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Nascita dell’agricoltura biologica

Nascita dell’agricoltura biologica

 

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Fu il filosofo austriaco Rudolf Steiner, nel suo “Corso di Agricoltura” nel 1924, ad introdurre il concetto di agricoltura biodinamica ed a gettare le basi per quella che oggi viene chiamata agricoltura biologica; secondo il filosofo suolo, colture, allevamenti, ambiente, flora e fauna fanno parte di un unico “organismo” (azienda agricola) nel quale interagiscono in equilibrio con le forze terrestri e cosmiche e pertanto nelle varie pratiche colturali devono essere impiegati solo metodi e prodotti naturali, tenendo presenti i ritmi naturali della Terra e del cosmo.

Successivamente negli anni ’40 si sviluppa un movimento basato sulle teorie del “Testamento agricolo” di Sir Howard (1940), secondo il quale la sostanza organica assume un ruolo di primaria importanza (organic farming). Dopo la seconda guerra mondiale fino agli ’50 si sviluppa in Svizzera il Movimento dei giovani agricoltori, fondato da Hans Peter Rusch e Hans Müller, nel quale viene posta attenzione all’humus ed alla sostanza organica, nonché sulle lavorazioni del terreno le quali devono essere ridotte al minimo per non modificarne la composizione microbica. Negli anni a seguire l’agricoltura organica aumenta in Europa e nel resto del mondo, trovando comunque alcuni ostacoli negli anni ’60 e ’70 specialmente grazie all’incremento dell’uso di prodotti chimici; negli anni ’60 infatti c’è un forte utilizzo della meccanizzazione e di prodotti chimici in quella che è chiamata “rivoluzione verde”, consistente nel massimo profitto ottenibile dalla produzione agricola, fortemente in contrasto con i principi “etico-ecologici” proposti. Il panorama però cambia negli anni ’70 ed i movimenti rivolti ad una maggiore ricerca della coscienza ambientale prendono nuovo vigore, anche a seguito dei problemi derivati dall’eccessivo impiego della chimica in agricoltura (es. DDT) e della crisi petrolifera (Benvenuto e Malossini, 2007).

 


© L’acquisto di prodotti alimentari biologici. Analisi di modelli estesi della Teoria del Comportamento Pianificato  – Dott. Filippo Barretta


 

Comportamento di acquisto: Cos’è l’agricoltura biologica

Comportamento di acquisto: Cos’è l’agricoltura biologica

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Il termine “agricoltura biologica”, come descrive l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (AIAB, 2008), indica un metodo di coltivazione e di allevamento che ammette solo l’impiego di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi); significa quindi sviluppare un metodo di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell’acqua e dell’aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo. E’ un metodo di produzione definito dal punto di vista legislativo a livello comunitario inizialmente con il Regolamento CEE 2092/91, e successivamente sostituito dai Reg. CE 834/07 e 889/08 ed a livello nazionale con il D. M. 18354/09.

Nelle coltivazioni, si provvede innanzitutto in via preventiva, selezionando specie resistenti alle malattie e intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate come per esempio: la rotazione delle colture, non coltivando consecutivamente nello stesso terreno la stessa pianta in modo da sfruttare meno intensivamente il terreno; la piantumazione di siepi e alberi che danno ospitalità a predatori naturali di parassiti e fungono da barriera fisica a possibili inquinamenti esterni; la consociazione, coltivando in parallelo piante sgradite l’una ai parassiti dell’altra. I fertilizzanti impiegati sono naturali come il letame opportunamente compostato e altre sostanze organiche compostate e sovesci, cioè incorporazioni nel terreno di piante appositamente seminate, come trifoglio o senape. Per la difesa delle colture in caso di necessità si interviene con sostanze naturali vegetali, animali o minerali: estratti di piante, insetti che predano parassiti, farina di roccia o minerali naturali. Qualora si ritenesse necessario intervenire per la difesa delle coltivazioni da parassiti e altre avversità, l’agricoltore può fare ricorso esclusivamente alle sostanze di origine naturale espressamente autorizzate e dettagliate dal Regolamento europeo.

Per quanto riguarda la zootecnia, il metodo di produzione biologico segue i criteri normativi definiti dall’Unione Europea (Regolamento CE 1804/99) ed a livello nazionale (D. M. 91436 del 4 Agosto 2000). Gli animali devono essere alimentati secondo i loro fabbisogni con prodotti vegetali ottenuti con metodo di produzione biologico; il numero di capi allevabili è strettamente legato alla superficie disponibile; i sistemi di allevamento adottati devono soddisfare i bisogni etologici e fisiologici degli animali e cioè consentire loro di esprimere il loro comportamento naturale con sistemi di vita adeguati; il trapianto degli embrioni e l’uso degli ormoni per regolare l’ovulazione sono vietati eccetto in caso di trattamento veterinario, ed è inoltre vietato l’impiego di razze ottenute mediante manipolazione genetica; il trasporto degli animali deve essere il meno lungo possibile ed è vietato l’uso di tranquillanti durante il tragitto; al momento della macellazione o dell’abbattimento deve esserci un trattamento in modo da limitare la tensione degli animali e offrire garanzie sulla separazione di quelli biologici da quelli convenzionali.

Nella scelta delle razze, è preferibile allevare razze autoctone ben adattate alle condizioni ambientali locali, resistenti alle malattie e adatte alla stabulazione all’aperto.

Le strutture per l’allevamento devono essere salubri e dimensionate al carico di bestiame; inoltre devono consentire l’isolamento dei capi che necessitano di cure mediche. Lo spazio libero minimo a disposizione degli animali per ogni specie e categoria viene definito nel Regolamento CE 1804/99, sia al coperto che all’esterno. La dieta del bestiame dovrebbe essere composta totalmente da cibi biologici, e bilanciata in accordo con i fabbisogni nutrizionali degli animali; non possono mai essere somministrati agli animali allevati con metodo biologico: stimolatori di crescita o stimolatori dell’appetito sintetici, conservanti e coloranti, urea, sottoprodotti animali (es. residui di macello o farine di pesce) ai ruminanti ed agli erbivori monogastrici fatta eccezione per il latte ed i prodotti lattiero-caseari, escrementi o altri rifiuti animali, alimenti sottoposti a trattamenti con solventi (es. panelli di soia o altri semi oleosi) o addizionati di agenti chimici in genere, organismi geneticamente modificati, vitamine sintetiche.

 


© L’acquisto di prodotti alimentari biologici. Analisi di modelli estesi della Teoria del Comportamento Pianificato  – Dott. Filippo Barretta


 

Comportamento di acquisto: introduzione

Comportamento di acquisto: introduzione

 

 

La ricerca oggetto di questa tesi ha l’obiettivo di indagare il comportamento d’acquisto di prodotti alimentari provenienti da agricoltura biologica.

In opposizione al calo di consumi registrati negli ultimi anni nel settore agroalimentare, a causa anche della crisi economica che ha colpito fortemente gran parte dei paesi occidentali, inclusa l’Italia, il mercato del settore biologico continua a crescere confermando un trend positivo che dura da circa una decina d’anni. Si stima un fatturato mondiale del biologico pari a 63,8 miliardi di dollari (nel 2012). Nel nostro paese, nei primi cinque mesi del 2014, gli acquisti di prodotti alimentari biologici hanno avuto un incremento che risulta essere il più alto degli ultimi dodici anni. Inoltre, la forte concorrenza di prodotti a basso prezzo, provenienti dai paesi emergenti (Cina, India, Paesi dell’Est, etc.) sta mettendo in discussione alcuni paradigmi legati al settore agricolo occidentale. Uno dei principali strumenti per la sopravvivenza dell’agricoltura nei Paesi più “ricchi” è rappresentato dall’offerta di prodotti di qualità (gustosi, salubri,  che permettano una sostenibilità ambientale, etc.). In questo contesto si inserisce l’agricoltura biologica che pone da sempre, come finalità del proprio metodo, di ottenere prodotti di alto livello qualitativo, nel massimo rispetto per l’ambiente.

Proprio per quest’ultima caratteristica di sostenibilità ambientale, l’acquisto di prodotti alimentari biologici viene spesso associato a quella categoria di comportamenti che la psicologia ambientale definisce “ecologici”, come ad esempio tutti quei comportamenti che contribuiscono alla salvaguardia dell’ambiente (separare i rifiuti domestici, utilizzare i mezzi pubblici anziché privati, etc.).

Il presente lavoro, con l’obiettivo di ricercare le determinanti psicologiche del comportamento ecologico preso in esame cioè l’acquisto dei prodotti alimentari biologici, si è basato su uno specifico paradigma della ricerca psicologica sociale, cioè la Teoria del Comportamento Pianificato (Theory of Planned Behaviour, TPB) (Ajzen, 1991; Ajzen e Madden, 1986).

Il primo capitolo di questo elaborato è dedicato a definire cosa sono i prodotti alimentari biologici, cosa li differenzia dai prodotti convenzionali in termini di coltivazione e certificazione, e come si è sviluppato il consumo e la produzione di questi prodotti globalmente ed in Italia. Verranno poi presentati alcuni dati di mercato e di regolamentazione per l’import di questi prodotti da paesi terzi.

Il secondo capitolo approfondirà le teorie che mettono in relazione gli atteggiamenti con il comportamento: si partirà col presentare il Modello Aspettativa-Valore (Fishbein e Ajzen, 1975), si continuerà con la Teoria dell’Azione Ragionata (Theory of Reasoned Action, TRA) (Ajzen e Fishbein, 1980) e il suo sviluppo  successivo, la Teoria del Comportamento Pianificato (Theory of Planned Behaviour, TPB) (Ajzen, 1991; Ajzen e Madden, 1986) e modelli estesi di questa teoria. Verranno poi prese in considerazione alcune applicazioni della TPB allo studio dell’acquisto dei cibi biologici.

Nel terzo capitolo saranno illustrati gli obiettivi della ricerca, il metodo e lo strumento utilizzato. Descriveremo inoltre le caratteristiche dei rispondenti che hanno partecipato alla ricerca.

Il quarto capitolo invece, è dedicato all’analisi dei risultati della ricerca. Mostreremo i dati relativi alle credenze emerse dallo studio pilota, in seguito sono presentate le analisi sulle statistiche descrittive delle variabili della TPB, approfondendo il ruolo che le credenze hanno sull’atteggiamento. Infine verrà testata l’efficacia della TPB e di alcuni modelli estesi, nel prevedere l’intenzione e il comportamento d’acquisto.

 


© L’acquisto di prodotti alimentari biologici. Analisi di modelli estesi della Teoria del Comportamento Pianificato  – Dott. Filippo Barretta


 

Psicologia delle decisioni: Discussione ed Implicazioni

Psicologia delle decisioni: Discussione ed Implicazioni 

I risultati mostrano che nella condizione di valutazione congiunta i partecipanti valutano come più positiva e più attraente la scommessa certa rispetto a quella incerta. Questo risultato concorda con quanto già osservato da Allais (1953), ovverosia una tendenza da parte  delle persone a preferire un evento certo rispetto ad uno solo probabile. Tuttavia, i partecipanti che valutavano le due diverse scommesse in SE non mostrano una chiara preferenza per l’una piuttosto che per l’altra. Inoltre, mentre la valutazione della scommessa incerta non cambia significativamente da una condizione all’altra, l’alternativa certa viene giudicata meno positivamente quando è presentata da sola. Di conseguenza, i risultati dell’esperimento condotto in questa tesi mostrano una violazione dell’effetto certezza nella condizione SE, ovverosia quando il contesto di valutazione è di tipo non comparativo. Si ottengono, invece, dei risultati coerenti con l’effetto JE/SE (Hsee, 1996) in cui le persone mostrano un’incoerenza indotta dal contesto di valutazione. In secondo luogo, il fatto che i partecipanti valutino l’alternativa certa come più positiva e più attraente quando è presentata a fianco di quella incerta dimostra che la possibilità di confrontare due alternative ha un ruolo determinante nell’indurre le persone a conformare i propri giudizi  all’effetto certezza.

In particolare, risultati di questo esperimento estendono la dimostrazione dell’ignoranza comparativa (Fox e Tversky, 1995) anche a situazioni in cui le alternative presentate si differenziano in base al grado di rischio: alternativa certa vs. alternativa incerta. Inoltre,  vengono anche replicati ed estesi i risultati trovati da Rubaltelli, Rumiati e Slovic (2010), che nel contesto dell’avversione all’ambiguità, mostrano come le emozioni guidino l’effetto dell’ignoranza comparativa. Questi risultati concordano con Pham (2007).

Si evidenzia una discrepanza tra questi risultati ed altre ricerche relative alle reazioni emotive (si veda Peters, 2006). Una possibilità è che ciò dipenda dal fatto che nei rispettivi studi ci possano essere variabili latenti differenti. In questo caso una variabile che potrebbe spiegare i risultati di questa tesi è il senso di responsabilità.

Questo tipo di fattore non è stato preso in considerazione in questo esperimento, tuttavia si può ipotizzare che una persona che si sente responsabile di una sua scelta sia più coinvolta affettivamente rispetto a quando il senso di responsabilità manca o è sensibilmente ridotto nel contesto in cui avviene la valutazione. Ad esempio, la condizione di valutazione congiunta potrebbe aumentare il senso di responsabilità inducendo le persone ad anticipare l’emozione di disappunto che potrebbe derivare dal fatto di ottenere un risultato insoddisfacente (Mellers, Schwartz, Ritov, 1999).

