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Le emozioni primarie

LE EMOZIONI PRIMARIE

Le emozioni primarie o fondamentali sono emozioni innate, riscontrabili in qualsiasi popolazione perché connesse a scopi quali la sopravvivenza fisica, le relazioni personali, la possibilità di portare a termine le azioni intraprese; risultano comuni all’uomo e agli animali superiori. Le emozioni secondarie o sociali, invece, sono quelle che originano dalla combinazione delle emozioni primarie; sono fortemente dipendenti da scopi e capacità cognitive  e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale.

Le emozioni più frequentemente classificate come fondamentali sono gioia, rabbia, paura, ansia e tristezza, alle quali secondo alcuni studiosi si aggiungono sorpresa, disprezzo, disgusto. Tra le emozioni secondarie più citate vi sono vergogna, senso di colpa, invidia, gelosia.

Nei bambini il nascere e lo svilupparsi delle emozioni segue due ipotesi: l’ipotesi della differenziazione, secondo la quale da un iniziale stato di eccitazione si differenziano nel corso dello sviluppo le specifiche emozioni, e l’ipotesi differenziale, in base alla quale già nel neonato sono presenti alcune emozioni primarie. Le emozioni primarie sono:

GIOIA

La gioia quando arriva ha un potere travolgente. A volte per educazione, modestia, senso di colpa o ansia, stiamo molto attenti a non goderci troppo questo stato d’animo, e quindi il nostro stato mentale è occupato prevalentemente da ciò che non va. Per mantenere salute e benessere, invece, è importante mantenere e prolungare questo stato vitale.

RABBIA

La rabbia è la reazione alla frustrazione. Può essere scatenata da un torto subito, da qualcosa o qualcuno che ostacola la nostra realizzazione personale, dalla paura, ecc. Ha la funzione di rimediare ad un’ingiustizia subita, e cerca di provocare un cambiamento nel comportamento degli altri. Ad essa si aggiunge la rabbia che proviamo quando attribuiamo ad altri la volontà di arrecarci un danno. Alle volte succede che ci arrabbiamo con noi stessi per il fatto di non riuscire ad esprimere la rabbia: restare passivi ferisce la nostra autostima.

PAURA

La paura è la risposta ad un pericolo; nella maggioranza dei casi è legata a sensazioni psicologiche soggettive. Essa si può attivare di fronte ad uno stimolo nuovo, perchè quando non siamo consapevoli delle nostre risorse tendiamo ad evitare la situazione; ma altre paure sono generate in seguito a situazioni già provate e nelle quali abbiamo vissuto una sensazione di blocco e di impotenza.

ANSIA

L’ansia si manifesta con la preoccupazione che qualcosa di negativo accadrà. A differenza della paura, l’ansia non conosce il suo fattore scatenante; non individua un oggetto preciso, è più una sensazione che qualcosa andrà male. A scatenarla può essere un evento improvviso ed impegnativo insieme alla sensazione di non avere le capacità per affrontarlo.

TRISTEZZA

La tristezza si manifesta a causa della perdita di qualcuno o qualcosa; essa ci porta ad assumere un atteggiamento di chiusura, sia a livello psicologico che fisico. Inoltre, la tristezza ci spinge a riflettere: qualcosa non è andato secondo i nostri piani, quindi dobbiamo elaborare la situazione e raccogliere le energie per ripartire.

 

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Teorie sulle emozioni

TEORIE SULLE EMOZIONI

Gli psicologi hanno assunto posizioni contrastanti relativamente alla natura, l’origine e la funzione delle emozioni. In particolare, nel 1884 il più eminente psicologo americano William James propone la Teoria dell’emotività periferica o viscerale”, secondo la quale l’evento emotigeno causa una serie di cambiamenti a livello viscerale e neurovegetativo, che vengono percepiti e interpretati dall’individuo come esperienza emotiva. Secondo James alla base di questo sentire emotivo c’è l’arousal, o attivazione fisiologica dell’organismo, senza il quale non sarebbe possibile neanche definire un’emozione. Egli ritiene che non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”.

