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Burnout e lavoro emozionale-Ambiti di ricerca futuri: il contagio emotivo

Burnout, lavoro emozionale e ambiti di ricerca futuri: il contagio emotivo

 

 

Dalla rassegna condotta da  Bakker e Westman (2008) sul crossover di burnout tra gli operatori di cura emerge che il fenomeno che il burnout si possa trasferire da un individuo ad un altro non è nuovo. Gli autori invitano ad operare una distinzione concettuale tra i termini crossover e contagio emotivo, precisando che la ricerca sul crossover  si è concentrata principalmente sul  trasferimento di stress e tensione dai lavoratori ai partner, e viceversa, mentre la  ricerca sul contagio emotivo ha origine in laboratorio, ed è stato applicata allo studio del trasferimento del burnout dai dipendenti al loro colleghi.
Il contagio emotivo è stato definito come la tendenza a imitare in modo automatico e sincronizzare espressioni facciali, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un altra persona e di conseguenza convergere emotivamente (Hatfield, Cacioppo e Rapson, 1994; p.5 cit. in Bakker e Westman 2008). L’enfasi in questa definizione è su un processo non-conscio  di contagio emotivo. La ricerca ha infatti dimostrato che, nelle conversazioni, le persone automaticamente imitano le espressioni facciali, voci, posture e comportamenti degli altri. Vi è, tuttavia, un secondo modo in cui le persone possono catturare le emozioni altrui. Il contagio può verificarsi anche attraverso un processo cognitivo cosciente di sintonizzazione alle emozioni altrui. Questo processo si verifica quando una persona cerca di immaginare come si sarebbe sentita nella posizione di un altro, e, di conseguenza  esperire gli stessi sentimenti.
La prima indicazione empirica per un effetto socialmente indotto di burnout  deriva da Rountree (1984, cit. in Bakker e Westman 2008 ) che ha studiato 186 gruppi di lavoro in 23 organizzazioni trovando che l’ 87,5% degli impiegati con i  punteggi più elevati di  burnout  lavoravano in gruppi di lavoro in cui almeno 50% del personale era in una simile fase avanzata di burnout e che anche  bassi punteggi di burnout hanno mostrato una tendenza simile ma con cluster meno marcati.
Sulla base di analoghi risultati Stevenson e coll. (1986, citato in Bakker & Schaufeli, 2000) hanno concluso che “… l’affinità dei gruppi di lavoro per i punteggi estremi sembra sostanziale” (p. 184). Quindi, gli individui con punteggi molto alti o molto bassi di burnout possono essere trovati spesso all’interno di un gruppo di lavoro, suggerendo la possibilità che i membri del gruppo di lavoro “si infettino con il virus del burnout”.
Tuttavia, come suggerito da Bakker e colleghi (2005) il risultato di trovare all’interno di un gruppo di lavoro individui con punteggi molto alti o molto bassi di burnout non implica necessariamente un processo di contagio emotivo, ma potrebbe invece essere imputabile all’elevato  carico di lavoro di quel gruppo.
Uno studio più sistematico volto ad indagare  l’ipotesi che la sindrome di burnout sia contagiosa è stato condotto da Bakker , Le Blanc e Schaufeli (2005) su un unità diinfermieri di terapia intensiva. Gli infermieri  di  dodici paesi europei (N=1.849)  hanno compilato un questionario per valutare le condizione di lavoro e benessere indicando al contempo la prevalenza di burnout tra i loro colleghi.
Le variabili analizzate in questo studio furono: domanda lavorativa, carico di lavoro oggettivo per gli infermieri, denunce di burnout percepita tra colleghi, burnout.
L’analisi della varianza ha indicato che la varianza tra gruppo su una misura di burnout percepito tra i colleghi era statisticamente significativa e sostanzialmente più grande della varianza all’interno dei gruppi. Ciò implica che vi sia un accordo considerevole  nell’unità di terapia intensiva per quanto riguarda la prevalenza di burnout. Inoltre, i risultati delle analisi multilivello hanno mostrato che le denunce di burnout tra colleghi nelle unità di terapia intensiva hanno dato un contributo statisticamente significativo e unico a spiegare la varianza nelle esperienze individuali  dell’infermiere del burnout, ossia esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Inoltre, sia per esaurimento emotivo e depersonalizzazione, le denunce di burnout percepite tra i colleghi sono state il fattore predittivo più importante del burnout a livello individuale, anche dopo aver controllato l’impatto dei fattori di stress organizzativo come concettualizzati nel modello di domanda-controllo.
Gli autori hanno concluso che il  burnout è contagioso dato che può essere trasferito da un infermiere a un altro.
Un altro studio che ha testato l’ipotesi che il burnout possa trasferirsi da un individuo all’altro è quello condotto da Bakker, Westman e Schaufeli, (2007) articolato in due studi sperimentali.
Nel primo studio gli insegnanti vennero esposti in modo casuale ad un finto articolo di giornale, in cui un collega forniva la sua esperienza negativa del suo lavoro (condizione di burnout) o ad un tema non correlato al lavoro (condizione di controllo). I risultati dimostrarono che coloro che avevano partecipato alla condizione sperimentale (burnout) avevano punteggi più alti nelle dimensioni dell’esaurimento e della depersonalizzazione rispetto ai partecipanti alla condizione di controllo. Un setting analogo venne impostato per il secondo studio su un campione di soldati, da cui emerse che il contagio di burnout è intensificato dalla somiglianza  con la persona stimolo.
Hatfield e coll. (1994, cit. in Bakker e Westman, 2008 ) hanno sostenuto che vi sono circostanze diverse nelle quali le persone dovrebbero essere particolarmente suscettibili al contagio emotivo, come, per esempio, prestare attenzione agli altri e percepire se stessi in interazione ad altre persone piuttosto come indipendenti e unici. Tenuto conto dell’aumento  nelle organizzazioni di modelli di squadra è infatti probabile che i dipendenti sperimentino maggiori livelli di interdipendenza, diventando maggiormente sensibili agli stati emotivi dei propri colleghi. Dalle rassegna sul contagio emotivo tra gli health care professional condotta da  Bakker e Westman (2008) emerge che le condizioni che rendono più probabile il contagio emotivo sono:
Empatia, Westman e Vinokur (1998, citato in  Bakker & Westman ,2008)  hanno sostenuto che l’empatia può essere un moderatore del processo di contagio. Starcevic e Piontek (1997, cit. in  Bakker & Westman, 2008) definiscono l’empatia come la comunicazione interpersonale, che è prevalentemente di natura emotiva ed implica la capacità di essere influenzati dallo stato affettivo degli altri. Questa variabile non è stata testata direttamente in relazione al burnout, ma uno studio condotto da Bakker e Demeruti (2009), su un campione di 175 coppie di lavoratori tedeschi, ha ipotizzato che l’empatia fosse un moderatore del crossover del work engagement, considerato come il diretto opposto del burnout.  In questo studio l’empatia venne misurata usando due scale dell’interpersonal reactivity index (Davis, 1980, cit in Bakker e Demeruti 2009). La prima volta a misurare la tendenza ad adottare il punto di vista di un’altra persona nella vita quotidiana (perspective taking),  la seconda a misurare la tendenza a esperire sentimenti di preoccupazione e compassione per le altre persone (empathic concern). Nello specifico  gli autori trovarono che solo la prima dimensione dell’empatia aveva un effetto di moderazione.
Suscettibilità,  Bakker e Schaufeli (2000) nel loro studio su 154 insegnanti tedeschi di scuola superiore, hanno ipotizzato che la suscettibilità personale degli insegnanti al contagio aumentasse il rischio del contagio di burnout. Nello specifico si ipotizzò che gli insegnati che erano maggiormente vulnerabili alle emozioni e agli stati d’animo negativi espresse dai loro colleghi avessero maggiore probabilità di essere a loro volta affetti da burnout. Questa variabile venne misurata  attraverso sette item della scala sul contagio emotivo sviluppata da Stiff e al. (1988, citato in Bakker & Schaufeli, 2000)
Frequenza degli scambi di opinione, questa variabile è stata analizzata da Bakker e Schaufeli (2000) i quali hanno testato l’ipotesi che la prevalenza di burnout tra colleghi avesse un impatto positivo sull’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la riduzione del’efficacia personale per quegli insegnati che frequentemente parlavano con altri relativamente ai problemi correlati al lavoro. Questa variabile venne misurata con quattro item riferiti alla frequenza con la quale gli insegnanti parlavano con i loro colleghi dei problemi incontrati nel loro lavoro. L’analisi di questo processo, non esplorato nella presente ricerca,  potrebbe configurarsi pertanto come suggerimento per future ricerche.

 

 

Burnout e lavoro emozionale: Discussione

Burnout e lavoro emozionale: Discussione

 

I risultati di questa ricerca hanno cercato di evidenziare che la componente emotiva non può essere trascurata all’interno di valutazioni connesse con la prevenzione del disagio lavorativo.
Si tratta di aspetti di notevole criticità in quanto non prescindibili dalla tipologia di lavoro dei professionisti sanitari, che come questa ricerca ha cercato di evidenziare, sono soggetti a un lavoro emozionale.
Gli interventi di prevenzione pertanto dovrebbero configurarsi in maniera compensativa, non essendo modificabile la natura del lavoro.
La relazione riscontrata tra la dissonanza emotiva e la soddisfazione lavorativa potrebbe rappresentare il perno su cui esercitare una leva in termini di intervento da parte del management delle organizzazioni, essendo quest’ultima fortemente correlata con la prestazione lavorativa.
Dai risultati di questa ricerca emerge inoltre che particolare attenzione dovrebbe esser posta al target femminile di popolazione che, rispetto al target maschile, manifestano emozioni più intense e più frequentemente, probabilmente per aspettative legate al proprio ruolo come suggerito da Gray (2009).
Tuttavia, i risultati più significativi che emergono da questa ricerca sono le relazioni esistenti tra la componente di regolazione delle emozioni, dell’adattamento dei propri sentimenti ai sentimenti desiderati, e le dimensioni di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotto senso di riuscita professionale. 
Tali implicazioni rivestono un ruolo cruciale per lo specifico ambito in cui si inseriscono, essendo emerso dalle ricerche qualitative sul lavoro emozionale che il processo di guarigione di un paziente Henderson (2001) è correlato all’attività assistenziale svolta dagli infermieri.
Un ulteriore aspetto capace di giustificare la necessità di porre il focus di attenzione su questa tematica, deriva dagli studi condotti sulla trasferibilità della sindrome del burnout tra i lavoratori, i quali hanno evidenziato che i rischi relativi al burnout lavorativo non siano circoscritti al singolo lavoratore, ma essendo quest’ultimo in relazione con altri lavoratori, è possibile trasferire  i propri stati d’animo, incrementando la potenzialità lesiva di questa sindrome.
Si riporta di seguito una breve rassegna su questo aspetto con l’obiettivo si presentare l’indagine di questa dimensione come possibili ricerche future.

Burnout e lavoro emozionale:Risultati

Burnout e lavoro emozionale: Risultati

I risultati dell’Anova Univariata hanno dimostrato che i gruppi con diversa anzianità lavorativa hanno punteggi diversi in relazione alla domanda emotiva, cosi come è possibile riscontrare in tabella, dalla quale ad esempio si evince che i lavoratori con un’anzianità lavorativa che va dai 0 ai 5 anni hanno valori più alti (m=1.72; ds=.68) rispetto ai lavori con un’ anzianità lavorativa oltre i 21 anni (m= 1.47; ds= .82).

Figura 6. Confronto tra operatori con diversa anzianità lavorativa in relazione alla domanda emotiva

Tuttavia le differenze tra i gruppi considerati non risultano significative (F(3,149) = 1.393, sig= 247) per cui non si può attribuire all’anzianità lavorativa la differenza tra questi ultimi, risultato che suggerisce che nonostante l’acquisizione di esperienza, la percezione di stressrelativo alla domanda emotiva rimane invariato.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi, i risultati dell’indagine preliminare di  correlazione tra la dissonanza emotiva e la soddisfazione lavorativa, hanno rilevato una correlazione negativa tra le due variabili (r = -.186; sig =  .022; vedi Figura 5). Sulla base di questo risultato è possibile affermare che, come ipotizzato, all’incrementare della dissonanza emotiva diminuisce la soddisfazione lavorativa  e  viceversa all’incrementare della soddisfazione lavorativa, diminuisce la dissonanza emotiva. Tuttavia, tale risultato, non  permette di affermare che la presenza di dissonanza emotiva comporti una riduzione della soddisfazione lavorativa. Per sostenere tale ipotesi è stata pertanto condotta un analisi della regressione lineare.

I risultati di questa analisi hanno confermato l’esistenza di una relazione lineare negativa tra le due variabili (Beta = -.186, t= -2.32, sig = .022). Osservando il valore di R quadro corretto (R2 =.03), inoltre è possibile affermare che la dissonanza emotiva spiega circa il 3% della varianza della soddisfazione lavorativa.

Per la verifica della terza ipotesi, utilizzando il t-test abbiamo, rilevato che vi sono differenze significative tra le medie delle donne e quelle degli uomini nella frequenza di manifestazioni emotive (t(52) = -3.475; p= .001). Nello specifico, in media le femmine (m= 3.68; ds= .77 ) manifestano emozioni più frequentemente rispetto ai maschi (m= 2.90; ds= .85).

Il secondo confronto effettuato ha rilevato anche una differenza significativa nell’ intensità delle manifestazioni emotive rispetto al genere (t (51) =-2.105; p =.040). Nello specifico i risultati mostrano che in media le femmine (m = 3.102; ds =.998) manifestano emozioni più intense dei maschi (m = 2.526; ds =.873). Si può pertanto considerare verificata la terza ipotesi. Per quanto riguarda i risultati della quarta ipotesi si riportano di seguito i risultati delle tre regressioni lineari effettuate.

Figura 7. Risultati regressioni lineari

Note: **p< .01; * p<.05

La misura di quanto sia buona la previsione dell’insorgenza dell’esaurimento emotivo, della depersonalizzazione e del senso di riuscita professionale che riusciamo ad effettuare conoscendo i valori della regolazione superficiale delle emozioni è fornita dal coefficiente di determinazione R quadrato, i cui i valori variano da 0 a 1, dove zero indica che il modello non aita a conoscere i valori delle variabili dipendenti e 1 che il modello permette di determinare tutti i valori delle variabili dipendenti. In questo caso si sono ottenuti valori relativamente piccoli del coefficiente di determinazione ma comunque significativi. Il che significa che il modello permette una previsione causale delle dimensioni del burnout.

