socioemotiva ed il controllo della posizione (vale a dire le prospettive di carriera e l’insicurezza del lavoro).

L’esperienza di stress cronico può essere conseguentemente definita come uno squilibrio tra gli elevati costi sostenuti e gli esigui guadagni ottenuti. Questo modello mostra e riconosce l’importanza delle percezioni di giustizia organizzativa. C’è un crescente riconoscimento che le percezioni degli addetti in merito a correttezza, equità e giusto trattamento sono importanti atteggiamenti del lavoro che possono influenzare una vasta gamma di risultati. Le meta-analisi hanno sostenuto il legame tra percezioni di giustizia organizzativa e risultati come soddisfazione sul lavoro, impegno organizzativo, valutazione dell’autorità, comportamenti di cittadinanza organizzativa, comportamenti contro produttivi sul lavoro, ritiro e prestazione (Cohen-Charash & Spector, 2001).

Modello Transazionale di Cox e Mackay

Cox (1978), nella definizione di questo modello, parte dal presupposto che lo stress abbia origine nella relazione tra la persona ed il suo ambiente e che sia fondamentalmente un fenomeno individuale. Secondo l’autore esiste una grande variazione individuale non solo nell’esperienza dello stress, ma anche nella risposta allo stress. Inoltre, sottolinea l’importanza, spesso sottovalutata, del contesto sociale, nella valutazione dell’esperienza dello stress (Cox, 1978 citato in Favretto, 1994).

Nell’elaborazione iniziale del modello, messo a punto insieme a Mackay C., Cox acquisisce e fa proprie molte delle idee proposte da Lazarus (1966). Secondo Lazarus lo stress si manifesta quando ci sono richieste che mettono alla prova o superano le risorse di adattamento della persona. Inoltre sostiene che lo stress non dipende unicamente dalla presenza di stressors nell’ambiente esterno ma, anche dalla vulnerabilità costituzionale della persona e dall’adeguatezza dei suoi meccanismi di difesa. Nello sviluppare la sua concezione dello stress l’autore pone particolare attenzione sulla “valutazione della situazione da parte dell’individuo”. La valutazione rappresenta, infatti, il processo cognitivo estimativo che attribuisce alle transazioni tra la persona e l’ambiente il loro significato.

Lazarus identifica due tipi di valutazione. Descrive la prima come valutazione primaria: ha luogo quando l’individuo da significato agli eventi, e valuta l’importanza di un evento in termini di dolore, minaccia o sfida. Tuttavia, la valutazione primaria non è, di per sé, sufficiente a decidere il significato di un evento. La seconda, valutazione secondaria: definisce ulteriormente il significato di cosa sta succedendo e identifica eventuali strategie di coping.

Ignorare il processo di valutazione, comprometterebbe significativamente la possibilità di comprendere l’effetto e la capacità di intervenire (Lazarus, 1966 citato in Folkman & Moskowitz, 2004).

Nel presentare il modello Cox e Mackay suggeriscono che sia più adeguato descrivere lo stress come un “sistema complesso e dinamico di transizioni tra la persona ed il suo ambiente” (Favretto, 1994). Pertanto, in base a questo modello, gli autori, considerano la condizione di stress come la “rappresentazione interiore di transazioni particolari e problematiche tra la persona e l’ambiente in cui opera” e lo definiscono come uno “stato psicologico negativo riguardante aspetti sia cognitivi che emotivi” (Cox & Mackay, 1981 citati in Cox et al., 2000).

L’elaborazione di queste concettualizzazioni ha condotto Cox (1978) ha descrivere lo stress come un processo sistematico sulla base di un modello composto da cinque fasi:

    1. La prima fase: è costituita dalle fonti ambientali delle richieste;
    1. La seconda fase: di fatto, coincide con una valutazione primaria e si riferisce alla percezione che la persona ha di queste richieste in relazione alla propria capacità di farvi fronte.
    1. Terza fase: è rappresentata dai cambiamenti fisiologici, emotivi e psicologici e comportamentali associati al riconoscimento di uno stato di stress e, che comprendono il coping; La quarta fase: è legata alle conseguenze del coping;
    1. La quinta fase: è il feedback che si verifica in relazione a tutte le altre fasi del modello (Cox, 1978 citato in Cox et al., 2000).

In conformità alle teorie di Lazarus & Folkman (1986) lo stress viene descritto come lo stato psicologico che si verifica in

presenza di uno squilibrio individuale significativo oppure di una mancanza di adattamento tra ciò che una persona prova, in

relazione alle richieste che gli sono state fatte e la capacità che ritiene di possedere per far fronte a tali richieste (Lazarus & Folkman, 1986 citati in Folkman & Moskowitz, 2004).

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

Articolo 3 – Valutazione dello stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Scenario – Seconda parte

IL PROBLEMA DELLO STRESS LAVORO – CORRELATO: SCENARIO – Capitolo primo – Seconda Parte

 

LO STRESS LAVORO – CORRELATO: EVIDENZE STATISTICHE ED EMIPIRICHE

1.3 Conseguenze per la salute dello stress lavoro correlato

Dalle malattie cardiache al suicidio

Tutti i problemi di salute esposti di seguito sono tratti dalla “Guida sullo stress legato all’attività lavorativa” dell’UE e sono basati su una ricerca indipendente (UE-Guida, 1999).

Cardiopatie

Le malattie cardiovascolari sono la causa principale di morte eduna delle cause più comuni di invalidità nei 15 Stati membri dell’UE. La combinazione di richieste psicologiche eccessive e la mancanza di controllo sul posto di lavoro danno luogo ad uno stato di “tensione”, aumentando il rischio di morbilità cardiovascolare o mortalità (es: Karasek and Theorell, 1990; Kivimaki et al., 2002 citato in Houtman, 2007; Cesana et al., 2003). Secondo la European Heart Network (1998) il 16% dei casi di malattie cardiovascolari tra gli uomini e il 22% tra le donne sono dovuti allo stress legato all’attività lavorativa.

Malattie muscolo-scheletriche

Le prove indicano che una combinazione di tensione muscolare (provocata da fattori stressanti legati alle attività lavorative) e traumi multipli a parti del sistema muscolo-scheletrico (provocati da condizioni di lavoro non soddisfacenti dal punto di vista ergonomico) può contribuire a creare frequenti condizioni di dolore muscolo-scheletrico durature e inabilitanti, sopratutto sulle estremità superiori, sul collo e sulla parte bassa della schiena (es: Hoogendoom et al., 2000; Ariens et al., 2001 citati in Houtman, 2007; Jensen et al., 2002; Larsman, 2006;) nonché alle assenze dal lavoro (Houtman et al., 1999 citato in Houtman, 2007).

Ansia e disturbi depressivi

L’ansia è una reazione comune allo stress tra molti lavoratori. I disturbi dell’ansia, comprendono disturbi acuti da stress, con sintomi di ansia e dissociazione che si presentano durante o subito dopo un evento traumatico e che durano almeno due giorni e che però scompaiono nell’arco di un mese. Meno comune è invece la depressione clinica, che tendenzialmente si manifesta in soggetti predisposti a disturbi dell’umore. Ciononostante, le sensazioni di tristezza e dolore e i comportamenti derivanti possono rendere capitolo primo necessario il congedo per malattia, consulti medici ed altre richieste di assistenza. In letteratura problemi d’ansia e problemi riferibili alla salute mentale, correlati allo stress lavorativo, sono stati rilevati (es: Stansfeld et al., 1999)

Incidenti e suicidi

Nell’UE gli incidenti ed i suicidi sono responsabili di più della metà delle morti di persone con un’età compresa tra 15 –35 anni. E’ probabile che lo stress legato all’attività lavorativa sia un fattore che contribuisce ai 5 milioni di incidenti avvenuti sul lavoro nell’UE – ciascuno con una conseguente assenza superiore a 3 giorni – e ad una parte dei 48.000 suicidi e 480.000 tentativi di suicidio (Olsson et al., 1999).

Altre malattie

E’ stato dimostrato che lo stress diminuisce le difese immunitarie pertanto, è diffusa la convinzione che lo stress sia potenzialmente correlato a diverse malattie (es: Peters et al., 1999). Sembra correlato a malattie gastrointestinali (Bergamasci et al., in www.inail.it) e al cancro. Probabilmente lo stress legato all’attività lavorativa di per sé non provoca il cancro ma, è risaputo che esso innesca una serie di comportamenti legati allo stress da lavoro che aumentano indirettamente il rischio di questa malattia. Due dei più importanti fattori sono l’abuso di tabacco e il consumo eccessivo di cibi grassi. Infatti lo stress comporta oltre ai disordini fisiologici, sopra elencati, anche disordini comportamentali (abuso di alcol, fumo e disordini alimentari), disordini cognitivi (difficoltà di concentrazione) e disordini emotivi (ansia e depressione). Gli effetti dello stress lavoro correlato, inoltre, non coinvolgono unicamente la salute psico-fisica dell’individuo ma anche la sfera relazionale e famigliare. In letteratura è stato ampiamente dimostrato l’impatto negativo dello stress lavorativo sui rapporti familiari e sulla qualità della vita familiare (es: Eby et al., 2005).

1.4 Impatto dello stress legato all’attività lavorativa sull’organizzazione e sull’economia

Lo stress legato all’attività lavorativa costa all’UE 20 miliardidi euro l’anno

Il costo finanziario dello stress legato all’attività lavorativa e dei problemi sanitari mentali correlati nell’UE ammonta a circa 20 miliardi di euro l’anno (EU-Guida, 2000)

Le ricerche effettuate dall’Helth & Safety Executive britannico mostrano che almeno il 50% di tutti i giorni lavorativi persi nell’UE sono collegati allo stress sul lavoro (Cooper et al., 1996). Nel Regno Unito è stato calcolato che 5 milioni di giornate lavorative vengono perse a causa di malattie professionali legate allo stress sul lavoro (Jones et al., 1998). In altre parti del mondo sono stati riscontrati livelli altrettanto elevati di assenteismo (es: Houtman, 2007). Negli Stati Uniti, ad esempio, si è calcolato che il 54% dell’assenteismo lavorativo dipende dallo stress sul lavoro (Elkin & Rosch, 1990 citati in Cox et al., 2000) e che dalle proiezioni elaborate dal National Helth Interview Survey, emerge che 11 milioni di lavoratori negli USA possono dichiarare livelli di stress sul lavoro pericolosi per la salute. Inoltre nei Paesi Bassi Koningsveld, Zwinkels, Mossink, Thie & Abspoel, hanno evidenziato che i costi più elevati erano dovuti ad assenze per malattia e disabilità associati a condizioni psicologiche e muscolo-scheletrali correlate allo stress lavorativo ed erano valutabili per circa 3 bilioni di sterline nel 2001 (Koningsveld, Zwinkels, Mossink, Thie & Abspoel, 2003 citati in Dollar et al., 2007).

Lo stress è stato anche associato, oltre che ad alti livelli di assenteismo, anche ad alti livelli di rotazione del personale, bassa produttività, risultati scarsi nella sicurezza, aumento delle richieste di risarcimento da parte del personale, morale basso dei dipendenti e mancanza di innovazione. Hoel, Sparks e Cooper (2001) hanno valutato che il costo economico correlato allo stress e al mobbing possa essere stimato nell’ordine del 1/3,5% del PIL in diversi paesi dell’UE (Hoel, Sparks e Cooper, 2001 citati in Dollar et al., 2007) . Questi dati mostrano che lo stress correlato al lavoro costituisce un problema di grande rilevanza e rappresenta una delle sfide principali per salute e la sicurezza sul lavoro. Politiche e prassi efficaci di gestione del rischio psico-sociale sono fondamentali per prevenire i danni e ridurre i costi.

DISPOSIZIONI NORMATIVE CHE RICHIAMANO LA VALUTAZIONE DEI RISCHI:

1.5 Disposizioni Normative in Italia: una giurisprudenza che non delude

La normativa italiana, fino al 9 aprile del 2008, non faceva esplicito riferimento, nella tutela del lavoratore, alla valutazione dei rischi psicosociali né alla valutazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato. Il D.L.gs 626/94 e successive modifiche ed integrazioni infatti disponeva la valutazione di tutti i rischi. L’art.4 sanciva: “Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, valuta tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro” (Pelliccia, 2008).

Con il nuovo D.L.gs del 9 aprile 2008, n. 81 in accordo con le nuove strategie comunitarie e in riferimento ai contenuti dell’accordo Europeo dell’8 ottobre del 2004, nell’oggetto della valutazione dei rischi vengono compresi, in maniera specifica, anche quelli collegati allo stress lavoro – correlato.

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2008 il Decreto Legge n. 207 del 30 dicembre 2008, che proroga alcuni dei termini previsti dal D.L.gs n. 81 del 9 aprile 2008 per gli adempimenti concernenti la valutazione dello stress lavoro – correlato e la data certa, al 16 maggio 2009. Nel processo di gestione dello stress lavoro correlato, assumono una rilevanza centrale, la prevenzione e la valutazione del rischio nelle quali gioca un ruolo fondamentale il medico del lavoro, il quale dovrebbe avvalersi, in base a quanto previsto dalle linee guida formulate dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, inun ottica multidisciplinare, della collaborazione di esperti quali psicologo, psichiatra ed esperto in rgonomia (Linee guida Simili, 2005).

