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PNL: For Mother Earth

PNL: For Mother Earth

In questo capitolo descriverò il progetto portato avanti da Carmela Lo Presti e Barbara Quadernucci, professioniste impegnate nell’ambito della formazione infantile e della PNL / Programmazione Neurolinguistica da molti anni, che realizzano: corsi di formazione e aggiornamento professionale per insegnanti, educatori, genitori; percorsi didattici per le scuole, corsi per famiglie, adulti, adolescenti e bambini.
Ho avuto l’immenso piacere di intervistare Carmela Lo Presti e ho trovato in lei una donna che ha dedicato tutta la sua vita alla scuola, per vent’anni come professoressa di lettere nelle scuole medie e superiori ed ora come allenatrice e consulente esterna. Avendo conseguito il Diploma di practioner e di Master Practitioner in PNL e formandosi con Stefania Guerra Lisi, ideatrice della Metodologia della globalità dei linguaggi, ha deciso di integrare questi due metodi, mettendo a punto delle Tecniche per lo sviluppo dell’ intelligenza emotiva.
Nelle scuole di ogni ordine e grado, ha portato e porta una nuova metodologia educativa e progetti innovativi, come risultato della sua personale ricerca nel settore dello sviluppo dell’ intelligenza emotiva, dell’educazione alle emozioni e dell’educazione ambientale, riscuotendo consensi dagli utenti e dagli addetti ai lavori (dirigenti scolatici, insegnanti, genitori).
Lo Presti ha ideato e strutturato il Progetto FOR MOTHER EARTH®, che sta portando avanti insieme alla sua collaboratrice, educatori e Istituzioni, con l’obiettivo primario di sviluppare le risorse umane di adulti e bambini.
Sviluppare cioè quel grande patrimonio di capacità e di intelligenze racchiuso in ogni essere umano, che ha bisogno di terreno (ambiente umano socio-culturale) e di concime (stimoli appropriati) per venire alla luce e diventare ricchezza disponibile per la collettività anche in funzione della salvaguardia del Pianeta.
Quando un bambino (e poi un adulto) non riesce ad esprimere e a sviluppare pienamente le sue potenzialità, la collettività tutta si impoverisce dell’unicità che egli rappresenta: ha perduto quelle risorse che non sono riuscite a fiorire, a diventare idee, azioni, relazioni, emozioni, espressioni creative e costruttive.
Lo sviluppo di queste capacità e di queste intelligenze avviene attraverso un processo lungo, che non si esaurisce nell’arco di un anno. E’ indispensabile, quindi, che esso proceda negli anni della scolarizzazione e fino alle scuole superiori, se consideriamo l’ambito scolastico; se invece consideriamo la vita dell’essere umano, lo sviluppo di queste capacità continua negli anni della maturità e della vecchiaia e contribuisce alla formazione di quella che siamo soliti chiamare saggezza, in quanto si tratta di un processo che riguarda l’essere umano in tutte le diverse fasi del suo sviluppo psichico.
E’ questo il motivo per cui FOR MOTHER EARTH si configura come Progetto pluriennale, sia a livello formativo scolastico e professionale, sia a livello della crescita personale. Come non è pensabile e non si pretende che un bambino impari a leggere correttamente e speditamente e a comprendere pienamente il senso di tutto ciò che legge in un solo anno, così non e’ pensabile, e non si può pretendere, che un bambino diventi emotivamente competente attraverso una sola esperienza educativa in tale direzione. Come l’apprendimento della lettura è un processo, analogamente è un processo acquisire la capacità di leggere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, che richiede allenamento continuo finché non diventa un’abilità automatica.
E’ un processo che ha inizio con la nascita e dovrebbe entrare a far parte dei programmi scolastici, come percorso educativo trasversale, come base comune ad ogni disciplina, a partire dal nido e almeno fino al completamento della scuola dell’obbligo, dalla nascita alla prima adolescenza. Oggi questo è solo un augurio e un sogno, ma sarà certamente la realtà della scuola del nostro futuro. Attendere che questo desiderio diventi realtà, però, non basta. E’ necessario operare da subito, dentro e fuori della scuola, affinché maestri, insegnanti e genitori avviino consapevolmente un cambiamento nel sistema educativo italiano, partendo dalla realtà locale nella quale sono presenti, in modo che col tempo ciò che oggi avviene sporadicamente e in qualche isola felice, sia diffuso ad ogni livello della scuola e in modo sistematico e professionale.
L’analfabetismo emotivo è diffuso, infatti, nei bambini, nei ragazzi e nei giovani che studiano, a prescindere dal loro quoziente di intelligenza, nei giovani che lavorano e negli adulti, a prescindere dalla professione esercitata e dal livello culturale. D’altro canto, l’alfabetizzazione emotiva non è ancora un obiettivo della nostra società, come prova il fatto che nessuna campagna è stata ancora promossa con questa intenzione, diversamente da quanto invece viene realizzato per vincere l’analfabetismo tout court. Ma se non sono ancora maturi i tempi per una campagna sociale di massa che possa alfabetizzare emotivamente, sono ormai maturi i tempi :
    • perché questo processo si avvii, da subito e in maniera diffusa, nella realtà delle nostre scuole di ogni ordine e grado;
    • perché educatori, maestri, insegnanti e genitori comincino ad acquisire le competenze necessarie per insegnare ai bambini, fin dalla più tenera età, e agli adolescenti, a “leggere” e a “scrivere” le proprie emozioni, e a sviluppare quella abilità che predispone alla pace che è l’empatia, gettando così le basi per una umanità più sana.
Non sono necessarie, infatti, riforme o sperimentazioni fantascientifiche. Con l’avvio dell’autonomia nelle scuole, non solo tutto ciò è possibile, ma è addirittura sollecitato dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Le Proposte Educative presentate sono il risultato di quindici anni di ricerca, sia teorica che esperienziale, con bambini dai due anni in su, con ragazzi e con giovani, con i loro insegnanti ed educatori, con genitori, con operatori sociali, con anziani. Tali proposte non hanno assolutamente la pretesa di risolvere tutti i problemi che i bambini, i ragazzi e i giovani vivono all’interno della Scuola o della famiglia. Ma ciò che propone For Mother Earth è, però, un contributo e uno strumento efficace per prevenire i disagi e i problemi che nascono:
    • dall’ ignoranza emotiva
    • dalla sfiducia in se stessi,
    • dalla mancanza di autostima,
    • dalla rigidità mentale,
    • dal mancato sviluppo della capacità creativa che costituisce “ una marcia in più nel trovare strade alternative ed efficaci per risolvere i problemi”.
Un contributo importante capace di facilitare il ristabilimento dell’equilibrio, laddove esistano già problemi che affondano le loro radici nella scarsa conoscenza di sé e degli altri.

