Articoli

Gaffe e E-reputation

Gaffe e E-reputation

Foto di TeroVesalainen da Pixabay

 

Riassumendo i paragrafi precedenti, la vita sociale si divide in spazi di palcoscenico, di ribalta, spazi pubblici in cui le persone inscenano una precisa rappresentazione e spazi privati di retroscena, dove gli attori si sentono liberi e in cui adottano un comportamento più informale. Accade così che il comportamento pubblico può contraddire quello privato, Goffman cita l’esempio di persone molto sicure sul lavoro che possono mostrare invece grandi debolezze nella vita privata. Naturalmente per evitare quelle che Goffman chiama gaffes, il gruppo di audience non deve mai accedere alle situazioni di retroscena che smentiscono il comportamento pubblico.

Gli individui, sulla scena sociale, interpretano una parte, richiedendo implicitamente agli osservatori di prenderli sul serio. Goffman parla di persona attraverso il concetto di maschera, la quale rappresenta l’Io che ognuno vorrebbe essere, ma che spesso deve impersonare. Il pubblico può essere convinto o meno della parte e l’attore può essere:

  • sincero, se crede nell’impressione che comunica agendo;
  • cinico, se non è convinto della propria routine e non si cura dell’opinione del pubblico, ma non vuol dire che agisca negativamente, perché può anche ingannare il suo pubblico credendo di agire a fin di bene (ci sono attori cinici ai quali il pubblico non permette di essere sinceri).

Ovviamente, ci sono momenti di transizione tra sincerità e cinismo, in cui l’attore tenta di indurre al pubblico a un giudizio su di lui, ma allo stesso tempo dubita della validità di questo giudizio o di meritarlo, fino a una sorta di auto-illusione.

Il Web più che agevolare la spudoratezza e l’esibizionismo del sé, amplifica le occasioni di imbarazzo a causa della facilità di circolazione dei contenuti da una pagina personale a un’altra o, addirittura, da un social all’altro.

Le figuracce digitali, imbarazzo e vergogna provocati dalle gaffe sono le circostanze che caratterizzano l’imbarazzo, vero e proprio, che assumono in questo caso sfumature virtuali. Sono questi casi che dimostrano che la vergogna continua ad essere un’emozione  presente nelle dinamiche relazionali, che governa gli ambienti reali e quelli virtuali e che si configura quindi come figuraccia digitale.

I casi di svergogna digitale generano anche effetti di carattere sociale ed identitario. Si collegano al tema della reputazione, da un lato e dell’indignazione, dall’altro. E in questi casi la Rete amplifica l’effetto: i contenuti sono più visibili e disponibili per tutti gli utenti e la figuraccia/gaffe si trasforma in un tormentone digitale, dagli effetti molte volte imprevedibili.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

Ribalta e retroscena in Rete

Ribalta-retroscena in Rete

 

Ribalta e retroscena stanno ad indicare rispettivamente lo spazio della rappresentazione, cioè quando siamo sulla scena e quello dove invece possiamo agire con più disinvoltura, cioè quando siamo da soli, dove non recitiamo.

Per Goffman[1] il retroscena non esiste perchè anche se siamo da soli, ogni parte ha il suo copione, per esempio tolti gli abiti dell’impiegato in ufficio si devono indossare quelli del buon padre e del buon marito. Goffman viene spesso associato a Pirandello, ma a differenza di Pirandello che crede che sotto le maschere c’è personalità, per il sociologo la personalità dell’uomo non esiste e se c’è non influisce.

In Rete possiamo dire che siamo protetti dal monitor del computer che ci fa da barriera e potendo scegliere cosa rendere pubblico, lo spazio di retroscena è molto ampio e protetto e la ribalta permette una rappresentazione del sé molto ben studiata. Frequentando i social network capita molto spesso invece, che il retroscena sparisca del tutto, l’identità si mostri in tutte le sfaccettature anche involontariamente.

In realtà non è proprio così: quando siamo in rete, non sappiamo chi sarà il pubblico della nostra ribalta, per cui tutto quello che di noi esce in rete è appannaggio di situazioni differenti, che possono essere anche in aperto conflitto tra loro. Il retroscena esiste sempre, ma va sempre più in profondità.

Allo stesso tempo la presenza in rete è una situazione che può essere in qualche modo definita: difficilmente faremo uscire il nostro lato più privato, ma dato che non sappiamo chi sta dall’altra parte dello schermo, e non possiamo definire chi leggerà il nostro blog, chi visiterà il nostro profilo Facebook, chi ci seguirà su Twitter, chi guarderà le nostre foto, saremo necessariamente più trasparenti e meno costruiti.

Ecco perché molte applicazioni hanno l’opzione di creare gruppi privati, permettondo così una ridefinizione degli spazi di ribalta e retroscena, e la creazione di aree dove lo stress sociale causato dall’impossibilità di controllare la situazione sia minore.

Tutti i giorni accediamo ai nostri profili sui social network, ci facciamo gli affari altrui, rendiamo pubbliche alcune delle nostre cose, chattiamo con amici e via dicendo.

Tutte queste pratiche sono apparentemente normali, routine per noi, in realtà, in questi luoghi virtuali, al giorno d’oggi, si mischiano molto della nostra vita pubblica e privata. Goffman ha definito come ribalta e retroscena gli spazi dove recitiamo e dobbiamo tenere certi comportamenti e dove si sta “dietro le quinte” e si possono assumere comportamenti più, diciamo, rilassati.

Se ci facciamo caso, vedi Facebook in special modo o Twitter, noteremo che i nostri spazi di ribalta e retroscena vengono messi sempre più a nudo, viene meno il confine tra offline e online: ad esempio vengono pubblicate foto in bagno, quindi ciò che un tempo veniva relegato nel retroscena diventa oggi pubblico/ribalta.

Con l’avvento dei social network si sono moltiplicati i mondi sociali e i contesti di ribalta in cui l’individuo mostra sé stesso agli occhi degli altri. L’aumento delle opportunità di presentare noi stessi insieme alle nuove tecnologie hanno dato vita a un nuovo contesto all’interno del quale diventa abitudinario correggere, manipolare e ritoccare l’immagine di sé affinché si possa apparire migliori. La possibilità di costruire la propria identità, in linea con i valori più enfatizzati in una data società, è una delle trasformazioni più importanti portate da internet.

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

Per Goffman[2] si recita sempre, parla di un sé performante dove nei retroscena la nostra rappresentazione è più informale. Mettiamo in scena tutto perchè tutto fa spettacolo

[1] Goffman E., Il rituale dell’interazione, 1967.

[2]  Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

Deferenza-contegno in Rete

Deferenza-contegno in Rete

Image by PublicDomainPictures from Pixabay

 

Due aspetti sono cruciali nell’interazione sociale secondo Goffman[1]:

  • la deferenza, ossia lo strumento simbolico attraverso il quale l’attore sociale comunica il proprio apprezzamento nei confronti dell’altro o di ciò che l’altro rappresenta. È quell’atteggiamento che esprimiamo attraverso attività cerimoniali che esprimono apprezzamento verso gli altri, questo comportamento può definirsi anche ipocrita, ma non ci interessa perché studiamo il comportamento nel’interazione;
  • il contegno, ossia lo strumento simbolico attraverso il quale l’attore sociale dimostra agli altri di possedere determinate qualità. È un atteggiamento che si esprime con la postura, l’abbigliamento ecc.. (cerchiamo di dare un’immagine di noi stessi recitando una parte) miriamo a sottolineare la nostra dignità e adeguatezza alla situazione. Se invadiamo un self rompiamo l’applicazione delle norme.

La deferenza si dimostra anche con il rispetto delle aspettative di intimità e/o distanza dalla sfera di intimità: la prossemica[2]. Solitamente più cresce lo status sociale e più aumenta la distanza da tenere nei confronti dell’altro; un’indebita invasione della sfera di intimità equivale ad una squalificazione. L’accesso alla sfera intima dell’altro può giustificarsi solo con relazioni di familiarità oppure per esigenze tecniche (asimmetria). Deferenza e contegno, nella realtà concreta, si intrecciano costantemente. Comportandosi con contegno si guadagna deferenza, ma la mancanza di deferenza da parte di altri non giustifica l’abbandono del proprio contegno. Ciò che è deferente in una società può non rispettare le regole del contegno in un’altra..

Nella Rete, secondo ciò che dice Goffman[3], ci sono quindi delle norme che preservano l’interazione e ci permettono di capire chi abbiamo di fronte. Nei profili che abbiamo nei social network e nei blog possiamo associare la deferenza al modo in cui le persone assumono sicurezza e fiducia esprimendo apprezzamento nei confronti degli altri utenti della rete attraverso i “rituali di discrezione”, volti a mantenere intatte le sfere ideali e private degli individui ed i “rituali di presentazione”, utili per onorare gli individui tramite post, saluti, complimenti con i like.

Il contegno indica il modo in cui la gente presenta sé stessa come affidabile e credibile, come individui su cui proiettare aspettative e dare fiducia, pratica utile per presentare al meglio il Personal Brand.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1] Goffman E., Il rituale dell’interazione, 1967.

[2]   La prossemica è una disciplina che studia che cosa siano lo spazio personale e sociale e come l’uomo li percepisce. La comunicazione non verbale in Internet tende, sia pur progressivamente, a modificare le precedenti acquisizioni mentali generate dalla comunicazione interpersonale attuata in condizioni di vicinanza. Internet tende ad annullare le distanze fisiche e mentali, liberando l’individuo dalle coercizioni dipendenti e dalle componenti prossemiche piu’ proprie delle comunicazione faccia a faccia.

[3]  Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

La faccia secondo Goffman

La faccia secondo Goffman

Perchè parlare di Goffman per il Personal Branding?

In un certo senso già le intuizioni di Goffman[1], relative alla comunicazione faccia a faccia, anticipavano la lettura che possiamo dare delle interazioni sociali della comunicazione in Rete. L’idea suggestiva introdotta da Goffman della natura cerimoniale del self sdrammatizza il problema della molteplicità occasionale dei riconoscimenti reciproci, trasformando l’identità in un’immagine fuggevole di noi stessi che via via presentiamo agli altri, entro una cornice di buone maniere, di deferenza, di contegno che salvano la faccia e l’illusione di coerenza.

Il riferimento di Goffman all’interazione faccia a faccia e alla molteplicità del Sé può essere applicato all’interazione mediata dal computer, dove la comunicazione avviene nell’interazione tra soggetti in Rete in assenza del corpo.

Sulla scena virtuale, ancora più che su quella reale, vi è un soggetto mobile, che sceglie dietro quale maschera presentarsi che può essere differente a seconda dei social network in cui predispone un profilo; quindi l’identità è costituita da tanti self quante sono le cornici interattive.

In Rete come nell’interazione interpersonale faccia a faccia, il Personal Branding agisce sulla parte più manipolabile del Sé, quella influenzabile dall’interazione e perciò emerge una sorta di parallelismo tra la comunicazione interpersonale mediata del Personal branding online e l’interazione faccia  a faccia analizzata da Goffman[2].

Erving Goffman[3], sociologo canadese, nella prima metà dl ‘900 ha studiato le interazioni faccia a faccia: esse non avvengono a caso, ma seguono precisi codici e rituali, infatti, parla proprio di rituale dell’interazione, cioè il comportamento degli individui a seconda della situazione.

Secondo Goffman l’interazione personale si rifà ad un modello drammaturgico: cioè le azioni quotidiane degli individui sono simili a diversi script teatrali da mettere in scena, a seconda dell’inquadramento della situazione. La vita sociale viene intesa come un intreccio di molteplici e differenti allestimenti scenografici con un’adeguata rappresentazione dell’identità sociale di sé, o meglio il self. Ogni rappresentazione del self viene legata allo status che viene riconosciuto dagli altri individui che partecipano all’interazione.