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

Articolo 2 – Valutazione dello stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Scenario – Prima Parte

IL PROBLEMA DELLO STRESS LAVORO – CORRELATO: SCENARIO – Prima Parte

 

LO STRESS LAVORO – CORRELATO: EVIDENZE STATISTICHE ED EMIPIRICHE

1.1 Prevalenza nell’UE dello stress legato al lavoro

Il secondo problema di salute più diffuso sul posto di lavoro in Europa

Nell’Unione europea lo stress legato all’attività lavorativa è il problema di salute più diffuso sul posto di lavoro, dopo il mal di schiena (30% circa), che nel 2000 ha colpito il 28% dei lavoratori, pari a 41,2 milioni di persone (European Foundation, 2001). Tutti possiamo esserne colpiti. Lo stress può presentarsi in tutte le aziende e settori ed a qualsiasi livello. Secondo un’analisi realizzata da Eurostat su 10 paesi europei, ha dichiarato di aver sofferto di stress in media un numero maggiore di donne rispetto agli uomini (Eurostat, 2002).  Il quarto rapporto presentato dalla Fondazione Europea sulle condizioni di lavoro in UE, che riporta i risultati dell’indagine condotta nel 2005, indica che  la situazione è rimasta relativamente stabile rispetto al 2000 inoltre:

    • Il lavoro notturno ha la più alta associazione con entrambi i tipi di effetti (dolori alla schiena e muscolari ed affaticamento e stress) sulla salute legati al lavoro: fisici e psicosociali (European Foundation, 2007).
    • Le persone che subiscono violenza o aggressione nel luogo di lavoro tendono a dichiarare effetti più importanti di malattie legate al lavoro rispetto agli altri; quasi quattro volte il livello dei sintomi dei disturbi psicologici, quali problemi capitolo primo del sonno, ansietà ed irritabilità e, problemi di stomaco (European Foundation, 2007).

Quelli esposti a rischi psicosociali, in particolare a prepotenza ed aggressione, sono significativamente più probabili, nella media, ad assentarsi permotivi legati a malattie relative al lavoro (23% rispetto al 7%) e tendono ad assentarsi per periodi più lunghi (European Foundation, 2007).

La prepotenza o l’aggressione, la violenza e le altre forme discriminatorie contribuiscono a causare malattie psicologiche e stress. Circa il 5% dei lavoratori riporta di aver vissuto qualche forma di violenza, prepotenza o l’aggressione nel luogo di lavoro nel precedente periodo di 12 mesi. C’è stato un leggero aumento nel livello della violenza fisica riferita: 4% nel periodo 1995-2005 (UE15) comparata con il 6% del 2005. Inoltre viene registrata una notevole differenza rispetto al genere, le donne sono soggette a prepotenza ed aggressione più degli uomini (European  Foundation, 2007).

1.2 Cause principali dello stress occupazionale

La mancanza di controllo è una delle cause principali.

Tutte le cifre di questa sezione, se non altrimenti specificato,sono basate su dati tratti dalla “Third European Survey on Working Conditions” della Fondazione Europea, pubblicata nel 2001.

Le ricerche effettuate hanno riscontrato che lo stress legato all’attività lavorativa è causato da un rapporto improprio tra dipendenti e condizioni di lavoro, tra contenuto del lavoro e struttura dell’azienda. Anche se esso può essere scatenato da molteplici fattori, le cause più comuni sono:

    • Mancanza di controllo: tale fattore è stato spesso associato con stress e ansia, depressione, apatia e maggiore incidenza di capitolo primo sintomi cardiovascolari. In modo più significativo, la mancanza di controllo resta uno dei problemi maggiori per molti lavoratori (Winnubst et al., 1996; Gallie, 2005 citato in Dollar et al., 2007; Schaufeli, 2002 citato in Dewe e Cooper, 2007), ed in letteratura continua ad essere illustrata la sua importanza nella prevenzione dello stress e nella promozione del benessere lavorativo (Karasek et al., 1998; De Witte et al., 2007). Le indagini hanno mostrato che: il 35% dei lavoratori sostiene di non avere alcun controllo sull’ordine dei propri compiti; il 29% non esercita alcuna influenza sui metodi lavorativi; il 30% non ha il controllo dei tempi di lavoro (es: Puffer & Brakefield, 1989 citato in Dewe e Cooper, 2007); il 39% non riesce a decidere quando fare una pausa; il 55% non ha voce in capitolo per quanto riguarda l’orario di lavoro. Questo fattore rappresenta uno dei più indagati in letteratura nello studio dello stress lavoro correlato (es: Jonge et al., 2004) e costituisce una delle dimensioni (Job Control) del modello di Karasek (1979), uno dei principali modelli di stress sul lavoro. E’ stato dimostrato che elevati livelli di controllo lavorativo preconizzano bassi tassi di assenza sia negli uomini ché nelle donne (Nielsen et al., 2004)
    • Monotonia: in media il 40% del personale si lamenta per la monotonia del lavoro, con livelli maggiori (57% ciascuno) riscontrati tra operai semplici ed operatori macchine. Inoltre, il 57% deve compiere movimenti manuali ripetitivi ed il 32% esegue compiti ripetitivi fino ad una durata di 10 minuti ciascuno. La rilevanza di questo fattore è stata evidenziata in letteratura (es: Broadbent & Gath, 1981, O’Hanlon, 1981, Smith, 1981 citati in Cox et al., 2000).
    • Scadenze pressanti: quasi due terzi dei lavoratori (60%) ha a che fare con scadenze pressanti per il 25% del tempo, mentre il capitolo primo 29% è sempre o quasi sempre sul “filo”. Nel complesso, il 40% ha affermato che le scadenze hanno quasi sempre portato a livelli di stress dannosi alla salute.
    • Lavorare a ritmi veloci: il 56% del personale sostiene di lavorare a ritmi veloci per almeno un quarto del tempo e il 24% ha affermato che questa è una consuetudine. Nel 40% dei casi ciò ha portato a livelli problematici di stress. Queste due ultime cause elencate indicano sostanzialmente un aumento nell’intensità del lavoro (lavorare ad alte velocità e con scadenze brevi) confermato da indagini empiriche (Winnubst et al., 1996; Green & McIntosh, 2001; Gallie, 2005 citato in Dollar et al., 2007)
    • L’esposizione alla violenza, mobbing e ad altre forme di molestie: questa è una preoccupazione crescente in Europa. Secondo una ricerca, 3 milioni di lavoratori nell’EU (2% della forza lavoro) sostengono di essere stati sottoposti a molestie sessuali, 6 milioni (4%) a violenza fisica e 12 milioni (9%) ad intimidazione o mobbing (Fondazione europea 1996). La violenza e la minaccia di violenza stanno diventando il principale problema per i lavoratori in prima linea nel servizio pubblico, come per il personale medico e dei trasporti. L’aumento di questo fenomeno è stato mostrato in letteratura ed è stata dimostrata la sua correlazione a sintomi psicosomatici e fisici (es: Winstanley & Whittington, 2002;Mikkelsen & Einarsen, 2002) nonché a diminuita soddisfazione sul lavoro, crescente assenteismo e diminuito impegno organizzativo (es: Agervold & Mikkelsen, 2004). Inoltre dati emergenti dalla ricerca longitudinale supportano il legame epidemiologico tra bullismo e salute; in particolare sembra che il bullismo possa preconizzare lo sviluppo di nuove malattie cardiovascolari (Kivimaki, Virtanen, Vartia, capitolo primo Elovainio, Vahtera & Keltikangas-Jarvinen, 2003 citati in Dollar et al., 2007)
    • Condizioni di lavoro rischiose per il fisico: Il rumore è una delle lamentele più comuni relative allo stress (Holt, 1982 citato in Cox et al., 2000), sebbene ce ne siano molte altre, soprattutto nel settore produttivo quali, posizioni di lavoro scomode, carichi di lavoro fisico pesanti. Inferiori sono invece i rischi biologici, radioattivi e chimici. In letteratura i rischi fisici sono spesso correlati all’abbandono del posto di lavoro per malattia e/o infortunio (es: Boedeker, 2001 citato in Lund T. et al., 2006)

In letteratura sono stati rilevati altri fattori causali quali: aumento del carico di lavoro mentale (Kompier, 2002 e Landsbergis, 2003, citati in Houtman, 2007; Clark, 2005 citato in Dollar et al., 2007); insicurezza sul lavoro in relazione ai cambiamenti avvenuti nella natura del lavoro e della vita lavorativa determinati da fusioni, ristrutturazioni, e crescente flessibilità e precarietà lavorativa ecc.. (Mak & Muller, 2000; Wichert et al., 2000; Anhkanasy et al., 2004, citato in Dewe e Cooper, 2007; Gallie, 2005 e Maxwell, 2004, citati in Dollar et al., 2007); complessità del lavoro legata ad esempio a conflitti ed ambiguità di ruolo (Dewe, 2000; Sulsky e Smith, 2005 citati in Dewe e Cooper, 2007).

