La Testimonianza: Il ruolo dell’intervistatore

La Testimonianza:Il ruolo dell’intervistatore

Su autorizzazione dell’autrice Dott.ssa Chiara Vercellini, tratto da http://www.psicologiagiuridica.com/

Da diverse ricerche (per esempio, Kassin S.M.J., Ellsworth e Smith) è emerso che la conduzione adeguata di un colloquio facilita le indagini, poiché permette di ottenere più informazioni sull’evento, senza distorcere il ricordo dei testimoni, creando eventualmente le condizioni favorevoli per portare un sospettato a confessare il crimine commesso oppure a fornire dettagli attendibili riguardo alla dinamica dell’evento o al coinvolgimento di terze persone (Gulotta, 2008). Ne consegue che saper porre domande nel modo giusto è un requisito fondamentale per la conduzione delle interviste e le conoscenze della psicologia forniscono un valido contributo nella conduzione dei colloqui con il testimone, il presunto autore di reato e la vittima (Picozzi, Zappalà, 2005).

Una delle principali difficoltà della raccolta delle informazioni deriva dalla situazione di dipendenza del testimone nei confronti di chi conduce il colloquio. Spesso, infatti, le persone, di fronte ad una figura “autoritaria”, assumono, inconsapevolmente, uno stato emotivo che può facilitare la suggestione, favorire lo stress o la paura di non essere creduti (Cannaviccii, 2006; Gulotta, 2008). Si tratta di fattori che influenzano l’attendibilità della testimonianza ed è, quindi, necessario, per l’intervistatore, conoscerli (Gulotta, 2003).

Pertanto, per condurre un’intervista che sia efficace, è necessario predisporre il contesto, affinché risulti informale ed amichevole, mettendo il testimone a proprio agio e dandogli la sensazione di non venir giudicato (De Leo, Scali, Caso, 2005; Gulotta, 2008). È indicato il colloquiare con calma e con serenità, ragionando e riflettendo. Agire con aggressività o violenza, fino ad intimorire il soggetto, non serve, sia perché vietato dalla legge, sia perché ai fini delle strategie psicologiche che si vogliono utilizzare, è controproducente (Cannavicci, 2006).

La persona ascoltata, a qualsiasi titolo, deve essere invitata ad esporre spontaneamente quello che sa, per ottenere una deposizione non influenzata dalle domande e dalle suggestioni. Le domande di chiarimento, per colmare le lacune e per precisare meglio i fatti descritti potranno essere rivolte in un secondo momento. Sarebbe meglio, per l’interrogante, usare un basso numero di parole e formulare le domande in maniera accurata, verificandone la comprensione da parte del soggetto e, allo stesso tempo, controllare di aver compreso realmente le risposte. Vanno chiarire le regole del colloquio, per evitare che il soggetto cerchi di compiacere l’intervistatore, inventando o cercando di indovinare ed è utile sviluppare strategie per intensificare il desiderio di comunicare. È opportuno ricercare ipotesi alternative, anziché cercare semplicemente di confermare l’idea iniziale, per non condizionare il racconto o ignorare gli elementi che non si accordano alla teoria di partenza. È anche importane cercare di controllare il proprio comportamento non verbale e, ad ogni modo, dimostrare un’attenzione vigile, mantenendo il controllo oculare (Gulotta, 2008). È, comunque, positivo sviluppare uno stile personale, tenendo in considerazione gli obiettivi e i limiti imposti dalla legge, eventualmente al fine di poter creare idonei atti processuali.

Infine, vista l’importanza che rivestono le testimonianze come fonte di prova, si ravvisa la necessità di utilizzare delle tecniche che consentano di valutare e migliorare la validità delle dichiarazioni (Gulotta, 2008). Fra le diverse proposte esistenti, una delle modalità più conosciute ed efficaci per interrogare è “l’intervista cognitiva”. Si tratta di una tecnica investigativa, simile all’interrogatorio, attraverso la quale vengono utilizzate strategie di recupero guidato delle informazioni, cioè particolari procedure create dagli psicologi sperimentali per migliorare la rievocazione della memoria episodica. Un altro strumento che può essere impiegato è la “Statement validity assessment”, che esamina le dichiarazioni degli adulti e si compone di un’intervista strutturata, di un’analisi del contenuto basata su dei criteri e di una lista di controllo della validità.

Inoltre, durante il colloquio, è utile osservare attentamente gli atteggiamenti ed il comportamento non verbale del soggetto intervistato (ad esempio, le reazioni insolite o l’ostentata indifferenza e tranquillità, oppure la mimica, il pallore, il rossore, i tremori, ecc), sia in assenza di stimoli che in risposta alle domande, per poterne ricavare indicazioni sul carattere del soggetto ed avere dei riferimenti sul colloquio in corso: tanto più una domanda ottiene una risposta mimica e non verbale, tanto più indica un punto che colpisce il soggetto ed è un utile elemento (Cannavicci, 2006). Si tratta del campo applicativo della cinesica, cioè la disciplina che studia il linguaggio dei gesti, cioè quel linguaggio inconsapevole, naturale e direttamente collegato con lo stato psicologico e, di conseguenza, con lo stato emotivo.

© L’assistenza del consulente psicologo alle indagini difensive dell’avvocato: l’esame testimoniale – Dott.ssa Chiara Vercellini