L’interazione faccia a faccia tra individui si configura come un rituale: l’interazione è una situazione di compresenza tra due o più persone, all’interno della quale gli attori possono negoziare, interagire e improvvisare, ma entro una serie non infinita e non casuale ovvero ordinata di possibilità. Il rituale dell’interazione secondo Goffman prevede tre elementi:

  • almeno due persone fisicamente presenti;
  • che focalizzano l’attenzione sullo stesso oggetto o azione;
  • che condividono uno stato d’animo o un’emozione.

Durante l’interazione ognuno presenta e rivendica un’immagine di sé e questa immmagine è definita faccia. Essa consiste in un sistema di comportamenti che viene riconosciuto socialmente. La faccia corrisponde ad una linea di condotta che gli altri riterranno assunta in modo durevole. Il fatto di essere in grado di conservare la propria faccia è un aspetto essenziale per la tranquillità nella vita sociale. Ci permette di agire come se conoscessimo gli altri e fossimo da essi conosciuti.

Quando gli altri si comportano in maniera differente dal previsto, il cambiamento crea sconcerto e indignazione: ci sentiamo traditi, perchè le nostre aspettative sono state violate. Se la scoperta di un errore nel sistema di valutazione della faccia di un attore sociale è collettiva allora si parla di scandalo. Possiamo dire che la faccia è una sorta di precondizione per poter stare nella società, ed è una precondizione continuamente soggetta a giudizio.

La faccia è come una maschera che cambia a seconda degli ascoltatori e delle diverse interazioni sociali. Le persone si attaccano emotivamente alle loro facce e cercano di mantenerle; nel momento in cui la perdono soffrono e cercano di usare strategie di cortesia nelle interazioni sociali in modo da garantire l’uno la faccia dell’altro.

La legittimità di una faccia dipende dai fatti passati e implica considerazioni su quelli futuri. Ecco perché l’interazione con gli altri provoca reazioni emotive che ci portano a mettere in campo azioni di “attaccamento” e di difesa della nostra faccia. Queste azioni sono note come dignità e compostezza, il cosiddetto savoir-faire sociale. Chi dimostra di essere poco abile in tale attività, magari troppo aggressivo, corre il rischio di essere incompreso e scarsamente valorizzato socialmente.

L’accettazione da parte degli altri della nostra faccia è un rituale che dimostra che noi siamo ritenuti degni di fiducia da parte degli altri e della società.

Quando c’è un contrasto nell’interpretazione della faccia di un attore sociale, si mettono in atto strategie per consentire all’attore stesso di salvarsi la faccia. Le strategie tipiche sono tre:

  • la sfida: si richiama l’attenzione dell’attore sulla sua condotta negativa e si chiede che l’offesa venga ripagata;
  • l’offerta: si offrono vie d’uscita, minimizzare l’accaduto o ricondurlo ad un contesto scherzoso;
  • la risposta: accettazione o rifiuto dell’offerta da parte dell’attore.

Un’altra strategia messa in atto per evitare di perdere la faccia è il cosiddetto processo di elusione che consiste nell’evitare tutte le interazioni che possono comportare un pericolo per l’immagine di qualcuno. Alcuni esempi di manovre elusive sono: evitare gli argomenti che possono contraddire la condotta scelta, parlare delle proprie capacità con modestia o ironia, neutralizzare preventivamente le mosse potenzialmente aggressive, consigli utili per presentare al meglio il proprio personal brand nei social media.

Nella comunicazione la faccia, analizzata da Goffman[4], è ciò che ogni individuo mette in gioco nelle relazioni con gli altri, ovvero corrisponde all’immagine di sé.

Questo concetto descrive quindi la dimensione psico-sociale delle interazioni tra gli individui. L’approccio del sociologo canadese possiamo definirlo anti-psicologico perchè tiene conto solo delle performance dell’attore sociale e si focalizza solo sugli aspetti interazionali. La faccia è quindi il valore sociale positivo, che ognuno rivendica attraverso il suo comportamento, la linea che adotta ogni volta che si trova in una situazione di comunicazione. Goffman[5] ha analizzato il modo in cui ognuno di noi cerca di far accettare l’immagine di sé che si è costruito per gli altri e i processi atti a preservare la propria faccia sono descritti come azioni difensive: un po’ quello che succede per mantenere la reputazione e la credibilità nei social media oggi.

Il web e gli spazi offerti dai social network hanno creato dei nuovi ambienti virtuali e messo a disposizione degli utenti della rete nuove tecnologie di comunicazione, che permettono sia di esibire una forma della propria rappresentazione in pubblico, sia nuove tecniche di comunicazione tra gli utenti. In questo modo gli individui, attraverso la proiezione di Sé stessi nella rete e la gestione dei comportamenti indirizzati agli interlocutori, mettono in scena la stessa dinamica della rappresentazione teatrale di Goffman[6] all’interno degli spazi mediati dai social network anziché nelle interazioni faccia a faccia.

Le consuete interazioni faccia a faccia, infatti, non avvengono a caso, ma seguono precisi codici e forme “rituali” che, anche se non sono scritti da nessuna parte, hanno una certa forza prescrittiva. Anche se non ne siamo consapevoli, mentre siamo immersi nel flusso delle nostre azioni quotidiane, la nostra vita pubblica può dunque essere paragonata a una rappresentazione teatrale, a una messa in scena.

Ogni comunicazione contiene una notizia, ma è la modalità adottata per esprimerla a definire il tipo di relazione che c’è tra i comunicanti e la reciproca consapevolezza del ruolo che rivestono uno per l’altro.

Questi concetti sono da tenere presenti anche quando si scrive sul web. È bene mantenere presente che ciò che scriviamo non è interpretabile solo dal singolo destinatario del messaggio, ma da un numero indefinito di individui, sia nel tempo che nello spazio, perciò capire quando e quanto scrivere di sé e delle proprie esperienze personali è fondamentale: parlare di sé, anche sul web, è utile all’avvio di una relazione quando si cerca di creare empatia fra i comunicanti, mettendo in comune modelli, valori, informazioni ed esperienze.

Applicando i concetti di Goffman alla comunicazione attraverso i social network, Facebook è come un enorme palcoscenico digitale dove noi costruiamo il nostro ruolo sociale in maniera assolutamente minuziosa: scelta della foto del profilo, scelta degli interessi da inserire nel profilo, scelta delle applicazioni da usare, scelta del criterio con cui accettare inviti da amici o estranei, scelta del linguaggio da adottare e così via dicendo.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1]  Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

[2] Goffman E., I giochi di faccia, 1971.

[3] Goffman E., Il rituale dell’interazione, 1967.

[4] Goffman E., Il rituale dell’interazione, 1967.

[5] Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

[6]  Goffman E., The Presentation of Self in Everyday Life. La vita quotidiana come rappresentazione, Garden City: Doubleday, 1959.

Personal Branding con Google

Personal Branding con Google

Tommaso Sorchiotti, afferma:

“Sul web tu non sei tu, sei quello che dice Google!”[1].

I recruiter che devono valutare un CV prima ancora di leggerlo cercano il nome del candidato su Internet.

É determinante per tutti saper gestire la propria presenza online. Ciò significa innanzitutto avere dimestichezza con le impostazioni sulla privacy dei vari social network, ma soprattutto capire l’importanza di portare avanti un progetto personale e sapere come renderlo Google friendly.

Come scrive Antonino Caffa in un articolo della Stampa Tecnologia[2]:

“Forse non è così chiaro come sembra ma la reputazione online è un’arma a doppio taglio, molto pericolosa. Alzi la mano chi non si affidi alle recensioni online prima di prenotare una vacanza, un week-end o solo una sera al ristorante fuori città. Una recensione negativa , una denuncia o solo la realtà dei fatti può essere la rovina (o la fortuna dipende) dei potenziali clienti che cercano online i commenti di chi ha provato un servizio prima di noi. Questo problema, sottovalutato, del secolo in corso ha una soluzione: la gestione della reputazione online.

Non è un caso che aziende e brand siano sempre alla ricerca di persone che sappiano mettere in risalto le qualità e i pregi di un marchio su internet. L’effetto di una recensione disastrosa oppure il commento di un ex-dipendente nei confronti del datore di lavoro possono avere un effetto devastante per un business che si basa molto sull’online Per questo la corsa alla gestione della reputazione online sembra essere un tema al quale tengono non solo le aziende ma anche gli individui. (…)

Un primo avvertimento a controllare bene cosa si posta online lo suggerisce Google, più di una volta sulla graticola per la gestione delle informazioni personali dei suoi utenti. Nella sezione “Gestione della reputazione online”, Google spiega come “Oggi circola sul Web una quantità sempre maggiore di informazioni personali. Ad esempio, qualche tuo amico potrebbe menzionare il tuo nome su un social network o taggarti in alcune foto online, oppure il tuo nome potrebbe comparire in un post su qualche blog o in un articolo”. Pochi sanno che se c’è un contenuto che ci riguarda, visibile nei risultati di ricerca di Google, si può chiedere di rimuoverlo attraverso l’Esclusione delle informazione personali da Google o attraverso la Rimozione di una pagina o unsito dai risultati di ricerca di Google.”

Ogni Personal Brander vuole apparire nelle prime posizioni dei risultati dei motori di ricerca poiché più i risultati della ricerca saranno alti, più il Brand avrà autorevolezza. È importante quindi, che l’utente ed il relativo Brand appaiano ai primi risultati delle ricerche soprattutto per quelle fatte per nome e cognome e professione.

Per massimizzare la ricerca del proprio nome su Google è opportuno prestare attenzione ad alcuni semplici accorgimenti[3]: il dominio e il titolo, il nome proprio o dell’azienda devono essere sempre compresi nel nome del dominio ed anche nel titolo della homepage; è fondamentale utilizzare semplici parole chiave ed in questo caso la scelta delle parole chiave deve essere oculata sulla base della densità ( il numero di parole chiave all’interno del testo totale, compresa tra 3-6%), frequenza (quante volte la stessa parola chiave viene riportata nella pagina web, maggiore è il numero di volte maggiore è la rilevanza della pagina per Google), prossimità (vicinanza tra parole chiave) e prominenza (utilizzare le parole chiave nella parte alta della pagina).

Altrettanto influenti sono i meta tags, si tratta di ricorrere a linguaggi HTML utilizzati per dare informazioni ad utenti e/o motori di ricerca sulle pagine, l’utente utilizzatore non può vederli. Importante è l’aggiornamento frequente dei contenuti delle pagine, il traffico del sito, in questo caso è opportuno ricorrere ai SEO, blog e social network per incrementare il traffico ai siti e il contenuto del sito sempre da curare e aggiornare. È fondamentale osservare che Google giornalmente cambia i propri algoritmi, questo fa si che un sito possa avere ottimi risultati un giorno e non averli più il giorno successivo

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1] Centenaro L., Sorchiotti T., Personal Branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità, Hoepli, 2013.

[2] Articolo La Stampa Tecnologia 27/5/2013 di Antonino Caffo

[3] Schawbel D., Frati M., L’arte del Personal Branding: come creare il Brand chiamato TE, MFC editore, 2011.

Reputazione e credibilità

Reputazione e credibilità

La crescita di una buona reputazione è legata alla credibilità che il popolo del web e non, attribuisce ad un determinato brand o azienda.

La credibilità che attribuiamo a una persona non è oggettiva, ma soggettiva: dipende da come la nostra mente è fatta in termini di ricordi, emozioni, esperienze, capacità logiche, ecc.  Il problema della credibilità di una persona non si pone nei rapporti di familiarità, ma nelle relazioni con persone estranee e talvolta richiede, affinchè una relazione possa iniziare, una “anticipazione di credibilità”. Nel valutare le condizioni per accordare tale anticipazione entra in gioco il concetto di fiducia che è complementare alla credibilità, nel senso che si può parlare di fiducia solo quando l’altra persona non è vincolata da norme o imposizioni. Come ha scritto il sociologo Niklas Luhmann[1]:

“La fiducia non nasce da un pericolo intrinseco ma dal rischio. (…) Ciò che determina il rischio è un calcolo puramente interiore delle condizioni esterne. (…)” .

Il web offre la possibilità di verificare rapidamente la credibilità di una persona e la sua reputazione, attraverso i commenti postati sui blog/forum anche da parte di altri soggetti, le immagini postate sui social networks, i like ecc. Questa possibilità può diventare un rischio per chi pubblica tutte le informazioni che lo riguardano sia personali che professionali, perchè spesso esistono scostamenti tra l’identità personale e quella digitale della stessa persona, dovuti al modo in cui la personalità dell’individuo viene costruita in rete.

Una caratteristica che permette al proprio brand di accrescere la sua reputazione e allo stesso tempo credibilità online, è la trasparenza.

La credibilità online dipende da fattori psicologici e motivazionali di varia natura, in particolare, la credibilità di una fonte di informazione, sia essa in internet o offline, non è uno stato o una caratteristica intrinseca del mezzo, ma il risultato della specifica relazione che si viene a determinare fra le caratteristiche del mezzo (Internet) e quelle dell’utente (motivazione).

Per essere credibili nel web sono necessari: affidabilità (l’essere onesti, disinteressati, sinceri) e la competenza (l’essere intelligenti, preparati, esperti).[2]

La web credibility è importante perchè soddisfa la necessità di chi la crea di essere considerato e di essere incisivo, inoltre soddisfa un bisogno del navigatore di trovare informazioni attendibili.

Per costruire la propria presenza online credibile, Fogg identifica alcuni aspetti probabilmente banali, ma strutturali e necessari, che spesso si danno per scontati[3]:

  • usare un design di aspetto professionale per il vostro sito/pagina;
  • rendere facilmente verificabili le informazioni;
  • fare percepire l’esistenza del brand dietro al sito;
  • mettere in evidenza i campi di esperienza specifica;
  • rendere facile il contatto;
  • rendere il sito/presenza facile da navigare e utile;
  • aggiornare il sito di frequente;
  • essere moderati negli aspetti promozionali;
  • evitare ogni tipo di errore o imprecisione.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1]  Saggio estatto dalla raccolta di Lhuman N. traduzione a cura di Gambetta D., Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino 1989 pp. 131-132

[2]  Fogg B.J., Professore di Stanford avviò un laboratorio sulla web credibility. Disponibile all’indirizzo: http://credibility.stanford.edu/

[3] Massarotto M., Social Network: costruire e comunicare identità in Rete, Apogeo 2011 pp.180-181

 

 

E-reputation

E-reputation

L’E-Reputation è la reputazione, l’opinione comune su un’entità reale o immaginaria che si crea sul web. Corrisponde all’identità che l’utente propone agli altri individui sulla rete. Quindi come nella società, anche online si dispone di un’identità che in questo caso definiamo digitale.

L’identità digitale è costituita da tutte le tracce volontarie, involontarie e da quelle subite. Per tracce volontarie s’intende quelle create e quindi pubblicate volontariamente dall’utente, ne sono esempio il profilo personale sui social network, l’articolo o il commento postato su un blog, il CV online, mentre quelle involontarie sono tutte quelle tracce su cui non si ha il controllo come l’indirizzo IP e i cookies. Le tracce subite invece, sono tutte quelle notizie e/o informazioni che ci appartengono, ma che sono create da altre persone e comprendono commenti, pubblicazioni che ci nominano, fotografie che mi mostrano.

Per riuscire a verificare la reputazione di una persona o di un’azienda bisogna analizzare l’insieme delle informazioni pubbliche che la riguardano.

A differenza del passato in cui la reputazione online era un concetto impalpabile, affidato alla memoria collettiva, diventa ora una sorta di biglietto da visita della persona.

Analizzare la web reputation significa conoscere perfettamente le dinamiche di produzione e diffusione dei contenuti online e possedere le competenze scientifiche e tecnologiche per derivarne dei dati strategici.

Gli obiettivi per un’ideale creazione dell’identità digitale sono : l’aumento della visibilità sul web e il rafforzamento della reputazione online. Per raggiungere questi obiettivi bisogna creare una strategia di comunicazione mirata ad un target preciso, che prenda in considerazione vari aspetti legati al brand o alla persona.

Per i personaggi pubblici e i privati curare la propria reputazione on line significa creare un rapporto consapevole tra la propria identità e la rete per:

  • monitorare i contenuti associati al proprio nome
  • promuovere la propria immagine professionale per creare un network di contatti rilevanti per la propria attività e costruire opportunità di carriera
  • tutelare e controllare la propria privacy, sicurezza e credibilità

“Attualmente esistono circa 30 miliardi di pagine nel Web, 23,8 milioni di utenti. Il primo canale per audience è Facebook (35,6%), il terzo è Youtube (31,6%)

Utenti attivi

Nel mese di luglio 2010 risultano 23,835 milioni gli Italiani online, con un incremento del 9,9% rispetto a luglio 2009. Gli utenti attivi nel giorno medio sono 10,8 milioni, navigano in media per 1 ora e 28 minuti al giorno e consultano 166 pagine per persona. Il 43,6% della popolazione italiana con più di 2 anni accede a internet almeno una volta al mese”.( Audiweb 2010)

Il dato oggettivo di presenza in Sé è di tutto rilievo ma cosa ancora più importante è che stanno cambiando le modalità di utiliizzo sempre più interattive e più avanzate.

Interazione sui social Network

Facebook: 550 milioni di visitatori, 630 milioni di pagine viste

Youtube: 480 milioni di visitatori, 69 milinioni di pagine viste

Twitter: 96 milioni di visitatori, 6,4 milioni di pagine viste

Linkedin: 41 milioni di visitatori, 1,9 milioni di pagine viste

(Fonte: Statistiche Google 2010)

Il fatto che i canali più frequentati dagli utenti siano social network implica:

  • una comunicazione informale e rapida;
  • il fatto che attraverso la conoscenza condivisa in rete qualsiasi utente ha la possibilità di diventare un editore;
  • una diffusione istantanea dei contenuti, positivi e negativi;
  • un volume enorme di dati distribuito in molteplici contesti da ricondurre a comportamenti e scelte di consumo”[1].

Come si controlla la E-Reputation?