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

Articolo 1 – Valutazione dello stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Introduzione

INTRODUZIONE

 

Negli ultimi anni il tema del benessere fisico, psichico, sociale ed organizzativo è emerso come un tema di grande interesse internazionale e richiede un approccio integrato tra discipline legate alla salute e all’organizzazione, essendo ormai noti gli stretti legami che intercorrono tra la salute dei lavoratori, la qualità dell’ambiente lavorativo e le ricadute in termini di costi a carico delle organizzazioni stesse (Sonnentag e Zijlstra, 2006, citati in Ieri C. e Cavicchili E., 2007).

Numerosi studi si sono occupati di identificare gli antecedenti e le conseguenze legati a questo costrutto. In letteratura si sono identificate principalmente tre categorie di antecedenti: la prima riferita ad una serie di fattori legati al contesto lavorativo, più precisamente a rischi legati alla salute ed alla sicurezza nel lavoro; la seconda riferita a fattori relativi a variabili individuali (tratti di personalità) e l’ultima legata a fattori di stress occupazionale riferibili al contenuto del lavoro, ai ruoli organizzativi, agli sviluppi di carriera, alle relazioni sul posto di lavoro, alla struttura organizzativa, al clima organizzativo e  alle relazioni tra vita privata e lavorativa.

Rispetto alla conseguenze ci si è soffermati principalmente su due livelli: conseguenze fisiche, psicologiche e comportamentali a livello individuale e conseguenze organizzative riferibili a costi legati alla salute, al grado di assenteismo e di turn over.

Le prospettive maggiormente indagate, nell’ultimo decennio, rispetto al concetto di benessere si riferiscono al mobbing, al burnout ed allo stress lavoro correlato.

Hans-Horst Konkolewsky, direttore dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha dichiarato: “Nell’UE, lo stress legato all’attività lavorativa è il secondo problema di salute più diffuso sul posto di lavoro, dopo il mal di schiena, che colpisce quasi un terzo dei lavoratori dell’UE con un costo introduzione annuale di almeno 20 miliardi di euro. Esistono però delle soluzioni. L’obiettivo è di aumentare la conoscenza delle dimensioni del problema e delle sue cause e, soprattutto, di indicare le possibili soluzioni” (European Agency for Safety and Health at Work, 2002).

Negli stati membri vengono applicate direttive europee mirate alla prevenzione dei rischi legati alla salute ed alla sicurezza sul posto di lavoro. In base a tali direttive, i datori di lavoro devono garantire che i lavoratori non siano danneggiati dal lavoro, né tanto meno dall’esposizione a rischi psicosociali e dallo stress da lavoro.

Cox e Griffiths (1995) definiscono i fattori di rischio psicosociali come “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono causare danni psicologici, sociali o fisici ai lavoratori”.

Essi sono stati identificati come una delle maggiori sfide per la salute e la sicurezza occupazionali e sono spesso correlati a problemi sul posto di lavoro, quali stress da lavoro, violenza nel posto di lavoro, molestie e mobbing.

La legislatura sul tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro richiede che i datori di lavoro conducano regolarmente valutazioni del rischio al fine di identificare quei fattori che possono minacciare la salute fisica e psicologica dei dipendenti, anche in termini di entità del potenziale danno arrecato. La pratica per la valutazione dei rischi di tipo fisico, biologico e chimico è ormai ben consolidata, supportata dall’oggettività del dato empirico e da strumenti di misurazione. Al contrario l’individuazione dei potenziali fattori di rischio psicosociali legati all’organizzazione del lavoro incontra a tutt’oggi difficoltà a causa dell’eccessiva soggettività del metro valutativo e della non facile identificazione e valutazione della precisa fonte del rischio che conduce al danno diretto sulla introduzione salute psico-fisica del lavoratore (Magnani, Mancini e Majer, 2007 citati in citati in Magnani M., Mancini G., 2008).

In letteratura i fattori di rischio psicosociali sono stati indagati sostanzialmente percorrendo tre direttrici. La prima, volta ad individuare e mettere a punto strumenti self report allo scopo di determinare la rilevanza di fattori di stress sul lavoro. La seconda volta ad individuare strategie per la gestione e la prevenzione dello stress sul lavoro. E l’ultima orientata alla riabilitazione delle persone esposte, per un tempo prolungato, a questi fattori ed alla valutazione del tipo e dell’entità del danno subito.

Cox (1993) distingue nettamente la ricerca sulla natura e sugli effetti di un pericolo dalla valutazione del rischio associato, specificando che una valutazione dei rischi ha l’obiettivo di stabilire un’associazione tra il pericolo e le conseguenze per la salute e di valutare il rischio per la salute a seguito dell’esposizione ad un pericolo (Cox., 1993 citato in Magnani M., Mancini G., 2008).

L’European Agency for Safety and Health at Work (2002) suggerisce, al fine di condividere una buona pratica, “good practice”, prima di valutare e stabilire l’eventuale relazione tra rischio e danno, di identificare: gli elementi nell’ambiente di lavoro che possono rappresentare fonte di rischio; il danno arrecato alla salute individuale dei dipendenti in termini di stress, burnout, ansia, depressione, sintomi psico-fisici; i sintomi organizzativi come alto assenteismo, alto turn over e bassa produttività.

Cox e Griffiths (1995) propongono di trattare lo stress correlato al lavoro in base ai medesimi principi logici e sistematici adottati per altre tematiche in materia di salute e sicurezza e di applicare, per la sua gestione e valutazione, il “ciclo di controllo” già utilizzato nella gestione dei rischi fisici, come disposto dalla direttiva del Consiglio 89/391/CEE.

Tale ciclo si compone di sei fasi: identificare i pericoli; valutare il rischi ad essi associato; implementare appropriate introduzione strategie di controllo e gestione del rischio; monitorare e valutare l’efficacia delle strategie applicate; infine valutare nuovamente i rischi presenti in quello specifico contesto organizzativo; analizzare le esigenze di informazione e formazione dei lavoratori esposti ai rischi.

L’obiettivo ad oggi nell’ambito dell’UE è quello di favorire l’applicazione delle conoscenze teoriche, oramai consolidate, alle realtà lavorative, individuare strumenti per la valutazione dei rischi psicosociali e sviluppare ed implementare buone prassi operative condivise.

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari

Salute Organizzativa

Salute Organizzativa

 

Con il termine di “Salute organizzativa” o “Benessere Organizzativo,” ci si riferisce alla capacità di un’organizzazione non solo di essere efficace e produttiva, ma anche di crescere e svilupparsi promuovendo e mantenendo un adeguato grado di benessere fisico e psicologico, alimentando costruttivamente la convivenza sociale di chi vi lavora.

Le organizzazioni possono contribuire o meno al benessere e influire direttamente sullo stato di salute dell’intero sistema utilizzando procedure ad hoc..

Il benessere organizzativo risiede nella qualità della relazione esistente tra le persone e il contesto di lavoro.

Quando si verificano condizioni di scarso benessere organizzativo si determinano, sul piano concreto, fenomeni quali diminuzione della produttività, assenteismo, bassi livelli di motivazione, stress e burn out, ridotta disponibilità al lavoro, carenza di fiducia, mancanza di impegno, aumento di reclami da parte del cliente.

Questi e altri indicatori di malessere rappresentano il riflesso dello stato di disagio e malessere psicologico di chi vi lavora. La riduzione della qualità della vita lavorativa in generale e la diminuzione del senso individuale di benessere rendono, pertanto, onerosa la convivenza e lo sviluppo dell’organizzazione.

Sono state individuate le condizioni che se presenti, un’organizzazione è in grado di generare salute e mantenere condizioni di benessere e qualità di vita elevate per la propria comunità lavorativa (dimensioni e indicatori della salute organizzativa), ed è stato validato uno strumento – il MOHQ (Avallone e Paplomatas) – per misurare il livello di salute di un’organizzazione.

Le dimensioni

Il costrutto di salute organizzativa è fondato sulla considerazione delle dimensioni che influenzano lo stato di salute di individui e organizzazioni.

In termini semplificati un’organizzazione può considerarsi in buona salute se:

    1. Allestisce un ambiente di lavoro salubre, confortevole e accogliente. (Comfort dell’ambiente di lavoro)
    2. Pone obiettivi espliciti e chiari ed è coerente tra enunciati e prassi operative.(Chiarezza obiettivi organizzativi)
    3. Riconosce e valorizza le competenze e gli apporti dei dipendenti e libera nuove potenzialità. (Valorizzazione delle competenze)
    4. Ascolta attivamente. (Ascolto attivo)
    5. Mette a disposizione le informazioni pertinenti al lavoro. (Disponibilità delle informazioni)
    6. É in grado di governare l’espressione della conflittualità entro livelli tollerabili di convivenza. (Gestione della conflittualità)
    7. Stimola un ambiente relazionale franco, comunicativo, collaborativi. (Relazioni interpersonali collaborative)
    8. Assicura scorrevolezza operativa e supporta l’azione verso gli obiettivi. (Scorrevolezza operativa)
    9. Assicura equità di trattamento a livello retributivo, di assegnazione di responsabilità, di promozione del personale. (Equità organizzativa)
    10. Mantiene livelli tollerabili di stress. (Fattori di stress)
    11. Stimola, nei dipendenti, il senso di utilità sociale contribuendo a dare senso alla giornata lavorativa dei singoli e al loro sentimento di contribuire ai risultati comuni. (Senso di utilità sociale)
    12. Adotta le azioni per prevenire gli infortuni e i rischi professionali. (Sicurezza e prevenzione infortuni)
    13. Definisce i compiti dei singoli e dei gruppi garantendone la sostenibilità.  (Tollerabilità dei compiti)
    14. È aperta all’ambiente esterno e all’innovazione tecnologica e culturale. (Apertura all’innovazione)