La posizione di James è stata molto criticata, soprattutto da Walter Cannon, che riteneva che i visceri fossero troppo poco sensibili e le loro reazioni troppo indifferenziate per poter essere considerati effettivamente la fonte principale delle emozioni. Egli nel 1927 ipotizza la “Teoria centrale o neurologica” delle emozioni, attraverso la quale ipotizza che il circuito posto come base dell’attivazione e della regolazione delle emozioni umane comprende tutta la regione talamica dell’encefalo composta da talamo, ipotalamo e amigdala.

Prendono corpo in questo periodo anche altre ipotesi, come l“Ipotesi del feedback facciale”, che prevede un rapporto diretto tra le espressioni facciali e il sentire emotivo: modificando volontariamente le espressioni facciali vengono in qualche modo influenzate anche le emozioni corrispondenti. Inoltre, si sviluppa la “Teoria vascolare dell’efferenza emotiva”, che spiega come il ritmo e le modalità di respirazione, causando un cambiamento della temperatura dell’ipotalamo, influenzano di conseguenza gli stati emotivi: il raffreddamento ipotalamico è condizione base per stati emotivi positivi mentre, al contrario, un innalzamento della temperatura di questa regione porta a stati emotivi negativi.  Questa teoria è alla base di discipline quali la meditazione trascendentale, lo yoga, il training autogeno.

Le posizioni di James e Cannon, entrambe centrate sugli aspetti neurofisiologici dell’emotività, risultano incomplete in quanto escludono gli aspetti psicologici. Il primo a proporre un modello che all’attivazione fisiologica affianca una componente di natura psicologica che spiega l’attivazione fisiologica sulla base di un evento emotigeno è Stanley Schachter, con la sua “Teoria cognitivo-attivazionale o Teoria dei due fattori”.

Schachter, psicologo statunitense, ritiene che entrambe le componenti, imprescindibili per sperimentare un qualsiasi stato emotivo, devono essere accompagnate da un secondo atto cognitivo, successivo alla percezione e al riconoscimento dello stato emotivo, che permetta di stabilire una connessione tra i due fattori dando il giusto nome all’emozione che si sperimenta. Egli riesce a dimostrare che le persone spinte ad attribuire ad una determinata situazione un’attivazione indipendente da uno stato emotigeno produrranno risposte emotive coerenti con l’associazione formata.

Negli anni Ottanta sono nate le cosiddette “Teorie dell’appraisal”.Appraisal” è un termine inglese che significa “valutazione”: con esso si designa la valutazione cognitiva degli stimoli. Alcuni studiosi sostengono che emozioni diverse sono caratterizzate da diversi sistemi valutativi, composti da specifiche componenti  o dimensioni; l’appraisal, quindi, è all’origine della risposta emozionale. Essi ritengono inoltre che le emozioni non possono nascere senza una ragione, e che la loro origine è riscontrabile sempre in una qualche forma di valutazione cognitiva della situazione collegata all’evento emotigeno, con tutti i suoi legami con le aspettative, gli scopi, i desideri del soggetto coinvolto. In questo modo si mette in risalto, accanto alla valutazione cognitiva, l’importanza della soggettività nella percezione di un’esperienza emotiva. Le principali valutazioni riguardano il carattere piacevole o spiacevole dell’evento cui segue l’emozione, la sua novità, la sua durata, l’incertezza circa le sue conseguenze, la sua compatibilità con le norme sociali di riferimento e con l’immagine che l’individuo ha di sé.

Altri studiosi, rifacendosi agli studi di Darwin, hanno valutato le emozioni come reazioni alla sopravvivenza della specie umana, attraverso la “Teoria psicoevoluzionistica”. Le emozioni, in particolar modo quelle primarie, vengono concepite all’interno di questa teoria come qualcosa di unitario ed innato nell’uomo; esse insorgono quindi in maniera automatica, così come le corrispettive espressioni facciali che le caratterizzano.

 

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri