Epistemologia della PNL

Epistemologia della PNL

Articolo tratto da Scuola di Formazione in Psicologia

“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni “ (Paul Watzlawick, La realtà della realtà)

L’epistemologia (dal greco episteme, conoscenza certa, e logos, discorso) è quella branca della filosofia che si occupa di stabilire le condizioni di validità della conoscenza scientifica e dei metodi connessi allo sviluppo della conoscenza stessa, essa non si pone quindi l’obiettivo di formulare nuove ipotesi sul mondo (leggi e teorie) o di scoprire nuovi fenomeni (attraverso l’osservazione), bensì di affrontare problemi legati ai fondamenti stessi della conoscenza scientifica, in particolare il problema della giustificazione della conoscenza stessa, ovvero come gli scienziati arrivino a provare la validità delle loro teorie e quello di distinguere la scienza dalla pseudo-scienza.

Il mio intento nello scrivere questo articolo non è quello di dimostrare la scientificità della PNL ma, semplicemente, di portare alla luce le eventuali correlazioni con altre discipline e teorie psicologiche.

Credo che la corrente filosofica che più ha prodotto contributi non solo alla PNL ma anche alla psicologia (sistemica, strategica, cognitivo comportamentale, ecc), nella sociologia ed altre branche sia il costruttivismo.

La teoria costruttivista sostiene che la vita è un processo cognitivo, ed è attraverso tale processo, che nasce dall’esperienza individuale, che ogni essere vivente genera il proprio mondo. Soggetti diversi rispondono in maniera diversa ad uno stesso stimolo o ad una stessa realtà e la risposta sarà determinata dal modo in cui l’osservatore è strutturato e da come “interpreterà tale informazione o realtà. È la struttura dell’osservatore e di come si rappresenta l’informazione ricevuta che determina come esso si comporterà e non l’informazione ricevuta. L’informazione in sé (o la realtà) non ha un significato se non quello che le attribuisce il soggetto che riceve tale informazione.

Tutte quelle proprietà e/o quei significati che si credeva facessero parte della realtà che si sta vivendo, si rivelano così proprietà dell’osservatore, o, comunque, significati attribuirti dall’osservatore, per cui l’oggettività che conta non è quella esterna e indipendente dal soggetto, ma quella data dal soggetto stesso.

Di seguito elenco solo alcuni dei principi che per la Programmazione Neuro Linguistica diventano dei presupposti su cui basare i propri modelli e rappresentano le basi epistemologiche su cui si basa l’impianto della PNL


La mappa non è il territorio


Le origini risalgono al concetto espresso da A. Korzypsky: “La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata” …. ”non esiste esperienza oggettiva (tratto da Mente e Natura di Gregory Bateson).

Il principio della soggettività (dell’esperienza) sancisce che ogni persona è unica e diversa dalle altre e pur vivendo esperienze simili reagisce in modo differente (ad esempio i gemelli che, pur vivendo nello stesso ambiente, sviluppano caratteristiche diverse).

Vivere la stessa esperienza non significa provare gli stessi sentimenti, fare lo stesso lavoro non significa pensarla nello stesso modo.

Sono stati molti i pensatori che nella storia della cultura hanno sostenuto questo punto: che c’è una irriducibile differenza tra il mondo e l’esperienza che abbiamo.

L’uomo, non può avere accesso alla realtà che lo circonda in modo diretto, l’esperienza avviene attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto ed olfatto.

La “realtà”, essendo quindi “filtrata” dai nostri cinque sensi è soggetta anche a quelli che nella Grammatica Trasformazionale (N. Chomsky) vengono detti processi del modellamento umano: generalizzazione, cancellazione e deformazione (che vedremo quando parleremo di Linguaggio).

Noi essere umani non abbiamo una conoscenza assoluta del mondo (territorio), bensì ciascuno di noi crea una rappresentazione (mappa) del mondo in cui vive; creiamo in pratica una specie di mappa o modello, che usiamo par orientare il nostro comportamento. La nostra rappresentazione del mondo, quindi, determina in larga parte l’esperienza del mondo che avremo, il modo in cui lo percepiremo, le scelte che ci sembrano disponibili vivendoci dentro.

In ogni situazione reagiamo in modo diverso dagli altri perché mentalmente la affrontiamo secondo una prospettiva diversa, essendo diversa la nostra mappa cognitiva della situazione stessa.

La mappa, quindi, rappresenta la visione del mondo di ogni individuo ed è il risultato delle sue esperienze personali (il risultato delle esperienze precedenti, influenza il modo di vedere le esperienze sia presenti, sia future).

La mappa di ogni individuo si forma mediante le sue rappresentazioni sensoriali personali elaborate successivamente a livello cerebrale in modo da formare: punti di vista, sensazioni, dubbi, opinioni, valori, credenze, automatismi, ecc.

La mappa di ogni individuo struttura (condiziona) la sua esperienza nel mondo.

Un primo ed interessante studio lo troviamo nella Teoria dell’apprendimento per segni (Tolman) ove si afferma che un soggetto che sia diretto verso una meta seguendo i segni (o i simboli) che lo indirizzano nella direzione voluta, stia in realtà apprendendo ad orientarsi formandosi una mappa cognitiva del luogo dove si trova. Tolman introdusse per la prima volta il concetto di mappa cognitiva ossia una rappresentazione mentale della meta e dello spazio che conduce ad essa, grazie a tale mappa, secondo il principio del minimo sforzo, la meta viene raggiunta per mezzo del percorso più semplice e meno dispendioso. (Tolman E. – Honzik C.H. 1930 Introduction and removal of reward, and maze performance in rats, University of California Publications in Psychology, 4, 257-275) Il suo studio rappresenta il passaggio da concezioni di tipo comportamentista a idee cognitiviste

Schemi di pensiero

La nostra mente risponde agli stimoli ed alle situazioni in base a schemi acquisiti.

Ogni organismo animale agisce in conformità ad un meccanismo di stimolo/risposta, da cui ad ogni stimolo (ad esempio – pericolo) corrisponde una risposta (fuga). Per gli uomini, nel corso dell’evoluzione, con il tempo e l’esperienza si creano automatismi che determinano sequenze (schemi) di comportamento e di pensiero che saranno poi utilizzati in maniera costante.

Sono un tipico esempio le abitudini, ad uno stimolo (ambiente/situazione/emozioni) si tenderà a rispondere con lo stesso schema di comportamento (abitudine).

Altro esempio di automatismo è la guida dell’auto dove ad ogni situazione (stimolo) i movimenti (risposta) vengono attuati completamente a livello inconscio.

Oltre agli schemi comportamentali abbiamo schemi mentali che utilizziamo per decidere, motivarci, entusiasmarci, deprimerci, preoccuparci, agitarci, farci prendere dal panico, ed anche in questo caso tenderemo a riprodurre, in situazioni simili, gli stessi schemi.

Qualche cenno di approfondimento sul tema S/R, particolarmente importante, per meglio comprendere le logiche concettuali sulle quali si basano le affermazioni precedenti.

La Psicologia Stimolo/Risposta

“Ciò che noi osserviamo negli organismi viventi non sono i contenuti di coscienza, quali sentimenti, affetti o percezioni ma il comportamento ” (J.B. WATSON)

La tradizionale relazione che esiste tra stimolo – risposta nasce dal COMPORTAMENTISMO, teoria di valore storico (dovuta a J.B. Watson), che circoscrive il campo della psicologia allo studio del comportamento e delimita il compito di questa alla ricerca, mediante metodi sperimentali e di osservazione, delle risposte (motorie, ghiandolari, neurologiche) a stimoli conosciuti (“..ogni risposta è funzione di uno stimolo..”).