Un indicatore è un parametro che permette di avere una sintetica rappresentazione di un fenomeno complesso.

Gli indicatori di salute organizzativa sono parametri che rilevano caratteristiche del contesto lavorativo e dei suoi attori. Sono stati individuati e testati empiricamente 12 indicatori positivi e 13 indicatori negativi.

Indicatori (sintomi) positivi

1. Soddisfazione per l’organizzazione.

Gradimento per l’appartenenza a un’organizzazione ritenuta di valore.

2. Voglia di impegnarsi per l’organizzazione.

Desiderio di lavorare per l’organizzazione, anche oltre il richiesto.

3. Sensazione di far parte di un team.

Percezione di puntare, uniti, verso un obiettivo. Percezione di una coesione emotiva nel gruppo.

4. Voglia di andare al lavoro.

Quotidiano piacere nel recarsi al lavoro.

5. Sensazione di autorealizzazione.

Sensazione che, lavorando per l’organizzazione, siano soddisfatti anche bisogni personali.

6. Convinzione di poter cambiare le condizioni negative attuali.

Fiducia che l’organizzazione abbia la capacità di superare gli aspetti negativi esistenti.

7. Rapporto equilibrato tra vita lavorativa e privata.

Percezione di un giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero

8. Relazioni interpersonali positive.

Soddisfazione per le relazioni interpersonali costruite sul posto di lavoro.

9. Valori organizzativi condivisi.

Condivisione dell’operato e dei valori espressi dall’organizzazione.

10. Crediblità del management.

Fiducia nelle capacità gestionali e professionali della dirigenza.

11. Stima del management.

Apprezzamento delle qualità umane e morali della dirigenza.

12. Percezione di successo dell’organizzazione.

Rappresentazione della propria organizzazione come apprezzata all’esterno.

Indicatori (sintomi) negativi

1. Risentimento verso l’organizzazione.

Rancore-rabbia nei confronti della propria organizzazione fino ad esprimere un desiderio di  rivalsa.

2. Aggressività inabituale e nervosismo.

Aggressività, anche solo verbale, eccedente anche al di fuori dell’ambito lavorativo. Irritabilità.

3. Sentimento di inutilità.

La persona percepisce la propria attività come vana, inutile, non valorizzata.

4. Sentimento di irrilevanza.

La persona percepisce se stessa come poco rilevante, quindi sostituibile, non determinante

5. Sentimento di disconoscimento.

La persona non sente adeguatamente riconosciuti né le proprie capacità né il proprio lavoro.

6. Insofferenza nell’andare al lavoro.

Esistenza di una difficoltà quotidiana nel recarsi al lavoro.

7. Disinteresse per il lavoro.

Scarsa motivazione, possibile scarso rispetto di regole e procedure e nella qualità del lavoro.

8. Desiderio di cambiare lavoro.

Desiderio collegato all’insoddisfazione per il contesto lavorativo e/o professionale in cui si è inseriti.

9. Pettegolezzo.

A livelli eccessivi è considerato come un indicatore di malessere .

10. Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa.

Pur svolgendo i propri compiti la persona non partecipa emotivamente ad esse. Sensazione di lavorare meccanicamente.

11. Lentezza nellaprestazione.

I tempi per terminare i compiti lavorativi si dilatano con o senza autopercezione del fenomeno.

12. Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti, ecc..

Non è chiaro “chi fa cosa”, senza che, a volte, ciò determini disagio e desiderio di porvi rimedio.

13. Venir meno della propositività a livello cognitivo.

É assente sia la disponibilità ad assumere iniziative che il desiderio di sviluppare conoscenze

Per ulterioir informazioni sulla Salute organizzativa o Benessere Organizzativo vai al sito di OISORG oppure del Prof. Avallone.

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