Come si evince dalla tabella il surface acting è un predittore positivo dell’esaurimento emotivo e la percentuale di varianza spiegata è del 13%. La percentuale di varianza spiegata invece sulla dimensione della depersonalizzazione è del 17%. Per quanto riguarda invece l’effetto del surface acting sul senso di riuscita professionale si evince una relazione negativa, per cui per un incremento del surface acting, ci si aspetta un decremento del senso di riuscita professionale. La percentuale di varianza spiegata è del 10%. Pertanto si può considerare verificata la quarta ipotesi.

 

 © Il ruolo delle emozioni in ambito sanitario: Lavoro emozionale e job burnout – Lucia Scotese

Burnout e Lavoro Emozionale: Analisi dei dati

Burnout e Lavoro Emozionale: Analisi dei dati

 

Per verificare la prima ipotesi è stato effettuato un confronto tra le medie, per verificare se esistono differenze significative tra i lavoratori con diversa anzianità lavorativa rispetto alla percezione che questi ultimi hanno della domanda emotiva.
A tal proposito, essendo la variabile indipendente (anzianità lavorativa) misurata su scala ordinale, e la variabile dipendente (domanda emotiva) misurata su scala a intervalli, è stata condotta un’Anova Univariata. Questo test permette di confrontare le medie di due o più gruppi confrontando la variabilità interna a questi gruppi con la variabilità tra i gruppi.
Per la verifica della seconda ipotesi è stata condotta un’analisi preliminare della correlazione tra le variabili dissonanza emotiva e soddisfazione lavorativa.
Il coefficiente di correlazione descrive il legame tra due variabili e, attraverso un indice, esprime l’intensità di questo legame. Essendo misurate a livello di scala a intervalli, il coefficiente di correlazione utilizzato è la “r” di Pearson. La significatività del risultato ottenuto ha giustificato l’ipotesi di una relazione causale tra la dissonanza emotiva e la soddisfazione lavorativa, motivo per cui successivamente è stata condotta un analisi della regressione lineare, che ha previsto come variabile indipendente la dissonanza emotiva e come variabile dipendente la soddisfazione lavorativa. A differenza della correlazione l’analisi di regressione lineare consente di stabilire se e in quale misura un cambiamento nella variabile indipendente determina un cambiamento nei valori della variabile dipendete.
Per la verifica della terza ipotesi, sull’esistenza di differenze significative tra maschi e femmine nella frequenza delle manifestazioni emotive e nell’intensità di queste ultime, sono stati effettuati due confronti tra le medie dei gruppi attraverso  il t-test per campioni indipendenti.
Anche per la quarta ipotesi, come per la seconda, si è partiti dall’analisi della correlazione (per pre-testare la validità di una relazione lineare tra la surface acting e l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e il ridotto senso di riuscita professionale (H.4).
Come è possibile riscontrare in Figura 5 esiste una correlazione positiva tra la surface acting e la depersonalizzazione (r = .432; sig = .001), una correlazione positiva tra surface acting e esaurimento emotivo (r = . 390; sig = .004) e una correlazione negativa tra surface acting e il ridotto senso di riuscita professionale (r= -.351; sig =.018). Pertanto ha senso ipotizzare una relazione causale, analizzabile con una regressione lineare.

Burnout e Lavoro Emozionale: Partecipanti e strumento

Burnout e Lavoro Emozionale: Partecipanti e strumento

Partecipanti

La presente  ricerca è stata condotta su 156 operatori sanitari, prevalentemente infermieri. Su tali dati verranno verificate le prime due ipotesi. Il 35.9% sono uomini e il 63.5% sono donne. I rispondenti hanno un età compresa tra i 23 e i 57 anni (media = 36.58; deviazione standard = 8.02 ). Riguardo l’anzianità lavorativa, la distribuzione è quella mostrata nelle tabella sottostante.
Figura 3. Distribuzione dei partecipanti in base alla loro anzianità lavorativa (N =156 )
Per quanto riguarda lo stato civile il 34.6% è coniugato, il 55.1% è nubile/ celibe, mentre il restante dichiara di essere convivente, separato, divorziato o libero. La maggior parte dei rispondenti non ha figli (69.2%), il 16.7% ne ha uno, il 10.9% ne ha due e il 2.6% ne ha tre.
Per quanto riguarda la distribuzione dei partecipanti secondo la qualifica professionale si rileva che il 3.8% sono infermieri coordinatori, l’89.1% sono infermieri, mentre la restante percentuale si compone di tecnici di laboratorio (0.6%) tecnici di radiologia (1.9%) e della prevenzione (0.6) e fisioterapisti (1.9%).
Il campione su cui verranno verificate le ipotesi relative al lavoro emozionale, si compone di 21 maschi e 35 femmine. L’età media è di 36,28 anni (ds = 7,44).
 Figura 4. Distribuzione dei partecipanti in base alla loro anzianità lavorativa (N =56)
Il 10.7% sono infermieri coordinatori, il 69.6% sono infermieri, il 5.4% sono fisioterapisti, la stessa percentuale si riscontra per i tecnici di radiologia, l’1.8% sono tecnici della prevenzione e l’1.8 sono i tecnici di laboratorio.
Per quanto riguarda lo stato civile il 30.4% è coniugato, il 58.9% è nubile/ celibe, l’8.9% è libero. Il 73,2% non ha figli, il 14,3%, il 5.4% ne ha due e la restante percentuale ne ha tre.
 Lo Strumento
Per misurare le variabili oggetto dell’indagine è stato utilizzato parte del questionario costruito sulla base della letteratura nazionale e internazionale dal  gruppo di ricerca di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni dell’ Università di Bologna, utilizzato in una ricerca condotta nel 2009 con l’obiettivo di individuare la presenza di criticità legate a fattori di rischio psicosociale e gli indicatori di disagio, di stress e di malessere organizzativo all’interno di un contesto ospedaliero.
Le dimensioni indagate in questa ricerca sono:
Dissonanza emotiva.  È stata misurata attraverso 4 item (ad esempio, “Devo esprimere emozioni positive nonostante io provi irritazione e rabbia.”), rispetto ai quali i partecipanti dovevano indicare quanto spesso provavano quell’esperienza (1 = mai o di rado;  2 =  2-3 volte al mese; 3 = 2-3 volte alla settimana; 4 = quasi tutti i giorni). Punteggi alti indicano un livello alto di dissonanza emotiva (Agervold &Mikkelsen, 2004) ;
Soddisfazione per il lavoro. Costituisce uno degli esiti più importanti del lavoro. È stato considerato come principale indicatore della qualità dell’esperienza lavorativa e del raggiungimento dei risultati attesi sia dalla persona che dall’organizzazione  È stata misurata attraverso un singolo item: “Complessivamente è soddisfatto del lavoro che svolge?” La risposta è stata data sulla base di una scala a 5 intervalli (1 = per niente soddisfatto; 5  = completamente soddisfatto ) (Wanous, Reichers e Hudy, 1997);
Domanda emotiva. E’  stata misurata attraverso  la scala adattata da Gray-Toft e Anderson (1981)  composta da 7 item per misurare il carico emotivo che le attività svolte quotidianamente dal personale sanitario comportano (relazionarsi con utenti sofferenti, dover comunicareesiti spiacevoli, il rapporto con la morte). Un esempio di item è  “Le capita di adottare procedure che per i pazienti rappresentano esperienze dolorose?”. La scala si compone di 5 livelli (0 = no; 1= si, ma non mi sento stressato; 2 = si e mi sono sento un po’ stressato; 3 = si e mi sento stressato; 4 = si e mi sento molto stressato );
Burnout. E’ stato misurato utilizzando un adattamento  della versione del Maslach Burnout Inventory (Maslach, e Jackson, 1981). Si compone di 16 item relativi alle tre diverse sotto dimensioni: esaurimento emotivo (“Si sente emotivamente logorato dal suo lavoro”),  depersonalizzazione (“Da quando ho cominciato a lavorare qui sono diventato più insensibile con la gente”),  ridotto senso di realizzazione professionale (“Penso di essere bravo/a nel mio lavoro”). Prevede una scala di risposta a 6 livelli dove 0=mai e 6=ogni giorno;
Per la rilevazione delle dimensioni del lavoro emozionale, oggetto di indagine di questo studio è stata utilizzata l’“Emotional labour scale” elaborata da Brotheridge e Lee (2003). La ELS  utilizza una scala Likert a 5 livelli con le seguenti risposte: mai (1), raramente (2), a volte (3), spesso (4), sempre (5). Le dimensioni sono: frequenza,  intensità , varietà,  durata dell’interazione, azione profonda (deep acting ) e di superficie (surface acting).
Nello studio di validazione degli autori le stime di consistenza interna (Alpha di Cronbach) per ciascuna sottoscala variavano da .74 a .91. Gli autori sottolineano l’importanza di distinguere le dimensioni surface e deep acting poiché ciascuna dimensione suggerisce uno stato interno fondamentalmente diverso e possono avere effetti differenziali sul benessere dei lavoratori. Nello specifico la surface acting comporta una spinta verso il basso dell’espressione autentica a favore di una maschera emozionale, mentre la modalità deep acting comporta una spinta di direzione opposta, nel tentativo di manifestare le emozioni richieste con un allineamento dei propri sentimenti. Lo stato finale del surface acting è un senso di inautenticità che riduce il senso di benessere. Oltre alla formulazione della scala, un ulteriore obiettivo degli autori è stato quello di esaminare come i sei aspetti di EL siano associati con le tre dimensioni del  burnout (Maslach & Jackson, 1986, cit. in Brotheridge & Lee,2003 ). I risultati hanno dimostrato che sia l’ esaurimento emotivo che la depersonalizzazione sono significativamente  correlati con la dimensione surface acting. Ciò suggerisce che la tensione emotiva è dovuta in larga parte allo sforzo  necessario  per nascondere i propri sentimenti veri  o a fingere di sentire quelli che sono stati espressi. Nello specifico della ricerca in questione, le dimensioni indagate del lavoro emozionale, relative alle ipotesi di ricerca sono:
Frequenza delle manifestazioni emotive. Un esempio di item è  “il lavoro le richiede di mostrare emozioni specifiche?”
Intensità delle manifestazioni emotive. Un esempio di item è  “esprime emozioni intense?”
Surface acting. Un esempio di item è  “finge di avere emozioni non realmente sentite”?
Si riportano di seguito i valori descrittivi delle dimensioni indagate, le correlazioni tra le variabili e i coefficienti Alpha di ciascuna dimensione.

Burnout e Lavoro Emozionale: Metodo

Burnout e Lavoro Emozionale: Metodo

 

 

Metodo
Con l’obiettivo di esplorare il ruolo del lavoro emozionale e della domanda emotiva in ambito sanitario, è stato somministrato un questionario ad un campione strategico di studenti del corso di laurea specialistica in scienze infermieristiche e ostetriche e agli studenti del master in “Management nell’Area Infermieristica e Ostetrica, Tecnico Sanitaria, Preventiva e Riabilitativa” dell’Università di Bologna.
È stata predisposta la compilazione del questionario via mail, a cui ha risposto il 40% degli studenti (N = 56).
La richiesta di partecipare alla ricerca si espressa in forma diretta e i partecipanti sono stati informati degli obiettivi generali della ricerca. Sulla base del loro interesse e adesione è stato inviato il questionario via mail, contente le istruzioni per la compilazione.
Su tale campione verranno verificate le ipotesi relative al lavoro emozionale (H.3, H.4).
Riconoscendo la limitata numerosità del campione,  per una maggiore significatività delle analisi statistiche, in relazione alla verifica delle prime due ipotesi i dati degli studenti (N = 56) saranno integrati ai  dati (N = 100) di altri operatori sanitari, ricavati da una  ricerca condotta dal gruppo di ricerca della facoltà di psicologia.
La giustificazione di tale operazione metodologia, risiede nel fatto che la presente ricerca non si pone come obiettivo un’analisi dei fattori di rischio del contesto lavorativo, per cui non risulta rilevante la provenienza dei partecipanti dal medesimo contesto.
Si intende piuttosto focalizzare l’attenzione sull’attività lavorativa, sulle peculiarità di quest’ultima, fortemente caratterizzata da connotazioni emotive e sull’incidenza di queste ultime   sulle dimensioni del burnout lavorativo.

Burnout e Lavoro Emozionale: obiettivi e ipotesi di ricerca

BURNOUT E LAVORO EMOZIONALE: QUALE RELAZIONE?

 

 

