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La comunicazione efficace

La Comunicazione Efficace

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“Il modo in cui comunichiamo con gli altri e con noi stessi determina la qualità della nostra vita”. Anthony Robbins

Saper comunicare è necessario per trasmettere pensieri, idee e visioni. Siamo animali sociali progettati per interagire con le altre persone, e la comunicazione è il mezzo che utilizziamo per fare questo. Uno stile di comunicazione errato può dare origine ad incomprensioni, problemi e discussioni; è facile urtare i sentimenti di qualcuno perché non si è riusciti a comunicare nel modo giusto.

La strada per migliorare la qualità delle nostre relazioni passa necessariamente attraverso la comunicazione. Non solo: la nostra felicità è strettamente interconnessa alle nostre capacità comunicative. Decenni di ricerche hanno infatti indicato la qualità delle nostre relazioni come l’elemento più importante al raggiungimento della felicità, più del successo e del denaro.

La comunicazione efficace è stata la chiave del successo dei grandi leader della storia. Infatti, ciò che ha fatto la differenza tra i grandi uomini della storia e le persone comuni non erano soltanto le loro idee, ma anche e soprattutto il modo in cui sapevano comunicarle e trasmetterle agli altri, usando il linguaggio delle emozioni e dei desideri delle persone. I leader sapevano che, se il loro messaggio non fosse stato compreso e sentito come proprio, non sarebbe mai stato sostenuto e condiviso.

Il manager, oggi più che mai leader, deve allineare la funzione Risorse Umane con gli obiettivi strategici dell’organizzazione al fine di migliorare le performance. Le strutture e i sistemi del personale e dell’organizzazione devono essere progettati per supportare la strategia dell’organizzazione, e lo staff deve essere gestito e trattato in maniera tale che sia impegnato nell’organizzazione e nel perseguimento dei suoi obiettivi.

A tal fine è imprescindibile avere come base una corretta comunicazione interna, che rappresenta uno scambio finalizzato a stabilire e migliorare i principi di efficienza del proprio lavoro. In particolare, sono due i tipi di comunicazione su cui va posta attenzione:

  • La comunicazione top-down, ossia quella dall’alto (organi dirigenziali) verso il basso (impiegati, dipendenti). Per attuare questo tipo di comunicazione interna aziendale si possono utilizzare diversi strumenti pratici come una rete intranet che sfrutti l’organizzazione di un software gestionale, l’uso di messaggistica interna tramite mail e/o circolari, e l’organizzazione periodica di riunioni con i dipendenti per spiegare e condividere informazioni ed obiettivi.
  • La comunicazione bottom-up, ovvero il flusso di informazioni dal basso verso l’alto. Questo genere di comunicazione si realizza attraverso riunioni, colloqui individuali, procedure interne quali la compilazione di report periodici delle proprie attività, e l’inserimento di appuntamenti/attività in un calendario intranet condiviso.

In un’impresa moderna la gestione della comunicazione interna è una funzione fondamentale. Per ottimizzare questo processo il manager deve avere come obiettivo principale quello di sensibilizzare le persone a leggere e ad ascoltare, di creare il clima e gli strumenti per la libera circolazione delle informazioni e delle idee, di far sì che la politica aziendale sia recepita da tutti in modo chiaro, di favorire i contatti diretti tra imprenditore e dipendenti.

Quando si parla di impresa moderna va sottolineato, infatti, il valore della responsabilizzazione dei dipendenti in modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati a giocare quello della partnership. Gli obiettivi di profitto dell’impresa vengono conseguiti grazie a professionalità diverse e complementari: una rete di competenze in cui il singolo vive in relazione con i colleghi e l’organizzazione, cresce e si sviluppa grazie ai rapporti di fiducia che si instaurano tra le persone.

Alcuni economisti affermano che è proprio la fiducia l’elemento che sta alla base del sistema economico. Se non ci si fida dei colleghi, dei dipendenti, dei superiori, del partner commerciale, i rapporti non si sviluppano e non si raggiungono i risultati attesi. Questo vale anche dal punto di vista del dipendente: se non ha fiducia nell’impresa in cui lavora i risultati saranno decisamente inferiori alle attese.

Dare fiducia alle proprie risorse umane per una azienda significa adottare la mentalità che tutti debbano poter recuperare le informazioni necessarie per proseguire nelle normali attività. Una rete comunicativa in cui informazioni importanti o necessarie sono difficilmente accessibili impoverisce tutta la strategia di gestione delle risorse umane, arrivando anche a vanificarne il successo. È dunque fondamentale che il circuito comunicativo non si interrompa mai e sia gestito con continuità, interesse e soprattutto fiducia.

I processi di gestione della comunicazione verso e per le risorse umane vanno favoriti e resi efficienti tramite l’automazione delle attività, la sincronizzazione dei dati e l’evoluzione tecnologica e di business. In questo modo si riducono anche tempi, costi e margini di errore. A tale scopo è inevitabile avere come base una corretta comunicazione interna, strumento che nessuna attività lavorativa può ignorare in quanto rappresenta uno scambio finalizzato a stabilire e migliorare i principi di efficienza del proprio lavoro. Ad esempio, un manager che non risponde ad un suo diretto sottoposto o ne ignora le richieste dimostrando disinteresse contribuisce in maniera determinante alla creazione di un clima organizzativo di sfiducia, in cui gli organi dirigenziali sono visti come lontani e disinteressati, e a lungo andare demoliscono il senso di orientamento comune al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Ovviamente sono molti i fattori di ostacolo alla comunicazione: le differenti esperienze del personale, i diversi gradi di cultura e preparazione, le diverse abitudini, una sottostima dell’importanza della funzione, la gelosia, la mancanza di tempo. Esistono anche ostacoli di tipo diverso, in qualche modo cercati: sono tutte quelle circostanze in cui si tende ad omettere di comunicare delle informazioni per figurare in un certo modo nei confronti dei propri dipendenti o del proprio superiore.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

La Leadership al Femminile ostacolo o risorsa

La Leadership al Femminile: ostacolo o risorsa?

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Per entrare nello specifico della figura di leader al femminile ho estrapolato un articolo di Rossella Sobrero dal titolo:

“L’importanza delle risorse umane: focus sul welfare aziendale”[1].

“Il mondo del lavoro è ancora oggi di impronta maschile e per le donne non è semplice arrivare alle posizioni di potere. La leadership femminile è ostacolata da un’immagine stereotipata della donna che dequalifica le sue specificità. In realtà, uno stile empatico viene premiato dagli esperti e dalle ricerche più recenti.

Nel mondo, in Europa e anche in Italia, esiste ancora una grave disparità di genere nel lavoro e il gap aumenta se si pensano alle posizioni manageriali. La leadership al femminile non è valutata positivamente, cioè le doti o qualità che sono associate all’immagine stereotipata delle donne non vengono considerate utili o desiderabili.

Ciò significa eliminare dal mondo del lavoro delle competenze che possono essere comunque utili e dall’altra parte significa costringere le donne ad assumere comportamenti maschili per poi rimproverarle di essere poco femminili.

Le competenze chiave della leadership: c’è qualcosa di femminile?

Cosa manca alle donne per essere delle buone leader? Secondo Cristina Bombelli lo stereotipo femminile esclude competenze desiderabili al lavoro, come assertività, capacità di negoziare, la volontà e il comando. La leadership delle donne d’altro canto viene ostacolata da caratteristiche (in parte culturalmente trasmesse) che non rientrano nell’immagine del “buon capo“. Anche in questo caso l’ostacolo maggiore è lo stereotipo che abbiamo in mente, perché di per sé queste competenze potrebbero costituire anche delle ottime qualità, vediamone alcune:

  • empatia che porta le donne a non mettere sempre davanti le loro priorità
  • eccessiva solidarietà e considerazione dei rapporti umani
  • incapacità di mettere al di sopra di tutto gli aspetti economici-finanziari e la tendenza a sottovalutarsi.

Le qualità femminili da sfruttare al lavoro

Franco Gnocchi, HR consultant, in un’intervista fa un’analisi accurata della leadership al femminile e di come si possa inserire nella vita aziendale. Secondo Gnocchi una delle chiavi di maggior successo è l’intelligenza emotiva, che combina competenze individuali e sociali che migliorano le performance lavorative, come l’orientamento ai risultati e le competenze comunicative.

L’empatia è secondo Gnocchi l’elemento chiave di una gestione femminile, perché consente di evitare un approccio troppo freddo e quantitativo.

La leadership empatica mette il riconoscimento dei bisogni dell’altro al centro; in un’azienda ciò significa riconoscere i bisogni specifici dei dipendenti e dei gruppi di lavoro e attivare di conseguenza le giuste leve motivazionali.

L’apporto della ricerca sulla leadership

La ricerca sulla leadership si è interessata delle differenze di genere, ma i risultati non trovano un riscontro nella realtà, nonostante sia ampiamente dimostrato che un buon leader (maschile o femminile) aumenta l’impegno e la soddisfazione lavorativa.

Un esempio interessante è la meta-analisi condotta su 45 studi sugli stili di leadership (Eagly, Johannesen-Schmidt e Van Engen, 2003) che ha evidenziato che la leadership femminile è di stile più trasformazionale e che le donne sono più propense ad offrire ricompense.

Nonostante le differenze non siano enormi, un dato resta comunque evidente: le dimensioni in cui prevalgono le donne sono quelle a più alto impatto positivo sul lavoro, mentre quelle maschili non hanno forti relazioni con la buona leadership”.

 

Fig. 9 – Gli stili di leadership 

http://www.colonese.it/Immagini/Leadership.jpg

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

[1] SOBRERO R., L’importanza delle risorse umane: focus sul welfare aziendale, CSRPiemonte, Regione Piemonte ed Unioncamere Piemonte, 2012

La Leadership

LA LEADERSHIP

La parola “Leadership” deriva dal verbo inglese “To Lead”, che significa dirigere, pertanto questo termine fa riferimento alla capacità di un individuo di saper guidare un gruppo di persone. Il leader è colui che guida il gruppo al successo, che ottiene che altre persone facciano determinate cose non perché si sentono obbligate, ma perché lo vogliono. Nel fare ciò, egli combina l’abilità di comprendere quali sono gli obiettivi raggiungibili con la capacità di motivare gli altri.

Gli studi iniziali sulla leadership hanno analizzato il fenomeno a livello individuale. Era importante capire quali tratti della personalità contraddistinguevano i grandi leader, ed in che modo essi riuscivano ad attirare a sé e ad influenzare gruppi di seguaci.

Negli anni ’60 lo psicometro americano Rancis Likert ha individuato quattro stili di leadership: l’autoritario minaccioso, che prende tutte le decisioni autonomamente circa scopi, modalità d’attuazione e tempi, per poi comunicarle al gruppo; l’autoritario benevolente, che incoraggia il gruppo attraverso delle ricompense e lo coinvolge nel processo decisionale, sebbene spetti a lui l’ultima parola; il consultativo, che aumenta la partecipazione del gruppo grazie ad una comunicazione bidirezionale; il partecipativo, che si avvale di una rete di comunicazione efficace basata sulla collaborazione e sulla presa democratica delle decisioni.

In seguito si è fatta avanti una nuova psicologia della leadership, secondo la quale la leadership efficace è un prodotto che deriva da come il leader riesce a far sentire i suoi seguaci parte di un gruppo o di una squadra, e che ha quindi poco a che vedere con l’individualità e le caratteristiche “speciali” del leader. Ciò che consente ai leader di fare i leader e ai seguaci di diventare seguaci è l’identità sociale: le persone coinvolte nel processo di leadership hanno un senso di comune appartenenza ad un gruppo (ingroup) e, di conseguenza, stabiliscono dei legami che li rendono diversi da altri gruppi (outgroup).

Vi sono 4 principi che caratterizzano il nuovo leader: egli deve apparire come “uno di noi”, deve rappresentare al meglio ciò che distingue il proprio ingroup dagli altri gruppi, esserne cioè il prototipo; deve apparire come “uno che lo fa per noi”, che agisce nell’interesse dell’ingroup e non per finalità personali; deve “costruire un senso del noi”, dare cioè forma ad un’identità di gruppo, con propri valori e caratteristiche unici; deve “farci contare nella realtà”, cioè calare nella realtà le idee e i principi del gruppo, metterli in pratica per realizzarne gli obiettivi.

Fig. 8 – Le caratteristiche di un buon leader – www.qualitiamo.com/articoli/Caratteristiche leader.html

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

La relazione tra amicizie dirette ed estese e attribuzioni di mente: Introduzione

La relazione tra amicizie dirette ed estese e attribuzioni di mente: Uno studio sul rapporto tra Meridionali e Settentrionali in Italia

 

Introduzione

La società odierna è caratterizzata dalla coesistenza, a volte forzata, di diversi gruppi sociali che sono differenti gli uni dagli altri non solo per le loro caratteristiche fisiche (come il colore della pelle), ma anche per una serie di attributi legati alle loro differenze culturali, al loro credo ideologico-religioso, alle loro condizioni economiche, gusti sessuali o tradizioni. La psicologia sociale da tempo si dedica all’analisi dei fenomeni che avvengono nei diversi contesti intergruppi, focalizzandosi in particolare sugli effetti del contatto nella riduzione del pregiudizio tra i gruppi.

Il presente lavoro di tesi riguarda il fenomeno del pregiudizio esistente in un contesto intergruppi particolare e a noi vicino, che è stato oggetto da tempo di analisi da parte della comunità scientifica: è quello composto da Italiani Settentrionali e Meridionali, che pur avendo la stessa nazionalità e lo stesso credo religioso, sono molto diversi per quanto riguarda le rispettive condizioni di benessere economico, le tradizioni culturali e le espressioni linguistiche. A ciò si aggiungono diversi stereotipi che rafforzano una percezione negativa delle differenze reciproche tra i due gruppi: gli abitanti del Nord Italia vengono spesso etichettati come onesti contributori fiscali, dediti più al lavoro che alla famiglia, piuttosto freddi e poco socievoli con gli altri; gli abitanti del Sud sono invece spesso dipinti come ospitali e calorosi fannulloni, propensi all’evasione fiscale e alla truffa, legati indissolubilmente alla famiglia e alle proprie tradizioni locali. Naturalmente, quelli appena descritti sono solamente stereotipi legati alla visione che ognuno dei due gruppi ha dell’altro, ma di certo contribuiscono ad alimentare il conflitto esistente tra Nord e Sud Italia.

L’esistenza di questi conflitti e la loro influenza sulla vita quotidiana è sicuramente legata ai fenomeni di deumanizzazione e infraumanizzazione (Haslam & Loughnam, 2014), che nei contesti intergruppi portano ad una ridotta o assente attribuzione di stati mentali ai membri di un gruppo diverso dal proprio.

Il primo capitolo tratta appunto di questi due fenomeni, analizzando nella prima parte le basi teoriche, evidenziando analogie e differenze e descrivendo le varie forme in cui esse possono avvenire; successivamente, vengono approfondite le caratteristiche degli individui e dei gruppi che subiscono tali attribuzioni di minore umanità, degli individui e dei gruppi che le mettono in atto e le condizioni sotto le quali esse sono più probabili. Infine, vengono analizzati gli effetti di questi due fenomeni sulle relazioni intergruppi e interpersonali, e vengono discusse le strategie più efficaci per la loro riduzione.

Da più di mezzo secolo è stato individuato dagli studiosi, a partire dall’ipotesi del contatto di Allport (1954) un tipo “speciale” di contatto che ha effetti particolarmente positivi sulle relazioni intergruppi: si tratta dell’amicizia crossgroup (Pettigrew, 1997). Essa può avvenire in due forme: l’amicizia cross-group diretta consiste nel contatto diretto tra membri dell’ingroup e dell’outgroup, mentre l’amicizia cross-group estesa (Wright, Aron, McLaughlin-Volpe & Ropp, 1997) è un’esperienza vicaria che consiste nella semplice osservazione o conoscenza dell’amicizia tra un membro dell’ingroup e un membro dell’outgroup. Il secondo capitolo tratta proprio di queste due forme di amicizia intergruppi, focalizzandosi sui fattori mediatori e moderatori nella relazione tra questi tipi di contatto e l’atteggiamento verso l’outgroup. Viene, infine, trattata la loro efficacia nei diversi contesti intergruppi.

I fenomeni di pregiudizio intergruppi sono riconducibili a processi che riguardano la percezione della mente, sia propria che altrui; il terzo capitolo tratta appunto della teoria psicologica della percezione della mente (Waytz, Gray, Epley, & Wegner, 2010), che risulta dipendente dalle caratteristiche dei membri gruppo che la percepiscono o che vengono percepiti. Viene evidenziato il dualismo tra le due dimensioni della percezione delle mente (agency ed experience) e approfondito il ruolo che riveste il corpo nella percezione della mente altrui.

Diversi fattori possono influire sia sulle attribuzioni di umanità e di mente sia sul conseguente atteggiamento verso gli altri. Un ruolo particolare è rivestito dalle meta-attribuzioni, ovvero dai processi di comprensione di cosa gli altri individui e gruppi pensino di noi. Il quarto capitolo è dedicato proprio alle metaattribuzioni, analizzando caratteristiche e processi che incidono sulla loro formazione, i suoi effetti sulle relazioni intergruppi e le strategie di riduzione degli effetti negativi che esse possono avere.

Infine, nel quinto capitolo verrà descritto lo studio condotto considerando il contesto intergruppi descritto precedentemente. Lo studio ha l’obiettivo di analizzare il legame tra amicizie cross-group (dirette ed estese), attribuzioni di umanità e di mente all’outgroup esaminando partecipanti settentrionali (ingroup; Meridionali sono l’outgroup). I dati sono stati raccolti tramite la somministrazione di oltre 300 questionari a studenti universitari frequentanti l’Università di Padova. Nel capitolo, quindi, vengono inizialmente descritti gli obiettivi e le ipotesi alla base della ricerca, il metodo, nonché le misure utilizzate nel questionario. Vengono, infine, riportati i risultati delle analisi, discutendo le loro implicazioni a livello teorico e applicativo.

 

© La relazione tra amicizie dirette ed estese e attribuzioni di mente: Uno studio sul rapporto tra Meridionali e Settentrionali in Italia – Elisa Ragusa