 

 

 

 

PNL e Problem Solving

 PNL e Problem Solving

Un’altra strategia, che deve saper applicare l’educatore all’interno della classe, è quella della PNL e il problem solving, ovvero la metodologia per affrontare un problema. Risulta essere una delle tecniche più delicate perché se ancorate e installate con successo nei bambini, può dare risultati straordinari, creando degli esseri umani in grado di riconoscere una difficoltà e affrontarla con abilità e destrezza.
Il problem solving permette di affrontare i motivi del proprio disagio, o di quello altrui, con un approccio metodico ed adeguato che aiuta a:
    1. definire con la massima precisione il problema, le sue conseguenze, analizzare cosa è stato già fatto per cercare di fargli fronte;
    1. valutare la situazione, le condizioni che influiscono su di essa, i vincoli e le potenzialità che esprime, quali sarebbero gli sviluppi più auspicabili;
    1. sviluppare ipotesi di comportamento per affrontare le difficoltà in oggetto;
    1. potenziare le capacità di prendere una decisione e di perseguire le scelte effettuate;
    1. verificare se i comportamenti che si mettono in atto sono effettivamente efficaci.
Thomas Gordon propone delle metodologie utili, sia per impostare una efficace relazione tra insegnante e allievo e tra allievi stessi, sia per gestire con sicurezza un problema o un conflitto che si viene a creare tra le parti.
I concetti chiave per il metodo Gordon, che viene fortemente sostenuto dalla PNL, sono due: l’ascolto attivo e il messaggio-io.
Per capire quando usare l’uno o l’altro metodo, l’insegnante dovrebbe immaginare di costruire un rettangolo, chiamato fenêtre, e porre i comportamenti accettabili in alto e quelli inaccettabili in basso. Tale soglia non è rigida, ma varia a seconda del tempo, del luogo e delle condizioni psicofisiche dell’insegnante.
Un comportamento accettabile, per esempio, in certe situazioni (chiacchiericcio dei ragazzi all’inizio mattinata) non lo è in altre (fine della giornata in cui tutti sono stanchi). Ci sono quindi comportamenti che l’insegnante accetta perché adeguati (collaborare, studiare, discutere..); altri che accetta perché non disturbano (isolarsi, distrarsi..); altri che non accetta perché impediscono un lavoro sereno (alzarsi in continuazione, picchiare i compagni, parlare durante le spiegazioni).
L’insegnante si dovrà chiedere: Di chi è il problema?
Se il problema è dell’alunno, si interverrà usando l’ascolto attivo; se invece è un problema dell’insegnante, interverrà con il messaggio-io.
Quando gli alunni hanno un problema, di frequente gli insegnanti si intromettono cercando di aiutarli con dei buoni consigli, con dei suggerimenti tratti dalla loro stessa esperienza o invitandoli a riconoscere la realtà dei fatti e attenersi ad essa. Nonostante le buoni intenzioni, spesso questi tentativi creano più problemi di quanti ne risolvano o finiscono per bloccare la voglia di comunicare nel bambino.
Per non incorrere nel pericolo di reagire malamente, usando delle barriere che comunicano la non accettazione del problema dell’alunno (comandare, ammonire, criticare indagare, consolare, minimizzare…), Gordon consiglia la tecnica dell’ascolto attivo. Ascoltare una persona, infatti, aiuta a liberarla da ciò che la opprime facendole inoltre capire che è accettata con tutti i suoi problemi.
L’ascolto attivo prevede quattro momenti:
    1. l’ascolto passivo: permette all’alunno di esporre, senza essere interrotto, i propri problemi (prestare attenzione concreta e totale al bambino);
    1. messaggi d’accoglienza: informano il bambino che l’insegnante lo segue e lo ascolta, possono essere non verbali (costante contatto con gli occhi, un cenno con la testa, un sorriso..) o verbale (“ti ascolto”, “sto cercando di capirti”)
    1. inviti calorosi: incoraggiano il soggetto a continuare il discorso, ad approfondire quanto sta dicendo (“vuoi dirmi qualcosa di più?”, “ continua pure!”);
    1. ascolto attivo: l’insegnate riflette il messaggio del bambino, recependo solamente senza emettere messaggi personali o giudizi.
Questo metodo, oltre a lasciare all’alunno la piena gestione dei suoi problemi, evita fraintendimenti ed incomprensioni.
Quando, invece, l’insegnante ha di fronte un alunno che con il suo comportamento impedisce un lavoro tranquillo in classe, dovrà applicare, secondo Gordon, il metodo messaggio-io. Con questo metodo, l’insegnante mette a confronto i propri sentimenti e bisogni con il comportamento inaccettato dell’alunno, esprime cioè cosa prova quando il bambino compie un’azione che può provocare determinati effetti. I messaggi-io, a differenza dei messaggi-tu (“perché continui a disturbare”, “sei sempre disordinato”) esprimono un sentimento di chi parla, senza comunicare valutazioni sull’alunno che compie l’azione, ponendolo di fronte agli effetti del suo atto e ai sentimenti che provoca negli altri.
Il metodo messaggio-io consta di tre momenti:
    • descrizione senza giudizio;
    • effetto tangibile e concreto;
    • reazione agli effetti.
L’insegnante non userà più, quindi, “tu sei…” ma “io sento…”.
Il bambino sentirà che gli comunica il suo vissuto personale con autenticità ed onestà, senza assumere atteggiamenti di difesa.
Se Gordon indirizza il suo lavoro all’insegnante e al cambiamento del suo metodo rispetto ai bambini, Linda Lloyd propone delle strategie rivolte a migliorare l’atteggiamento con il quale il bambino si accosta al problema.
Alla base di qualsiasi tecnica c’è il desiderio di insegnare loro che il problema può essere un’occasione per migliorarsi e confrontarsi con altri punti di vista.
Attraverso semplici giochi ed esercizi, il bambino lentamente si abitua ad un nuovo comportamento basato su un atteggiamento essenzialmente positivo: se il soggetto costantemente ripete il comportamento, a lungo andare diventa un programma mentale che viene messo in atto automaticamente.
Tra i giochi, ad esempio, uno che risulta particolarmente idoneo per sviluppare l’autocontrollo e l’autogestione è quello di costruire una scatola all’interno della quale i bambini, idealmente, vi inseriscono le loro problematiche giornaliere, invitandoli a scindere tra il problema e lo stato d’animo che esso genera. L’insegnante, attraverso il riconoscimento delle emozioni negative e l’accettazione di esse, aiuta i bambini a modificare la situazione emotiva, e perciò a vedere il problema da un altro punto di vista.
Un ulteriore esercizio consiste nella realizzazione di due disegni, uno rappresentante un panorama malinconico, l’altro festoso e sereno.
L’utilizzo dei colori sarà, sicuramente, il tratto caratterizzante dei disegni; l’insegnante, per stimolare anche nei bambini più piccoli, la predisposizione al cambiamento, li invita ad intervenire sui colori, modificandone i toni: il panorama malinconico, se inizia a tingersi di colori vivaci, può assumere un aspetto diverso.
Creare nel bambino delle immagini visive efficaci per dimostrare la possibilità di incidere sul problema semplicemente modificandone le tonalità, risulta essere la via vincente.
La PNL lavora sull’atteggiamento, cercando però di individuare le emozioni che lo provocano; solo così facendo si può essere consapevoli di se stessi e in grado di gestire le grandi e piccole difficoltà.

 

 

 

 

 

 

 

 

PNL: Motivare e convincere

 PNL: Motivare e convincere

 

La motivazione è l’elemento guida per l’apprendimento di un bambino o di un qualsiasi altro soggetto.
Insegnando, si osserva come si riesce facilmente a motivare alcuni, e con estrema difficoltà si raggiungono altri.
Anche la motivazione, è ricollegabile ai Sistemi Rappresantazionali che si scelgono e in base ai quali si costruiscono delle strategie: quando si cerca di stimolare un bambino bisogna modellarsi sul suo sistema d’apprendimento.
Carmela Lo Presti, alla mia domanda: “Come fai a motivare i bambini più svogliati e distratti?” mi ha risposto : “ Se un bambino viene coinvolto con l’utilizzo di tutti i sensi, non può non rispondere.”
Egli si pone nell’atteggiamento giusto quando capisce che ciò che sta imparando è importante e benefico non solo per lui, ma anche per gli altri; che tutte le abilità e competenze apprese a scuola sono sfruttabili nella vita di tutti i giorni, in famiglia, nello sport.
L’educatore può aiutarlo in questo percorso, cercando di mostrargli la relazione logica che c’è tra un argomento e l’altro, tra una materia e l’altra e tra ciò che è stato fatto lo scorso anno con quello che si farà il prossimo.
Ogni bambino vuole apprendere, rendere e essere soddisfatto di ciò che impara, perché come abbiamo visto precedentemente, dietro al comportamento più distaccato e distratto c’è un’intenzione positiva che deve essere identificata e canalizzata nella giusta direzione
I bambini, a differenza degli adulti, sono motivati naturalmente a raggiungere il livello e lo stato desiderato. Ma un bambino che si sente d’appartenere ad un livello mediocre, lavorerà mediocremente senza pensare di poter migliorare o raggiungere obiettivi superiori.
Ma se l’educatore focalizza la sua attenzione sui suoi talenti, valorizzandoli e potenziandoli, distinguendo gli errori che egli può compiere dalla persona che è, il bambino acquisirà tale consapevolezza di sé e di ciò che può, da sentirsi continuamente motivato e apprezzato.
Il gruppo, in questo cammino di scoperta, è fondamentale e può essere il motore propulsore per il cambiamento di atteggiamenti o comportamenti negativi o asociali.
Linda Lloyd dispensa consigli a riguardo per aiutare i formatori nello sfruttare appieno le occasioni di crescita e di maturazione date dal gruppo.
Si rivolge agli insegnati affermando: “Create situazioni in cui i bambini si possano dire a vicenda – Puoi farcela! – oppure – Ce l’hai fatta! -”
    1. Insegnare a lavorare in coppia o in un piccolo gruppo.
    1. Sono leciti solo complimenti e incoraggiamenti.
    1. Incoraggiare gli studenti a complimentarsi l’uno con l’altro.
    1. Coppie di studenti affini per le stesse abilità, insegneranno ad altri micro gruppi, in quanto sono aiuto e incoraggiamento per gli altri.
    1. Tutti i bambini devono ricevere complimenti, non solo quelli che rendono di più.
    1. Creare un gioco in cui i soggetti possono scrivere un complimento o un talento di un’altra persona (La consapevolezza delle potenzialità degli altri, aiuta ad essere consapevoli delle proprie abilità)
In ogni tecnica che propone l’esperta di PNL, si nota l’importanza che si dà al feedback, strumento grazie al quale riusciamo a capire se la strategia che stiamo mettendo in atto è efficace o meno. In qualsiasi tipo di comunicazione, guardiamo alla reazione dell’altro; in matematica facciamo la prova per verificare la correttezza; in scienze ricorriamo all’esperimento e alla verifica per valutare la scientificità dell’evento.
L’educatore deve insegnare la strategia del feedback, ad esempio concentrandosi per l’intera lezione su un unico canale sensoriale, per verificare la presenza degli altri sistemi rappresentazionali non messi in uso.
Ricorrere ad un test, per esempio, è esaminare il feedback della classe.
L’insegnante, però, dovrebbe ricorrere al test, compito o interrogazione, solo dopo aver insegnato qualcosa di nuovo per controllare l’efficacia della lezione. Il miglior test è verificare se le abilità sulle quali si sta lavorando vengono applicate con naturalezza in altri ambiti o settori: solo mettendo i bambini di fronte ad una nuova situazione, l’insegnante può controllare la messa in atto delle competenze appena apprese; se la risposta è affermativa, i soggetti avranno realmente interiorizzato e appreso la lezione.
I risultati del feedback, sono inoltre degli strumenti per modificare, alleggerire o stravolgere le strategie future.
All’inizio di qualsiasi lezione, l’educatore dovrebbe non solo monitorare costantemente i feedback passati per migliorare l’apprendimento, ma crearsi un piano per organizzare meglio il proprio lavoro e gli obiettivi che vuole raggiungere, per poi rispondere ai seguenti punti:
    • Risultati dell’insegnamento o dell’apprendimento;
    • Abilità necessarie;
    • Atteggiamento positivo monitorando: motivazione- risultati-strategia d’apprendimento-convincimento-feedback;
    • Analizzare le risposte dei soggetti. Modifica la strategia e ricomincia se i risultati non sono stati raggiunti,altrimenti congratulati con te stesso e con i tuoi alunni.

 

 

 

 

 

 

 

 

PNL e Thinking strategies: rafforzare il potere della mente

PNL e Thinking strategies: rafforzare il potere della mente

 

L’oggetto dell’insegnamento è il pensiero: istruire il bambino alla pratica del pensare significa offrirgli la possibilità di migliorare la sua vita futura.
Ci sono molti soggetti che risultano essere vincenti in determinati ambiti e attività, e proprio questi soggetti possono essere degli utili strumenti per facilitare l’insegnamento ad atri elementi con maggiori difficoltà: come Bandler negli anni ’70 aveva osservato e modellato le strategie di Milton Erickson, così i bambini, attraverso la maestra, possono imparare a modellare le strategie di un bambino con alta capacità di apprendimento.
Si possono far emergere o scoprire le tecniche usate, chiedendo al bambino come fa una determinata cosa, come si accosta ad una materia nuova: la sua spiegazione risulta utile sia per i compagni, che comprendono maggiormente un linguaggio a loro vicino, ma soprattutto per l’educatore, che può analizzare l’uso dei predicati e i segnali d’accesso come il suo linguaggio non verbale.
Una semplice strategia (V-A-K) da sfruttare per risolvere un problema di aritmetica potrebbe essere: Osservo il problema (V), decido il da farsi (analizzo il processo) e lo metto in pratica.
Per individuare quale canale sensoriale un bambino predilige o quale sequenza d’azioni mette in atto per conoscere la realtà, il formatore deve focalizzare la sua attenzione sulle dinamiche mentali che il soggetto mostra e di conseguenza quale comportamento esprime. Ad esempio, quando gli viene illustrato un nuovo compito o test, analizzare quali sono le sue reazioni, i movimenti del viso, il ritmo della respirazione, il tono che usa. Tutti questi sono elementi che determinano il sistema di pensiero che, se troppo laborioso e complesso, deve essere modificato.
Per raggiungere quest’ultimo obiettivo, ovvero lavorare sul cambiamento della strategia di pensiero, si possono scegliere diverse vie:
    1. Se un bambino ha un sistema lento e inefficace, l’insegnante deve determinare quella parte che rallenta il processo, per renderla più leggera, o attraverso la ripetizione e l’interpretazione del ruolo, oppure attraverso l’ancoraggio.
    1. Facendo lavorare insieme due bambini con strategie diverse allo stesso problema, ci sono alte opportunità che ognuno insegni all’altro le strategie vincenti e modifichi quelle inadatte.
    1. Si può insegnare al bambino un’altra strategia per gestire la stessa cosa, invitandolo ad osservare i comportamenti dei suoi compagni e perciò le loro strategie.
Mutare l’approccio mentale che un soggetto ha nell’affrontare la risoluzione di un problema, non vuol dire snaturarlo, ma insegnargli a lavorare su se stesso e su quei processi che apparentemente sembrano automatici e immutabili, ma che al contrario, soprattutto nei bambini, sono malleabili e flessibili. Il cambiamento, certamente, deve essere lento e a piccole dosi, che non dissesta il sistema mentale, ma lo addolcisce e lo modella; solo in questo modo si avranno risultati positivi.
Nella thinking strategy è compresa anche la capacità organizzativa di pensiero, che molto spesso non è sviluppata nei bambini, semplicemente perché non è stata insegnata loro. Gli esempi per migliorare quest’ abilità che ci mostra Linda Lloyd sono molteplici:
    1. Mostrare l’organizzazione del libro di testo – contenuti, indice, prefazione, introduzione ecc..- come sono strutturati i capitoliindividuare o meno la presenza dei sommari- come si presenta fisicamente il libro ecc..
    1. Leggere gli appunti di un compagno e annotarli sulla lavagna, per capire l’organizzazione del pensiero, per migliorare l’attenzione ai dettagli.
    1. Insegnare a focalizzare, sottolineare e sintetizzare delle letture.
    1. Mostrare un’intera struttura in immagini, foto, schemi e altro materiale visivo e spiegare un pezzo alla volta ricollegandolo al processo completo (ottima tecnica per insegnare la matematica).
Per insegnare ai propri alunni a pensare, a snellire il proprio processo mentale o ad ancorare una strategia più efficiente ed opportuna, bisogna lavorare costantemente con loro ed osservarli, comprenderli, ascoltarli, dargli spazio e centralità. È il rapporto empatico, anche questa volta, la base minima per fare un buon lavoro.
Allenare uno studente ad un corretto pensare significa renderlo più curioso, attento e vigile alla realtà che lo circonda e quindi anche agli altri.
Blackerby a riguardo attesta che, porre delle domande ai bambini e fare notare loro la varietà esistente nel rispondere, alimenta il funzionamento corretto del pensiero. Ad esempio, si possono proporre le seguenti domande su un brano o un’immagine:
Ricordo effettivo: Come si chiamava quel signore?
Memoria dettagliata: Di che colore era il cappello?
Interferenze, presupposizioni: Cosa stava pensando in quel momento?
Esempi: Dai un esempio di come cercava di trovare il tesoro.
Indovinare: Cosa succederà ora?
Teorizzare: Cosa voleva dimostrare facendo ciò?
Ipotizzare: Come avrebbe potuto fare per risolvere il suo problema?
Valutare e giudicare: Quale è stato il pensiero più giusto che ha fatto?
Il bambino deve imparare ad utilizzare il suo pensiero, sapendo che per alcune domande esistono delle risposte esatte, mentre per altre esistono solo opinioni o giudizi.
Quando il soggetto non conosce la risposta ad una domanda, è ottimo esercizio, dice Lloyd, invitarlo ad indovinare. Il Guess Game è uno strumento per incrementare l’immaginazione e la creatività del bambino, per rafforzare la sua autostima in quanto è in grado di rispondere correttamente con le abilità che possiede, per renderlo aperto agli altri punti di vista. L’insegnante non correggerà né giudicherà nessun pensiero, ma apprezzerà e incoraggerà ogni bambino a fidarsi dei propri pensieri e idee e valorizzare quelli degli altri.

 

© Un criterio di analisi dell’efficacia della Programmazione Neurolinguistica applicata al processo educativo infantile – Leila Schrott

 

PNL: Imparare ad imparare

 PNL: Imparare ad imparare

 

Essere consapevoli di qualcosa non è come impararlo: si può essere consapevoli di un nuovo atteggiamento positivo in diverse aree ( come smettere di fumare, non ritardare agli appuntamenti, fare ginnastica per dimagrire ecc..), ma non si cambia o si migliora solo avendone la conoscenza. Bisogna avere la volontà di imparare nuovi comportamenti, sapere come apprenderli, metterli in pratica ed essere convinti dell’esito positivo e saperli applicare in qualsiasi contesto della propria vita.
Seguiranno in questo paragrafo la descrizione di alcune tecniche di PNL applicate al processo educativo.
La PNL propone una strategia per imparare come imparare, ed è composta da diversi punti:
    • MOTIVAZIONE – avere la voglia di imparare e cambiare.
    • OBIETTIVO – sapere cosa apprendere.
    • COME – sapere come apprendere.
    • CONVINCIMENTO – sapere che hai già imparato e puoi farlo anche questa volta.
    • COLLEGAMENTO – con altre aree – sapere quando e dove farlo.
    • FEEDBACK – modificare ciò che si apprende attraverso il feedback.

 

Prima di insegnare qualsiasi cosa, bisogna indirizzare i soggetti in un atteggiamento d’apprendimento:
1) Aiutarli a sentirsi vincenti:
a) usare posters, slogans,materiale visivo.
b) Insegnargli a pretendere da loro stessi e recitare come se già fossero ciò che vorrebbero.
c) Condurre loro a visualizzare gli obiettivi e i risultati come se fossero già stati raggiunti, focalizzandosi sullo stato d’animo e le sensazioni che ciò porta.
2) Insegnargli a focalizzarsi sull’attenzione, eliminando le possibili distrazioni.
3) Dare rilevanza al loro apprendimento:
a) discutendo dell’importanza
b) riferendosi alle conoscenze passate.
Questi atteggiamenti focalizzeranno l’attenzione del soggetto sulle motivazioni e sui risultati e gli forniranno le giuste basi per facilitare l’apprendimento di qualsiasi idea o concetto.
Una volta individuata la competenza che si vuol sviluppare nel bambino, per raggiungere un determinato scopo, l’insegnante deve costruirsi la strategia più consona all’abilità sulla quale vuole lavorare. Per far ciò deve porsi degli interrogativi:
1) Quale input o informazione sono necessari? Quale canale sensoriale è più adatto all’acquisizione dell’informazione?
2) I bambini come possono assumere l’informazione? Cosa devono pensare?
3) A cosa servirà il raggiungimento del risultato?
4) Quale feedback è necessario per migliorare il comportamento?
5) Qual è la migliore sequenza per ottenerlo?

 

Bisogna essere certi che:
1) il risultato sia specificato all’inizio della strategia.
2) tutti i sistemi rappresantazionali siano coinvolti (V, K, A)
3) se un sentimento conduce ad una decisione, riscontrare che la sensazione sia positiva.
4) non ripetere solo due comportamenti (V-A-V-A-V-A-V-A-V)
5) esistono delle verifiche dall’ambiente esterne.

 

L’insegnante può anche decidere di installare una nuova strategia:
1) provandola e verificandola passo dopo passo.
2) dimostrandola anche attraverso l’osservazione dei bambini
3) parlandone con i bambini e tra di loro, anche interpretando il ruolo dell’insegnante.
4) indirettamente ponendo delle domande ai bambini (Quando ti dico una parola e visualizzi la sua immagine, che sensazione provi?).
Il compito dell’insegnante, che vuole applicare le strategie di PNL, è ancora più delicato e di responsabilità di qualsiasi altro tipo di insegnante:
ogni strumento è una potente arma che se utilizzata malamente o per scopi insani, può rilevarsi non solo diseducativo, ma destabilizzante per la formazione della personalità del bambino. Per installare delle strategie è necessario un lavoro costante e ripetuto, che deve essere condotto con serietà e professionalità. L’insegnante deve essere la prima persona a vivere coerentemente ciò che insegna e a credere nell’efficacia delle metodologie che mette in pratica.

 

 

 

 

 

 

 

PNL: Insegnare come imparare

PNL: Insegnare come imparare

 

Una volta che l’insegnante ha individuato i movimenti oculari, i stemi rappresantazionali attraverso i predicati usati, il formatore cerca di ricorrere ai segnali d’accesso per ottimizzare l’apprendimento. Ad esempio, un bambino dice: “ Quando vedo il compito (occhi in alto verso dx), mi dico che posso farcela (occhi in basso verso sx ) ma mi sento troppo spaventato”.
Il modello (V) visual – (A) auditory – (K) kinestetic è una strategia che probabilmente egli utilizzerà in diverse aree della propria vita.
Questa è solo una delle tante strategie che un soggetto può metter in atto e che può essere trasferita in qualsiasi settore.
Nonostante non tutte le strategie abbiano gli stessi risultati, lo dimostra il fatto che ci sono bimbi che rendono molto più di altri, la mission dell’educatore deve essere il gruppo e non il singolo. Egli deve coinvolgere tutti i bambini, spiegando, mostrando, facendo vivere loro un’esperienza focalizzata su ciò che si sta acquisendo, e trasferire la conoscenza di svariate tecniche d’apprendimento, tra le quali essi sceglieranno la migliore.
Linda Lloyd forma il maestro a scoprire e a mettere in atto la strategia più consona alla situazione, creando un elenco di consigli come segue:
    1. Pensa all’obiettivo che vuoi che i tuoi studenti raggiungano. Immaginalo visivamente e collegalo ai canali sensoriali (cosa devono sentire, vedere ecc…).
    1. Decidi quali abilità sono necessarie per essere capaci di apprendere.
    1. Entra in un atteggiamento positivo: i tuoi alunni vogliono e sanno apprendere. Insegna loro le capacità necessarie, coinvolgendo tutti i sensi e osservando continuamente il loro comportamento.
    1. Una volta notato una risposta da parte della classe, se essa coincide con lo stato desiderato, congratulati con te stessa e con i bambini. Se non corrisponde richiediti quali possono essere le abilità da costruire e sulle quali lavorare.Continua fiducioso/a.
    1. Dopo aver provato tre o quattro volte con esito negativo, decidi di scegliere un altro scopo.
Molto spesso capita che, all’interno di un gruppo ci sia un soggetto con difficoltà di apprendimento causate dall’uso di una strategia errata che deve essere individuata dall’educatore, attraverso, ad esempio, una semplice domanda. Il bambino, per rispondere al quesito, guarda in basso a sinistra (A), in alto verso destra (V) e in basso a destra (K).
Questo è il suo modello d’apprendimento che, a questo punto, viene riprodotto dall’insegnante durante una spiegazione, dicendogli, prima qualcosa (A), mostrandogli una rappresentazione visiva del concetto (V), per indurlo, infine, a provare una sensazione, un sentimento legato a ciò che vede. Anche le domande che gli verranno poste dovranno riprodurre le stesse sequenze (Quando ascolti la parola evaporare e immagini l’acqua che va nell’aria, che sensazione proverai sulla tua pelle nel sentire l’aria che ti sfiora?)
Un’altra attività può essere quella di modificare la strategia d’apprendimento di un soggetto, al fine di renderlo in grado di acquisire conoscenze da diversi insegnanti, con diversi metodi. Prima di tutto bisogna identificare la strategia abituale del bambino, e successivamente sfruttarla per insegnargli altre strategie. Nell’esempio del soggetto precedente, se un’insegnante usa delle immagini solamente, il bambino non sarà in grado di comprendere finché il materiale visivo non verrà supportato da parole e spiegazioni orali. Il formatore di PNL gli può insegnare, invece, a prendere conoscenza del suo modello caratterizzante, invitandolo, quando è di fronte ad un’immagine, a provare una sensazione con il ricorso ad un dialogo interiore, che gli permette di significare ciò che vede. Gli può fornire un esempio concreto dicendogli (A) di guardare l’immagine (V) e di descrivere l’impressione che percepisce interiormente (K).
Questi esercizi inseriti in “Classroom magic” sono indirizzati ai formatori, insegnanti e allenatori per raggiungere il bambino, conoscerlo, e sviluppare le potenzialità che sono inespresse. Un buon allenamento, per un insegnante alle prime armi che vuole mettere in pratica le tecniche di PNL, è quello di prendere come esempio un bambino nella classe e individuare la sua naturale strategia attraverso i movimenti oculari e l’analisi del linguaggio. La seconda fase consiste nel creare una lezione compatibile alle sue caratteristiche d’apprendimento e monitorare ciò che avviene in positivo o negativo.

 

 

 

 

 

 

 

L’ancoraggio: uno strumento per crescere

L’ancoraggio: uno strumento per crescere

 

Durante l’anno, l’insegnante, a livello del tutto inconscio, crea dei forti ancoraggi in svariati modi: attraverso la semplice spiegazione di una lezione, egli ancora gli alunni alle proprie parole, al tono di voce, alla postura del corpo, alle espressione del viso ecc.., che diventano dei mezzi per catturare la loro attenzione. Anche solo un sorriso, un gesto di incoraggiamento, possono far riemergere, anche successivamente, degli stati d’animo positivi e perciò dei comportamenti corrispondenti.
Molto spesso i bambini hanno delle capacità o abilità di cui non sono consapevoli, che usano raramente, o mettono in atto solo a scuola, o semplicemente sognano di possedere. L’insegnante può aiutarli a riconoscere e mettere a frutto l’uso di tutte queste competenze, attraverso il loro ancoraggio in base agli obiettivi.
Decorare la classe o la propria stanza con cartelloni che esprimono i successi raggiunti o scrivere degli slogan sulle credenze positive sono delle ancore che tendono a modificare quegli atteggiamenti o comportamenti negativi che non conducono ad ottimi risultati.
Lo Presti, in un progetto indirizzato ai ragazzi del liceo, ha proposto delle attività per individuare quelli che lei chiama i “pensieri killer”, ovvero quei pensieri che innescano degli stati d’animo negativi, d’ansia, di paura che non permettono, ad esempio di superare delle situazioni difficili, come un’interrogazione. Sopra ogni banco gli studenti hanno applicato una frase o una parola che dà forza e consapevolezza di sé e permette loro di modificare e trasformare i pensieri negativi. Queste sono delle ancore che si accompagnano ad alcuni e semplici gesti che gli vengono insegnati per riattivare l’affermazione positiva che rimette loro nello stato migliore per affrontare il problema o il disagio.
L’ancoraggio però, secondo Lo Presti, non deve mai avvenire tramite una persona esterna, ma è consigliato l’auto-ancoraggio compiuto dallo studente stesso, altrimenti si potrebbe correre il rischio di generare dei rapporti di dipendenza che non sono affatto sani e non rafforzano la crescita del soggetto. Ciò che è possibile fare è insegnare ai bambini a creare degli ancoraggi in maniera autonoma per imprimere degli stati emotivi vincenti, che semmai sono richiamati e rinforzati dal gruppo stesso.
Linda Lloyd, al contrario è favorevole all’ancoraggio esercitato dall’insegnante e nel suo manuale spiega come eseguirlo correttamente.
Quando l’educatore si rende conto che gli studenti mostrano un atteggiamento distratto, frustrato oppure positivo, energico, egli può stabilire delle ancore attraverso le quali può ancorare gli stati d’animo corrispondenti.
Dopo aver notato le espressioni facciali, il tono di voce, il ritmo del respiro, il colore della pelle, l’insegnante è in grado di identificare il momento in cui i bambini stanno vivendo una situazione favorevole e a questo punto è possibile fissare lo stato d’animo positivo con un gesto, una parola, un tono di voce. Il movimento deve essere preciso perché successivamente, solo con la riproduzione esatta di esso, può avvenire un cambiamento positivo e si può beneficiare dell’ancoraggio.
Questa strategia possiede un gran forza e la sua gestione è estremamente delicata.
Il formatore può, sia creare delle nuove ancore, che eliminarne o rafforzarne delle vecchie. Se due ancore sono simultaneamente associate allo stesso evento, o l’ancora più incisiva prevale, oppure avviene un’integrazione in cui le due ancore ne creano una nuova.
Ad esempio, se un bambino ogni volta che compie un errore, si sente mortificato e offeso (ciò significa che un ancoraggio negativo già è stato fatto), l’insegnante può eliminare questa ancora e stabilirne una nuova, attraverso un gesto o una parola di lode (“Meno male che fai degli errori così possiamo migliorare, bravo, rendi il mio lavoro più semplice!”) che al bambino richiama un sentimento positivo, permettendogli di concepire un errore come un mezzo per apprendere.
L’influenza che l’insegnante ha sui bambini è molto più forte di ciò che si immagina, in quanto gran parte di essa avviene a livello inconscio; deve, perciò, essere consapevole di questo potere e utilizzarlo con saggezza. Se l’ancoraggio è messo in atto con amore e rispetto, può trasformarsi in un’efficace strumento di crescita.
L’educatore, insegnando con il totale coinvolgimento di tutti i sensi, crea delle ottime basi per ancorare, attraverso i canali sensoriali, ciò che i bambini apprendono, ed avere, inoltre, l’opportunità di richiamare l’esperienza ancorata con rapidità e semplicità.
Questa strategia è un ulteriore mezzo per rafforzare quelle abilità che possono essere trasferite da un campo all’altro, per migliorare la consapevolezza di sé e la propria flessibilità. Ogni volta che il bambino si imbatte in una nuova abilità, il ruolo dell’educatore sta nell’aiutarlo a visualizzare tutti i campi in cui è possibile l’applicazione: una competenza che si apprende a scuola può essere applicata a casa o nello sport o viceversa. L’ancoraggio offre le basi necessarie e sufficienti per fissare le sue potenzialità e renderlo maggiormente flessibile.

 

 

 

 

 

La PNL e il Visual learning

La PNL e il Visual learning

 

Alla base di qualsiasi strategia della PNL, come sappiamo ormai, vi è il rapport, ovvero la costruzione di una relazione empatica positiva con il proprio interlocutore che si costruisce attraverso il rispecchiamento e il ricalco.
Anche in questo campo sono valide le tecniche descritte nel secondo capitolo e un buon insegnante può usufruirne per avere immediati riscontri affermativi.
Molte persone scelgono e privilegiano un’ area sensoriale attraverso la quale prendere informazioni dall’esterno. Anche un insegnante, probabilmente, avrà sviluppato un unico modo di insegnare. Egli deve, secondo Lloyd, ampliare e arricchire il suo metodo, al fine di raggiungere tutti i bambini, con stili di apprendimenti diversi: molti hanno bisogno di vedere ciò che viene spiegato, altri hanno la necessità di ascoltare e altri ancora vogliono capire fino in fondo.
Per ottenere l’attenzione di un bambino visivo, l’educatore può sfruttare l’uso di specifiche espressioni facciali, disegni, immagini, foto, lavagne e supporti visivi; deve focalizzarsi su delle parole chiave che scriverà ben in vista. Il soggetto visivo è sensibile anche solo ad uno sguardo di compiacimento o di rimprovero: il formatore dovrà perciò usare tutte le potenzialità che possiede per comunicare efficacemente anche tramite il suo corpo.
Al contrario i bambini prevalentemente uditivi, mostreranno maggior riguardo per il tono di voce, il ritmo, le pause, tutti elementi di grande impatto sui quali l’insegnante può esercitare modifiche: velocizzare il ritmo o rallentarlo, usare un tono rassicurante, incoraggiante o anche punitivo e d’ammonizione.
I bambini prevalentemente cinestetici necessitano di essere continuamente coinvolti e stimolati, in quanto rischiano di annoiarsi o distrarsi avendo un basso livello di concentrazione. Giochi, storie e letture avvincenti devono supportare l’insegnamento di qualsiasi materia scolastica.
Individuare le strategie già in uso negli alunni può essere semplice per un insegnante osservando i movimenti oculari: ponendo loro una semplice domanda si può identificare il canale preferenziato. Il bambino che nel rispondere guarda in alto, tende ad avere un apprendimento visivo; se muove rapidamente gli occhi ai lati, da sinistra verso destra o viceversa, cerca la risposta in maniera uditiva; se guarda in basso cerca di sentire nella sua intimità la risposta esatta.
Blackerby, però, afferma che non tutti i canali sensoriali hanno la stessa rapidità ed efficacia nell’ambito dell’apprendimento e ciò può avvantaggiare alcuni e svantaggiare altri, stato che non è accettabile per un insegnante. I canali uditivi e cinestetici sono strategie estremamente lente e complicate, al contrario di quello visivo che rende l’apprendimento rapido e facile.
La strategia dell’apprendimento visivo può essere insegnata ed ancorata in ogni soggetto che mostra eccessiva lentezza e difficoltà, ad esempio nel memorizzare una poesia. Qualsiasi parola deve immediatamente visualizzarsi ed imprimersi nella mente, creando un’immagine che mano mano si arricchisce e si completa in base all’aggiungersi delle informazioni. Se il bambino viene allenato ed educato a crearsi una rappresentazione visiva di ciò che legge o ascolta, sarà in grado di accedere alle informazioni con molta più rapidità, in quanto ha inserito nella mente una struttura ordinata che difficilmente può essere rimossa. È consigliabile, ad esempio, legare ogni immagine ad una parola chiave che è in grado di farla riemergere ogni qual volta si voglia. Per acquisire un’abilità del genere è necessario diverso tempo, ma attraverso il gioco lo studente diventa consapevole che la capacità di sfruttare la memoria visiva, apporterà svariati vantaggi in tutti i campi in cui viene applicata: matematica, geografia, storia ecc.
Nelle prime fasi della crescita di un bambino la sua capacità di apprendere è estremamente elevata, e ciò gli permette per esempio di imparare una seconda lingua con semplicità. Ecco perché, se gli vengono insegnate le corrette tecniche per apprendere, memorizzare ed imparare in queste fasi, egli ha una forte sensibilità alla modifica del proprio sistema mentale.
I bambini contemporanei sono figli dell’immagine: la televisione, i video games, le pubblicità, sono gli strumenti con i quali si confrontano quotidianamente. Le informazioni che ricevono dalla realtà esterna hanno un unico formato, quello dell’immagine che è rapido, continuo, mutevole ed estremamente incisivo.
L’uomo, e non solo il bambino, rischia di diventare quello che Sartori definisce “homo videns”, un uomo che fa esperienza del mondo solo esclusivamente attraverso le immagini fornite dal sistema dei media.
Purtroppo o per fortuna, non è questa la sede per discuterne, questa è una realtà effettiva e con la quale bisogna confrontarsi.
Nella teoria di Piaget, al contrario, emerge un rifiuto verso l’uso eccessivo del materiale audio-visivo, in quanto può condurre ad una specie di verbalismo dell’immagine, che facilita le associazioni senza dar luogo ad un’autentica attività.
Il linguaggio visivo, a suo parere, viene impresso nella mente dei soggetti in maniera del tutto superficiale e non permette un’elaborazione profonda, unico mezzo affinché avvenga l’apprendimento.
Il bambino di oggi, però, è cambiato, ha altre abilità, stimoli esterni, interessi e il metodo d’apprendimento deve essere modellato su questo mutamento. Una lezione tradizionale che avviene con l’unico supporto della lettura di un libro o di una spiegazione orale, non è più pertinente e adatta ai destinatari, che hanno un nuovo linguaggio prevalentemente visivo e avranno bisogno di questo canale per apprendere.

 

 

 

 

 

 

La PNL nel processo educativo: l’ambiente

La PNL nel processo educativo: l’ambiente

 

La Programmazione Neuro Linguistica, attualmente, non dispone di ambienti o strutture particolari ed indipendenti, per poter esprimere pienamente il suo carattere innovativo.
Non esistono autori o practitioner di PNL che delineano un ambiente particolare come può avvenire in tante altre scuole che si basano su metodi, che se pur alternativi alle tradizionali visioni di educare, hanno delle strutture autonome ed autosufficienti in cui tutto, anche lo spazio rappresenta una forma di insegnamento.
Gli insegnanti che applicano, perciò, la PNL lavorano negli ambienti e nelle aule delle strutture statali che molto spesso  risultano spoglie e poco adatte alle esigenze dei bambini.
La difficoltà di stabilire una comunicazione con lo spazio circostante è, perciò, molto elevata per gli insegnanti, che si concentrano soprattutto sul rapporto di forte empatia con i bambini, per stabilire tra loro un’atmosfera rassicurante e positiva. In questo modo anche le mura di un’angusta stanza rappresentano per il bambino un luogo di incontro e protezione, in cui egli ha la possibilità di esprimersi liberamente e di arricchirsi.
Carmela Lo Presti ha avviato diversi progetti che hanno come obiettivo la crescita emotiva e personale dei bambini, attraverso l’applicazione delle tecniche della PNL unite alla Globalità dei Linguaggi. Opera all’interno delle classi delle scuole materne, elementari e superiori pubbliche caratterizzate, molto spesso, da strutture carenti ed insufficienti, eppure, con l’utilizzo di semplici materiali e supporti, è in grado di stabilire un forte contatto anche con lo spazio che diventa funzionale alle strategie stesse.
L’ambiente in cui vivono i bambini deve divenire uno strumento per ancorare le distinte e versatili attitudini e competenze che gli educatori sviluppano quotidianamente attraverso il loro operato.
Le mura, perciò sono dei veicoli per imprimere le conquiste e i presupposti che ogni alunno si pone di raggiungere.
Un’attività che Lo Presti propone ai bambini, ad esempio, è quella di realizzare dei cartelloni colorati in cui scrivere il nome di ogni bambino appartenente alla classe, con accanto le abilità e i talenti che lo caratterizzano.
La compilazione di questi tabelloni avviene dopo un momento di confronto tra i soggetti, in cui ognuno parla di sé e contemporaneamente mette in evidenza le qualità dei compagni. Ogni qual volta un bambino apprende una nuova abilità o migliora in altre, i cartelloni, con il consenso di tutti, vengono ampliati e aggiornati. Ciò rafforza la consapevolezza di sé e degli altri, aumenta l’auto-stima e l’auto-valutazione, creando contemporaneamente una crescita dei rapporti interpersonali nella classe.
Il bambino si sente valorizzato, apprezzato e invogliato a migliore. L’idea di attaccare i cartelloni sui muri rappresenta una strategia, un ancoraggio che rafforza l’apprendimento visivo collettivo: vedere scritto ogni giorno i propri talenti e le abilità e monitorare i miglioramenti, rappresenta per il bambino un input costante che consolida la crescita personale.
Un’attività analoga, chiamata “What do you want?” (Cosa vuoi?) è consigliata da Linda Lloyd in Classroom Magic, relativa all’ottenimento dei propri scopi. Dopo aver fornito ai bambini gli strumenti per prendere consapevolezza di ciò che vogliono, desiderano e sognano cambiare di se stessi, vengono indirizzati alla realizzazione di disegni, scritte o qualsiasi cosa ricordi loro visivamente e rapidamente lo stato desiderato.
Attraverso colori, tessuti, disegni, materiali e strumenti, canzoni, filastrocche, rappresentazioni, il bambino crea il proprio ambiente che lo descrive e lo rappresenta nelle sue intenzioni e valori positive, che alimenta la sua fantasia e creatività. È uno spazio che parla di lui e delle sue conquiste che avvengono con e grazie agli altri: sono proprio i compagni che incoraggiano il bambino ad andare oltre il possibile fallimento, che lo valorizzano, lo apprezzano per quello che è realmente.
Lloyd consiglia ai bambini di ricrearsi nella propria stanza ciò che è presente nell’aula per rafforzare l’ancoraggio e il riconoscimento di esso.
Lo spazio e i materiali scelti sono componenti fondamentali e parti integranti di un metodo di insegnamento, attraverso i quali si facilita l’apprendimento e la comunicazione.
Nell’asilo steineriano, ad esempio, i bambini giocano con semplici materiali naturali (lane, stoffe, bambole di pezza, carretti di legno, cere colorate, ecc.), cantano, recitano filastrocche, ascoltano fiabe, dipingono, preparano il pane, fanno euritmia (arte del movimento guidata dalla musica e dalla parola fondata da Steiner stesso).
Pertanto l’ambiente viene considerato in modo che semplici attività della vita casalinga o attività artigianali possano venir osservate ed imitate con ricchezza di fantasia. I bambini si esprimono in piccoli giochi di rappresentazione, in girotondi e versi ritmati, ma anche in un ascolto pieno di meraviglia di fiabe e in uno spontaneo fluire nel canto.
Abitualmente queste scuole hanno strutture realizzate interamente in legno e materiali naturali, site in ambienti campestri e rustici, in cui l’apprendimento delle normali materie accademiche vengono accompagnate con altrettanta serietà da attività come falegnameria, taglio e cucito, arte.
Per la Montessori, è proprio l’ambiente a rivestire un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la crescita dei bimbi; la scuola deve essere in grado di coinvolgerli e stimolarli nelle attività individuali e di gruppo, accrescendo in loro, il senso d’appartenenza ad una collettività e nello stesso tempo dando loro piena libertà di movimento e di azione.
Anche gli arredi devono essere pensati e studiati tenendo conto della corporatura dei piccoli, costruiti all’insegna della leggerezza in modo che, proprio la loro fragilità, possa rivelare un utilizzo sbagliato o una mancanza di rispetto da parte di coloro che ne fanno regolarmente uso. Per questo motivo, nelle scuole montessoriane vengono utilizzati piatti di ceramica, bicchieri di vetro e soprammobili fragili. I bambini sono, in questo modo, invitati a coordinare i movimenti con esercizi quotidiani di autocontrollo, autocorrezione e prudenza.
Importante è anche il concetto di ordine, il cui mantenimento è il compito principale del bambino, nella convinzione che solo un ambiente ordinato e organizzato è in grado di far emergere le virtù nascoste di chi lo frequenta e lo vive.

 

 

 

 

 

La PNL nel processo educativo: l’educatore

 La PNL nel processo educativo: l’educatore

 

Quello che la PNL propone è un nuovo modo di fare scuola attraverso il ruolo dell’educatore.
Di fronte alle difficoltà di apprendimento, all’eccessiva lentezza o al cattivo rendimento, nessuno si è mai chiesto: “Il bambino sa come imparare? ”.
La mission della PNL e quindi dell’educatore che mette in atto le sue tecniche, è appunto, insegnare ai bambini come si impara. Fin da piccoli siamo stati messi di fronte a libri, a poesie, pagine e pagine di storia, espressioni e logaritmi senza avere gli strumenti necessari per poter apprendere con successo.
Molti insegnanti si limitano a pronunciare la frase Rendi poco perché non hai metodo, così si entra in un circolo vizioso in cui la sfiducia dell’alunno per gli scarsi risultati, influenza negativamente il ruolo dell’insegnante che non è in grado di catturare l’attenzione dei propri studenti, avendo come esito una diffusa frustrazione.
Esistono strategie per insegnare a memorizzare date, eventi, formule, espressioni matematiche, a leggere con attenzione interiorizzando il significato, a rendere interessante ciò che risulta essere noioso e poco entusiasmante agli occhi dei bambini; ci sono metodi per prendere appunti, per migliorare la memoria visiva, per superare l’ansia da test o da interrogazione, per affrontare positivamente qualsiasi tipo di fallimento.
La PNL offre tutto questo, cercando di formare prima di tutto delle figure professionali, dei comunicatori e mediatori per eccellenza che siano insegnanti, educatori e allenatori contemporaneamente.
L’elemento catalizzatore è questa figura, ossia un adulto nel cui atteggiamento, l’allievo deve poter cogliere il convincimento profondo che ogni essere umano può modificare strutturalmente il proprio modo di apprendere.
L’obiettivo che devono prefissarsi gli educatori è quello di formare degli esseri umani in grado, innanzitutto, di riconoscere e gestire le proprie emozioni e i propri stati d’animo che sono alla base di qualsiasi tipo di comportamento; di essere consapevoli dei propri talenti, abilità e limiti per modificarli con atteggiamento positivo, di affrontare qualsiasi insuccesso come occasione di crescita e miglioramento.
Inoltre, le tecniche della Programmazione Neuro Linguistica vogliono creare dei comunicatori in grado di usufruire delle potenzialità del linguaggio verbale e soprattutto analogico, per intessere delle relazioni positive e sane, per individuare e raggiungere non solo gli obiettivi personali ma anche quelli collettivi, elementi che risultano inscindibili.
In quest’ ottica, l’interesse dell’educatore non si rivolge tanto a ciò che l’allievo sa fare, alla valutazione quantitativa della sua intelligenza ma a tutte quelle condizioni che possono indurre un’evoluzione: in quali aree si realizza maggiormente, quali sono i fattori che lo stimolano o lo rallentano, come promuoverne l’estensione ad altri ambiti, a quali condizioni il progresso rilevato si consolida e si autoimplementa.
Linda Lloyd è l’autrice di Classroom Magic, un manuale per insegnanti ed educatori che vogliono applicare le tecniche della PNL. Il libro è strutturato come fosse un piano di lezioni settimanali ed analizza gli esercizi e le abilità che l’insegnante deve stimolare quotidianamente nell’alunno.
L’autrice delinea chiaramente la figura dell’educatore ideale che innanzitutto deve lavorare su stesso per raggiungere gli obiettivi prefissati, formarsi e credere fortemente al potere del cambiamento.
Nelle primissime pagine del suddetto libro emergono incisivi i valori e le credenze che sono alla base dell’ottenimento della mission:
    • Insegnare a tutti i bambini;
    • Insegnare attraverso tutti i sensi (vista, udito, gusto, olfatto, sentire interiore);
    • I bambini apprendono più rapidamente e imparano meglio quando si divertono;
    • I bambini apprendono ciò che viene inciso nel loro livello di consapevolezza;
    • Rendere consapevole il bambino su ciò che sta imparando, unendo pratica e teoria;
    • Successo chiama successo;
    • L’oggetto dell’insegnamento è il pensare;
    • Insegnare ai genitori a saper apprezzare i propri figli;
    • Dare ai bambini la speranza di diventare ciò che essi vogliono;
    • Usare un linguaggio positivo ( dire “stai attento”- non dire “non cadere”).
Il bambino deve essere guardato nella sua totalità ed aiutato a crescere intellettualmente, fisicamente e spiritualmente.
Si possono rilevare numerose similarità nel metodo pedagogico sia di Montessori che di Steiner per quanto riguarda la definizione del ruolo dell’insegnante.
Il presupposto del primo metodo è la massima fiducia nell’interesse spontaneo del bambino, nel suo impulso naturale ad agire e conoscere.
Ogni bambino, se posto in un ambiente adatto, e accompagnato da una figura adulta motivata, seguendo il proprio disegno interiore di sviluppo e i suoi istinti-guida, accende naturalmente il proprio interesse ad apprendere, a lavorare, a costruire, a portare a termini le attività iniziate, a sperimentare le proprie forze, a misurarle e controllarle.
A questo principio l’adulto deve inspirare la sua attenzione e in particolare due sono i suoi compiti fondamentali: saper costruire un ambiente suscitatore degli interessi che via via si manifestano e maturano nel bambino; evitare con interventi inopportuni, un ruolo di disturbo allo svolgimento del lavoro, pratico e psichico, a cui ciascun bambino va dedicandosi.
Ha scritto Maria Montessori che l’obiettivo a cui puntare “ …..é lo studio delle condizioni necessarie per lo sviluppo delle attività spontanee dell’individuo, è l’arte di suscitare gioia ed entusiasmo per il lavoro. Il fatto dell’interesse che spinge ad una spontanea attività è la vera chiave psicologica dell’educazione.(….) Colui il quale nell’educare cerca di suscitare un interesse che porti allo svolgere un’azione e seguirla con tutta l’energia, con entusiasmo costruttivo, ha svegliato l’uomo.”
Continua dicendo “(i bambini) hanno bisogno di ricevere risposte complete, che provocano l’entusiasmo e suscitano il bisogno di nuove ricerche e di attività intensa”. Gli insegnanti, perciò, dovranno essere all’altezza del bisogno di conoscere e di esplorare dei bambini, ampliando la loro vita psichica, aprendosi a più larghi orizzonti, impadronendosi di nuove conoscenze di cui forse non sospettano l’esistenza”.
L’insegnante montessoriano opera dunque, con la fondata speranza che ogni individuo è chiamato dalla natura a realizzare la propria evoluzione psichica, secondo un disegno da essa preordinato, purché egli viva in un ambiente adatto alle forme del suo lavoro. L’insegnante allora non giudica i risultati conseguiti dal bambino, ma le cause che ne impediscono o ritardano l’ascesa, provvedendo ad osservarle, capirle e a modificare la circostanze che ostacolano il naturale sviluppo. Per questo motivo, egli non ha un centro e una periferia nella classe ed è contemporaneamente assente e presente, figura di aiuto, di organizzatore e osservatore della vita psichica, fisica e culturale dell’alunno.
Quest’aspetto è centrale anche nella pedagogia steineriana, che si pone come arduo compito quello di aiutare e sostenere lo sviluppo nel bambino di tutte quelle forze spirituali, animiche e fisiche che si presentano solo in germe alla sua nascita.
Il bambino, infatti, avrà bisogno per la sua crescita, tanto di un nutrimento materiale, che ne sviluppi il corpo fisico, quanto di un nutrimento spirituale, che sviluppi l’anima e lo spirito; non solo, ma egli richiederà anche quella giusta educazione che metta in rapporto la parte spirituale con quella fisica, e viceversa.
Secondo Steiner, quando il bambino viene al mondo è dotato di un corpo fisico, mentre le sue altre parti costitutive sono presenti solo in germe, come sono presenti nel seme della pianta tutte le sue future trasformazioni: e come la pianta ha bisogno di nutrimento e tempo affinché si sviluppino le foglie, fiori e frutti, così anche il bambino dovrà ricevere il giusto nutrimento dall’ambiente affinché sviluppi forze autonome di crescita.
Queste considerazioni non hanno solo un carattere teorico ed un valore soggettivo, ma sono il prodotto di un’indagine scientifica, con la quale vengono poste delle solide basi per un insegnamento capace di intervenire nel delicato processo di crescita in modo esperto ed efficace, grazie ad una profonda conoscenza dell’essere umano.
L’educatore deve conoscere perfettamente “le leggi evolutive della natura umana” e senza questa conoscenza non può insegnare.
Il suo ruolo è immenso, soprattutto perché secondo la scuola steineriana, egli è libero di prendere qualsiasi iniziativa e non è soggetto a limitazioni o regolamenti. Egli dovrà attenersi al programma ideale così come è stato delineato da Steiner stesso, ma nello stesso tempo, facendo continuo riferimento alle sue conoscenze dello sviluppo del bambino, quelle che sono le esigenze della classe che ha di fronte, quelle del mondo esterno.
La sua abilità sta nel mantenere in equilibrio queste diverse richieste, avendo però sempre di mira il sano sviluppo e la formazione del soggetto.
La Programmazione Neuro Linguistica, anche riprendendo i metodi tradizionali, propone con forza, un educatore che viva personalmente le tecniche e le strategie che presenta alla classe, e sostiene che deve tenere un atteggiamento genuino, autentico, esprimendo i propri sentimenti positivi o negativi. È un essere umano che cresce insegnando, ma le cui convinzioni e modo di essere rappresentano continuamente un modello per i bambini che ha intorno.
Come dice Lo Presti lo stile educativo del tipo “Fate quello che dico, ma non fate quello che faccio” è del tutto improbabile.10 I bambini, per il principio di imitazione che li sostiene dai primissimi giorni di vita, fanno solo ed esclusivamente quello che vedono fare ripetutamente dai propri caregiver e in questo modo imparano ad esprimersi, a relazionarsi a vivere.
Il concetto, però, che troviamo in tutte le scuole di pensiero da Piaget a Gordon11 e nei libri di PNL è l’autoeducazione. L’adulto deve essere talmente abile da diventare “trasparente” come dice Steiner, capace, perciò, di fornire gli strumenti necessari affinché il bambino sia in grado di autogestirsi sotto tutti i punti di vista. L’educatore deve andare oltre la sua centralità, “perderla” per formare dei soggetti autonomi e autosufficienti.
Questa frase di Gibran mi sembra l’essenziale nelle tante parole e teorie che circondano il bambino:
Due cose può dare un adulto ad un bambino: le radici e le ali.