Al contrario, nella condizione di valutazione separata, non essendoci nessuna alternativa disponibile per fare un confronto è più difficile anticipare le emozioni legate ad un risultato insoddisfacente. Questo dovrebbe quindi ridurre il senso di responsabilità che le persone provano davanti alla possibilità di rimanere senza niente in mano.

Oltre alla necessità di studiare i fattori che possano spiegare il diverso effetto delle reazioni emotive nelle due condizioni è anche auspicabile un estensione dei risultati al frame negativo. Infatti, in questa tesi sono state considerate solamente alternative con esiti positivi, mentre si potrebbero fare ipotesi simili per alternative caratterizzate da esiti negativi, cioè dalla possibilità di perdere. In questo caso, però, si dovrebbe trovare che  una scommessa induce emozioni meno negative di una perdita certa quando esse vengono valutate insieme. Non si dovrebbe invece trovare nessuna differenza quando le due alternative con esiti negativi sono presentate in un contesto non comparativo. Queste previsioni sarebbero in linea sia con l’effetto riflesso descritto nella Teoria del Prospetto da Kahneman e Tversky (1979) ed anche con l’ipotesi dell’ignoranza comparativa proposta da Fox e Tversky (1995).

Se queste ipotesi relative ad alternative con esiti negativi venissero confermate, ciò significherebbe che sia per il frame positivo sia per il frame negativo le persone non fanno differenza tra alternative certe e rischiose quando sono presentate in contesti non comparativi. Di conseguenza per entrambe le situazioni (guadagni e perdite) si otterrebbe una violazione dell’effetto certezza in SE ed anche dell’effetto riflesso.

In aggiunta, potrebbe essere utile estendere il paradigma della valutazione congiunta e separata anche alle scommesse miste, ovverosia a scommesse che offrono più esiti, solitamente sia guadagni sia perdite. Se il confronto tra alternative è fondamentale nel caso delle scommesse semplici come quelle utilizzate in questa tesi non è detto che lo stesso valga anche per scommesse che offrono più risultati. Infatti, in questo secondo caso, le persone potrebbero operare un confronto tra la probabilità di vincere e la probabiltà di perdere all’interno di una singola scommessa (Glöckner e Herbold, 2010). In questo caso, la possibilità di fare dei confronti tra gli esiti offerti da una singola scommessa dovrebbe rendere meno rilevante il confronto tra scommesse in condizione congiunta e allo stesso tempo, rendere più valutabili le scommesse miste presentate in condizioni non comparative. Mi aspetterei quindi di trovare delle valutazioni più coerenti  nei due contesti valutativi e un’ assenza dell’effetto di interazione mostrato in questa tesi. Ciò costituirebbe una prova importante che i risultati ottenuti in questo lavoro sono dovuti alla mancanza di un’opportunità di confronto in valutazione separata.

Inoltre, i risultati presentati in questa tesi mostrano che l’emozione anticipata ha un ruolo centrale nell’influenzare l’effetto certezza e di conseguenza anche nel determinare l’avversione alle perdite. Dunque, la tendenza a preferire un investimento obbligazionario piuttosto che azionario potrebbe verificarsi quando il gestore di titoli presenta al risparmiatore non esperto le due opzioni affiancate ma non quando gli presenta solo la possibilità di investire in azioni o solo quella di investire in obbligazioni. Molto spesso gli investitori preferiscono investire in modo sicuro, ma facendo così rinunciano alla possibilità di ottenere guadagni maggiori. In alcuni casi questa avversione al rischio è benefica ma in altri può essere molto dannosa. Ad esempio quando si investe in una pensione integrativa è necessario accumulare il massimo rendimento possibile e questo può essere fatto solo investendo pesantemente in azioni, per lo meno fintanto che l’orizzonte temporale è sufficientemente lungo. In questi casi, la presentazione congiunta di fondi azionari ed obbligazionari potrebbe indurre gli investitori ad essere troppo avversi al rischio.

Così come la tendenza ad investire in obbligazioni sicure anche la tendenza ad investire in titoli nazionali piuttosto che in titoli stranieri o l’avversione al cambiamento presente nel timore delle nuove tecnologie potrebbero trovare una chiave di lettura interessante alla luce dei risultati di questo esperimento.

 

 

 

© L’IPOTESI DELLA IGNORANZA COMPARATIVA NELLA VALUTAZIONE DI ALTERNATIVE CERTE E RISCHIOSE – Dott. Andrea Righi

 

 

 

 

L’estensione dell’ignoranza comparativa all’effetto certezza

L’estensione dell’ignoranza comparativa all’effetto certezza 

 

Ipotesi

Rubaltelli e colleghi (Rubaltelli e Slovic, 2008; Rubaltelli, Rumiati e Slovic, 2010) sono stati tra i primi a notare che l’inversione di preferenza che si verifica tra valutazione congiunta (JE) e valutazione separata (SE) può dipendere dalle reazioni affettive che le persone provano verso uno stimolo.

Rubaltelli et al. (2010) hanno proposto che i loro risultati si possano estendere all’effetto certezza (Allais, 1953; Kahneman e Tversky, 1979). Questo effetto è stato studiato contrapponendo un’alternativa certa ad un’ altra rischiosa ma non è mai stato studiato presentando queste due alternative in SE.

L’esperimento condotto in questa tesi mostrerà che l’effetto certezza si verifica in modalità JE ma non in modalità SE, rispettando così quanto suggerito dall’ipotesi dell’ignoranza comparativa. In aggiunta, a differenza di quanto fatto da Kahneman e Tversky (1979) qui verranno misurate le reazioni emotive verso ciascuna scommessa piuttosto che le scelte delle persone. Si ipotizza che in JE venga replicata la preferenza per le alternative sicure, ovverosia che questa alternativa induca reazioni emotive più positive. Diversamente, in SE non ci si aspetta nessuna differenza tra le due alternative.

Partecipanti

128 studenti della Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova (76% femmine; età media = 24 anni) hanno partecipato all’esperimento. Sono stati assegnati casualmente ad una delle tre condizioni sperimentali: 44 studenti nella condizione JE; 42 in ciascuna condizione SE.

Materiale e procedura

L’esperimento prevedeva tre condizioni diverse ad ognuna delle quali  corrispondeva un questionario differente. Nella condizione di JE si chiedeva agli studenti di immaginare che gli venissero proposte due scommesse: una scommessa A ed una scommessa B. La scommessa A offriva una vincita sicura di €100 mentre la scommessa B offriva il 50% di possibilità di vincere €200. Seguivano 4 domande. Le prime due chiedevano quanto attraenti fossero rispettivamente la scommessaA e la scommessa B. I partecipanti segnavano la loro risposta su una scala Likert che andava da -4 (“assolutamente non attraente”) a +4 (“assolutamente attraente”). Le altre due  domande chiedevano quanto fosse positiva ognuna delle due scommesse.

Le risposte venivano riportate su una scala Likert che andava da 0 (“per nulla positivo”), a 6 (“assolutamente positivo”). Nelle due condizioni SE ai partecipanti era invece chiesto d’immaginare una sola delle due scommesse. In questo caso le domande presentate erano le stesse usate nella condizione JE, però riguardavano solamente la scommessa presentata e non tutte e due  le scommesse.

Risultati

Grado di attrazione

Per prima cosa, è stata condotta un’analisi della varianza 2 (alternativa certa vs. scommessa) x 2 (condizione JE vs. condizione SE) con il secondo fattore tra i soggetti. Quest’analisi ha mostrato un interazione significativa: F (1, 127) = 12,65;  p < .001 ?²= .131 (vedere Tabella 1).

In secondo luogo, in linea con quanto avevano trovato Kahneman e Tversky (1979), è stata replicata la preferenza per l’evento certo rispetto a quello probabile quando la valutazione è congiunta (JE): quando la vincita certa è stata valutata in JE è risultata significativamente più attraente, rispetto alla scommessa: t (43) = 4,56;  p < .01. La differenza tra le due alternative non è invece significativa in SE. Inoltre, come ci si attendeva, in JE la vincita certa è stata giudicata significativamente più attraente rispetto a quando è valutata in SE: t (43) = 2,345; p < .05. La scommessa, invece,

viene valutata come più attraente quando viene valutata in SE: t (43) = -1,72; p < n.s. Quest’ultimo dato, tuttavia non è significativo:  t (43)  = -1.72; p < n.s.

Tabella 1: Giudizio medio del grado di attrazione della vincita certa e della scommessa.

Valenza del sentimento (positivo/negativo)

I risultati relativi alla valenza del sentimento sono molto simili a quelli trovati per l’attrazione. Come per quest’ultima anche per la valenza del sentimento si è provveduto a fare in primo luogo un analisi della varianza 2 ( vincita certa vs.

scommessa) X 2 ( condizione JE vs. condizione SE) con il secondo fattore fra i soggetti. Ancora un volta è emerso un effetto di interazione significativo: F (1,  127) = 11,627; p < .001, ?² = .131 (vedere Tabella 2).

La vincita certa è stata valutata in maniera più positiva  rispetto alla scommessa  in JE piuttosto che in SE: t (43) = 4,97; p < .01. La stessa differenza non è risultata significativa in SE. Come ipotizzato, in JE la vincita certa è valutata significativamente  più positivamente che in SE: t (84) = 2,9; p < .05. La scommessa, invece viene valutata come più positiva che in SE, ma la differenza non è significativa: t (43) = -1,07; p > n.s.

Tabella 2: Giudizio medio dell’emozione indotta dalla valenza dalla vincita certa e dalla scommessa.

Nella prossima sezione di tesi sarà presentato un esperimento che prende in considerazione questa ipotesi.

 

 

© L’IPOTESI DELLA IGNORANZA COMPARATIVA NELLA VALUTAZIONE DI ALTERNATIVE CERTE E RISCHIOSE – Dott. Andrea Righi

L’ignoranza comparativa e l’avversione all’ambiguità

L’ignoranza comparativa e l’avversione all’ambiguità 

Una delle aree su cui la ricerca relativa ai processi decisonali si è focalizzata maggiormente è quella delle scelte  in condizioni di ambiguità o di ignoranza delle probabilità associate agli esiti. Gli sviluppi in tale ambito di ricerca sono particolarmente interessanti perché molto spesso le persone fanno delle scelte in condizioni in cui non è chiara la probabilità di raggiungere un determinato risultato.

Il primo ad intuire l’importanza dello studio delle decisioni in condizioni di ambiguità è stato Knight (1921). Knight distingueva l’incertezza in incertezza misurabile ed incertezza non misurabile. La prima, che corrisponde al rischio, a differenza della seconda è rappresentabile mediante una precisa probabilità.

Nello stesso periodo Keynes (1921) differenziava la probabilità, cioè la quantità di evidenza in favore di una particolare proposizione, dal peso dell’ evidenza, cioè la quantità di evidenza a supporto del bilancio. Solo più tardi, però, Savage (1954) riconobbe che le probabilità soggettive fossero comunemente vaghe, osservando l’assenza della vaghezza dalle teorie della scelta razionale. Successivamente, Ellsberg (1961) riprendendo le osservazioni di Keynes, dimostrò che le persone preferiscono scommettere su ciò che conoscono piuttosto che su ciò che non conoscono. Per esempio, Ellsberg ha mostrato che le persone sono più propense a puntare su un urna in cui ci sono 50 palline nere e 50 palline rosse piuttosto che su un urna in cui ci sono 100 palline rosse e nere  in proporzioni sconosciute (questo fenomeno ha preso il nome di Paradosso di Ellsberg).

Questo esempio è importante perché costituisce una violazione delle teorie della scelta razionale. Dopo Ellsberg numerosi studiosi hanno dimostrato che l’avversione all’ambiguità caratterizza spesso il modo con cui prendiamo le decisioni. Ad esempio, numerosi studi hanno dimostrato l’attitudine degli azionisti ad investire in titoli del rispettivo mercato nazionale rispetto a quelli di stranieri (French & Ponterba, 1991; Kilka & Weber, 2000; Huberman, 2001). I titoli nazionali sono meglio conosciuti e le persone pensano di poter stimare in modo più preciso le probabilità di ottenere un rendimento positivo.

Tuttavia Heath e Tversky (1991) hanno dimostrato che l’avversione all’ambiguità sussiste soprattutto quando le persone si sentono incompetenti. Per esempio, un appassionato di calcio sarà più disponibile a scommettere su una partita il cui risultato è molto difficile da prevedere rispetto quanto non lo sia uno che non se ne intende per nulla.

Per spiegare il fatto che il sentimento di incompetenza porti a rifiutare le alternative vaghe, Fox e Tversky (1995) hanno proposto l’ipotesi dell’ignoranza comparativa.

Questa ipotesi afferma che l’avversione all’ambiguità è presente quando i prospetti, uno vago e l’altro incerto, sono giudicati contemporaneamente, ma non quando ognuno dei due è giudicato singolarmente. In una serie di esperimenti Fox e Tversky (1995) hanno dimostrato che le persone sono disposte a pagare di più per scommettere su un alternativa vaga quando questa è presentata da sola rispetto a quando questa è presentata insieme ad una incerta.

Successivamente, Fox e Weber (2002) hanno dimostrato che l’ignoranza comparativa dipende da uno stato mentale del decisore piuttosto che da una manipolazione del contesto sperimentale.

Ad esempio, quando l’alternativa vaga è presentata prima di quella chiara entrambe le alternative sono valutate di più rispetto a quando l’alternativa chiara è presentata per prima. Inoltre, Fox e Weber (2002) hanno dimostrato che informazioni aggiuntive possono addirittura rinforzare il sentimento d’incompetenza, quando questo è presente, attivando maggiormente l’avversione all’ambiguità.

Inoltre, il diverso modo di  valutare un alternativa quando è presentata da sola, in valutazione separata (separate evaluation; SE), rispetto a  quando  è affiancata ad un’altra, in valutazione congiunta (joint evaluation; JE), è riconducibile ad una particolare modalità di preference reversal (Hsee, 1996; Hsee, Lowenstein, Blount e Bazerman, 1999).

Per spiegare questo tipo d’incoerenza delle preferenze, Hsee (1996) ha proposto l’ipotesi di valutabilità. Secondo questa ipotesi l’incoerenza tra JE e SE si verifica perché alcuni degli attributi delle alternative sono difficili da valutare in assenza di un valore con cui confrontarli e per questo motivo hanno un maggior impatto sulle valutazioni quando sono presenti più alternative in contemporanea. Ad esempio, supponendo che ci siano due dizionari usati, un dizionario A con 20.000 voci e la copertina rovinata ed un dizionario B con 10.000 voci in ottimo stato, le persone saranno disposte a pagare di più il primo dizionario rispetto al secondo quando sono posti l’uno a fianco dell’altro che non quando sono valutati ognuno per conto proprio. Infatti, il numero di voci, relativamente difficile da valutare senza un termine di paragone, diviene più facile, e quindi più rilevante davalutare nella condizione di JE. Allo stesso tempo il fatto che la copertina sia rovinata è facile da valutare in entrambe le condizioni, di conseguenza non guadagna nessuna rilevanza passando dalla valutazione separata a quella congiunta.

Hsee, Lowenstein, Blount e Bazerman (1999) hanno dimostrato anche che il grado di  valutabilità di un attributo è strettamente collegato alla tipologia e alla quantità di informazioni dal punto di vista di chi valuta. Per esempio, dovendo valutare un candidato per un posto di lavoro sulla base di un punteggio ad un test il punto della vista di chi lo valuta cambierà notevolmente a seconda del fatto che conosca i punteggi medi di questo test, piuttosto che gli estremi o che non abbia nessuna informazione a riguardo. In particolare Hsee et al. (1999) hanno mostrato che a questi tre diversi scenari corrispondono altrettante funzioni del grado di valutabilità.

Quando non si hanno informazioni la funzione di valutabilità assume la forma di una funzione monotona piatta, mentre quando si conoscono i punteggi minimo  e massimo la funzione è monotona crescente. Diversamente, quando si conosce la media dei punteggi la funzione assume una forma ad esse.

Recentemente, la ricerca sulla decisioni ha cominciato a mettere a fuoco il ruolo giocato dalle emozioni in questo tipo di incoerenza decisionale. Rubaltelli, Rumiati e Slovic (2010) hanno mostrato che le persone sono più abili a sfruttare le proprie reazioni affettive quando due alternative sono valutate in una modalità congiunta rispetto a quando queste sono valutate separatamente. Questi risultati sono contrastanti con quanto affermato da altri studi  che suggeriscono che le reazioni affettive siano usate come feedback quando le persone non hanno sufficienti informazioni per valutare gli stimoli (e.g Peters, 2006), ma concordano con quanto riportato da Pham (2007). In aggiunta, Rubaltelli et al. (2010) hanno mostrato, in una versione del Paradosso di Ellsberg in cui le due urne erano entrambe incerte, che le reazioni affettive possono spiegare l’incoerenza tra JE e SE anche per stimoli che sono caratterizzati dallo stesso livello di incertezza. Inoltre, gli autori di questo studio hanno suggerito che i risultati da loro ottenuti si possano estendere all’effetto certezza (Kahneman e Tversky, 1979). Proprio nella prossima sezione di tesi sarà presentato un esperimento che prende in considerazione questa ipotesi.

© L’IPOTESI DELLA IGNORANZA COMPARATIVA NELLA VALUTAZIONE DI ALTERNATIVE CERTE E RISCHIOSE – Dott. Andrea Righi

Emozioni e processi decisionali

Emozioni e processi decisionali

Solo recentemente la ricerca ha messo in evidenza l’importanza del ruolo delle emozioni nel processo di scelta.  Epstein (1994), sostiene che l’adattamento all’ambiente avvenga mediante due sistemi: uno razionale, l’altro esperenziale. Il primo è deliberativo, richiede molta energia e molto tempo, e comunica tramite rappresentazioni astratte. Questo, inoltre, è legato sopratutto alla corteccia, l’area più evoluta e giovane dell’encefalo, ed è di conseguenza capace di un altissimo livello di astrazione in un ottica progettuale anche di lungo termine. Il sistema esperenziale, invece, agisce in maniera automatica, rapida, senza sforzo ed è legato sopratutto all’amigdala e al talamo, strutture assai più antiche rispetto  alla corteccia. Sebbene i due sistemi lavorino parallelamente e s’influenzino reciprocamente, il sistema esperenziale è naturalmente portato a precedere quello razionale nell’elaborazione dell’informazione. Ovviamente l’automaticità e la velocità con cui questo sistema agisce ha delle importanti conseguenze nella presa di decisione. Le ricerche di Antonio Damasio (1994) hanno fornito un importante conferma a questa prospettiva.

Damasio ha dimostrato che i decisori codificano affettivamente le conseguenze di alternative come linee d’azione e che questi segnalatori somatici sono un importante input per la presa di decisioni. Damasio e collaboratori (Bechara et al., 1997), chiedevano a persone sane e a pazienti con lesioni della corteccia prefrontale, un area del cervello che gioca un ruolo critico nell’utilizzare i feedback emotivi e la pianificazione dei comportamenti, di partecipare ad un gioco in cui l’obiettivo era quello di guadagnare il più possibile. In questo gioco i partecipanti  dovevano girare delle carte da quattro mazzi. Su ogni carta era riportato il valore della perdita o della vincita. Mentre due mazzi di carte offrivano alte vincite ed alte perdite e alla lunga producevano un esito negativo, gli altri due mazzi portavano a vincite e perdite più contenute, però a lungo andare l’esito era positivo. Non conoscendo l’esito delle carte a priori, entrambi i gruppi di partecipanti cominciavano pescando a caso da tutti i mazzi. Dopo poche selezioni le persone sane si concentravano sui mazzi vantaggiosi (basse vincite e basse perdite) evitando dunque quelli che offrivano vincite ingenti ma anche perdite molto alte. Anche i pazienti con lesione prefrontale mostravano una certa riluttanza a scegliere i mazzi svantaggiosi. Tuttavia a differenza delle persone sane i pazienti tornavano più rapidamente a sfidare la sorte estraendo delle carte dai due mazzi svantaggiosi, dopo che avevano subito una pesante perdita. Non sorprendentemente, alla fine del gioco, i pazienti guadagnavano sensibilmente meno rispetto alle persone sane. Quanto hanno trovato Damasio e collaboratori (1994; Bechara et al., 1997) è particolarmente interessante se si considera che la corteccia prefrontale è l’area della consapevolezza delle emozioni e della pianificazione. Di conseguenza, quando quest’area del cervello è lesionata non è possibile anticipare la paura e l’ansia che coloro che sono sani associano alle alternative rischiose. A conferma di questi risultati Damasio (1994) porta l’esempio degli psicopatici antisociali la cui insensibilità alle conseguenze delle loro azioni viene spesso attribuita ad un deficit emozionale. Tuttavia la stessa incapacità di anticipare emozioni che nello studio di Damasio è svantaggiosa per i pazienti cerebro lesi potrebbe rilevarsi un vantaggio in altri contesti. Un esempio, è la myopic loss avversion (Benartzi e Thaler,1995) dove l’investitore medio preferisce mettere i suoi risparmi in bond sicuri piuttosto che investire in equity che mediamente offrono un maggior ritorno nel lungo termine.

In aggiunta gli studiosi di psicologia della decisione hanno messo in evidenza come un approccio consequezialista, cioè puramente basato sulla valutazione di conseguenze di possibili esiti tra loro alternativi, non possa dare spiegazione ad un gran numero di fenomeni (Loewenstein, Hsee, Weber, Welch, 2001). Per esempio, in uno studio di Epstein (1994), i partecipanti dovevano leggere una serie di vignette che descrivevano una storia che parlava di tre protagonisti che incontravano un ricco benefattore, il quale avrebbe dato loro una banconota da $100 al patto che ad ognuno di loro uscisse testa al primo lancio di una moneta. I tre protagonisti perdevano perchè a Smith, il terzo dei tre, era uscita croce. I partecipanti dovevano valutare lo stato d’animo di ognuno di questi e rispondere ad una domanda che chiedeva se i due cui era uscita testa avrebbero dovuto invitarlo ad unirsi a loro ad una vacanza a Las Vegas. La maggioranza vedeva Smith come un perdente e affermava che gli altri due avrebbero fatto bene a non invitarlo con loro. D’altra parte i partecipanti erano ben consci del fatto che il loro comportamento fosse irrazionale visto che il lancio di una moneta è casuale e non può essere influenzato da chi sta giocando.

Anche il chickening out offre una valida dimostrazione di come una paura crescente possa determinare una decisione. Welch (1999) offriva a degli studenti l’opportunità di guadagnare $1 raccontando una barzelletta in aula davanti a tutti. Sia a quelli che avevano accettato che a quelli che avevano declinato l’offerta era data l’opportunità di cambiare la propria decisione poco prima del momento topico. Come ipotizzato da Welch una maggioranza di quelli che avevano accettato di raccontare la barzelletta davanti a tutti cambiarono idea.

Mellers, Schwartz e Ritov (1999) hanno dimostrato come i decisori preferiscano le scommesse che offrono loro il massimo piacere possibile e quelle che minimizzino il massimo dispiacere possibile.

Slovic, Finucane, Peters e MacGregor (2002) hanno proposto un euristica come aspetto centrale del sistema esperenziale: l’euristica dell’affetto. Questa euristica ci indirizza in modo automatico ed inconsapevole verso una scelta marcando le immagini nella nostra mente con intensità diversa. Per questi motivi assume i tratti di un autentica scorciatoia mentale. Slovic e collaboratori mostrano come l’euristica dell’affetto sia strettamente collegata alla nostra percezione del rischio e quindi anche alle nostre decisioni. Alhakami e Slovic (1994) hanno dimostrato ad esempio che la valutazione del rischio legato ad una determinata attività o tecnologia non dipende solo da ciò che si pensa ma anche dalle emozioni che questa induce. Tanto più una cosa è piacevole tanto meno ci sembrerà rischiosa. Questa correlazione negativa caratterizza allo stesso modo esperti e non esperti (Slovic, MacGregor, Malforms, Purchase, working paper; Ganzach, 2001). Slovic, Moahan e MacGragor (2000) hanno dimostrato anche come gli stessi dati possano indurre a decisioni differenti a seconda che siano presentati in termini percentuali o di frequenze. Ad esempio, gli psichiatri sono risultati più propensi a firmare le dimissioni ad un paziente se l’informazione a loro disposizione è che il 10% dei pazienti con lo stesso disturbo commette atti violenti 6 mesi dopo essere stati dimessi, rispetto quando viene loro detto che 10 pazienti su 100 con lo stesso disturbo del paziente commettono atti violenti nei 6 mesi dopo essere stati dimessi. In fine, Slovic, Finucane, Peters e MacGregor (2002) forniscono una curiosa dimostrazione di come le emozioni possano prevalere sulla ragione in un loro esperimento che dimostra che le persone valutano più positivamente una scommessa che offre la possibilità di vincere $9 se è anche presente la possibilità di perdere 5 centesimi piuttosto che quando è presentata la sola vincita di $9.

La  mole di prove empiriche riportate in questa sezione della tesi dimostrano ampiamente come il decisore sia ben lontano dall’agire in modo conforme col comportamento previsto per l’homo economicus e teorizzato dai modelli normativi.

D’altra parte abbiamo anche visto  in che modo il ruolo delle emozioni è fondamentale nel processo di presa delle decisioni e in alcuni casi addirittura vantaggioso.

Nella prossimo capitolo verrà descritto un nuovo campo di ricerca che si intreccia strettamente con gli ultimi sviluppi della ricerca sulle emozioni e i processi decisionali. Si tratta dell’ipotesi dell’ignoranza comparativa.

© L’IPOTESI DELLA IGNORANZA COMPARATIVA NELLA VALUTAZIONE DI ALTERNATIVE CERTE E RISCHIOSE – Dott. Andrea Righi

La violazione degli assiomi di razionalità e la Teoria del Prospetto

La violazione degli assiomi di razionalità e la Teoria del Prospetto

 

In particolare, Tversky e Kahneman hanno dimostrato come gli errori  indotti dall’uso delle euristiche costituiscano spesso una violazione netta degli assunti logici su cui poggia la Teoria dell’Utilità Attesa (Kahneman e Tversky, 1986). In particolare questi autori mostrano come questi errori cognitivi violino i quattro fondamentali assunti cui fa riferimento la teoria dell’utilità attesa. Questi principi sono: la cancellazione, la dominanza, la transitività e l’ invarianza. Il primo di tali assunti, detto principio di cancellazione, sostiene che un decisore dovrebbe scegliere tra più alternative in base a ciò che le differenzia e non in base a ciò che le accomuna. Questa nozione  è stata assorbita da  differenti assunti formali, come

l’assioma di sostituzione di Von Neumann e Morgenstern (1944), l’estensione del principio della cosa certa di Savage (1954) e la condizione d’indipendenza di Luce e Krantz (1971). Un altro assunto basilare su cui poggiano i modelli normativi è quello di transitività. Quest’ assunto è necessario e sufficiente per rappresentare le alternative su una scala ordinale u tale che A sia preferito a B ogniqualvolta il suo valore atteso è maggiore: u(A)> u(B). Di conseguenza la transitività è soddisfatta se è possibile assegnare a ciascuna alternativa un valore che non dipenda dalle altre

alternative disponibili. La proprietà di transitività è verosimilmente da tenere in considerazione quando le alternative sono considerate separatamente. Oltre ai principi di cancellazione e transitività un altro fondamentale principio della razionalità, così come è generalmente intesa dagli economisti è quello di dominanza.

Questo è probabilmente il più ovvio dei quattro assunti della scelta razionale: se un opzione è migliore di un’altra in uno stato e almeno pari alle altre in tutte le altre condizioni, allora tale opzione, definibile come dominante, dovrebbe essere sempre scelta. Una condizione un po’ più forte-chiamata dominanza stocastica– afferma che per prospetti di rischio unidimensionali, A è preferito a B se la distribuzione cumulativa di A è alla destra della distribuzione cumulativa di B. Una fondamentale condizione a sostegno delle teorie normative è quella di invarianza: differenti rappresentazioni di una stessa opzione dovrebbero dare luogo sempre alla stessa preferenza. Ossia la preferenza tra più alternative dovrebbe essere indipendente dal modo in cui sono descritte. Tale principio, detto anche di estensionalità (Arrow,  1982) è così fondamentale da essere tacitamente assunto nella caratterizzazione delle opzioni anziché essere esplicitamente dichiarato come un assioma testabile. Per esempio i modelli decisionali che descrivono gli oggetti di scelta come variabili

casuali assumono tutti che rappresentazioni alternative delle medesime variabili casuali dovrebbero essere trattate allo stesso modo. L’invarianza coglie l’intuizione normativa che variazioni di forma che non influenzano i risultati finali non

dovrebbero modificare la scelta. Un concetto parallelo, chiamato consequenzialismo è stato discusso anche da Hammond (1985).

Questi quattro principi, ed altri, su cui si basa la Teoria dell’Utilità Attesa possono essere ordinati in base al loro richiamo alla normatività: se, in base a tale criterio, i principi di invarianza e dominanza sembrerebbero essere essenziali, quello di transitività può essere  messo in discussione, mentre quello di cancellazione è stato rifiutato da molti teorici. Infatti, se il principio di transitività, pur avendo destato qualche critica, fu definitivamente scardinato dal lavoro  di Tversky sul lexicographic semiorder (1969), le ingegnose controprove diAllais (1953) ed Ellsberg (1961)  avevano già indotto molti  teorici ad abbandonare il principio di cancellazione  in favore di rappresentazioni più ampie.

In particolare l’economista francese Maurice Allais aveva mostrato come questo principio fosse sistematicamente violato da quello che, in un secondo tempo Kahneman e Tversky (1981), hanno battezzato come effetto certezza.  Questo corrisponde alla tendenza a sottostimare gli eventi meramente probabili rispetto a quelli la cui realizzazione è sicura. Per esempio, proprio come Kahneman e Tversky (1981) hanno dimostrato in un loro esperimento, la riduzione di un evento certo di un fattore di uno a quattro ha una maggiore influenza rispetto al fatto che si riduca una probabilità di .8 a .2. Se, da un lato, questi risultati hanno semplicemente ribadito la  fragilità dei principi di cancellazione e transitività, dall’altro hanno aperto nuove brecce nel fortino della Teoria dell’Utilità Attesa, mostrando la debolezza degli assunti per questa più fondamentali: i principi di dominanza ed invarianza. In particolare per quanto riguarda il principio d’invarianza Kahneman e Tversky (1981) hanno descritto un fenomeno da loro definito effetto framing (o effetto incorniciamento). Forse la più nota dimostrazione di tale effetto è il dilemma della malattia asiatica (Kahneman  e Tversky, 1981).  In questo esperimento gli autori chiedevano ai partecipanti, divisi in due gruppi, di immaginare che negli Stati Uniti fosse in arrivo, dall’Asia, una  malattia che avrebbe causato 600 vittime se non si fosse fatto qualcosa. Quindi si chiedeva, sia ai membri del primo gruppo che a quelli del secondo gruppo quale  tra due programmi preferissero. Per tutti le alternative possibili erano le stesse, l’unica cosa che cambiava era la descrizione che ogni gruppo leggeva. Al primo gruppo si diceva che scegliendo la prima alternativa (programma A) che veniva posta in una cornice positiva (positive frame) avrebbero sicuramente salvato 200 persone, mentre scegliendo il secondo programma (B) avrebbero avuto  1/3 di possibilità di salvare tutte le 600 persone e 2/3 di non salvarne nessuna. Al secondo gruppo, invece, le alternative venivano proposte utilizzando una cornice negativa (negative frame). Si diceva che con il primo programma (C) sarebbero morte 400 persone in tutti i casi,mentre scegliendo il secondo programma (D) si avrebbe avuto 1/3 di possibilità che nessuno morisse e 2/3 che morissero tutti. Contravvenendo a quanto sostenuto dal principio d’invarianza in questo esperimento il differente modo di incorniciare due alternative da luogo a decisioni addirittura opposte: nella prima condizione l’opzione scelta dalla maggioranza dei partecipanti, col 72% delle preferenze, era quella con esito certo  (200 persone si sarebbero salvate con certezza) mentre nella seconda condizione  era quella con esito incerto (1/3 di probabilità che nessuno morisse vs. 2/3 che tutti morissero), con la stessa identica percentuale. Dunque anche l’invarianza, assunto che sembrava intoccabile, appare fragile e poco adatto a descrivere il comportamento dell’attore economico, esattamente come l’assunto di cancellazione, quello di transitività e quello, più importante di dominanza stocastica. Sono questi i presupposti che hanno portato Kahneman e Tversky a proporre la Teoria del Prospetto (1979). Questa teoria è un alternativa descrittiva alla Teoria dell’Utilità Attesa e distingue due fasi nel processo di scelta: una prima fase di codifica  ed una seconda di valutazione. La fase di codifica (o editing)  consiste  in una semplificazione dei prospetti offerti. Nella seconda fase, i prospetti così rivisti, vengono valutati e quello a cui è attribuito un valore piùalto viene scelto. In particolare nell’operazione di editing si distinguono alcune operazioni che trasformano i risultati  e le probabilità associate in prospetti più semplici. Una delle conseguenze più rilevanti della semplificazione dei prospetti è quella di poter produrre delle preferenze inconsistenti perché i prospetti possono essere scomposti in più modi, e scomposizioni differenti possono portare a preferenze divergenti.

Un’altra componente fondamentale della Prospect Theory è senza dubbio la value function ( o funzione di valore soggettivo), che Kahneman e Tversky propongono in contrapposizione alla funzione di carattere normativo proposta da Henry Markowitz, nel 1952. In entrambe le funzioni i risultati sono espressi come deviazioni negative (perdite) o positive (vincite) che partono da un punto di riferimento, cui è assegnato il valore di 0. Tuttavia, rispetto alla funzione proposta da Markowitz, nella funzione di valore soggettivo i portatori  di valore sono  più le variazioni di benessere o di  ricchezza piuttosto che lo stato finale. Di conseguenza la funzione assume una forma ad S ( S-shaped): concava nel dominio dei guadagni, dove le persone sono più spesso avverse al rischio,  e convessa nel dominio delle perdite, dove le persone sono più spesso propense a rischiare. Inoltre, la parte di funzione nel dominio delle perdite è più ripida di quella nel dominio delle vincite, di un fattore pari a 2-2.5.

Grazie a questi importanti contributi alla teoria delle decisioni il sodalizio tra Amos Tversky e Daniel Kahneman ha avuto un impatto enorme sia sulle scienze psicologiche sia su quelle economiche. Non a caso il loro lavoro è stato premiato con un Nobel per l’Economia, nel 2002, che però, a causa della prematura scomparsa di Tversky, ha potuto ritirare solo Kahneman.

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Psicologia delle decisioni: Razionalità Olimpica vs. Razionalità Limitata

Un’introduzione alla psicologia delle decisioni:  l’incoerenza delle preferenze 

Razionalità Olimpica vs. Razionalità Limitata

La psicologia delle decisioni è una branca della psicologia sperimentale ed applicata che studia il comportamento dell’attore decisionale. Grazie alla pretesa, realistica o presuntuosa, di poter  prevedere il futuro attraverso una previsione del comportamento decisionale degli attori sociali, non sorprendono le attenzioni destinate a questo campo di conoscenza da parte di quelle discipline per le quali pensare in anticipo è una necessità ineludibile.

Lo studio delle decisioni ha visto, per diverso tempo, il dominio, quasi mai posto in discussione, di teorie e modelli dal carattere normativo, quali la  teoria dell’utilità attesa di Von Neumann e Morgenstern (1947). Questa teoria pone al centro della sua analisi l’assunto di un Homo Economicus (come per primo usò definirlo il grande economista britannico John Stuart Mills, 1836), caratterizzato da una razionalità perfetta, dal fatto di essere pienamente informato e dal fatto di essere egoista.

L’homo economicus agisce indipendentemente dagli altri e copia il comportamento altrui solo quando ciò gli permette di raggiungere un effettivo vantaggio. I modelli razionali hanno il vantaggio di descrivere  in una maniera  semplice ed intuitiva come si dovrebbe comportare un attore razionale davanti ad una scelta. Tuttavia  sono caduti in errore quando si sono proposti come modelli prescrittivi, capaci, dunque, di prevedere il comportamento del singolo al fine di generalizzarlo a quello più ampio del mercato. Nonostante il successo che questo modello ha riscosso in economia la fallacia dei suoi assunti logici è stata dimostrata quasi subito dall’ingegno di alcuni studiosi (Allais, 1953; Ellsberg, 1961). Ciònonostante molti hanno continuato a sostenere le teorie normative portando in loro difesa argomentazioni che facevano leva sul fatto che la razionalità fosse positivamente correlata con il livello di competitività e col livello di apprendimento che risulta dall’esperienza sul campo.

In direzione opposta sono andati invece  gli studi sul decision making nelle organizzazioni di Hebert Simon (1957) ricordato anche per i fondamentali contributi alla computer science. Simon fu il primo a spostare l’attenzione sulla critica all’assunto di razionalità sul quale ruotavano le teorie decisionali, che, sarcasticamente, definì modelli della razionalità olimpica. Infatti, secondo Simon, la razionalità olimpica, nella sua eleganza e semplicità, poteva  appartenere giusto ad un essere astratto, mitologico, magari ad una divinità, appunto, vivente sul  Monte Olimpo, ma non all’uomo, per quanto intelligente ed informato potesse essere. Contrapposto a quello di razionalità olimpica Simon propose il concetto di razionalità limitata (1957), come  assunto più solido su cui fare riferimento per la costruzione di modelli capaci di descrivere, realmente, il comportamento del decisore. Secondo questa definizione il decisore per far fronte alle limitate capacità del cervello deve operare un’attenta selezione tra gli stimoli da cui sovente viene bombardato. Questo processo di selezione lo porta molto spesso a fare scelte subottimali, che sono caratterizzate dal fatto di permettere il raggiungimento di soluzioni soddisfacenti piuttosto che ottimali. Dunque il decisore,  specie in situazioni complesse in cui si devono elaborare molti dati, adopera procedure cognitive, chiamate procedure satisfacing, oppure euristiche di ragionamento. Queste strategie sono compatibili  da un lato con il bisogno di accuratezza della decisione, dall’altro con  la necessità di contenere lo sforzo cognitivo. Per questo contributo Simon ha ricevuto il premio Nobel per l’economia nel 1978.

Il lavoro di Simon segnerà una svolta decisiva per la scienza delle decisioni, oltre che un esplicito invito a considerare le variabili psicologiche nell’analisi del comportamento economico. Tra i primi psicologi a raccogliere questo invito sono stati i due israeliani Daniel Kahneman ed Amos Tversky, i quali hanno chiarito ulteriormente l’opera simoniana, mostrando anche numerosi nuovi aspetti del modo in cui prendiamo decisioni. Un esempio di tale evoluzione del lavoro di Simon è lo

studio di Kahneman e Tversky (1973; 1974)  sulle euristiche. Infatti le loro ricerche, analizzando ancor più a fondo i processi cognitivi del decisore, hanno mostrato come esistano diverse tipologie di euristiche e come ognuna di queste porti a specifici bias, parola che in greco significa errore, ivi inteso come errore cognitivo. Tra quelle principali, nonché passate alla storia come le prime individuate dai due studiosi, nei primi anni 70′, vi sono l’euristica di rappresentatività, l’euristica di ancoraggio e di aggiustamento,e l’euristica di disponibilità (Kahneman e Tversky,1974).

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