La comunicazione non violenta: un nuovo approccio per i coach

LA COMUNICAZIONE NON VIOLENTA UN NUOVO APPROCCIO PER I COACH

Nel mio percorso professionale di coach ho avuto modo di apprendere diversi approcci, metodologie e teorie, riguardanti la comunicazione e la relazione con gli altri: pnl, analisi transazionale, assertività, ma nessuno di questi mi ha cambiato la vita come l’aver conosciuto e applicato l’approccio della comunicazione non violenta di Marshall B. Rosenberg.

Quando si parla di comunicazione automaticamente ci vengono in mente le nostre relazioni personali e i rapporti che agiamo quotidianamente con gli altri; il punto è che per la maggior parte dei casi non siamo consapevoli di come arriva la nostra comunicazione e di quali siano i sentimenti e gli stati d’animo che possono stimolare le nostre dichiarazioni.

Il coaching aiuta le persone a sviluppare una nuova prospettiva orientata all’utilizzo di comportamenti specifici più adeguati al contesto e al risultato che vogliamo ottenere.

L’applicazione della comunicazione non violenta nel coaching aiuta il coachee a migliorare la qualità delle sue relazioni personali e professionali.

Uno dei più importanti presupposti nella comunicazione è: “impossibile non comunicare”, lo facciamo sempre, anche senza parlare, ci attiviamo con lo sguardo, con le nostre espressioni, con il nostro atteggiamento non verbale, ma anche con la voce, i toni,la velocità, il volume. Tutti i nostri comportamenti comunicano e la sensibilità di ognuno di noi è maggiormente colpita da questi elementi (gesti, toni, voce) rispetto alle stesse parole e al loro significato. (studi di Mehrabian)

I linguaggi che adottiamo spesso sono inconsapevolmente pieni di valutazioni, giudizi, critiche nei confronti degli altri e ciò provoca risposte distorte da parte dei nostri interlocutori, anche se la nostra intenzione non è quella di creare conflitto. Non riusciamo a guardare dentro noi stessi e a dichiarare apertamente e comunicare cosa gli altri dovrebbero fare di diverso per cambiare la situazione.

Spesso, attiviamo delle lamentele nei confronti degli altri, ci poniamo come  vittime degli eventi, attribuiamo agli altri la causa dei nostri mali interni e siamo pronti a dirci impotenti ed innocenti, come se ciò che ci avviene intorno fosse agito in maniera forzata ed involontaria. Ci riempiamo  in questo caso di frasi come “devo,” “non posso”, “non ho scelta”.  Iniziamo a cercare “capri espiatori”,  siamo pronti a dare la colpa agli altri di come ci sentiamo.

Questo tipo di linguaggio è “cieco”, poiché non abbiamo consapevolezza né dei nostri sentimenti, né di ciò che provocano verso gli altri i nostri comportamenti giudicanti e valutativi; puntiamo il dito verso chi non la pensa come noi  e pensiamo di essere nel giusto, poiché il nostro punto di vista è l’unico che consideriamo e non esistono altre opzioni. Questo approccio aumenta i conflitti e allontana le buone relazioni.

Il passaggio dal linguaggio “cieco” al linguaggio che io definisco “generoso”, avviene quando prendiamo atto del fatto che i nostri sentimenti dipendono esclusivamente da come noi reagiamo e interpretiamo i comportamenti altrui. Siamo artefici della costruzione del nostro mondo interiore ed esteriore e utilizziamo il nostro linguaggio come fonte per generare la nostra realtà.

Le nostre credenze, che sono l’insieme delle convinzioni che abbiamo maturato  con le esperienze nel corso della nostra vita, rappresentano il filtro attraverso il quale percepiamo la realtà. La nostra percezione della realtà è sempre soggettiva, così come le nostre reazioni. Queste sono il  risultato di un processo di rielaborazione della nostra mente ma  possono essere pienamente sotto il nostro controllo, se ci alleniamo ad utilizzarle meglio.

L’approccio della comunicazione non violenta  è un buon metodo per sviluppare l’empatia e allontanare i giudizi e può essere applicato tenendo presente 4 fasi.