Obiettivi e ipotesi di ricerca

Questa ricerca, si propone l’obiettivo di contribuire ad un incremento in letteratura di studi centrati sul ruolo delle emozioni nei contesti professionali; in particolare di contribuire ad un incremento di studi quantitativi volti all’analisi della relazione tra il lavoro emozionale e il burnout lavorativo, nei contesti sanitari, specificatamente per quanto riguarda la professione infermieristica, che la letteratura riconosce come maggiormente coinvolta nel lavoro emozionale e che è stata studiata prevalentemente tramite l’utilizzo di metodologie qualitative.
In particolare, si propone di integrare le due prospettive di lavoro emozionale proposte, individuando il livello di domanda emotiva presente all’interno di questo ambito professionale (prospettiva job focus oriented)  e le implicazioni per il lavoratore  derivanti dall’esposizione a tale domanda (prospettiva employee-focused oriented). Nello specifico ciò che si  intende verificare è :
    • In una prospettiva job focus oriented, una differenza tra operatori sanitari con maggiore esperienza lavorativa, in relazione alla percezione della domanda emotiva, rispetto a coloro con minore anzianità lavorativa, secondo la prospettiva proposta da Smith (1992)  per il quale l’adattamento del lavoratore  alla domanda emotiva può essere concepito come una competenza che può quindi essere appresa sulla base dell’acquisizione dell’esperienza lavorativa  (H.1);
    • In una prospettiva employee-focused oriented, ma con forti ripercussioni anche in termini organizzativi , si intende verificare se la dissonanza emotiva ha un impatto sulla soddisfazione lavorativa, cosi come proposto da  Morris e Feldaman (1996) (H.2).  In letteratura, sebbene vi sia un considerevole accordo per quanto  riguarda la definizione di questo costrutto, diverse sono le posizione relative al rapporto di questa dimensione con il lavoro emozionale. Come accennato Morris e Feldaman (1996)  la intendono  come la quarta dimensione del lavoro emozionale, mentre ad esempio secondo Brotheridge e Lee (2003) la dissonanza emotiva non  viene considerata una componente del lavoro emozionale in quanto quest’ultimo non sempre comporta una dissonanza emotiva e i lavoratori possono effettivamente vivere le emozioni visualizzate (Ashforth & Humphrey, 1993). La posizione di Zapf (2002), è che essa sarebbe da considerare come una domanda lavorativa esterna, ancorata all’ambiente specifico di riferimento e alle sue situazioni sociali. Secondo l’autore,  infatti, le situazioni sociali che il lavoratore incontra non sono del tutto descrivibili in termini di regole di espressione e di parametri del lavoroemotivo (frequenza delle interazioni, durata, ecc.). In questa ricerca pertanto, sebbene venga testata l’ipotesi di Morris e Feldamn con l’obiettivo di verificare le implicazioni organizzative di tale dimensione, la dissonanza emotiva non sarà concettualizzata come componente del lavoro emozionale, mentre verrà analizzata la modalità di regolazione superficiale (surface acting), intesa come una possibile modalità di regolazione della dissonanza emotiva.
    • Di fornire un sostegno empirico alla letteratura per quanto riguarda l’esistenza di una differenza significativa fra maschi e femmine nella frequenza di manifestazione emotive e nell’intensità di queste ultime; di verificare nello specifico se le donne abbiano, per aspettative legate al proprio ruolo, maggiori manifestazioni emotive e di maggiore intensità  rispetto agli uomini. (H.3) (Gray,2009; Morris& Feldman, 1996 )
    • Sempre in una prospettiva employee-focused oriented, con l’obiettivo di porre attenzione sulle implicazioni per il benessere del lavoratore, di analizzare se il lavoro emozionale è in grado di predire l’insorgenza del burnout. Data la relativa numerosità del campione verrà presa in considerazione solo variabile surface acting e verrà analizzato l’effetto che quest’ultima ha sulle tre dimensioni del burnout lavorativo, nello specifico se la modalità di regolazione superficiale dei propri stati d’animo è in grado di predire l’insorgenza del burnout. (H.4) (Hochschild,1983; Martinez-Indigo, Totterdell, Alcover, & Holman, 2007;  Zapf & al.,2001).

 

Lavoro emozionale e burnout

Lavoro emozionale e burnout

 

La relazione esistente tra domanda emotiva, nello specifico il lavoro emozionale,  dissonanza emotiva e burnout è stata poco analizzata. Nelle ricerche sul burnout le alte domande emotive che risultano dalle interazioni con i clienti sono viste come caratteristiche dei lavori che forniscono servizi ma solo recentemente la domanda emotiva viene inclusa negli studi sul burnout. In precedenza gli studi piuttosto hanno analizzato le variabili sociali e organizzative come potenziali predittori del burnout.
Partendo da una prospettiva job-focused emotional labor, l’intuizione che le variabili sociali e organizzative non possano catturare la complessità del lavorare con i pazienti nell’ambito dell’assistenza sanitaria, e che fosse più appropriato per questa tipologia di lavoro includere oltre alle domanda psicologica e fisica anche quella emotiva è stata colta da De Jonge et al. (1999) che ha dimostrato su uno studio di 212 operatori di cura che l’introduzione della domanda emotiva contribuisce  a spiegare una percentuale maggiore di varianza relativa al burnout.
Nella stessa prospettiva altri autori  (Blanc, Bakker, Peeters,  Heesch & Schaufeli, 2001) hanno condotto uno studio per esplorare la relazione tra differenti tipi di domanda lavorativa e burnout in particolare sulle dimensioni di esaurimento emotivo e depersonalizzazione (considerate come il nucleo del bunout) su  un campione di 816 addetti all’assistenza oncologica.
L’obbiettivo di questo studio era quello si ampliare il modello di Karasek (1979) “domanda controllo”, includendo la domanda emotiva che è particolarmente rilevante per i servizi alla persona.
Nello specifico sono state incluse due tipi di domanda emotiva nel questionario. La prima è definita “problemi nell’interazione con i pazienti” e valuta l’ampiezza con la quale i rispondenti sono confrontati con domande quali pazienti aggressivi, non cooperativi e con aspettative irrealistiche. Il secondo tipo di domanda emotiva è nominata  “confronto con la morte”  che misura il grado con la quale i lavoratori sono confrontati con domande come la morte di diversi pazienti contemporaneamente, e il dover informare i parenti circa la morte di un paziente.
I risultati hanno dimostrato che l’inclusione della domanda emotiva, oltre alla domanda quantitativa, migliora significativamente la predizione del burnout tra coloro che prestano assistenza oncologica. In un altro studio longitudinale, con un intervallo di un anno  condotto da Vegchel e colleghi (2004), su un campione di 2255 dipendenti delle assicurazioni sociali, gli autori hanno indagato il ruolo delle variabili di moderazione “controllo lavorativo” e “supporto sociale” nella relazione tra domande lavorative e burnout. Per adattare lo studio a questa categoria professionale, gli autori hanno testato sia la domanda quantitativa che quella emotiva. La domanda quantitativa venne misurata con 4 item relativi al carico di lavoro e agli straordinari, in parte derivati da misure standard utilizzate nelle applicazioni del modello DC; mentre le domanda emotiva venne misurata con la scala sviluppata da M. Sòderfeldt (1997, citato in Vegchel, De Jonge, Soderfedeldt, Dormann & Schaufeli , 2004), composta da otto dichiarazioni relative agli sforzi emotivi sul lavoro.
Le ipotesi indagate in questo studio sono che le alte domande lavorative, il basso controllo e il basso supporto sociale (misurati nel tempo 1) conducessero ad avversi effetti sulla salute in termini di burnout e che gli effetti negativi delle alte domande potessero essere moderati dall’alto controllo e/o alto supporto sociale. I risultati delle analisi hanno dimostrato la validità delle ipotesi formulate, eccetto per la variabile supporto sociale. Per quanto riguarda l’esaurimento emotivo è stata riscontrata una forte associazione sia per le domande quantitative che emotive. Questo risultato è in linea con il modello domanda risorsa (Demerouti, Bakker, Nachreiner, & Schaufeli, 2001) il quale assume che le domande sono correlate positivamente all’esaurimento; inoltre la domanda emotiva era anche correlata positivamente con la depersonalizzazione, mentre non lo era la domanda quantitativa.
In una prospettiva employee-focused emotional labor, Zapf e coll. (2001) hanno condotto uno studio indagando  su un campione di 1241 lavoratori di diversi contesti (ospedale, banca, call center, asilo), la relazione tra gli stressors organizzativi e sociali, le variabili relative al lavoro emotivo (richiesta di mostrare emozioni positive e negative, richiesta di sensibilità emotiva, controllo sugli scambi emotivi e dissonanza emotiva) e il burnout. I risultati dalla regressione multipla gerarchica mostrano che le variabili relative al lavoro emotivo correlano con gli stressors organizzativi e sociali ed un unico contributo della variabile lavoro emozionale  nella predizione del burnout. Inoltre, la dissonanza emotiva risulta essere la variabile maggiormente predittiva delle dimensioni esaurimento emotivo e depersonalizzazione.
Un altro studio focalizzato sulle modalità di gestione delle emozioni è stato condotto su un campione di  345 medici di medicina generale che lavorano in una grande comunità urbana in Spagna (Martinez-Indigo, Totterdell, , Alcover, & Holman, 2007). L’analisi della regressione ha indicato che la regolazione delle emozioni aveva una associazione positiva con l’esaurimento emotivo, quando è stata effettuata utilizzando una modalità di  superficie.
Sempre nel tentativo di analizzare la relazione esistente tra la dissonanza emotiva e il burnout, Heuven e Bakker (2003) hanno condotto uno studio su un campione di 220 assistenti di cabina. L’ipotesi di questi autori era che oltre alle “classiche” variabili di  Karasek (1979) riscontrabili  nel modello domanda-controllo, la dissonanza emotiva avrebbe dato un contributo autonomo per spiegare la varianza nel Burnout (cioè, esaurimento emotivo e depersonalizzazione). I risultati di una serie di equazioni strutturali (SEM) hanno sostenuto questa ipotesi, in particolare emerse che la  dissonanza emotiva è stata il principale predittore di burnout in misura maggiore rispetto alle domande lavorative e alla mancanza di supporto. Un ulteriore studio che ha analizzato la relazione tra la  domanda emotiva, la dissonanza emotiva e il burnout è quello condotto da Bakker e Heuven (2006) su un campione di 108 infermieri e 101 ufficiali di polizia. Infermieri e poliziotti sono confrontati con situazioni quali morte, malattia, violenza, situazioni che scatenano reazioni emotive, mentre la loro professione richiede loro di inibire o sopprimere le emozioni che normalmente scaturiscono per reagire a queste situazioni. Pertanto gli autori  hanno ipotizzato che la domanda emotiva lavorativa, la quale richiede una regolazione delle emozioni, comporterà elevati livelli di dissonanza emotiva che condurrà a percepire un sentimento di esaurimento e cinismo. I risultati della SEM analisi hanno confermato questa ipotesi.