Come ciascuno di noi si avvale dell’uso di Google per cercare informazioni su persone sconosciute, ma sulle quali nutriamo un interesse, allo stesso modo potrebbe fare il nostro datore di lavoro ad esempio. È quindi importante controllare la propria reputazione online.

Sul web esistono diversi servizi disponibili che permettono di rintracciare tutte le informazioni legate al proprio nome. Uno di questi è Io sul Web di Google con il quale, cliccando sul “cerca ora” della sezione cerca il tuo nome, si otterranno i link che riportano a tutte le pagine in cui appare il proprio nome.

Iscrivendosi a Google Alert invece, si riceverà una mail ogni volta che il motore di ricerca indicizza una pagina con il nostro nome.

Nel caso in cui si trovino contenuti che possono danneggiare la propria reputazione si può intervenire direttamente, cancellando il contenuto in questione o chiedendo all’autore di rimuoverlo (traccia subita negativa), oppure indirettamente mediante la costruzione di una strategia per occupare le prime pagine dei motori di ricerca e mettere così in secondo piano l’informazione sgradita.

La nostra reputazione online quindi diventa parte integrante e definisce noi stessi anche a livello reale (reputazione online-offline). Per questo è importante gestirla attraverso un atteggiamento attivo, che faccia sì che ciascuno di noi sia il fautore delle proprie informazioni messe sul web senza dipendere dagli altri.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1]  Dati disponibili alla pagina  La reputazione On Line all’indirizzo: http://www.reputazioneonline.it/ChiSiamo-La-Reputazione-On-Line.

Reputazione online-offline

Reputazione online-offline

Si definisce reputazione la considerazione di cui un soggetto gode all’interno della propria società di riferimento. Nell’affrontre questo concetto quindi è necessario richiamare le relazioni con la propria comunità di riferimento, poiché se non ci fossero le altre persone con le quali ci relazioniamo e interagiamo non si potrebbe parlare della considerazione che gli altri hanno di noi.

Allo stesso modo in cui si parla di relazioni instaurate a livello del mondo reale se ne può parlare per il web che può essere definito anche come social web, poiché mediante i blog, che offrono la possibilità di commentare, i social network che costituiscono vere e proprie reti sociali in cui mantenere le relazioni e la condivisione di contenuti, internet diventa uno spazio di socializzazione nel quale gli utenti interagiscono fra loro. Ecco perché si può parlare di reputazione online. [1]

In un mercato in cui le informazioni circolano liberamente, non ha senso presentarsi diversamente offline e online: bisogna essere coerenti, promettere ciò che si riesce a mantenere, così da creare clienti soddisfatti, che saranno i primi a mettere in moto il passaparola positivo. Questi clienti possono poi essere utilizzati come ambasciatori del proprio brand anche online. Si deve essere presenti sui principali social network solo se si ha la volontà di mettersi innanzitutto in ascolto attivo, e di partecipare alle discussioni ed evitare di spingere con messaggi promozionali e risultare in questo modo troppo aggressivi e poco credibili.

Ma la reputazione online influenza quella offline?

La reputazione è un aspetto importante da tenere sotto controllo per fare in modo di essere ben accetti ed integrati nella società di oggi. Seppure ci diamo da fare per essere credibili e professionali, spesso può accadere che la reputazione venga intaccata da quella online, sia positivamente, ma soprattutto, negativamente.

A tal proposito si, la reputazione online influenza molto quella offline: bisogna stare attenti a curarle entrambe, perchè spesso sono strettamente interconnesse.

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1]   Intervento di Marta Severo, docente all’università di Lille del 16 Aprile 2014  sul web Monitoring al corso di sociologia della comunicazione multimediale

 

Identità personale e identità sociale: il concetto del Sé nella Rete

Identità personale e identità sociale: il concetto del Sé nella Rete

Identità personale e identità sociale interagiscono tra loro: possiamo immaginarci il nostro Sé come una struttura, una rappresentazione mentale in cui le informazioni individuali concorrono alla formazione della nostra rappresentazione, mentre le informazioni di carattere sociale e culturale ne costituiscono gli aspetti più esterni. Ma esiste anche una rappresentazione di noi stessi che proponiamo, o meglio recitiamo agli altri, come una rappresentazione teatrale. Tale concetto fu proposto originariamente dal sociologo canadese Erving Goffman:

“La società non è una creatura omogenea, ma un insieme di palcoscenici in cui rappresentiamo noi stessi in modo diverso.”[1]

Goffmann parlava di una molteplicità del sé: l’individuo riesce a gestire e a cambiare una pluralità di self multipli e fluttuanti in quanto prodotti non da una qualche attività psichica, ma dagli eventi e dagli scenari sociali nei quali agisce.

Sia online che offline possiamo immaginare due estremi di un continuum lungo il quale l’individuo sente la propria identità: ad un estremo il sentimento di identità è fortemente influenzato dalla consapevolezza che l’individuo ha di appartenere ad un determinato gruppo, l’identità sociale; all’altro i sentimenti di identità appaiono in rapporto ad un’esperienza profonda di riflessione su di sé, sulla propria storia, sulle proprie speranze e progetti a cui si associano linee d’azione fondate su esigenze di coerenza personale, l’identità personale.

Ma identità personale non significa una rappresentazione elaborata al di fuori del rapporto sociale o un’identità privata, non tangibile agli altri: se il soggetto vuole la può esprimere, per cui anche di essa si può studiarne la struttura. Le forme di riconoscimento sociale consentono la formazione dell’identità personale dell’individuo sul piano cognitivo, l’individuo interiorizza l’immagine che gli viene rimandata dagli altri, la interpreta, la accetta, la modifica o la rinnega, elaborando attivamente un’autodefinizione.

L’identità sociale e quella personale sono due concetti non totalmente distinti del Sé, che  lavorano insieme per dare significato all’identità: l’appartenenza a categorie sociali o l’inserimento in ruoli sociali comporta un significato personale e tali appartenenze entrano nella concezione di Sé.

Dunque il web, con l’avvento dei social media, non è più il luogo dell’anonimato e della libertà assoluta, che porta a nascondere l’identità, ma il luogo della responsabilizzazione etica sul Sé, dove di fronte a tutti, i soggetti si prendono in prima persona la responsabilità di quello che sono e che vorrebbero essere. Basti pensare a Facebook, la piattaforma nella quale l’utente si deve registrare con il proprio nome e cognome e non con alias o nickname astratti che non lo identificano.

Prima di Goffmann[2] gli interazionisti simbolici avevano parlato di soggettività in quanto fenomeno sociale che si sviluppa attraverso una relazione nell’ambiente sociale di riferimento. Herbert Mead[3] parlava non tanto del soggetto in sé, ma del suo essere in relazione con gli altri: l’agire sociale è un problema di comunicazione ed il Sé emerge come autocoscienza nei termini dei rapporti con gli altri e degli altrui atteggiamenti valutativi. Il soggetto adotta comportamenti in base a quelle che sono le aspettative del contesto in cui è inserito, assolvendo un ruolo nell’interazione con gli altri.

Una rete sociale è costituita da un qualsiasi gruppo di persone collegate tra loro da legami sociali, di diversa entità, dalla conoscenza occasionale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari e parentali. Pertanto, in base ai teorici delle reti sociali la società è vista e studiata come rete di relazioni, più o meno estese e strutturate, che così ne costituiscono la trama sociale. Il soggetto nei social network è un attore sociale che non può non comunicare e non interagire con gli altri. Proprio dall’ipotesi interazionista deriva che la stessa identità e il comportamento di ciascun soggetto sono la risultante dell’interazione con gli altri, e vale a dire delle azioni e dalle reazioni (feedback) poste in essere dai soggetti comunicanti.

La struttura delle reti sociali non è immutabile: i legami tra i diversi attori possono cambiare nel tempo e questa evoluzione si può modellare e spiegare come funzione di effetti strutturali e delle caratteristiche degli attori: i primi sono meccanismi endogeni e quindi interni dei social network (ad esempio le regole implicite, non scritte dei diversi social media), le seconde forze esterne dipendenti dalle caratteristiche specifiche degli attori coinvolti.

Gli esseri umani sono creature uniche a causa della loro abilità di usare simboli, diventano specificatamente umani attraverso l’interazione e la società pertanto consiste nell’insieme di persone che sono impegnate in interazioni simboliche, le emozioni sono centrali rispetto ai significati, al self e alla condotta e l’azione sociale deve essere considerata l’unità fondamentale dell’analisi sociale.

Una rete sociale è sempre in stato di dinamica tensione per via del cambiamento dei significati. I membri della rete possono avere una concezione diversa della struttura e del loro network: la rete è una risorsa cognitiva e negoziata, è influenzata ed influenza la condotta della persona.

L’interazione interpersonale, come quella faccia a faccia, nei social media avviene a diversi livelli sulla base delle diverse situazioni in cui ci troviamo, vi sono quindi tante cornici interattive in ognuna delle quali rappresentiamo diverse sfaccettature del nostro Sé. Nel concetto del Sé sono infatti comprese anche immagini ipotetiche di noi stessi, che si desidera realizzare o evitare in base a quello che vogliamo presentare di noi: su LinkedIn ad esempio presenteremo l’aspetto più professionale e serioso di noi, mentre su Facebook o Instagram quello più libero e spontaneo.

Nelle varie piattaforme sociali i soggetti mostrano la sfera più esterna del proprio Sé, molte volte quella più superficiale e meno personale. Per dare una buona impressione di sé, le persone controllano il proprio comportamento in modo che sia appropriato al contesto e conforme alle norme situazionali implicite. Ma quello che emerge nella presentazione del Sé in Rete, che ci fa differenziare e rendere unici nei social network, è quella parte del sé che ci distingue l’uno dall’altro, possiamo chiamarlo il “fattore X”. Si tratta di quel quid in più che aiuta a definire una strategia di Personal Branding online. Il self individuale emerge dai modi in cui il soggetto si immagina che gli altri lo percepiscano e lo giudicano. In tal modo il soggetto esercita su di sé anche una specie di controllo sociale poiché deve valutare ininterrottamente la portata dei giudizi e delle reazioni altrui ai propri atti.

Quello che oggi sembra accadere è che le interazioni sui social network sostituiscono le interazioni faccia a faccia. Infatti la maggior parte delle persone utilizza questi mezzi per mantenere relazioni sociali già esistenti e solo in minima parte per crearne di nuovi. In questo senso, l’utilizzo dei Social Network ha più che altro la funzione di integrazione e non di rimpiazzo.

L’avere un profilo sui social network è regolato e motivato dalla ricerca di consensi, che danno l’opportunità di definire sé stessi e modulare la propria autostima che si definisce come rapporto, ossia come distanza tra sé percepito e sé ideale. Più si riesce a livellare e quindi a far diminuire questa distanza, più il nostro senso di autostima sarà integrato e meno bisognoso di consensi.

All’interno di Facebook è possibile trovare molto spesso persone che tendono a dare un’immagine idealizzata di sé o a costruire un vero e proprio falso sé cibernetico, ovvero un modo di essere e di rappresentare se stessi in maniera molto diversa dalla vita reale. Si parla di una rappresentazione di sé fittizia che va per così dire a coprire il vero sé, quegli aspetti di personalità più autentici e spontanei dell’individuo. Una sorta di maschera, come direbbe Goffman[4], un far finta che potrebbe essere tipico degli attori quando recitano una parte, oppure di quei soggetti che cercano di impersonare atteggiamenti e comportamenti di un tipico ideale estetico.

Tutto questo può avvenire nella vita reale, ma è assolutamente più semplice in quella virtuale, dove l’interfaccia del monitor crea una struttura difensiva naturale per nascondere la propria immagine corporea. Quando l’immagine corporea emerge nella rete è molto spesso distorta o selezionata con solo alcune informazioni personali, foto e video, proprio per assecondare un personale ideale estetico. Questa tendenza è tanto più vera quanto più ampia è la discrepanza tra ciò che si è nella vita reale e ciò che viene rappresentato nella realtà virtuale.

Concludendo, in linea con il pensiero interazionista simbolico di Mead[5], il soggetto appare come riflesso della sua immagine negli altri: centomila relazioni che producono centomila personalità in Rete all’interno dei diversi social media, come nelle diverse dinamiche quotidiane. Siamo obbligati ad esibire un self non perché realmente lo possediamo, ma perché obbligati dalla società a comportarci come se l’avessimo. I ruoli sociali, le rappresentazioni, i luoghi culturali, sono funzionali a trasmettere l’impressione che vi sia un’immagine ultima e definitiva che gestisce tutto: l’identità. Secondo Goffman[6], che estremizza il pensiero di Mead[7], il Sé non è il risultato di un processo esclusivamente interno all’individuo, ma scaturisce dalla scena della sua azione. Il Sé viene costruito all’interno di cornici (frames) meta-comunicative, è un effetto drammaturgico della rappresentazione teatrale della vita.

La pervasività delle nuove tecnologie nelle quali l’uomo del XXI secolo è ormai immerso, hanno modificato la percezione non solo della realtà in cui egli vive, ma anche l’essenza della sua unicità: la sua identità. Quest’ultima è stata plasmata a misura d’uomo virtuale, adattata alla fenomenologia della Rete e riscritta sullo schermo di un computer, perdendo la propria fissità e fisicità per esprimere, libera dai vincoli del corpo, i suoi molteplici Sé.

L’ipotesi generale vede Facebook come un contesto non anonimo, che presenta forti livelli di ancoraggio con la realtà offline, in cui gli utenti adottano comportamenti comunicativi riflessivamente orientati alla presentazione di sé e alla gestione delle proprie reti sociali in termini di pubblico/audience. Con vissuto intendiamo il frame che incornicia l’esperienza e la rende comunicabile e condivisibile con gli altri. La self presentation rappresenta una componente essenziale del vissuto comunicativo[8] in un social network come Facebook. Basti pensare al fatto che una volta iscritti, la prima operazione consiste nel costruirsi un profilo e questo richiede innanzitutto un dire di sé che passa attraverso i contenuti base di descrizione del soggetto e si estende ai post condivisi e alla propria rete relazionale.

Facebook si è radicato profondamente nell’esperienza quotidiana, familiarizzandoci a una presentazione di sé rivolta a un’audience, quindi non abbiamo a che fare con una condizione di rappresentazione senza pubblico e senza attenzione, non siamo in una condizione in cui la rappresentazione non comporta né responsabilità, né coinvolgimento, ovvero non diciamo al mondo chi siamo senza doverne in qualche modo  rendere conto. I sé di Facebook sembrano essere identità desiderabili socialmente che gli individui aspirano ad avere anche offline, ma che non sono ancora stati in grado di interiorizzare per un motivo o per un altro.

Non si tratta quindi di concentrarci sull’autenticità o meno del sé, ma sul fatto che con Facebook abbiamo a che fare con un ambiente che rende possibile trattare le possibilità diverse del Sé, attraverso strategie differenti di gestione dell’identità. Ed in questo senso diventa chiaro quanto sia importante questa gestione nel tempo a partire dalle possibilità offerte dalla piattaforma nella sua evoluzione e, contemporaneamente, dall’evoluzione delle biografie dei singoli individui.

Le relazioni che si instaurano attraverso le attività comunicative nei diversi social network, servono ad autenticare l’identità e a portare il soggetto a raccordare la presentazione di sé alle proprie cerchie sociali, sia dal punto di vista della gestione dei contatti, sia dal punto di vista del tipo di contenuti da condividere o non condividere. In tal senso, l’investimento dell’utente sui suoi legami sociali sulle diverse piattaforme dipende dalla gestione dei contenuti.

I social network non sono quindi dei luoghi di simulazione anonima totalmente sganciati dalla realtà quotidiana.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

 

[1] Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

[2] Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

[3]  Mead, G. H., Mind Self and Society from the Standpoint of a Social Behaviorist, Edited by Charles W. Morris, Chicago: University of Chicago, 1934.

[4] Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

[5]   Mead, G. H., Mind Self and Society from the Standpoint of a Social Behaviorist, Edited by Charles W. Morris, Chicago: University of Chicago, 1934.

[6] Goffman E.,  The Presentation of self in everyday life. La vita quotidiana come rappresentazione teatrale,1959.

[7]   Mead, G. H., Mind Self and Society from the Standpoint of a Social Behaviorist, Edited by Charles W. Morris, Chicago: University of Chicago, 1934.

[8]    Boccia Artieri, Gemini 2004

Identità virtuale o digitale

Identità virtuale o digitale?

Definire virtuale la propria presenza sui Social Netwok (Identità virtuale o digitale) e, conseguentemente, le dinamiche che nascono, deresponsabilizza l’utente dall’essere consapevole ed autentico in quello che dice: condivide online perchè è solo virtuale. Ma nel web sociale non è così, anche se attraverso un filtro digitale ci si relaziona con persone vere che potrebbero essere ferite, offese, risentirsi o al contrario essere lusingate, gioire e provare empatia per quello che facciamo in Rete, è quel prefisso “social” che ce lo deve ricordare sempre.

Per il Personal Branding, poi, questa distinzione è fondamentale per rispettare quel principio di coerenza che è alla base del successo personale e professionale.

Non possiamo considerare la nostra presenza sui social network come qualcosa di diverso da quello che siamo e che vogliamo comunicare in tutti gli altri ambiti della vita, se lo scopo prefissato è farsi riconoscere ed emergere grazie alle caratteristiche che ci rendono unici; e non possiamo nemmeno pubblicare conoscenze e abilità che non abbiamo se competenza ed affidabilità sono alla base della nostra strategia di personal branding, perché potremmo essere smentiti online e ciò comprometterebbe la nostra reputazione.

In un mondo in cui vita digitale e vita analogica si stanno unendo sempre di più, in cui costruiamo e gestiamo la nostra rete sociale tanto offline quanto online, è fondamentale considerare la nostra identità digitale parte integrante di quello che siamo e che gli altri percepiscono di noi.

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato