La situazione italiana nei corsi di laurea in Psicologia: le prove di ingresso

La situazione italiana nei corsi di laurea in Psicologia: le prove di ingresso

Introduzione

Dalla loro fondazione, fino agli anni ’90, i Corsi di Laurea in Psicologia hanno subito un continuo e costante incremento di richieste di immatricolazione. La crescita del numero degli iscritti, tuttavia, è spesso coincisa con un inasprimento delle problematiche tipiche dell’Università italiana: alta mortalità (Giossi e Bertani, 1997b) e prolungamento degli studi oltre i limiti previsti dalla didattica (Guicciardi e Lostia, 1997). Questo è stato vero soprattutto dove e quando le ammissioni non sono state subordinate a prove di orientamento e selezione (Arcuri e Soresi, 1997; Majer e Mariani, 1997). L’importanza dell’orientamento degli studenti è stata ribadita anche in contributi inerenti altri corsi di studio (Corradi, Bottarelli e Bertoli, 2005, per Veterinaria e Casarosa e Forte, 2006, per Architettura).

Le prove di ingresso

I primi corsi a limitare il numero di immatricolazioni furono Medicina ed Odontoiatria.

Le prove utilizzate da questi corsi di studio ed in seguito anche da Ingegneria, sono di natura strettamente contenutistica.

A differenza di quelle di Psicologia che si concentrano su abilità di base come le capacità di ragionamento, di comprensione, di vocabolario (Arcuri e Soresi, 1997) e di cultura generale.

Le prime prove di selezione vennero adottate senza alcuna analisi sulla validità di contenuto e di costrutto (Arcuri e Soresi, 1997) non rendendole, rebus sic stantibus, “uno strumento scientifico di conoscenza dell’uomo” (Brezinski, 1991).

Si ritenne necessario, quindi, dareimportanza alla capacità predittiva degli stili attribuzionali (Arcuri, 1985), al senso di auto-efficacia (Arcuri, 1985; 1996), alla capacità di affrontare situazioni di problem solving cognitivo e relazionale (Mirandola e Soresi, 1991; Soresi, 1996; Soresi e Mirandola, 1996), alle preferenze culturali e professionali, agli stili cognitivi posseduti dallo studente, al suo bisogno di chiusura inteso come tendenza a portare a termine i compiti (De Grada, Kruglanski, Mannetti, Pierro e Webster, 1990; Kruglanski, 1990), alla sua competenza sociale, alla sua capacità adattiva ed alle sue strategie di presa in carico dei compiti di apprendimento e di massimizzazione del tempo dedicato allo studio (Nota e Soresi, 1996).

Ci siamo chiesti quali potrebbero essere gli elementi non ancora indagati, che consentirebbero di valutare se lo studente è adatto al percorso accademico da lui scelto.

Si potrebbe ipotizzare l’integrazione di un’area che, oltre alle abilità logiche e di comprensione, tenesse conto anche della motivazione intrinseca e dell’orientamento allo studio del soggetto.

Vagliare la motivazione intrinseca, cioè capire se è presente la giusta predisposizione ad affrontare anni di università e l’orientamento, ovvero l’ambito di studi (psicologico, medico o educativo) verso il quale lo studente si sente maggiormente portato, attraverso l’introduzione di un test più prettamente psicologico, che indaghi la personalità e che valuti atteggiamento verso la scuola, motivazione allo studio, capacità di organizzazione e di elaborazione strategica, concentrazione e ansia da studio, potrebbe rendere l’esame di ammissione uno strumento ancora più selettivo. I questionari di approccio allo studio TOM (Test di Orientamento Motivazionale) (Borgogni, Pettita, Barbaranelli, 2004), AMOS (Test di Abilità, Motivazione e Orientamento allo Studio) (De Beni, Moè, Cornoldi, 2014) o QAS (Questionario di Approccio allo Studio) (De Beni, Moè, Cornoldi, 2003) potrebbero essere validi strumenti di supporto nella costruzione di un test che ci aiuti a capire se lo studente possieda o meno le caratteristiche psicologiche che gli permetteranno di raggiungere il termine del percorso di studi.

 

© I predittori della performance accademica  – Laura Foschi