Il bambino

La PNL nel processo educativo: Il bambino

 

In passato, concezioni antiquate dello sviluppo infantile e del suo apprendimento si basavano su di un sistema teorico facente riferimento ad un modello intrapsichico; l’assunto dominante della letteratura psicopedagogica dell’età evolutiva considerava il bambino come un organismo relativamente passivo, le cui azioni e reazioni apparivano finalizzate primariamente alla riduzione degli stimoli.
Attualmente, nell’osservazione del bambino si indaga il tipo di esperienza che egli fa nel momento stesso dell’acquisizione di nuove competenze, cioè l’esperienza soggettiva del bambino durante le interazioni sociali, quando e come sperimenta affetti, apprende, comprende gli altri e se stesso.
Sameroff propone un’ottica seconda cui lo sviluppo di ogni persona è configurabile come un sistema regolato su due versanti principali, esterno ed interno, biologico e sociale. La componente biologica, genotipo che fornisce la base per l’organizzazione comportamentale, domina alcune fasi dello sviluppo e dell’apprendimento, quali lo stadio prenatale e postatale, la pubertà e la vecchiaia. Nei periodi intermedi sembra svolgere una regolazione silente.
Il sistema sociale interagisce con la medesima intensità in tutte le fasi della crescita, e per tutta la vita di un individuo, per la formazione di modelli adattativi di funzionamento. Le relazioni hanno, quindi, un ruolo di primaria importanza, essendo lo strumento con cui si attuano le regolazioni evolutive che modificano le esperienze infantili in sintonia con le trasformazioni corporee e comportamentali. Attraverso scambi con i sistemi di regolazione, i bambini acquisiscono via via competenze di autoregolazione biologica e comportamentale, rimanendo comunque per l’intero corso della vita ancorati a contesti interni ed esterni.
Stern si è dedicato a costruire una teoria che tenesse conto dell’esperienza soggettiva del bambino, ha tentato di descrivere l’emergenza e lo sviluppo normale del senso del sé quale principio organizzatore dell’esperienza. La premessa è che fin dai primi giorni, e forse anche prima della nascita, molto prima quindi dell’autoconsapevolezza e del linguaggio, esiste nel neonato una qualche forma di senso di sé e dell’altro. Un sé, diciamo, preverbale. Per “senso” Stern intende una semplice coscienza, da distinguere dalla consapevolezza autoriflessiva; non pensiero formulato ma esperienza vissuta.
Il bambino, nelle prime settimane di vita, è un essere molto attivo ed ha una ben delineata tendenza alla ricerca di stimolazioni sensoriali. Durante questi momenti egli sembra impegnato ad apprendere i rapporti tra le esperienze sensoriali: esplora l’ambiente e discrimina le stimolazioni che predilige tra tutte quelle che gli vengono offerte (visive, gustative, olfattive, di intimità corporea, ecc..).
Il neonato dimostra una tendenza innata a formulare ipotesi sul mondo che lo circonda ed a verificarle, da cui gli deriva la capacità di confrontare esperienze diverse ed individuarne le caratteristiche comuni.
La componente affettiva dell’esperienza è fondamentale ed inscindibile da quella percettiva. In altre parole, non è possibile separare i processi cognitivi da quelli affettivi con i loro caratteri costanti e variabili.
Ci si potrebbe domandare se, ed in che modo, il bambino sia capace di integrare ed associare esperienze sensoriali distinte.
La scoperta più rilevante ai fini di una comprensione della capacità del neonato di formare rappresentazioni, riguarda la sua abilità di ricevere informazioni in una modalità sensoriale specifica e di tradurle in modalità sensoriali diverse.
Questa capacità, chiamata percezione amodale, comincia con la vita mentale ed indica la necessità di formare rappresentazioni astratte delle qualità primarie della percezione.
I bambini sono in grado di percepire attraverso ogni modalità sensoriale, e in grado di rappresentarle astrattamente e trasferirle in altre modalità. Cogliere le caratteristiche più globali delle modalità sensoriali diverse e ridurle in forma di modelli è la capacità emergente del bambino, che attribuisce così un ordine alle cose e acquisisce una consapevolezza circa le caratteristiche, la forma, l’intensità e gli schemi temporali.
L’ipotesi di Stern è che, a livello preverbale e presimbolico, al di fuori quindi di ogni consapevolezza, l’esperienza di riscontrare coincidenze tra modalità percettive diverse produca una sensazione di familiarità.
L’esperienza presente e quella già vissuta sono messe in relazione: questo permette al bambino di costruirsi un’esperienza integrata di sé e degli altri.
Carmela Lo Presti, insegnante e practitioner di PNL, che applica le sue strategie negli asili nidi e nelle scuole elementari, afferma che l’educatore deve costruire nei bambini le abilità e le competenze per raggiungere i seguenti obiettivi:
I. Riconoscere se stessi
II. Riconoscere l’altro
III. Riconoscere l’ambiente
L’ottenimento di ciò avviene se il bambino, prima di tutto, viene messo in grado di riconoscere tutti i sensi, le sensazioni e le emozioni che gli appartengono, e solo così può instaurare un continuo feedback con chi sta accanto e la realtà che lo circonda.
La PNL, come già esposto in precedenza, pone la sua massima attenzione allo sviluppo di tutti i sensi, Sistemi Rappresentazionali, attraverso i quali si comunica e si interpreta il mondo.
Blackerby è un insegnante americano che nel 1981 ha fondato Success Skills, una scuola di apprendimento e formazione in Oklahoma City, che ha come obiettivo quello di applicare e diffondere le strategie della Programmazione Neurolinguistica nel processo di apprendimento.
Il bambino, secondo Blackerby, è fin dalla nascita in totale comunicazione con l’esterno attraverso tutti i sensi, proprio come affermava Stern, ma venendo a contatto con le figure adulte, tende a concentrarsi e a prediligere le loro mappe mentali e comportamentali, in cui non appare l’armonia tra vista, udito, olfatto, gusto e sentire emotivo.
Ogni soggetto, perciò, inizia a rafforzare uno specifico Sistema Rappresentazionale che lo caratterizzerà anche nello stile di apprendimento.
Recenti studi a riguardo hanno individuato tre fasi distinte attraverso le quali passano gli individui, caratterizzata ognuna da un diverso sistema di percezione sensoriale, analisi, elaborazione, archiviazione e uscita delle informazioni.
Fra i 5 e i 7 anni il bambino predilige mediamente una modalità di insegnamento/apprendimento basata sulle sensazioni tattili- cinestetiche.
Tra gli 8 e i 12 anni predilige una modalità basata sul canale uditivo; dai 13 anni in poi la modalità diventa di tipo visivo, basata sulle immagini e sulle rappresentazioni interne di concetti astratti.
Rudolf Steiner, pedagogo di fama internazionale, già un secolo fa analizzava le fasi d’apprendimento di un bambino in relazione ai sensi, dichiarando, come anche la PNL, che le attività didattiche devono evolversi e modellarsi in base alle varie abilità che si formano nelle diverse fasi di sviluppo.
Nel metodo steineriano, i primi tre anni di vita del bambino sono i più importanti e fruttuosi, caratterizzati dallo sviluppo dell’udito e del linguaggio, come pure da tutte le altre funzioni sensoriali. Il metodo propone in questa fase, giochi di rappresentazione, versi ritmati, un ascolto di fiabe e canto; inoltre si insegna a dare vita a materiali naturali, come ramoscelli di legno, pigne, oppure teli colorati, trasformandoli di volta in volta secondo le intuizioni degli alunni e adattandoli agli usi più diversi. Il principio dell’apprendimento, in questa fase, è l’imitazione, che prende avvio dall’osservazione e dalla riproduzione di semplici attività casalinghe o attività artigianali che gli adulti di riferimento compiono. Nelle fasi successive i bambini sviluppano una forte capacità visiva che viene rafforzata attraverso attività di disegno pittorico, canti e poesie.
La Montessori inaugura un metodo del tutto differente per la sua epoca. Invece dei metodi tradizionali, che includevano lettura e recita a memoria, istruisce i bambini attraverso l’uso degli strumenti concreti, il che da risultati assai migliori. Venne dunque rivoluzionata da questa straordinaria didattica il significato stesso della parola “memorizzazione”, parola che non venne più legata ad un processo di assimilazione razionale e/o puramente celebrale, ma veicolata attraverso l’empirico uso dei sensi, che comportano ovviamente il toccare e manipolare oggetti. L’educazione dei sensi, anche per Maria Montessori è un momento preparatorio per lo sviluppo dell’intelligenza e l’educazione del bambino deve far leva sulla sensibilità, parte centrale della psiche.
Anche la PNL modella le proprie strategie in base alle fasi di sviluppo dei sensi del bambino, ma cerca, con la stessa intensità, di sviluppare tutte le abilità necessarie e presenti nel bambino stesso, che fanno riferimento ai tre Sistemi Rappresentazionali. Per fare ciò, parte dall’assunto che solo quando le sfere visive, uditive e cinestetiche sono proporzionalmente presenti, il soggetto è in armonia con se stesso e in attenta propensione verso la realtà che lo circonda. Nel caso del processo d’apprendimento la presenza totale dei sensi garantisce al bambino un alto e rapido livello di apprendimento e un coinvolgimento attivo nel rapporto con l’educatore, che risulta essere maggiormente influente nel processo educativo.
Prima di procedere all’analisi dei vari sistemi di apprendimento che caratterizzano ogni bambino, percorriamo rapidamente il ciclo della competenza che secondo la PNL rappresenta le fasi dell’apprendimento che avvengono in ogni soggetto:
    1. Incompetenza inconscia: non so fare una cosa e al momento non ho le idee chiare su cosa mi occorre ( come quando i bambini vogliono fare il capostazione o guidare l’auto).
    1. Incompetenza conscia: ancora non so fare quella cosa, ma comincio a scoprire cosa occorre ( in termini di distinzioni sottili, micro, non semplicemente macro).
    1. Competenza conscia: area della goffaggine; ci metto tutta la mia attenzione consapevole per fare la cosa che sto imparando, come imparare a leggere e a scrivere ( in prima elementare, allenarsi a scrivere una “a”, ricordarsi come si fa una “q”: da dove deve uscire il ricciolo? Come farla bella tonda?) o a guidare l’auto ed usare il computer le prime volte che l’abbiamo fatto.
    1. Competenza inconscia: dopo un certo numero di volte o tempo di allenamento, lo facciamo senza pensarci più, in automatico, e lì scatta l’abilità di performance.
Ogni bambino, come abbiamo detto, impara attraverso i tre principali canali, uditivo, visivo e cinestetico. Molto spesso i bambini scelgono e privilegiano un canale di memorizzazione che diventa esclusivo finché l’insegnante-formatore non insegna loro a sfruttare tutti i canali.
Se l’insegnante sfrutta come supporto alla lezione, per esempio solo delle letture, raggiungerà solo ed esclusivamente quei soggetti che preferiscono e si identificano nel canale uditivo.
È perciò opportuno selezionare vari materiali di supporto come grafici, diagrammi, disegni utili per rappresentare ciò che si sta leggendo; una canzone per la memoria uditiva, una sigla scritta sulla lavagna per la memoria visiva e per la memoria cinestetica, proporre un esercizio come quello di scrivere il proprio nome con la mano non- dominante e cercare di fissare la sensazione o l’emozione che quest’ atto provoca.
Le lezioni svolte devono coinvolgere tutti i sensi dei bambini, e ciò non solo aumenta l’attenzione, ma anche il livello di apprendimento.
Anche Piaget nel suo celebre libro Où va l’education parla di apprendimento attivo, affermando che, capire vuol dire inventare, ovvero che l’insegnante deve essere in grado di stimolare continuamente l’attenzione e la curiosità degli alunni, che non devono essere contenitori di nozioni e informazioni, ma reinventare le verità per riscoprirle autonomamente.
Il bambino che dispone di un visual thinking ha la possibilità di pensare a molte cose contemporaneamente perché crea delle continue immagini mentali che si possono disporre in sequenza o accostare; le risoluzioni sono infinite.
I bambini che prediligono questo canale hanno spesso ottimi risultati in matematica, logica, spelling e problem solving; sono soliti usare un linguaggio non verbale.
Per facilitare l’apprendimento di questi soggetti l’insegnante usa soprattutto materiale visivo, prediligendo le immagini alle parole.
Vengono affascinati anche dalle espressioni del volto dell’insegnante che può sfruttarle per una più efficace comunicazione.
I soggetti che tendono ad un auditory thinking hanno come caratteristica quello di pensare in modo lineare, ovvero un’idea segue l’altra, e difettano di un’eccessiva lentezza.
Rendono maggiormente nella comprensione, nella corretta applicazione delle indicazioni date loro, nell’espressività della forma scritta; preferiscono la comunicazione verbale a quella analogica.
L’insegnamento rivolto a questi studenti deve rispettare i loro tempi prolungati per imparare una nuova nozione e concentrarsi su un’informazione alla volta.
Il formatore potrà sfruttare la propria voce per modulare e assecondare i cambiamenti di espressione e stati d’animo; il tono della voce è lo strumento necessario per catturare l’attenzione.
L’ultima categoria è quella relativa al kinestetic thinking, attitudine propria di soggetti che prescelgono i settori in cui possono esprimere i loro sentimenti, sensazioni, emozioni, come l’arte e la letteratura.
Coinvolgere questo tipo di pubblico vuol dire creare continuamente storie, giochi avvincenti ed entusiasmanti, che permettono ai bambini di interpretare dei ruoli capaci di suscitare loro nuove emozioni e sconosciute sensazioni.