Stress e Burnout: riconoscere i sintomi e prevenire il rischio – Guida ISPESL

Stress e Burnout: riconoscere i sintomi e prevenire il rischio

Guida ISPESL per gli operatori sanitari

Sul portale dell’INAIL nella sezione dedicata agli approfondimenti è presente una pubblicazione INAIL – ex ISPESL dal titolo “Stress & Burnout“.

La guida vuole essere un contributo al processo di conoscenza e prevenzione dello stress e burnout oltre che uno strumento di formazione degli operatori e di diffusione delle informazioni.

Già da molti anni gli psicologi del lavoro hanno evidenziato che nell’uomo moderno il contesto sociale e lavorativo è quello maggiormente in grado di attivare risposte di stress, sia dal punto di vista comportamentale sia da quello fisiopatologico.

Gli studi che si sono occupati in particolare delle professioni sanitarie (attività che presuppongono un’azione diretta sulle persone e una relazione d’aiuto terapeutico) parlano di un fenomeno di disaffezione al proprio lavoro, chiamato (sindrome dell’operatore “ bruciato” ).

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (possiamo considerarlo come un tipo di stress lavorativo).

Generalmente nasce da un deterioramento che influenza valori, dignità, spirito e volontà delle persone colpite.

È una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata, ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.

Molti operatori socio sanitari devono confrontarsi, nel corso della loro esperienza lavorativa, con condizioni di “ stress e burnout” . Dover affrontare una situazione difficile può infatti indurre una reazione di adattamento nel soggetto coinvolto (stress) e quest’ultima può cristallizzarsi in una vera e propria sindrome (burnout).

L’operatore socio-sanitario ne è esposto più di altri lavoratori principalmente a causa della peculiarità dell’utenza per la quale lavora, ma anche per altre cause di diversa origine, come quelle riconducibili alla struttura degli ambienti, ai tempi ed alla organizzazione del lavoro, oppure ai rapporti relazionali con colleghi e superiori o alle non infrequenti ambiguità e contraddizioni relative al ruolo ricoperto, nonché all’insoddisfazione per la remunerazione non sempre gratificante.

Tutti questi fattori agiscono singolarmente e, soprattutto, tra loro associati provocando sovente dei sintomi riconducibili alla sindrome del burnout, come l’apatia, la perdita d’entusiasmo, il crollo delle motivazioni e il senso di frustrazione.

Per questo motivo il burnout deve essere considerata una malattia correlata principalmente all’attività lavorativa e, come tale, da prevenire.

L’indice della guida:

3 Presentazione

5 Introduzione

7 Lo stress: una definizione

11 Cos’è il burnout

13 I sintomi

17 Le cause

23 La prevenzione

27 Qualche consiglio

29 Normativa di riferimento

31 Per saperne di più: bibliografia, contatti e link utili

33 Cosa ho imparato su stress e burnout?

Questionario di auto-apprendimento

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Burnout

BURNOUT

Uno sguardo al fenomeno

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (possiamo considerarlo come un tipo di stress lavorativo). Generalmente nasce da un deterioramento che influenza valori, dignità, spirito e volontà delle persone colpite.

È una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata, ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.

Storia del burnout

Il termine burnout in italiano si può tradurre come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, è apparso la prima volta nel mondo dello sport, nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti.

Il termine è stato poi ripreso dalla psichiatra americana C. Maslach nel 1975, la quale ha utilizzato questo termine per definire una sindrome i cui sintomi evidenziano una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.

La Maslach definisce il burnout come una perdita di interesse vissuta dall’operatore verso le persone con le quali svolge la propria attività (pazienti, assistiti, clienti, utenti, ecc), una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in persone che, per professione, sono a contatto e si prendono cura degli altri.

Il contatto costante con le persone e con le loro esigenze, l’essere a disposizione delle molteplici richieste e necessità, sono alcune delle caratteristiche comuni a tutte quelle attività che hanno obiettivo professionale il benessere delle persone e la risoluzione dei loro problemi, come nel caso di medici, psicologi, infermieri, insegnanti, ecc..

Negli anni nella sindrome del Burnout sono state incluse altre categorie di lavoratori, tutti quei professionisti o lavoratori che hanno un contatto frequente con un pubblico, con un’utenza, quindi non più solo gli “helper” …, possono quindi far parte di tali categorie tanti liberi professionisti o dipendenti: l’avvocato, il ristoratore, il politico, l’impiegato delle poste, il manager, la centralinista, la segretaria ecc..

Il burnout viene considerato, da molti studiosi, non solo un sintomo di sofferenza individuale legata al lavoro (stress lavorativo), ma anche come un problema di natura sociale provocato da dinamiche sia sociali, sia, politiche, sia economiche; la sindrome può infatti interessare il singolo lavoratore, lo staff nel suo insieme e anche istituzioni (per esempio l’organizzazione dei soccorsi in situazioni di crisi come i Vigile del Fuoco, i Militari, le Forze dell’Ordine ecc.).

Le caratteristiche del burnout

La sindrome del burnout ha maggiore probabilità di svilupparsi in situazioni di forte divario tra la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel lavoro.

Molti contesti lavorativi richiedono una forte dedizione ed un notevole impegno, sia in termini economici sia in termini psicologici e, in certi casi, i valori personali sono messi in primo piano a scapito di quelli lavorativi. Le richieste quotidiane rivendicate dal lavoro, dalla famiglia e da tutto il resto consumano l’energia e l’entusiasmo del lavoratore.

Quando poi successo, conquista ed obiettivi (spesso troppo ambiziosi) sono difficili da conseguire, molte persone perdono la dedizione data a quel lavoro, cercano di tenersi a distanza pur di non farsi coinvolgere e, spesso, diventano cinici.

Il burnout ha manifestazioni specifiche:

    • Un deterioramento progressivo dell’impegno nei confronti del lavoro. Un lavoro inizialmente importante, ricco di prospettive ed affascinante diventa sgradevole, insoddisfacente e demotivante.
    • Un deterioramento delle emozioni. Sentimenti positivi come per esempio l’entusiasmo, motivazione e il piacere svaniscono per essere sostituiti dalla rabbia, dall’ansia, dalla depressione.
    • Un problema di adattamento tra la persona e il lavoro. I singoli individui percepiscono questo squilibrio come una crisi personale, mentre in realtà è il posto di lavoro a presentare problemi.

In sintesi le dimensioni tipiche del burnout sono:

    • Esaurimento. E’ la prima reazione allo stress prodotto da eccessive richieste di lavoro o da cambiamenti significativi. Quando una persona sente di aver oltrepassato il limite massimo sia a livello emozionale sia fisico: si sente prosciugata, incapace di rilassarsi e di recuperare, manca energia per affrontare nuovi progetti, nuove persone, nuove sfide.
    • Cinismo. Quando una persona assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e delle persone che incontra sul lavoro, diminuisce sino a ridurre al minimo o ad azzerare il propriocoinvolgimento emotivo nel lavoro e può abbandonare persino i propri ideali/valori. Tali reazioni rappresentano il tentativo di proteggere se stessi dall’esaurimento e dalla delusione, si pensa di essere più al sicuro adottando un atteggiamento di indifferenza, specialmente quando il futuro è  incerto, oppure si preferisce ritenere che le cose non funzioneranno più come prima, piuttosto che vedere svanire in seguito le proprie speranze. Un atteggiamento così negativo può compromettere seriamente il  benessere di una persona, il suo equilibrio psico-fisico e la sua capacità di lavorare.
    • Inefficienza. Quando in una persona cresce la sensazione di inadeguatezza, qualsiasi progetto nuovo viene vissuto come opprimente. Si ha l’impressione che il mondo trami contro ogni tentativo di fare progressi, e quel poco che si riesce a realizzare, appare insignificante, si perde la fiducia nelle proprie capacità e in sé stessi.

Le cause del burnout

In genere (ma superficialmente) si ritiene che il burnout sia in primo luogo un problema dell’individuo, le persone manifesterebbero tale disturbo a causa di difetti/caratteristiche del loro carattere, del loro comportamento o nella loro capacità lavorativa (vedi per esempio competenze). In base a questo punto di vista, sono gli individui a rappresentare il problema, e la soluzione sta nel lavorare su di loro o nel sostituirli.

Vari studi hanno dimostrato invece che il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale opera. Il lavoro (contesto, contenuto, struttura, ecc) modella il modo in cui le persone interagiscono tra di loro e il modo in cui ricoprono la propria mansione. Quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout aumenta.

La difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e di conseguenza il non riconoscere il problema con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita sono manifestazioni ben evidenti.

Inoltre il burnout non è affatto un problema che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia” contagiosa che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’èquipe, da un membro dell’èquipe all’altro e dall’èquipe agli utenti e può riguardare quindi l’intera organizzazione.

Alcune delle cause specifiche sono:

    • sovraccarico di lavoro
    • mancanza di controllo
    • gratificazioni insufficienti
    • crollo del senso di appartenenza
    • assenza di equità
    • valori contrastanti
    • scarsa remunerazione.

Maslach e Leiter (1997) hanno elaborato un nuovo modello interpretativo che si focalizza principalmente sul grado di adattamento/disadattamento tra persona e lavoro. Secondo questi autori la sindrome del burnout ha maggiori probabilità di svilupparsi quando è presente una forte discordanza tra la natura del lavoro e la natura delle persone che svolgono tale lavoro.

Queste discrepanze sono da considerarsi come i più importanti antecedenti del burnout e sono sperimentabili in sei ambiti della vita organizzativa: carico di lavoro, controllo, ricompense, senso comunitario, equità, valori. Maslach e Leiter (1997) hanno ridefinito il burnout come una erosione dell’impegno nel lavoro. Quest’ultimo, secondo gli autori, sarebbe caratterizzato da tre fattori (energia, coinvolgimento ed efficacia) che rappresentano i poli opposti delle dimensioni del burnout: impegno e burnout non sono altro che le due estremità opposte di un continuum.

Fattori che possono determinare la sindrome

Fattori individuali

Caratteristiche di personalità

  • introversione (incapacità di lavorare in équipe)
  • tendenza a porsi obiettivi irrealistici
  • adottare uno stile di vita iperattivo
  • personalità autoritaria
  • abnegazione al lavoro, inteso come sostituzione della vita sociale
  • concetto di se stessi come indispensabili
  • motivazione ed aspettative professionali

Inoltre esiste un tratto di personalità che è correlato alla sindrome (il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo )

Fattori socio-demografici

    • differenza di genere (donne più predisposte degli uomini)
    • età (primi anni si carriera si è più predisposti)
    • stato civile (persone senza un compagno stabile più predisposte)

Struttura organizzativa

Struttura di ruolo: distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di una organizzazione

Le tensioni sono generate da:

    • Ambiguità di ruolo: insufficienza di informazioni in relazione ad una determinata posizione
    • conflitto di ruolo:  esistenza di richieste che l’operatore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale
    • Sovraccarico:  quando all’individuo viene assegnato un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che non gli permettono di portare avanti una buona prestazione lavorativa
    • Mancanza di stimolazione: si riferisce alla monotonia dell’attività lavorativa
    • Struttura di potere: riguarda il modo in cui si stabiliscono i processi decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo, ovvero la possibilità dell’individuo di partecipare alla presa di decisione
    • Turnazione Lavorativa: La turnazione e l’orario lavorativo possono favorire l’insorgenza della sindrome; questo avviene più frequentemente nel personale infermieristico, essendo questo più soggetto ad un dispendio di energie psicofisiche, rispetto al personale medico.
    • Retribuzione inadeguata

La sintomatologia

La sindrome è caratterizzata da manifestazioni quali nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità delle persone, sia tra di loro sia verso terzi; si distingue dallo stress, (concausa del burnout), così come si distingue dalla nevrosi, in quanto non disturbo della personalità ma del ruolo lavorativo. Dal punto di vista clinico (psicopatologico) i sintomi del burnout sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo, e sottolineano la particolare tendenza alla somatizzazione e allo sviluppodi disturbi comportamentali.

Il soggetto colpito da burnout manifesta:

    • Sintomi aspecifici (stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, irrequietezza, insonnia)
    • Sintomi somatici: insorgenza di patologie varie(ulcera, cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.)
    • Sintomi psicologici: rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, negativismo, indifferenza, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, isolamento, sensazione di immobilismo, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi.

Tale situazione di disagio molto spesso porta il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo.

Da un punto di vista psicopatologico la sindrome del burnout si differenzia dalla sindrome da disadattamento (sociale o lavorativo o familiare o relazionale), si verifica all’interno del mondo emozionale della persona ed è spesso scatenata da una vicenda esterna.

Per evitare che la sindrome del burnout, deteriori sia la vita lavorativa, sia la vita privata della persona, bisogna intervenire con efficacia.

SEGNI E SINTOMI DELLO STRESS LAVORATIVO

  • Alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno
  • sensazione di fallimento
  • rabbia e risentimento
  • senso di colpa e disistima
  • scoraggiamento ed indifferenza
  • negativismo
  • isolamento e ritiro (disinvestimento)
  • senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno
  • guardare frequentemente l’orologio
  • notevole affaticamento dopo il lavoro
  • perdita di sentimenti positivi verso gli utenti
  • rimandare i contatti con gli utenti, respingere le telefonate dei clienti e le visite in ufficio
  • avere un modello stereotipato degli utenti
  • incapacità di concentrarsi o di ascoltare ciò che l’utente sta dicendo
  • sensazione di immobilismo
  • cinismo verso gli utenti; atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti
  • seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate
  • problemi d’insonnia
  • evitare discussioni di lavoro con i colleghi
  • preoccupazione per sé
  • maggiore approvazione di misure di controllo del comportamento come i tranquillanti
  • frequenti raffreddori ed influenze
  • frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali
  • rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento
  • sospetto e paranoia
  • eccessivo uso di farmaci
  • conflitti coniugali e famigliari
  • alto assenteismo

Sintomi fisici

  • stanchezza
  • necessità di dormire
  • irritabilità
  • dolore alla schiena
  • cefalea
  • stanchezza agli arti inferiori
  • dolori viscerali
  • diarrea
  • inappetenza
  • nausea
  • vertigini
  • dolori al petto
  • alterazioni circadiane
  • crisi di affanno
  • crisi di pianto

Sintomi psichici

  • stato di costante tensione
  • irritabilità
  • cinismo
  • depersonalizzazione
  • senso di frustrazione
  • senso di fallimento
  • ridotta produttività
  • ridotto interesse verso il proprio lavoro
  • reazioni negative verso familiari e colleghi
  • apatia
  • demoralizzazione
  • disimpegno sul lavoro
  • distacco emotivo

Cosa fare praticamente

Riconoscere la sindrome del burnout non è così facile, spesso si tende a ricondurre il tutto come un problema dell’individuo e non del contesto lavorativo nel suo insieme.

Le organizzazioni quasi sempre ignorano questo problema e questo rappresenta un errore molto pericoloso, in quanto il burnout può incidere pesantemente sull’economia dell’intera organizzazione.

La risoluzione del fenomeno burnout dovrebbe essere affrontata sia a livello organizzativo che a livello individuale, l’organizzazione che si assume la responsabilità di affrontare il burnout, lo può gestire in modo garantirsi il proprio personale produttivo nel tempo.

Un’organizzazione che agisce a sostegno dell’impegno nel lavoro è un’organizzazione forte.

L’aiuto maggiormente efficace per la singola persona è sicuramente un intervento da parte di un professionista competente in materia che possa fornire strumenti cognitivi, favorire una maggiore comprensione/consapevolezza del problema, aiutare a comprendere le relazioni esistenti tra il comportamento personale, il proprio vissuto ed il contesto di vita e lavorativo, modificare il proprio comportamento e i propri atteggiamenti in coerenza con quanto acquisito.

Ma tali interventi sul singolo non sono semplici: il singolo può avere difficoltà a rivolgersi ad uno psicologo per farsi aiutare, ciò a causa sia di pregiudizi verso la categoria di professionisti che si occupa di tali problematiche, sia perché spesso non è in grado di chiedere aiuto e/o si imbatte in altre categorie di professionisti non competenti in tali materie. Purtroppo ancor oggi molti preferiscono pensare di avere un problema organico invece di accettare l’idea di poter avere un problema psicologico anche se causato da fattori esterni.

Interventi per fermare/ affrontare/superare/prevenire il burnout

In letteratura ci sono molte strategie per la prevenzione del burnout. Anche la Maslach indica la necessità di focalizzarsi sia sull’individuo sia sul luogo di lavoro.

Oggi il burnout rappresenta un rischio troppo elevato per ogni contesto organizzativo: i costi economici, la produttività ridotta, i problemi di salute e il generale declino della qualità della vita personale o lavorativa (tutte possibili conseguenze di questa sindrome) sono un prezzo troppo alto da pagare.

E’ dunque consigliabile l’adozione di un approccio preventivo per affrontare il problema burnout.

Il modo migliore per prevenire il burnout è sicuramente puntare sulla promozione dell’impegno nel lavoro. Ciò non consiste semplicemente nel ridurre gli aspetti negativi presenti sul posto di lavoro, ma anche nel tentare di aumentare quelli positivi. Le strategie per aumentare l’impegno sono quelle che accrescono l’energia, il coinvolgimento e l’efficacia, sostenendo i lavoratori, permettendo loro di affermarsi tra i loro colleghi, lasciando loro dell’autonomia nelle decisioni da prendere ed offrendo loro un’organizzazione del lavoro chiara e coerente, ecc.

Esempi di azioni :

Azioni possibili a livello individuale:

  • porsi degli obiettivi realistici
  • variare la routine
  • fare delle pause
  • prevenire il coinvolgimento eccessivo nei problemi della vittima
  • favorire il benessere psicologico e bilanciare frustrazione e gratificazione
  • applicare tecniche di rilassamento fisico e mentale
  • separare lavoro e vita privata, per evitare la propagazione del malessere nella vita familiare

Azioni possibili a livello sociale:

  • rafforzamento della relazione con amici e familiari allo scopo di compensare i sentimenti di fallimento e frustrazione legati alla vita lavorativa,volontariato,ecc.
  • rafforzamento delle relazioni positive con altri soccorritori da cui possono derivare riscontri positivi,sostegno,utili confronti.

Azioni possibili a livello istituzionale:

  • incontri con il personale dei diversi livelli per fluidificare i rapporti e risolvere le conflittualità
  • riorganizzazione del lavoro per renderlo più vario ed interessante
  • promuovere il confronto tra le aspettative delle vittime e gli obiettivi del servizio, per evitare equivoci.

Altri esempi … (.. dimensioni su cui influire per prevenire lo stress..)

  • Caratteristiche dell’ambiente nel quale il lavoro si svolge
  • Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
  • Riconoscimento e valorizzazione delle competenze
  • Comunicazione intraorganizzativa circolare
  • Circolazione delle informazioni
  • Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
  • Clima relazionale franco e collaborativo
  • Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
  • Giustizia organizzativa
  • Apertura all’innovazione
  • Stress e conflittualità.

A livello organizzativo sono necessarie strategie volte a promuovere l’impegno professionale e l’armonia tra operatore e posto di lavoro, di seguito alcuni esempi:

  • condividere la gestione del carico di lavoro con il gruppo
  • creare e alimentare il senso di squadra
  • partecipare attivamente al processo decisionale: personalizzazione dello stile, adattamento degli orari
  • comunicare: chiarezza dei messaggi; obiettivi realistici e credibili
  • riconoscere una ricchezza nelle diversità: cogliere le potenzialità positive nell’incontro con alunni, operatori e colleghi
  • crescere professionalmente: formazione e cultura dell’approfondimento

Dr. Andrea Castello – Dr.ssa Irene Borgia

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