Articolo 5 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Analisi delle fonti

ANALISI DELLE FONTI DELLO STRESS LAVORO – CORRELATO

 

Nel corso degli ultimi trenta anni, in tutti i settori lavorativi e nell’ambito dei vari governi, è aumentata progressivamente la consapevolezza che lo stress correlato al lavoro ha delle conseguenze indesiderate sulla salute degli individui e su quella delle organizzazioni di appartenenza.

Molti, come abbiamo mostrato nel primo capitolo, sono i dati che affermano la significativa correlazione tra lo stress e le caratteristiche dell’organizzazione del lavoro (o meglio della sua assenza o della sua inadeguatezza e insufficienza).

I dati rivelano che il 28% dei lavoratori dell’UE ha riferito disturbi correlati allo stress. Percentuale che equivale a circa 41 milioni di lavoratori europei colpiti ogni anno da stress legato all’attività lavorativa. (European Foundation, 2001) Mentre fino a pochi anni fa le patologie da lavoro erano prevalentemente ad eziologia monofattoriale, per esposizione lavorativa abnorme a rischi prevalentemente fisici quali: polveri, fumi, gas e vapori, rumore, più recentemente risultano invece in aumento il disagio  lavorativo e le patologie definite “stress-correlate” di tipo aspecifico ad eziologia multifattoriale.

A questo nuovo scenario di riferimento consegue l’urgente necessità di orientare la ricerca delle scienze psicosociali allo studio delle cosiddette “work – related diseases” o malattie “lavoro-associate” a genesi multifattoriale che aumentano il ventaglio dei “pericoli” e dei “rischi” nei luoghi di lavoro.

A questa considerazione di carattere scientifico-culturale, si aggiunge una riflessione imposta dalla più recente giurisprudenza. Le recenti disposizioni (vedi D.L.gs del 9 aprile 2008, n.81 e accordo europeo dell’8 ottobre 2004 come riportato nel primo capitolo) introducono l’obbligo di valutare tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori. Le nuove norme rafforzano e tendono ad estendere l’adempimento, da parte del Datore di Lavoro, obbligandolo ad includere nel documento di valutazione dei rischi anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, introducendo inevitabilmente la valutazione dei rischi “psicosociali”.

Gran parte dei rischi fisici è misurabile in modo oggettivo, e con un buon grado di affidabilità e validità. Per la misurazione di alcuni dei rischi fisici sono stati anche individuati degli standard che possono essere utilizzati per regolare l’esposizione a queste potenziali fonti di danno.

I rischi psicosociali correlati al lavoro riguardano aspetti relativi alla progettazione ed alla gestione del lavoro ed al suo contesto sociale ed organizzativo potenzialmente in grado di causare danni psicologici o fisici. Essi sono stati identificati come una delle maggiori sfide per la salute e per la sicurezza occupazionale e sono legati a problemi sul posto di lavoro quali stress da lavoro e violenza, molestie e mobbing.

I rischi fisici possono, quindi, essere considerarsi di più facile valutazione, gestione e controllo presso i luoghi di lavoro rispetto ai rischi psicosociali.

La figura sotto riportata esplica il percorso rischio – danno prendendo in considerazione, nella relazione rischio – stress – salute, sia i rischi psicosociali ché fisici.

Fonte: European Agency for Safety and Health at Work, 2000

1 – Andare al cuore dell’organizzazione: i fattori di rischio psicosociali

In letteratura i rischi psicosociali sono stati definiti come “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali che potenzialmente possono arrecare danni fisici o psicologici” (Cox e Griffiths, 1995).

L’indagine pubblicata dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (2000), che ha preso in esame i dati delle ricerche, condotte in ambito comunitario ed extracomunitario, sullo stress correlato al lavoro, mostra che gli aspetti psicologici del lavoro sono stati oggetto di ricerca almeno sin dagli anni ’50. In una prima fase, l’attenzione degli psicologi si è concentrata principalmente sugli ostacoli all’adattamento dell’uomo al lavoro. Negli anni 60’, con la comparsa delle ricerche psicosociali sull’ambiente di lavoro e la diffusione della psicologia del lavoro, l’interesse si è progressivamente spostato da una prospettiva individuale per dirigersi verso l’analisi delle caratteristiche degli ambienti di lavoro potenzialmente dannosi per l’uomo. Attualmente, esiste ampia evidenza scientifica che identifica, come stressoggene, e quindi potenzialmente dannose una gamma di caratteristiche del lavoro, alcune relative al contesto altre ai contenuti specifici del lavoro, che sono riassunte nella tabella sottostante (tabella 3).

In particolare, ciascuno di questi aspetti del lavoro, in base a determinate condizioni, presenta un potenziale di danno e pertanto rappresenta una fonte di rischio psicosociale. In letteratura esistono diverse classificazioni dei fattori di rischio psicosociali, ad esempio Kasl (1991) individua cinque gruppi:

    1. aspetti temporali della giornata di lavoro e dell’attività lavorativa;
    1. contenuto dell’attività lavorativa (indipendentemente dagli aspetti temporali); 3)
    1. rapporti interpersonali nel gruppo di lavoro;
    1. rapporti interpersonali con i superiori;
    1. condizioni dell’organizzazione (Kasl, 1991 citato in Broferio et al., 2008 e citato in Pappone et al., 2005).

La classificazione proposta dalla European Agency for Safety and Health at Work, (2000) funge da monito per far emergere gli spetti più ricorrenti di debolezza e di criticità nelle organizzazioni del lavoro al fine di richiamare l’attenzione e l’indispensabile valutazione per poter identificare gli spazi e gli ambiti nei quali si va potenzialmente annidando quel “malessere” a carattere collettivo, di gruppo, che spesso poi, se trascurato, sottovalutato o non oggettivato, conduce a situazioni di disagio lavorativo diffuso e difficile da recuperare, in tempi utili, senza rischiare l’insorgenza di gravi e permanenti danni ai lavoratori.

E’ importante osservare, nella tabella sottostante, la compresenza, nel pieno rispetto delle logiche di cultura europea, in un contesto di analisi dell’organizzazione del lavoro, di aspetti di natura più meramente tecnico – strutturale come “l’ambiente di lavoro e le attrezzature”, con aspetti relativi alla gestione delle risorse umane come lo “sviluppo di carriera e ruolo nell’organizzazione”, con aspetti di carattere meramente relazionali come “relazioni interpersonali sul lavoro”

Tabella 3: Caratteristiche stressanti del lavoro

Fonte: European Agency for Safety and Health at Work, 2002

Le dimensioni sopra citate influenzano la percezione che una persona ha delle situazioni di lavoro, sono esse stesse potenzialmente causa di stress all’origine e sono aspetti fondamentali della valutazione dei rischi psicosociali.

1.1 Principali fattori di rischio psicosociali legati al contesto

Funzione e cultura organizzativa:

Il clima e la cultura organizzativa definiscono la personalità dell’organizzazione ed influiscono nella percezione che il lavoratore ha della stessa e nella determinazione del suo senso di appartenenza ad essa.

Gli studi sulle percezioni e sulle descrizioni dei lavoratori dipendenti della loro organizzazione evidenziano come l’organizzazione si caratterizza prevalentemente per tre diversi ambiti di funzione e cultura organizzativa:

    • a) l’organizzazione come ambiente di mansioni ;
    • b) l’organizzazione come ambiente di sviluppo;
    • c) l’organizzazione come ambiente di soluzione dei problemi.

Nei casi in cui l’organizzazione risulti carente in relazione a questi ambienti (ad esempio mancanza di definizione dei compiti e degli obiettivi organizzativi, livelli bassi di possibilità di sviluppo personale, basso appoggio per la risoluzione dei problemi), dall’analisi delle prove raccolte in letteratura, è molto probabile che l’organizzazione sia vissuta come stressante e quindi potenzialmente a rischio per la salute dei lavoratori (Cox & Leiter, 1992 citati in Bernardi e Sprini, 2005).

La cultura dell’organizzazione viene veicolata e trasmessa dallo stile di leadership e dal comportamento adottato da dirigenti e superiori (Leka et al., 2003). Landy e Corey & Wolf (1992) hanno dimostrato che il comportamento della direzione e gli stili di supervisione esercitano un impatto significativo sul benessere emotivo dei lavoratori (Landy, 1992 e Corey & Wolf, 1992 citati in Cox et al., 2000).

Ruolo nell’organizzazione:

Il ruolo nell’organizzazione può essere una possibile fonte di rischio psico-sociale in relazione a tre suoi aspetti potenzialmente pericolosi: 1) l’ambiguità di ruolo; 2) il conflitto di ruolo; 3) la responsabilità per altre persone.

    1. L’ambiguità di ruolo si verifica quando un lavoratore non dispone di una sufficiente chiarezza di informazioni circa gli ambiti e le responsabilità dell’impiego svolto, le aspettative dei colleghi di lavoro rispetto al ruolo ed i compiti che gli vengono affidati.
    1. Il conflitto di ruolo avviene quando le richieste che vengono fatte al soggetto sono in conflitto con i propri valori od incompatibili con la corretta esecuzione del lavoro. Nell’ambito del conflitto di ruolo Cooper distingue: a) conflitto ruolo persona: quando l’individuo preferirebbe svolgere un incarico in maniera differente da quanto viene proposto dal mansionario (job description); b) conflitto intramandatario: quando ad un individuo viene assegnato un compito, ma non le risorse sufficienti per portarlo a termine con successo; c) conflitto intermandatari: quando ad un individuo si chiede di comportarsi in modo tale per cui il suo comportamento può essere gradito a qualcuno e sgradito ad altri; d) sovraccarico di ruolo: quando all’individuo viene assegnato più lavoro di quanto possa essere effettivamente eseguito (Cooper 1988, citato in Favretto, 1994). In letteratura è stato dimostrato che l’ambiguità ed il conflitto di ruolo interferiscono negativamente sulla soddisfazione lavorativa ed aumentano sensibilmente il carico di tensione, stress cronico, derivante dal lavoro (Dewe, 2000; Sulky & Smith, 2005 citati in Dewe e Cooper, 2007).
    1. La responsabilità per altre persone risulta essere particolarmente dannosa per la salute. Gli studi in letteratura (French & Caplan, 1970, Leiter, 1991 citati in Cox et al., 2000) hanno dimostrato che la responsabilità nei confronti di altre persone può determinare rischi di cardiopatie coronariche, comportamenti autolesivi come il fumo eccessivo, un aumento della pressione sanguigna diastolica e, nelle professioni di aiuto è associata ad esaurimento emotivo ed alla depersonalizzazione nelle relazioni con il paziente.

Evoluzione della carriera:

La mancanza di una evoluzione di carriera rispetto alle proprie aspettative di status e di riconoscimento rappresenta un’altra fonte di rischio potenzialmente stressogena legata alla delusione per la frustrazione delle proprie ambizioni.

“Le sovra-promozioni, collegate ad un conseguente senso di inadeguatezza ed al timore di non essere all’altezza del compito, così come le retrocessioni, connesse invece a sensazioni di frustrazione, insoddisfazione e demotivazione, possono influire negativamente sulla performance lavorativa degli individui e minare pericolosamente il loro benessere fisico e mentale” (Favretto, 1994). Oltre all’incongruenza di posizione, in letteratura è stata individuata un ulteriore fonte di stress, sempre più frequente, legata all’evoluzione di carriera: l’insicurezza lavorativa collegata al pericolo di perdere il posto di lavoro (a seguito di esuberi di personale, prepensionamento forzato, mobilità, cassa integrazione, contratti atipici) che può provocare ansia, disturbi psicosomatici e varie patologie fisiche e psichiche (Mak & Muller, 2000; Wichert et al., 2000; Anhkanasy et al., 2004, citato in Dewe e Cooper, 2007; Gallie, 2005 e Maxwell, 2004, citati in Dollar et al., 2007).

Autonomia decisionale e controllo:

Secondo i dati della “Third European Survey on Working Conditions” della Fondazione Europea, pubblicata nel 2001 ed i dati della Ricerca sullo Stress correlato al Lavoro (Ispesl, 2002) dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, come osservato nel primo capitolo, l’autonomia decisionale ed il controllo rappresentano due questioni prioritarie ed importanti nella progettazione delle mansioni e nell’organizzazione del lavoro e, fra le primarie cause individuate come fonte di stress lavorativo. Questi aspetti riguardano la possibilità che i lavoratori hanno di partecipare al processo decisionale che incide sul proprio lavoro: sull’ordine dei propri compiti, sui metodi di lavoro, su tempi di lavoro e sugli orari di lavoro.

Le ricerche condotte (French & Caplan, 1972, Margolis et al., 1974, Spector ,1986, citati in Cox et al., 2000) evidenziano come l’opportunità di partecipare al processo decisionale produca una maggiore soddisfazione lavorativa ed un aumento dell’autostima, di converso la mancata partecipazione risulta essere fortemente correlata allo stress e a cattive condizioni di salute fisica.

Come abbiamo potuto osservare nel secondo capitolo, la dimensione “controllo lavorativo” è stata ampiamente indagata nella ricerca empirica, attraverso l’impiego del modello di Karasek (1979) ed è stata confermata la sua correlazione allo stresslavoro correlato. De Witte et al., (2007)suggerisce, in un ottica di promozione della salute e del benessere lavorativo, di considerare il controllo come un importante strumento sul quale intervenire attraverso la ri-progettazione del lavoro per realizzare la crescita ed il benessere sul lavoro.

Rapporti interpersonali sul lavoro:

Un altro fattore di rischio psico-sociale fa riferimento alle dinamiche di relazione nei luoghi di lavoro: con i colleghi, con i superiori e con i subalterni. Levi L., che intorno agli anni 70 presso il Laboratory for Clinical Stress Reserch di Stoccolma, nell’ambito degli studi sui fenomeni psicosomatici, ha elaborato il cosiddetto modello psicosociale, ha evidenziato come le interazioni sociali ed i rapporti interpersonali se non gestiti in maniera adeguata possono rappresentare una fonte di stress in grado di elicitare nelle persone disturbi psicosomatici (Levi, 1970 citato in Bernardi e Sprini, 2005).

Come abbiamo potuto osservare, nel secondo capitolo, alcune ricerche hanno rilevato che un appoggio interpersonale scarso sul lavoro determina maggiori livelli di ansia, esaurimento emotivo, tensione e scarsa soddisfazione per il proprio lavoro, nonché un aumento dei rischi di malattie cardiovascolari. Cooper già negli anni ‘80 sosteneva con convinzione che buoni rapporti tra lavoratori e componenti dei gruppi di lavoro sono fondamentali per la salute individuale e dell’organizzazione (Cooper, 1981, citato in Cox et al., 2000). Esiste una convinzione diffusa che i rapporti sociali, sia sul lavoro che al di fuori, svolgano un ruolo di moderazione e che, quando i rapporti forniscono un appoggio limitato, gli effetti negativi di esposizione ad altri rischi psicosociali sono più probabili o marcati (es: Cohen & Willis, 1985, citati in Cox et al., 2000; Wichert et al., 2000).

Karasek e colleghi già (1982) in uno studio condotto su oltre 1.000 lavoratori svedesi, hanno dimostrato che l’appoggio offerto dai superiori e dai colleghi attenuava gli effetti esercitati dalle richieste di lavoro sulla depressione e accresceva la soddisfazione per il proprio impiego (Karasek, 1982 citato in Cox et al., 2000).

Depolo (2003) sostiene che il gruppo formato dai colleghi di lavoro costituisce una delle reti sociali più importanti della vita adulta e che la scarsa qualità di queste relazioni depriva la persona di un importante fattore antistress. Se l’ambiente di lavoro viene vissuto come insicuro ed ostile, l’esperienza lavorativa viene a perdere la sua funzione di integrazione sociale e realizzazione del sé, tornando a rappresentare un fattore di rischio per la qualità della vita dei lavoratori (Depolo, 2003).

Interfaccia casa lavoro:

Il concetto di interfaccia casa-lavoro si riferisce alle pressioni che possono provenire da problemi di natura familiare ma anche in linea generale al contesto di vita al di fuori dal lavoro che espongono l’individuo a conflitti che si ripercuotono sulla situazione lavorativa in termini di performance, efficienza lavorativa ed adattamento al lavoro.

Secondo gli studi di Cooper (1986) i conflitti si riferiscono prevalentemente a questioni che riguardono richieste di tempo, di impegno o la mancanza di un adeguato supporto familiare (Cooper, 1986 citato in Bernardi e Sprini, 2005).

1.2 I principali fattori di rischio psicosociali legati alcontenuto

Spostando l’attenzione ai rischi psicosociali legati ai contenuti, si segnalano:

Ambiente di lavoro ed attrezzature:

Un ambiente di lavoro non confortevole (la scarsa illuminazione, l’alta temperatura, il freddo eccessivo, la cattiva ventilazione, le correnti d’aria, il rumore, gli spazi insufficienti, le scarse condizioni igieniche) può determinare una esperienza di stress, disturbare il lavoratore riducendo la sua tolleranza ad altri stressors e la sua motivazione al lavoro, aumentare il rischio di incidenti, di disturbi fisici e psicologici ed, in linea generale incidere negativamente sul benessere e la soddisfazione dei lavoratori (es: Holt, 1982 citato in Cox et al., 2000). Inoltre, agenti fisici o chimici presenti nell’ambiente e la sensazione di scarso potere di controllo su di essi sono da considerare anch’essi elementi stressogeni così come la carenza di strumentazioni e attrezzature adeguate allo svolgimento del proprio lavoro (Bernardi e Sprini, 2005).

Pianificazione dei compiti:

Un ruolo importante, quale cause di stress, è legato alla pianificazione dei fattori relativi al compito di lavoro. Tra essi possiamo includere: la carenza di varietà, la ripetitività, la monotonia, la scarsa possibilità di apprendere e la noia. Suddetti fattori sono spesso associati a risposte d’ansia, a depressione ed ad uno scarso benessere psicologico (Broadbent & Gath, 1981; O’Hanlon, 1981; Smith, 1981 citati in Cox et al., 2000). In presenza di tali tipi di compiti si può anche riscontrare un aumento dei disturbi quali ad esempio quelli muscolo-scheletrici (Jensen et al., 2002; Larsman, 2006).

Carico di lavoro e ritmi:

Il carico di lavoro è stato uno primi aspetti del lavoro ad interessare i ricercatori e a ricevere attenzione. I primi risultati scientifici (Frankeauser, 1975; Stewart, 1976 citati in Bernardi e Sprini, 2005) hanno subito evidenziato che sia il carico di lavoro sovradimensionato che quello sottodimensionato possono essere fonte di pericolosità per la salute. Alcuni autori (French & Caplan, 1970 citati in Bernardi e Sprini, 2005; Winnubst et al., 1996) hanno operato una distinzione tra carico di lavoro quantitativo ossia la quantità di lavoro da realizzare (avere troppe cose da fare) e carico di lavoro qualitativo ossia la difficoltà e la complessità del lavoro da realizzare. Entrambe le due dimensioni sono state associate all’esperienza di stress.

“La ripetitività, la monotonia, industriale, i compiti parcellizzati e scanditi dalla macchina rappresentano situazioni lavorative facilmente omologabili a quelle di sottocarico lavorativo. A compiti come questi, infatti, spesso si associa la mancanza di stimolazione con la scarsa possibilità di utilizzare le proprie abilità e la riduzione della discrezionalità decisionale.” (Favretto, 1994).

Il carico di lavoro va considerato anche in relazione al ritmo di lavoro ossia la rapidità e l’urgenza con cui il lavoro deve essere terminato. Esistono diverse prove (Cox 1985; Smith 1985 citati in Cox et al.,2000; Winnubst et al., 1996) che hanno dimostrato che il lavoro svolto ad un ritmo elevato è dannoso per la salute fisica e psicologica.

Esistono delle prove in letteratura circa la diversa distribuzione dei rischi psicosociali nell’ambito di differenti tipologie di lavoro effettuato. Rientra in questi studi un lavoro di Warr (1992) in cui viene effettuato un confronto tra la differente distribuzione dei rischi in un lavoro manuale e in uno manageriale. Il lavoro manuale aumenta la probabilità di esposizione a rischi legati al carico di lavoro (sia eccessivo che ridotto), al basso potere decisionale e di partecipazione ed alla scarsa varietà dei compiti, ed uno uso ridotto delle potenziali capacità nel caso di lavoro ritenuto poco qualificato. Il lavoro manageriale aumenta l’esposizione a rischi legati al sovraccarico di lavoro, a problemi di ruolo e all’incertezza lavorativa (Warr, 1992).

Orario di lavoro:

Sono stati condotti diversi studi, in ambito comunitario, sulla problematica degli orari di lavoro sia rispetto alla tipologia di lavoro a turni sia rispetto al superamento dell’orario ordinario, ossia del lavoro straordinario. Nella relazione sulle condizioni di lavoro della fondazione europea (1996) è stato evidenziato che il 49% dei lavoratori comunitari lavora più di 40 ore a settimana ed il 23% più di 45 ore e si è registrato un aumento di problemi di salute (legati prevalentemente allo stress) in funzione delle ore lavorate. Alcuni di questi studi, hanno dimostrato che il lavoro prolungato desta particolari preoccupazioni per la salute fisica e psicologica sottoponendo il lavoratore a diversi rischi professionali in ordine alla sicurezza nei luoghi di lavoro. In particolare Rosa et al., (1989) hanno dimostrato dopo un periodo di sette mesi con turni di 12 ore lavorative giornaliere per 3-4 volte la settimana si registra una abbassamento dello stato di allerta, una aumento della sensazione di fatica ed una diminuzione delle ore di sonno rispetto a turni di 8 ore lavorative giornaliere distribuite durante la settimana. È stato, inoltre, evidenziato (Stampi, 1989) che l’accumulo di sonno interferisce negativamente con le prestazioni ed il rendimento lavorativo abbassando conseguentemente la produttività individuale (Rosa et al., 1989; Stampi, 1989 citati in Bernardi F., Sprini G., 2005).

1.3 Rischi psicosociali emergenti

I cambiamenti che nelle recenti decadi hanno interessato il mondo del lavoro legati al modo in cui il lavoro è ideato, organizzato e gestito, nonché al contesto economico e sociale del lavoro, fanno emergere “nuovi rischi psicosociali” aumentano il livello di stress e possono causare un grave deterioramento della salute mentale e fisica dei lavoratori (Cox e Griffiths, 2003).

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha istituito, su disposizione ricevuta dalla Commissione che ha emanato “la nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006” (Comunicazione 2002) “un osservatorio dei rischi” per “anticipare rischi nuovi ed emergenti”. Per rischio emergente si intende qualunque rischio nuovo e/o in aumento. Con nuovo ci si riferisce ad un rischio che non esisteva prima ed è causato da nuovi tipi di luoghi di lavoro, da nuovi processi organizzativi, nuove tecnologie o da trasformazioni sociali o organizzative, oppure da problemi di lunga data trascurati che alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e dei cambiamenti nella pubblica percezione vengono rivalutati come “rischi”. Il rischio si considera in aumento quando il numero dei pericoli che costituiscono il rischio è in aumento; la probabilità di esposizione ai pericoli è in aumento e quando gli effetti dei pericoli sulla salute stanno peggiorando.

L’indagine e gli studi specializzati rivelano che i rischi psicosociali emergenti per la sicurezza e la salute spesso sono la conseguenza di trasformazioni tecniche o organizzative. Le trasformazioni socio-economiche, demografiche e politiche, compreso l’attuale fenomeno della globalizzazione, sono anch’essi fattori importanti. I rischi psicosociali emergenti più importanti individuati dagli esperti e riportati in una pubblicazione dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro nel 2007  (http://riskobservatory.osha.europa.eu/risks/forecasts/psychosocial_risks) si possono raggruppare nei seguenti gruppi:

Nuove forme di contratti di lavoro e insicurezza del posto dilavoro

L’aumentato uso di contratti di lavoro precari, insieme alla tendenza verso una produzione snella (produzione di beni e servizi eliminando gli sprechi) e il ricorso al l’outsourcing (l’uso di imprese esterne per svolgere il lavoro) può incidere sulla salute e la sicurezza dei lavoratori. I lavoratori con contratti precari tendono a svolgere i lavori più pericolosi, a lavorare in condizioni peggiori e a ricevere meno formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Lavorare in mercati del lavoro instabili può dare origine a una sensazione di insicurezza del posto di lavoro e aumentare lo stress legato al lavoro. In letteratura c’è una crescente preoccupazione che, i cambiamenti che coinvolgono il mondo del lavoro possano portare a conseguenze negative per i lavoratori (Cox e Griffiths, 2003; Landsbergis, 2003). Inoltre, il cambiamento organizzativo scarsamente gestito può causare un ulteriore stress (Armenakis & Bedeia, 1999, Mack, Nelson & Quick, 1998 citati in Dollar et al., 2007), ridotta soddisfazione sul lavoro e ridotto impegno organizzativo (Armenakis & Bedeian, 1999 citato in Dollar et al., 2007), e maggiore turnover (Kickul, Lester & Finkl, 2002; Korsgaard, Sapienza & Schweiger, 2002 citati in Dollar et al., 2007).

Intensificazione del lavoro

Molti lavoratori gestiscono quantità di informazioni sempre maggiori e devono far fronte a volumi di lavoro più elevati e a una maggiore pressione sul lavoro. Alcuni lavoratori, in particolare coloro che sono impiegati in nuove forme di occupazione o in settori altamente competitivi, tendono a sentirsi meno sicuri. Per esempio, possono temere che la loro efficienza e il loro rendimento vengano valutati con maggior rigore, e quindi tendono a lavorare più ore per portare a termine i loro compiti.

Talvolta non sono ricompensati per il maggior volume di lavoro che svolgono, oppure non ricevono il sostegno sociale necessario per portarlo a termine. Un volume di lavoro superiore e un atteggiamento più esigente nei confronti di alcuni lavoratori può aumentare lo stress legato al lavoro e incidere sulla salute e sicurezza degli stessi.

Come evidenziato nel primo capitolo recenti studi hanno mostrato un aumento nella percezione degli addetti dell’intensità del lavoro (Winnubst et al., 1996; Green & McIntosh, 2001; Gallie, 2005 citato in Dollar et al., 2007).

Elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro

Questo problema non è nuovo, ma suscita grande preoccupazione, soprattutto nei settori in crescita e sempre più concorrenziali della sanità e dei servizi. Le molestie sul luogo di lavoro sono considerate dagli esperti un fattore che contribuisce ad accrescere le pressioni emotive esercitate sui lavoratori. Il problema della violenza e del bullismo può riguardare tutti i tipi di impiego in tutti i settori. Sia per le vittime che per i testimoni, la violenza e il bullismo provocano stress e possono compromettere gravemente la salute sia mentale sia fisica. In letteratura si possono ritrovare ampie dimostrazioni: il bullismo è stato collegato ad una varietà di seri risultati negativi inclusi sintomi psicosomatici, irritazione, depressione e scarsa salute fisica (es: Mikkelsen & Einarsen, 2002), nonché a diminuita soddisfazione sul lavoro, crescente assenteismo e diminuito impegno organizzativo (Agervold & Mikkelsen, 2004; Hoel & Cooper, 2000 citati in Dollar et al., 2007). I dati emergenti dalla ricerca longitudinale supportano il legame epidemiologico tra bullismo e salute; in particolare sembra che il bullismo possa preconizzare lo sviluppo di nuove malattie cardiovascolari (Kivimaki et al., 2003 in Dollar et al., 2007).

Scarso equilibrio fra vita e lavoro

I problemi sul lavoro possono riversarsi sulla vita privata di una persona. Il lavoro informale e incerto, elevati volumi di lavoro e orari di lavoro variabili o imprevedibili, soprattutto quando non c’è la possibilità per il dipendente di adeguarli alle proprie esigenze personali, possono generare un conflitto fra le esigenze di lavoro e la vita privata. La conseguenza è uno scarso equilibrio fra vita e lavoro che ha un effetto dannoso sul benessere del lavoratore (Van den Bossche, Smulders & Houtman, 2006 citati in Dollar et al., 2007).

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari