Il ruolo delle emozioni nei contesti professionali

Il ruolo delle emozioni nei contesti professionali: Introduzione

 

 

Le condotte lavorative, espressione dell’interazione tra persona e contesto di lavoro, concernono alcune dimensioni comprendenti, oltre alla corporeità, alle funzioni mentali e ai significati dell’ esperienza lavorativa, la dimensione dei sentimenti e delle emozioni (Sarchielli, 2003). Lo studio della condotta lavorativa è stato per lungo tempo ricondotto allo studio dei livelli di soddisfazione – insoddisfazione e delle reazioni emozionali che accompagnano i vissuti soggettivi in relazione all’esperienza di lavoro. Con i cambiamenti del mondo del lavoro degli ultimi decenni e l’aumento dei lavoratori occupati nelle aziende dei servizi è apparso sempre più evidente che la sfera emozionale è rilevante non solo come esito o esperienza che accompagna l’attività di lavoro, ma anche come richiesta individuale posta dal lavoro e pertanto meritevole di attenzione. L’incremento di attenzione per il benessere psicologico del lavoratore, riscontrabile ad esempio nell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 (9 aprile 2008), in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, ha favorito inoltre, un atteggiamento di prevenzione dei rischi correlati all’attività lavorativa. L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare gli effetti della componente emotiva, per uno specifico ambito occupazionale, la professione infermieristica, e di analizzare la relazione che quest’ultima riveste sul benessere psicologico del lavoratore.

IL LAVORO EMOZIONALE
Il ruolo delle emozioni nei contesti professionali
Il ruolo delle emozioni nei contesti professionali  è stato un argomento di ricerca a lungo trascurato. Tale noncuranza potrebbe essere attribuita alla tradizione dei modelli razionalistici delle organizzazioni che hanno sottostimato o considerato come un elemento di disturbo  il ruolo delle emozioni nell’attività di lavoro. Un esempio è offerto dalle concezioni weberiana e tayloristica, entrambe promotrici di una visione delle organizzazioni come strumenti razionali per raggiungere scopi specifici, senza nessuno spazio per l’iniziativa dei soggetti, tenuti solo al rispetto delle regole (Bonazzi, 2006). Dalla rassegna condotta da Brief e Weiss (2002) emerge che  lo studio delle emozioni nei luoghi di lavoro nasce come tema di ricerca scientifica negli anni trenta, principalmente negli Stati Uniti, grazie allo sviluppo degli strumenti metodologici necessari allo svolgimento delle ricerche, che hanno giustificato le applicazioni dei principi scientifici allo studio del fenomeno sociale. Un esempio di studi condotto in questi anni è quello di Elton Mayo (1954, citato in Depolo, 2007) relativo agli effetti emozionali del lavoro di gruppo. Secondo gli autori, gli anni trenta sono stati caratterizzati dall’innovazione e dalla scoperta di una diversità di idee e metodi concernenti lo studio di questa tematica. Tuttavia la diversità metodologica caratterizzante quegli anni sbiadì, per lasciare posto ad un approccio che ha analizzato il contesto lavorativo quasi esclusivamente in termini di soddisfazione professionale. Solo nella seconda metà degli anni ottanta e novanta, i ricercatori organizzativi riscoprono l’interesse per le emozioni. Il motivo per cui questo tema di ricerca è riemerso come settore di indagine del comportamento organizzativo non è noto, ma probabilmente dipende  dall’interesse che la psicologia in generale ha dimostrato per questa tematica. Tale interesse è riconducibile soprattutto agli approcci interazionisti e del costruttivismo sociale, i quali hanno focalizzato la loro attenzione sul rapporto tra individuo e organizzazione non come entità a sè stanti  ma come sistemi in interazione. Tale interesse si concretezza nello studio del processo di organizzare piuttosto che all’organizzazione in sè. Questi orientamenti connotati per una critica agli approcci entitari sono più propensi a considerare le interazioni degli attori concreti, gli scambi, i processi politici, cognitivi, sociali e i vissuti emozionali connessi a tali scambi (Hosking & Morley,1991, citato in Depolo, 2007). Nella letteratura sulle emozioni, c’è poco accordo su cosa si intenda per emozione ma il termine si riferisce di solito ad uno stato di arousal fisiologico  e  ad una valutazione cognitiva della situazione che prevede un cambiamento nella prontezza di azione,  in quella cognitiva  e in quella di relazione con  l’ambiente, normalmente  associate con specifici eventi e  così intensi da compromettere  il processo di pensiero (Grandey, 2000). L’interconnessione tra emozione e ambiente  è riconosciuta anche dal modello interazionista delle emozioni, che ben si adatta alla lettura del connubio tra emozioni e contesti professionali (Morris & Feldman,1996). Questo modello attribuisce una considerevole importanza ai fattori sociali nella determinazione e nell’espressione delle emozioni. Questa prospettiva suggerisce che gli individui attribuiscono senso alle emozioni attraverso la loro comprensione dell’ambiente sociale e  che le emozioni in parte siano socialmente costruite. Conseguentemente, l’esperienza emotiva e l’espressione emotiva può essere valorizzata, espressa o soppressa.
Sebbene il binomio emozione-lavoro sia stato un argomento di ricerca in parte trascurato, con qualche eccezione per gli anni ottanta (Hochschild,1983), negli ultimi anni e per categorie professionali particolari quali, call center, impiegati di banca (Zapf, Seifert, Schmutte, Mertini &  Holz, 2001),  polizia (Bakker & Heuven, 2006), assistenti di cabina (Bakker & Heuven, 2003) e  infermieri (Smith ,1992; Mann & Cowburn, 2005; Henderson, 2001; Smith &  Gray ,2000; Gray, 2009; Bakker & Heuven, 2006), il crescente impiego nel settore dei servizi, la sensibilizzazione verso la qualità del servizio offerto e l’attenzione per il benessere dei lavoratori, hanno spinto la letteratura scientifica ad occuparsi degli aspetti di interazione cliente-lavoratore che sono il requisito di molte professioni. Un particolare tipo di relazione cliente-lavoratore è quella che investe lavoratore-paziente, relazione che ha spesso attirato l’attenzione della letteratura scientifica per l’elevato rischio di burnout lavorativo.  A differenza di altre professioni, medici, infermieri, terapisti sono principalmente coinvolti nel lavoro con la persona, relazione  che molto spesso implica il supporto dei pazienti , elevati costi interpersonali, o domande emotive.
La domanda  emotiva può essere definita come quegli aspetti del lavoro che richiedono uno sforzo emotivo a causa del contatto di interazione con i clienti. ( De Jonge & Dormann, 2003, citato in Vegchel, De Jonge , Soderfeldt, Dormann &  Schaufeli, 2004). Un elemento cruciale del ruolo di questi lavoratori, è ad esempio il confronto con molti aspetti della vita umana (malattia, povertà, morte) da cui potrebbero nascere problemi di interazione sociale con i clienti. Un ulteriore aspetto di queste professioni, è quello relativo alla la gestione delle emozioni, il quale risulta una componente determinante del loro ruolo. Ragionevolmente  non si può presumere che  i lavoratori che forniscono servizi alla persona, siano sempre di buon umore,  piuttosto talvolta essi possono essere annoiati o essere suscitati da emozioni negative come rabbia, paura o delusione. Tuttavia ad essi è richiesto un lavoro emozionale, come parte del loro ruolo  lavorativo, in risposta alle emozioni organizzative desiderate. Ekam (1973, citato in Morris & Feldman, 1996) definisce le norme che indicano l’appropriatezza dell’espressione emotiva, regole di visualizzazione (display rules),  per riferirsi agli standard di comportamento che indicano non solo quali emozioni sono appropriate in una data situazione, ma anche le modalità attraverso cui queste emozioni dovrebbero essere espresse.