Il Comportamentismo è una teoria psicologica che afferma che è possibile (anzi auspicabile e scientificamente valido) studiare soltanto gli eventi osservabili dell’azione umana, contrariamente alle deduzioni psicanalitiche sulla vita inconscia e sull’importanza annessa all’introspezione.

Secondo il COMPORTAMENTISMO (Watson) il comportamento viene considerato come uno schema o sequenza di più risposte provocate da altrettanti (uno o più) stimoli esterni.

Esempi di schemi Stimolo- Risposta:

–    la pupilla si restringe (risposta motoria) in presenza di una forte luce (stimolo),
–    la salivazione aumenta (risposta ghiandolare) alla vista di una tavola imbandita (stimolo),
–    la sensazione di vertigine (risposta neurologica) viene avvertita di fronte ad un precipizio (stimolo).

L’opera di Pavlov, scienziato russo, ha fornito il complesso stimolo-risposta, elaborato in seguito nella PNL come struttura dell’ancoraggio (ed é citata in La Programmazione Neuro-Linguistica – Lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva di Robert Dilts, John Grinder, Richard Bandler, Leslie Cameron-Bandler, Judith Delozier _ Astrolabio – Milano, 1982).

In seguito il concetto di “risposta” è stato ampliato da Skinner sino a considerare “la risposta” non solo una semplice reazione fisiologica ma anche sequenze di COMPORTAMENTI complessi come pranzare, guidare l’automobile o scrivere una lettera. Occorre specificare che i singoli gesti volontari o involontari (movimenti semplici) come muovere un braccio, alzare le sopracciglia, ecc. sono considerati comportamenti semplici, mentre i comportamenti complessi sono costituiti da associazioni di più movimenti semplici.

Per il COMPORTAMENTISMO, quindi, ciò che apprendiamo sono COMPORTAMENTI.

Il bambino impara per prova ed errore un determinato comportamento e tende a riprodurlo in situazioni simili.

Successivamente altre teorie hanno affermato che la “risposta” non comprende solo comportamenti semplici o complessi ma anche processi di pensiero e stati emotivi e che lo stimolo può essere sia esogeno che endogeno rispetto all’organismo umano.

In altri termini, il soggetto in questione apprende non semplici movimenti o comportamenti, ma significati che concorrono alla creazione di una sua mappa mentale e di strategie che sottendono ogni comportamento..


Strategie (T.O.T.E.)

Ogni nostro comportamento manifesto è controllato da strategie operanti internamente. Ciascuno di noi ha un proprio insieme di strategie per motivarsi, per alzarsi dal letto la mattina, per delegare ai dipendenti le responsabilità di lavoro, per imparare e insegnare, per condurre negoziati d’affari e così via.

Eppure i nostri modelli culturali, non ci insegnano esplicitamente gli aspetti specifici delle strategie necessarie per conseguire gli obiettivi comportamentali espressi o impliciti in ciascun modello.

Per descrivere una specifica sequenza di comportamento, la PNL sfrutta lo studio che per la prima volta fu formulata in “Plans and the structure of Behavior”, pubblicato nel 1960 da Gorge Miller, Eugene Galanter e Karl H. Pribram (“Piani e struttura del comportamento” – F. Angeli, Milano 1973) nel quale ipotizzavano che il comportamento fosse guidato da una serie di piani o schemi di azione nidificati l’uno dentro l’altro secondo un ordine gerarchico a complessità crescente.

Secondo gli autori un Piano o schema di comportamento è l’equivalente di un programma di un calcolatore che predispone l’individuo a una particolare strategia d’azione:

“Un Piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che può controllare l’ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni.” (p. 32)

Questo studio si chiama T.O.T.E., che significa Test, Operate, Test, Exit e riprende una sequenza basata sul modello del computer.

Ma in che modo la PNL può essere applicata ai vari contesti professionali, come la psicoterapia, il coaching, la formazione, la vendita,  l’assessment, la leadership ?  …. nei prossimi articoli

© Epistemologia della PNL – Andrea Castello