1-    Sviluppare l’osservazione dell’altro senza valutare,

Il filosofo indiano J. Krishnamurti una volta affermò che osservare senza giudicare è la forma più elevata di intelligenza umana. Ma per la maggior parte di noi è difficile osservare le persone ed i loro comportamenti senza mescolarvi giudizi, critiche o altre forme di analisi. Separare le osservazioni dalle valutazioni, significa osservare e cercare quei  comportamenti specifici e contestualizzati che ci provocano reazioni piacevoli o spiacevoli.

Ogni volta che si attiva una comunicazione è utile chiedersi: che cosa ha fatto l’altra persona che mi ha colpito?

2-    Riconoscere i propri sentimenti, emozioni e dichiararle

Il secondo atto da compiere per applicare un linguaggio diverso e più generoso è riconoscerci vulnerabili, cioè oltre a capire cosa ci fa reagire emotivamente ancheindividuare il nostro sentimento tra dicotomie semplici come piacere o dolore.

Essere vulnerabili significa esprimere apertamente come ci sentiamo quando gli altri fanno qualcosa che ci piace o non ci piace. Impariamo a riconoscere e ad esprimere l’emozione e lo stato emotivo che ci rimane dai comportamenti altrui. Significa osservare e ascoltare prima noi stessi e non giudicare gli altri per quello che hanno fatto o non fatto, detto o non detto. Partiamo dal presupposto che ogni azione è agita da una buona intenzione, è la nostra interpretazione che ci provoca sentimenti particolari.

Il linguaggio diventa l’espressione dell’interpretazione che diamo agli eventi della realtà, significa rispondere alle domande:  cosa mi provoca il comportamento osservato o le parole dette dagli altri? Tristezza, gioia, divertimento, ira.

 

3-    Dichiariamo di che cosa abbiamo bisogno.

I nostri sentimenti sono strettamente legati ai nostri bisogni, per cui adottando questo  nuovo tipo di linguaggio, impariamo a focalizzarci su ciò di cui avremmo bisogno che gli altri facessero di diverso per migliorare la relazione o semplicemente per farci sentire meglio.

Ogni volta che comunichiamo con l’altro dobbiamo chiederci: qual è il bisogno che vorrei che l’altro soddisfacesse?

 

4-    Esprimere richieste chiare e specifiche che vadano a soddisfare i nostri bisogni e a modellare i nostri sentimenti.

E’ necessario focalizzarsi ed esprimere chiaramente ciò che si vuole ottenere dal nostro interlocutore, cosa ci si aspetta che faccia l’altro per soddisfare questo bisogno emerso ed evitare di esprimerlo in senso negativo.

Per fare richieste chiare occorre chiedersi ed esprimere: cosa vorrei che facesse l’altro di diverso? cosa vorremmo chiedere all’altro in relazione a questi  bisogni?

Tanto più abbiamo chiaro cosa vogliamo in cambio, tanto più facilmente potremmo ottenerlo, allontanando così i conflitti relazionali, generati dalla formulazione frettolosa di giudizi e critiche.

Esprimere richieste ci porta dei grandi vantaggi ci rende più assertivi e ci apre possibilità, in quel momento non considerate. Fare richieste è un atto di coraggio poiché esprimiamo linguisticamente che ci manca qualcosa.

Ma evitare di farle ci porta a nasconderci dietro speculazioni e supposizioni che ci portano a grandi fraintendimenti e frustrazioni; stati di risentimento nei confronti di chi non sa rispondere adeguatamente ai nostri bisogni inespressi.

Esprimere chiaramente il nostro bisogno ci sintonizza in maniera aperta ed empatica verso l’altro interlocutore.

Richiedere qualcosa ci fa ottenere ad ogni modo una risposta di cui abbiamo necessità.

Questo approccio ci permette di essere autentici e genuini e di evitare i conflitti, di metterci in relazione con noi stessi e con gli altri e permette alla nostra naturale empatia di sbocciare.

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© MASSIMO PERCIAVALLE

Psicologo e coach accreditato international coach federation presidente di www.makeitso.it formazione e consulenza.

Analogie e differenze tra Coaching e Counseling

Analogie e differenze tra Coaching e Counseling

Il Counseling e il Coaching hanno ormai affermato la loro utilità nel mondo del rinnovamento personale e professionale. Le competenze che ognuno dei due approcci richiede sono fondamentalmente simili, anche se si differenziano nei campi per i campi di applicazione e le tecniche utilizzate. E’ utile, quindi, proporre alcuni elementi di riflessione, partendo dalle loro analogie ed esaminando poi le differenze.

Le analogie:

Premettendo che non sono modelli terapeutici, entrambi sono metodi di sostegno e sviluppo dell’essere umano: partono cioè dalla persona e dalle sue risorse interiori, come base per migliorare la realtà presente, in un’ottica di recupero ed espansione delle potenzialità individuali.

Entrambi quindi condividono una visione ottimistica della natura umana, delle capacità dell’individuo di superare gli ostacoli che lo hanno frenato, di recuperare talenti che aveva “sepolto”, di correggere schemi di comportamento e di pensiero che sono autolimitanti.

Il cliente, per entrambi, è il vero protagonista dell’incontro: la interazione è sinergica, per certi versi paritaria – anche se ovviamente il timone della conduzione del colloquio resta nelle mani del counselor o del coach. La “centratura” sul cliente rende entrambi i metodi molto adatti ad  essere svolti in una relazione uno-a-uno, dove cioè il professionista segue un singolo cliente. Sono però frequenti anche interventi in contesti di gruppo, su tematiche specifiche.

 

La comunicazione è caratterizzata da:

Saper ascoltare in modo consapevole e profondo;

Saper negoziare significati condivisi delle situazioni;

Saper offrire risposte finalizzate alla crescita del cliente o al raggiungimento del suo obiettivo nel caso del coach.

La realizzazione di un contesto sicuro e degno di fiducia è un fattore fondamentale.

Entrambi i metodi aiutano a sviluppare competenze trasversali, che la persona potrà utilizzare nell’ambito della propria vita personale o professionale.

Sia il Counselor che il Coach sono legati a un “contratto” che stabilisce gli obiettivi che si vogliono raggiungere e che vengono “monitorati” lungo il percorso, che tende ad essere relativamente breve (attorno alle 10 sedute per un percorso individuale, anche se il numero può variare in relazione agli obiettivi che si vogliono raggiungere).

Le differenze:

Il Counseling si colloca tra le relazioni di aiuto e ha lo scopo di aiutare la persona a individuare nuove possibilità rispetto a disagi emotivi, situazioni complesse, relazioni in crisi, momenti di crescita e di cambiamento, scelte da compiere. Si usa dire che il Counseling è “l’arte di aiutarsi”; infatti aiuta la persona a scoprire la propria rappresentazione del mondo, a comprenderne la natura e le origini, e a modificarla laddove sia problematica e fonte di “ristrettezza” interiore. La rinnovata energia che emana da questo confronto mette la persona stessa in grado di trovare risposte nuove e diverse ai problemi che la stavano ostacolando.

Il Coaching aiuta a sviluppare caratteristiche e competenze personali, liberando potenzialità legate principalmente – ma non solo – all’ambito professionale, come ad esempio la capacità comunicativa, il lavoro in un team o la sua conduzione, la capacità di leadership, il miglioramento della propria efficacia in termini di governabilità del tempo e di riduzione dello stress. La capacità di trasformare in modo positivo questi fattori è cruciale per una performance professionale eccellente. Il Coaching quindi si focalizza maggiormente sulle azioni, gli obiettivi, il rendimento, le soluzioni, le strategie,  i risultati.

Il Counselor e il Coach, ricevono volutamente, nella nostra Scuola, una preparazione di base analoga in modo che siano in grado di tarare di volta in volta il loro intervento, a seconda delle diverse esigenze del cliente.

Se ad esempio arriva come cliente una  persona che sta attraversando un momento di difficoltà  che mette alla prova il suo modo di scegliere, sentire e percepire, che si sta confrontando con un disagio emotivo o relazionale, l’attività sarà principalmente di Counseling. Altri esempi dove l’approccio è tipicamente di Counseling sono l’attraversamento di una “fase di passaggio” che richiede riflessione e trasformazione (una separazione; un lutto famigliare; la nascita di un figlio; un avanzamento di carriera; l’andare in pensione…), oppure il bisogno di una maggiore autorealizzazione. Quando si lavora come Counselor si pone l’attenzione su come aiutare il cliente a comprendere e governare meglio i propri processi interiori, con particolare attenzione alla sfera emotiva, sentimentale, relazionale e famigliare.

Se invece arriva una richiesta una persona che si rende conto di ottenere risultati inferiori a quelle che sente essere le sue potenzialità e i suoi talenti, che vive ormai con frustrazione questi limiti ed è alla ricerca di modalità efficaci per il cambiamento… allora il focus dell’operatore sarà nella direzione del Coaching.

L’approccio di Coaching è indicato anche alla persona che ha già ottenuto risultati validi e importanti, ma viene con il desiderio di alzare il livello della propria professionalità, acquisendo nuovi concetti, facendo nuove esperienze potenzianti, diventando più cosciente di come gestire con equilibrio la pressione professionale all’interno di una vita impegnata, realizzando nuovi traguardi.

In modo approssimativo si possono legare i due tipi di interventi a una modalità più ricettiva, empatica, relazionale, legata all’ascolto la prima, e più proattiva, cognitiva e di mentoring, la seconda. In realtà spesso i due confini sfumano, ed è bene conoscerli entrambi e utilizzare le diverse tecniche nei diversi momenti e a seconda delle diverse tematiche che lo stesso cliente può portare in tempi successivi. Sottolineo qui come il professionista formato a entrambi i modelli possa “tarare” di volta in volta il suo intervento, usando la sua sensibilità oltre che le sue competenze.  (http://www.outplacement.it)

 

 

 

 

EXECUTIVE COACHING

 

COUNSELING

 

IL SERVIZIO

 

Strumento aziendale di consulenza al manager e all’imprenditore per lo sviluppo del potenziale

 

Strumento di supporto “personale” al superamento di criticità

 

LA FIGURA PROFESSIONALE Il coach è un “allenatore” che aiuta una persona a raggiungere una performance d’eccellenza.

E’ un professionista del supporto alla persona in ambito professionale, di norma un consulente esterno all’azienda. Ha una buona conoscenza dell’organizzazione aziendale ma anche delle dinamiche e del funzionamento della persona.

La FIC è la Federazione Italiana Coach.

Il counselor è uno specialista della relazione d’aiuto al superamento di momenti critici.

E’ un diplomato o laureato che ha conseguito un percorso almeno triennale di specializzazione in Counseling. La sua professionalità si inquadra nell’ ambito delle relazioni di aiuto.

Codice deontologico S.I.Co. (Società Italiana Counselor).

OBIETTIVI E CONTENUTI Il coaching è una metodologia che aiuta a sviluppare ed ottimizzare le competenze della persona/manager per raggiungere una performance efficace e competitiva all’interno dell’azienda.

Il coach lavora sulle competenze trasversali del coachee (quindi non specialistiche tecniche).  Durante gli incontri si instaura una relazione di fiducia, si definiscono obiettivi specifici ed una serie di azioni per raggiungerli.

 

Il counseling ha come scopo quello di coadiuvare la persona nel fare chiarezza e individuare nuove opzioni o possibilità per affrontare situazioni complesse, di crescita e/o di cambiamento, aiutandolo ad elaborare l’emotività connessa ad una data situazione critica.
STRUMENTI In generale tra gli strumenti del coaching abbiamo:

rapport, ascolto attivo, definizione di obiettivi motivanti, tecnica delle domande,  il feedback, definizione di un piano di azione.

Di norma tutto ciò che aiuta la persona a prendere consapevolezza e assumere decisioni verso un obiettivo concreto.

Gli strumenti di approccio del counselor si basano fondamentalmente sull’accoglienza della persona, accettandola così com’è, sull’ascolto recettivo ed attivo mantenendo una momentanea sospensione del giudizio, sull’empatia che consente un’intesa non solo psicologica ma anche conoscitiva e spirituale.

 

CONTESTI L’intervento di coaching è applicabile a diverse situazioni come il cambiamento di ruolo interno all’azienda (orizzontale o verticale), l’ingresso in una nuova azienda, l’assunzione di ruoli di particolare complessità, la gestione di situazioni conflittuali, l’affiancamento nel passaggio generazionale, oppure nei momenti critici nella carriera del manager. Il counseling può essere attuato in diversi contesti:

– counseling individuale

– counseling scolastico

– counseling aziendale

– counseling sessuologico

– counseling per persone in situazioni di difficoltà

RUOLI E RESPONSABILITÁ DELL’OPERATORE E DELL’UTENTE Il coach è la guida e il responsabile del processo e della verifica del percorso verso il raggiungimento dei risultati. Deve garantire la riservatezza delle informazioni.

Il coachee deve avere una relazione privilegiata con il coach, deve avere forte motivazione a crescere e raggiungere nuovi obiettivi, dimostrare disponibilità a mettersi in gioco e voglia di sperimentare nuovi comportamenti impegnandosi in azione concrete per raggiungere gli obiettivi definiti.

 

Il ruolo del counselor è quello di favorire lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità già insite nel cliente e lo aiuta a superare quei problemi che gli impediscono di esprimersi pienamente e liberamente, attraverso l’uso dell’ascolto attivo e del feedback.

Il cliente è colui che, a causa di problemi personali o di periodi di difficoltà specifici, ha una performance scarsa e quindi necessita di un supporto e una correzione. Deve essere disposto e motivato ad esaminare la sua situazione sotto nuovi punti di vista

TEMPI Ha una durata massima di 6/8 mesi nell’arco dei quali avvengono 10/12 incontri complessivi, “vis a vis” (della durata di 2 ore) o telefonici (di 60/90 minuti). Il fine degli incontri è la risoluzione dei quesiti del cliente. La durata dell’intervento è perciò quella strettamente necessaria al cliente e può variare da qualche incontro ad alcuni mesi. Gli incontri sono individuali, “vis a vis”, di 45/60 minuti mediamente una volta a settimana.
COSTI

 

Tra 150 e 500 € per un incontro di 2 ore

 

Tra 40 e 140 € a incontro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Counseling e Coaching

Counseling e Coaching

Spesso si fa confusione fra due attività apparentemente simili, in realtà distanti fra loro.

Il coaching è uno strumento prezioso di sviluppo organizzativo.

Il sito dell’International Coaching Federation (ICF), la Federazione che raccoglie il maggior numero di coach nel maggior numero di nazioni, riporta la seguente definizione: “ Il coaching è una relazione che si evolve mantenendo costante il proprio focus su clienti che stanno agendo per realizzare i propri sogni, i propri obiettivi e i propri desideri. Il coaching usa un processo di esplorazione e di scoperta personale per migliorare il livello di consapevolezza e responsabilità del cliente e fornisce al cliente struttura, supporto, feedback. Il processo di coaching aiuta il cliente sia a definire sia a raggiungere obiettivi professionali e personali più rapidamente e più facilmente di quanto sarebbe possibile altrimenti “.

Questa definizione evidenzia alcuni elementi qualificanti del coaching:

    • il coaching è un tipo di relazione;
    • il fulcro dell’attenzione è sempre e comunque il cliente;
    • come tutte le relazioni, è una relazione che si evolve e che attraversa diverse fasi;
    • è il cliente che agisce per realizzare i suoi sogni, i suoi obiettivi, i suoi desideri;
    • il coaching fornisce al cliente struttura, supporto e feedback per il suo cammino;
    • all’interno della struttura, il cliente mette alla prova le proprie capacità e diventa più consapevole di quello che è e di quello che sa fare;
    • una delle funzioni principali del coaching è quella di aiutare il cliente a definire degli obiettivi di miglioramento, traducendo vaghe aspirazioni in specifici risultati da raggiungere, sia in campo professionale che personale;
    • il coaching è una sorta di “catalizzatore” del miglioramento, nel senso che con il supporto del coach il cliente viaggia più velocemente nel suo percorso di sviluppo.

La difficoltà è capire come una relazione caratterizzata in questo modo possa essere concretizzata in azienda: si parla infatti di “sogni” dei clienti, di “processi” di esplorazione e scoperta personale… come possono essere questi elementi inclusi in un processo aziendale, in particolare in contesti produttivi? Come possono i desideri dei clienti, dei singoli coachee, essere conciliati con i desideri dell’organizzazione, del committente, tanto da far sì che l’azienda paghi un percorso di coaching al suo dipendente? Diamo una prospettiva decisamente più aziendale ed operativa sul coaching inteso come strumento di sviluppo di competenze.

Il coaching è:

–    un processo di acquisizione e di applicazione  di competenze professionali e manageriali.

–    basato su di una metodologia precisa (protocolli) e caratterizzato da un preciso orientamento alla persona;

–    Condotto da un professionista qualificato (il coach).

Il coaching si svolge in ambito lavorativo, articolandosi in una serie di incontri (sessioni) tra il coach e i singoli partecipanti.

Nell’ambito degli obiettivi dell’iniziativa di coaching, il coach e i singoli partecipanti (coachee) lavorano su performance e competenze specifiche concordate con l’azienda e aventi un impatto diretto o indiretto sui risultati di business- con una prospettiva a lungo termine di sviluppo delle competenze del coachee.

Il coaching prevede, da parte del coach:

    • la stimolazione delle risorse e abilità uniche del coachee per il raggiungimento degli obiettivi concordati;
    • l’integrazione di tecniche o strategie comportamentali specifiche a seconda dei bisogni del coachee;
    • il fornire una prospettiva da osservatore, funzionale all’acquisizione di competenze tramite processi di apprendimento dall’esperienza.

Affinché  l’intervento di coaching abbia successo, l’azienda deve avere:

    • individuato dei risultati di business da raggiungere;
    • creato un piano strategico per raggiungere questi risultati di business;
    • individuato i criteri chiave di performance che la sua forza lavoro deve consolidare o migliorare per implementare il piano strategico;
    • scelto il coaching a ragion veduta, come strumento per supportare le persone nell’implementare il piano strategico, in particolar modo dove tal implementazione richieda ai dipendenti di mettere in campo competenze nuove o più evolute.

Se queste condizioni sono presenti e sono chiaramente comunicate ai coaching, si parte già a “ventre a terra”: fin dai primi incontri si percepisce una forte motivazione da parte dei coachee e si lavora subito su questioni rilevanti per il miglioramento della performance. In caso contrario, si dovrà dedicare parecchio tempo, all’interno delle sessioni di coaching, a spiegare il quadro generale, oltre che a vincere la naturale diffidenza iniziale.

Nel primo caso il coach è percepito chiaramente come “partner” e “supporto”: il coach sa bene quali sono gli obiettivi di sviluppo e il perché degli stessi.

Nel secondo caso, invece, non essendo chiari il contesto e gli obiettivi aziendali, il coach, può essere vissuto come un intruso nella routine lavorativa delle persone, o, peggio ancora, come una “spia”(“ecco che viene questo qui per vedere come lavoro per poi riportare ai miei superiori”) o come uno “psicologo”(“i miei capi pensano che non stia facendo un buon lavoro, e che ho dei problemi, tant’è che mi mandano uno strizzacervelli”..)

Il coaching invece di essere vissuto come un aiuto per centrare gli obiettivi aziendali, rischia di essere visto come un aggravio al lavoro: gli obiettivi di coaching, nel percepito del coachee, diventano un ulteriore lavoro da fare, senza legami apparenti con gli obiettivi aziendali.

(Terni, 2007).

 

 

© “Il Counseling ed il bilancio di competenze in azienda. Ipotesi di una sinergia professionale orientata alla persona e al business” – Dott.ssa Camilla Girelli

Il coaching: scopriamo questa nuova professione

IL COACHING. SCOPRIAMO QUESTA NUOVA PROFESSIONE

Il coaching è un’attività affascinante, ma ancora poco conosciuta nella sua più autentica essenza.

Oggi i media usano il termine coach per definire figure come i “motivatori”, i trainer, o i formatori con approcci esperienziali, ma che poco hanno a vedere con questa nuova professione.

Il coach è un professionista che accompagna persone o gruppi verso i risultati desiderati, attraverso uno specifico processo e usando precise competenze.

Cerchiamo innanzitutto di capire le origini del coaching.

Chi ha frequentato paesi anglosassoni avrà notato che le carrozze del treno o gli autobus sono chiamati “coach”.  Furono infatti gli studenti inglesi che nell’800 usarono per la prima volta il termine coach per individuare i professori più capaci, quelli cioè che riuscivano a “trasportarli” verso il successo scolastico.

L’ispiratore del coaching, così come lo conosciamo oggi, è Tim Gallwey, un istruttore di tennis che negli anni ’70 si chiede cosa avviene nella mente dell’atleta quando la palla non è giocata e come quei pensieri possono influire sulla sua prestazione. Individua così un “gioco  esterno”, quello che si vede, e un “gioco interno”, quello della mente, sviluppando delle tecniche “non direttive” che hanno lo scopo di portare  consapevolezza sul gioco interiore e affidare la responsabilità della crescita prestazionale all’atleta stesso.

Qualche anno dopo è John Whitmore, un consulente manageriale, ad elaborare uno dei più noti processi di coaching e ad applicarne i benefici anche in ambito aziendale.

Proviamo a saperne di più sul processo di coaching. Accompagnare persone o gruppi verso la meta desiderata significa per un coach

    1. supportare il proprio cliente verso la definizione di obiettivi significativi per sé,
    1. scoprire e far scoprire i talenti e le potenzialità esistenti,
    1. stimolare l’esplorazione e poi la scelta di strategie e ancora dopo le azioni, che lo porteranno sempre più vicino alla meta,
    1. sostenere il cliente, favorendo la consapevolezza e l’apprendimento in ogni occasione, di successo o meno, attraverso feedback, domande, “sfide” verso altri paradigmi, e nel continuo rispetto della preziosità del suo pensiero e delle sue esperienze.

Una delle prime domande verso questa nuova professione riguardano le differenze rispetto all’attività di supporto psicologico.

Per rispondere mi aiuterò con le linee guida fornite dalla International Coach Federation, la più importante associazione mondiale di coach professionisti, che si occupa di definire standard professionali, competenze e codice etico, attraverso un processo di certificazione a valenza internazionale.

PRESUPPOSTI del coaching:

Il coaching e? quel servizio che ha come presupposto la relazione tra il coach ed un altro individuo, o gruppo, finalizzata al raggiungimento di un obiettivo in un contesto definito o al miglioramento di compito che questi ha all’interno di quel contesto.

Il coach non e? necessariamente un esperto del tema affrontato, non da consigli e fa domande.

Il coachee (cliente) ha in sé tutte le risorse di cui necessita? per raggiungere i risultati desiderati: e? già un “campione” da allenare per il successo.

OBIETTIVI del coaching

Individuare lo stato presente e lo stato desiderato; le risorse, e le strategie per acquisirle, necessarie per il raggiungimento dello stato desiderato, in un tempo concordato con il coachee. Attraverso una relazione efficace stimolare nel coachee nuove consapevolezze e stati di auto-efficacia che facilitino la realizzazione di progetti ed obiettivi nella vita personale e/o professionale.

PRESUPPOSTI del supporto psicologico

Il cliente e? spinto da una sofferenza, da un disagio, o da un forte desiderio di cambiamento esistenziale a voler raggiungere uno stato di benessere, o la piena salute psichica, o la conoscenza di se stesso che gli permetta l’espressione massima delle proprie potenzialita?. Ogni indirizzo psicoterapeutico ha una sua specifica definizione di “problema” e di percorso per risolverlo, derivante dal punto di osservazione dell’individuo e dalle variabili considerate significative.

La psicoterapia tratta qualsiasi tipo di sofferenza psichica fino ai piu? complessi problemi di personalita? e di relazione fra se stessi e gli altri.

OBIETTIVI del supporto psicologico

Condurre, per prima cosa, la persona verso uno stato di “salute psichica” in cui questa possa vivere un senso di benessere sia rispetto a se stessa che rispetto agli altri, poi stimolare l’espansione della coscienza per esprimere tutte le potenzialita? facilitando lo sviluppo in tutti i campi della vita. La psicoterapia tradizionale e? consigliata a chi vuole compiere un lavoro completo ed approfondito su se stesso.

Possiamo quindi riassumere con due concetti base:

    1. Il coach lavora con persone che non hanno problemi ma obiettivi da raggiungere. Il processo è prevalentemente orientato al futuro per aprire nuove risorse.
    1. Lo psicologo lavora con persone che vivono un disagio o un problema e vogliono risolverlo. Il processo è prevalentemente orientato al passato, alla ricerca delle cause.

Può capitare che lo psicologo operi negli ambiti in cui lavora un coach, se ne acquisisce le specifiche competenze. Un coach non può lavorare negli ambiti di supporto psicologico, a meno che non ne abbia titolo professionale.

Esistono diverse specializzazioni professionali per il coach, dallo sportivo all’aziendale, sino al “life coaching”, in cui si accompagna il cliente verso il raggiungimento degli obiettivi più importanti per sé in tutte le dimensioni della propria vita.

Di queste aree di lavoro e delle loro applicazioni pratiche ne parleremo nei successivi appuntamenti.

© – Dr. Davide Tambone