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Clima organizzativo Approccio percettivo

Approccio percettivo

In maniera quasi del tutto opposta all’approccio strutturale, l’approccio percettivo si focalizza sulle prerogative dell’individuo affermando che i singoli individui rispondono ed interpretano le variabili situazionali in base ad aspetti psicologicamente significativi per loro, e non più basandosi esclusivamente sulle caratteristiche oggettive della situazione o della struttura. Il clima, in questo caso, viene definito quasi del tutto da componenti interne alle persone che fanno parte di un’organizzazione.

Infatti, il clima organizzativo viene descritto da Karasick nel 1973 come “una qualità relativamente duratura di un’organizzazione che dipende dai comportamenti dei suoi membri (soprattutto dei vertici): esso è percepito dagli altri membri e ha una funzione di guida per interpretare e classificare situazioni e comportamenti che hanno luogo nell’organizzazione”.

L’approccio percettivo prevede che il clima derivi da processi di elaborazione ed interpretazione psicologica compiuti su qualche elemento dell’ambiente ritenuto interessante. Le percezioni costituiscono quindi una mappa cognitiva di funzionamento dell’organizzazione che suggerisce agli individui i comportamenti più appropriati da adottare a seconda dei casi.

Importante conseguenza di questo approccio è che tali percezioni, e di conseguenza il clima organizzativo, risultano essere mediate da aspetti di personalità dei soggetti oltre a variabili più propriamente relazionali, come ad esempio lo stile di leadership.

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

 

Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo

Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo

 

Cosa si intende per soddisfazione lavorativa e quanto essa incide sulle performance del lavoratore? Studiando la relazione tra i fattori che intervengono nella costruzione della relazione tra questi due aspetti, si può arrivare a migliorare il benessere organizzativo.

Negli ultimi anni si è rafforzata l’importanza del ruolo del lavoratore come parte integrante del sistema aziendale in quanto essenza di esso ed è cresciuto l’interesse verso i diversi aspetti che incidono sulla sua salute, sia fisica sia psichica, focalizzandosi maggiormente sulla prevenzione piuttosto che sulla sola cura, dando nuovo significato al malessere psicofisico dell’individuo e al riflesso negativo che ciò ha sull’organizzazione stessa (1).

Mettendo in relazione la soddisfazione e il benessere del lavoratore con la percezione degli aspetti organizzativi della struttura nella quale è inserito, è stato riscontrato che, a tutti gli effetti, il clima emotivo dell’organizzazione ha una forte influenza sulla partecipazione del lavoratore alla mission aziendale, in particolare in base alla percezione e al grado di identificazione con l’azienda.

Occorre perciò assumere una visione di causalità circolare, secondo la quale l’individuo, il gruppo e l’organizzazione sono fortemente interdipendenti tra loro e la compromissione della salute di uno ha conseguenze negative anche sugli altri: tutto ruota intorno al concetto di scambio per cui il lavoratore scambia la soddisfazione e immediata delle pulsioni con una più complessa, differita nel tempo e costruita dall’intervallarsi di fattori positivi e negativi (2).

Autori come Feldman (3) e Weick (5) introdussero il concetto di sensemaking per indicare i modi in cui le persone interpretano ciò che producono e danno senso alla realtà in cui si trovano; questo senso auto-costruito del lavoratore è un ottimo predittore della performance lavorativa e della soddisfazione individuale ed è proprio quest’ultima ad avere un peso preponderante nel sistema azienda.

La soddisfazione lavorativa racchiude la congruenza tra interessi personali e mansione, le sensazioni sperimentate nel poter utilizzare al meglio le proprie competenze, la visione personale dell’azienda, la possibilità di costruire una propria identità personale e professionale, che incidono sul suo modo di relazionarsi con la struttura e di affrontare il compito lavorativo.

La prevalenza di emozioni negative e la demotivazione sono fattori di rischio che possono portare a situazioni limite come il burnout (4), in cui vi è un eccessivo coinvolgimento in risposta ad uno stress emotivo cronico e persistente, con conseguente esaurimento fisico ed emotivo e calo della produttività. In situazioni caratterizzate da insoddisfazione dei lavoratori, occorre fornire buone motivazioni, incrementare la capacità di gestire efficacemente le emozioni negative e cercare di assumere una visione che renda prevalenti quelle positive, fornire fonti di soddisfazioni e di crescita nel sapere e nel saper fare.

È perciò di fondamentale importanza dare al lavoratore la possibilità di utilizzare le proprie risorse, competenze e abilità (comprese in particolare quelle di organizzazione e coordinamento, se presenti), di esprimere sé stesso, favorire le relazioni inter e intra gruppi, al fine di alimentare l’essenza stessa dell’individuo nel contesto lavorativo di appartenenza e quindi la sua auto realizzazione. La persona soddisfatta emana e trasmette entusiasmo, ha voglia di fare e si impegna in ciò in cui crede: il successo non sta solo in quanto si ottiene, ma in ciò che si riesce a costruire in sé.

 

© Il ruolo della soddisfazione lavorativa nella costruzione del benessere organizzativo – Dott.ssa Alice Franceschini

 

 

Bibliografia

  1. Avallone, F. (2005) Salute organizzativa. Psicologia del benessere nei contesti lavorativi. Cortina, Milano.
  2. Di Nuovo, S., & Zanchi, S. (2008). Benessere lavorativo: Una ricerca sulla soddisfazione e le emozioni positive nella mansione. Giornale di psicologia2(1-2), 7-17
  3. Feldman, M. S. (1989). Order without design: Information production and policy making(Vol. 231). Stanford University Press.
  4. Maslach, C., & Jackson, S. E. (1981). The measurement of experienced burnout. Journal of organizational behavior, 2(2), 99-114
  5. Weick, K. E. (1997). Senso e significato nell’organizzazione. Cortina, Milano.

Management del benessere organizzativo

Management del benessere organizzativo: ciò che può fare la differenza

Il benessere psicologico è un costrutto multidimensionale in cui si integrano l’aspetto fisico e l’aspetto mentale, in relazione a ciò che avviene nell’ambiente circostante; in ambito lavorativo, parlando di management del benessere organizzativo si intende il benessere come sinonimo della piena espressione del potenziale di ciascun individuo (1,7), sia a livello emotivo sia cognitivo, che rappresenta un aspetto preponderante del clima organizzativo.

Il clima diventa quindi un tema centrale nell’analisi della salute di un’organizzazione, è condiviso dai suo membri, si compone di percezioni e rappresentazioni cognitive, è relativamente stabile nel tempo, è capace di influenzare i comportamenti e può essere usato dai lavoratori stessi come base per interpretare le situazioni e i cambiamenti che sopraggiungono.

Sommariamente, il raggiungimento dei livelli attesi di crescita e benessere può avvenire tramite il soddisfacimento dei fondamentali bisogni di competenza personale, autonomia e relazionalitá, in tutte le loro sottodimensioni (4).

Parlando di management del benessere organizzativo, si può fare riferimento ai diversi studi nell’ambito del benessere lavorativo, tra i quali emerge il modello JD-R (Job Demands-Resources model) per cui ogni occupazione è caratterizzata da richieste e risorse, intendendo come richieste quegli aspetti fisici, psicologici, sociali e organizzativi del lavoro che, richiedendo sforzi o abilitá, intensi comportano costi fisiologici e psicologici, mentre le risorse sono tutti gli aspetti che sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi, riducono le richieste lavorative e i costi ad esse associati, stimolano l’apprendimento e la crescita personale (2).

Un importante indicatore di benessere psicologico è rappresentato dalla soddisfazione lavorativa, in relazione alle diverse caratteristiche dell’organizzazione e delle attività svolte, tra cui il carico di lavoro, la chiarezza dei ruoli e le relazioni con superiori e colleghi (8,9).

Da questa breve analisi si può comunque dedurre che sono numerosi gli aspetti in grado di danneggiare il benessere dell’organizzazione, tra i quali si possono riscontrare frequentemente la scarsa chiarezza e i conflitti riguardanti i ruoli e le procedure di lavoro, la non equa giustizia relazionale dei supervisori, il supporto scarso o addirittura assente dei colleghi: tali aspetti devono essere attentamente e costantemente valutati ed riaggiustati poiché possono portare a problematiche profondamente incidenti sul lavoratore, fino alla comparsa di reazioni fisiologiche e comportamentali allo stress quali ad esempio disturbi del sonno e aumento dell’assenteismo, che si riflettono poi sulla salute organizzativa dell’intera azienda, innescando un circolo dal quale diviene complesso uscire (3).

Un ulteriore indicatore di assenza di benessere emotivo a lavoro è l’esaurimento emotivo, conseguenza a lungo termine di stress e richieste/pressioni lavorative, in grado di influenzare le prestazioni dell’individuo: una distribuzione non equa dei compiti o un eccessivo carico di lavoro dovuto a richieste elevate non accompagnate da un’adeguata preparazione o sostegno, una gestione incoerente delle priorità, possono contribuire a incrementare il vissuto di malessere del lavoratore fino ad arrivare a veri e propri fenomeni come ad esempio il burnout, in cui i soggetti sviluppano un lento processo di logoramento o decadenza psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato, con conseguente esaurimento e depersonalizzazione (5).

La rilevazione del clima e del benessere organizzativo è perciò un intervento molto importante che dota l’azienda di un proprio barometro sociale interno, fornendo al management un quadro aggiornato sulle percezioni del personale, utile per poter comprendere eventuali problematiche emergenti e per poter intervenire repentinamente laddove ve ne sia necessità.

Non bisogna sottovalutare quindi il vissuto dei lavoratori sia come singoli sia come gruppo e occorre focalizzarsi sul potenziamento delle risorse personali e aziendali (6), come l’auto efficacia e il supporto esterno, oltre che attuare progetti di prevenzione a partire dalla predisposizione di tavoli di lavoro durante i quali rivedere periodicamente le procedure, al fine di semplificarle il più possibile, nonché pianificare interventi formativi con particolare attenzione al management, per incrementarne la capacità di gestione dei collaboratori, di valutazione delle prestazioni e di gestione dei feedback.

In questo articolo abbiamo quindi parlato di management del benessere organizzativo e del ruolo fondamentale che ricopre nell’analisi della salute aziendale, aspetto spesso sottovalutato nelle valutazioni e nei controlli periodici; se avete commenti, dubbi, domande o volete esprimere il vostro parere, non esitate a contattarci.

 

© Il management del benessere Organizzativo – Dott.ssa Alice Franceschini

 

Bibliografia

1.Adams T, Bezner J, Steinhardt M: The conceptualization and measurement 1. of perceived wellness: Integrating balance across and within dimensions. Am J Health Promot 1997; 11: 208-218.
2. Bakker AB, Demerouti E: Job demands-resources theory. In Chen PY, Cooper CL (eds.): Work and Wellbeing: A complete reference guide. Chichester, UK: Wiley-Blackwell, 2014: 37-64.
3. Caplan, R. D., Cobb, S., & French, J. R. (1975). Job demands and worker health; main effects and occupational differences. In Hew Publication (NIOSH) (Vol. 75). DHEW.
4. Dal Miglio, G., P. R., Salomone, A., & Zamaro, N. (2012) Clima e benessere organizzativo nel quadro dei sistemi di valutazione delle performance.
5. Demerouti, E., Mostert, K., & Bakker, A. B. (2010). Burnout and work engagement: a thorough investigation of the independency of both constructs. Journal of occupational health psychology, 15(3), 209.
6. Hantula, D. A. (2015). Job satisfaction: The management tool and leadership responsibility. Journal of Organizational Behavior Management, 35(1-2), 81-94
7. Harari MJ, Waehler CA, Rogers JR: An Empirical Investigation of a Theoretically Based Measure of Perceived Wellness. J Counsel Psychol 2005; 52: 93-103.
8. Kooij, D. T., Jansen, P. G., Dikkers, J. S., & De Lange, A. H. (2010). The influence of age on the associations between HR practices and both affective commitment and job satisfaction: A metaanalysis. Journal of Organizational Behavior, 31(8), 1111-1136.
9. Yaacob, M., & Long, C. S. (2015). Role of occupational stress on job satisfaction. Mediterranean Journal of Social Sciences, 6(2 S1), 81.

 

 

 

Riorganizzazione interna

Riorganizzazione interna

 

“…. un’azienda di servizi (trasporti pubblici) stava operando una riorganizzazione interna, con l’obiettivo di sostituire alcuni manager con un team di gestione e coordinamento di tutte le attività aziendali.

In tal modo si evitava di accentrare tutte le funzioni, operatività e responsabilità su alcune persone riducendo il rischio di accentrare il potere e snellendo le decisionie le attività (leadership diffusa).

Le persone del team furono scelte in funzione del ruolo, delle capacità e delle competenze possedute anche se non avevano l’esperienza di gestione e coordinamento richiesta.

Esigenza: creare squadra (coesione, condivisione e collaborazione), fornire formazione, supporto e sostegno sia individualmente sia come team.

Soluzioni e azioni attuate:

1. Assessment

somministrazione di un test ai componenti del team allo scopo di individuare le aree di miglioramento individuali in relazione alla posizione ricoperta e ai compiti del ruolo e restituzione individuale.

2. Team building

semiresidenziale durante un week end allo scopo di creare squadra, stabilire obiettivi aziendali (budget aziendali, di team e individuali) e condividere il percorso stabilito.

3. Incontri con il team – con cadenza quindicinale allo scopo di:

a. Creare squadra.
b. Fornire supporto e sostegno al cambiamento.
c. Individuare, affrontare e risolvere le criticità interne.
d. Definire azioni di miglioramento.
e. Definire e condividere obiettivi.
f.  Definire e condividere l’operatività.
g. Stimolare la collaborazione.
h. Fornire strumenti e chiavi di lettura per gestire le relazioni sia interne che esterne al team.

4. Incontri individuali – con cadenza quindicinale allo scopo di:

a. Individuare criticità e difficoltà soggettive.
b. Fornire supporto e sostegno al cambiamento.
c. Definire azioni di miglioramento.

Risultati ottenuti:

1.    Senso di squadra, condivisione e collaborazione.
2.    Miglioramento delle performance lavorative.
3.    Miglioramento clima interno al team.

Selezione e inserimento di nuove figure

Selezione e inserimento di nuove figure

 

“…. un’azienda commerciale dopo attente valutazioni aveva inserito nuove figure commerciali e figure di coordinamento dall’esterno (Capi area),

Dopo poco tempo iniziarono incomprensioni, tensioni e conflitti proprio nelle aree dove erano avvenuti gli inserimenti.

L’omeostasi socio/organizzativa si era rotta e il conflitto tra gruppi di persone di diversa attitudine, formazione, esperienza e ruolo si è aggravato in conflitto d’interessi, come se il risultato positivo per l’Azienda, non fosse un obbiettivo comune e utile a tutti.

In pochi mesi, le incomprensioni fra i diversi reparti è degenerato fino a atteggiamenti generalizzati di chiusura, diffidenza, maldicenze e boicottaggio.

Le vendite dell’Azienda registrarono un calo consistente già nel primo anno, ci fu un peggioramento del clima aziendale  e l’aumento del turn over. Questi  furono solo alcuni dei sintomi di un aumento del disagio lavorativo.

Il nostro intervento ha messo in atto le seguenti azioni:

1. Assessment

Somministrazione di un test ai componenti del team allo scopo di individuare le aree di miglioramento individuali in relazione alla posizione ricoperta e ai compiti del ruolo e restituzione individuale.

2. Incontri individuali allo scopo di:

a. Gestire e superare le criticità soggettive emerse dall’assessment.
b. Definire azioni di miglioramento.
c. Fornire strumenti, supporto e sostegno.

3. Incontri con il gruppo di commerciale ed il relativo area manager allo scopo di:

a. Creare squadra.
b. Definire azioni di miglioramento.
c. Definire e condividere obiettivi di vendita.
d. Stimolare motivazione e collaborazione.
e. Fornire strumenti e chiavi di lettura per gestire le relazioni interne.

4. Supporto alla Direzione allo scopo di:

a. Stabilire se vi fossero i presupposti per mantenere le persone inserite.

E ha permesso di ottenere i seguenti risultati:

1.    Aumento della motivazione.
2.    Senso di squadra, condivisione e collaborazione.
3.    Miglioramento clima interno al team.
4.    Incremento delle vendite.

 

© Relazione tra reparti – Psicologiadellavoro.org

Relazione tra reparti

Relazione tra reparti

 

“  …la divisione Italiana di un’Azienda Multinazionale, che progetta e vende macchine per l’industria, lamentava difficoltà nel coordinare il lavoro tra alcuni reparti dell’organizzazione. Gli Agenti venditori, pur efficaci nella loro azione commerciale, trascuravano spesso le procedure burocratiche, compilavano male i documenti…  mettendo così in difficoltà i colleghi Amministrativo-Gestionali, che se ne lamentavano continuamente.  Il reparto tecnico – gli Ingegneri progettisti – si vedevano trascurati dalla Direzione Aziendale a favore dei Commerciali, i quali procurando grossi contratti venivano dai Manager portati ad esempio come artefici del successo aziendale. Quando poi il migliore dei venditori fu promosso A.D. della divisione, si trovò a coordinare tutti gli altri, compresi gli Ingegneri che già percepivano il proprio lavoro come sottovalutato, in un clima pesante e con una leadership non riconosciuta.

Si erano creati gli stereotipi del Tecnico, preparato ma noioso e intrattabile, del Commerciale, bravo nelle relazioni ma inaffidabile e approssimativo, e dell’addetto di Amministrazione-Gestione, preoccupato solo di controllare l’esattezza dei documenti e far quadrare i conti, incapace di cogliere altrui bisogni di maggior flessibilità.

Il conflitto tra persone di diversa attitudine, formazione, esperienza e ruolo era diventato conflitto d’interessi. Come se il risultato positivo per l’Azienda, non fosse un obbiettivo comune e utile a tutti.

In pochi mesi, le incomprensioni fra i diversi reparti divennero chiusura, diffidenza, invidia, maldicenze, boicottaggio. Si moltiplicarono gli errori, procedure che richiedevano collaborazione e fiducia reciproca divennero impossibili da portare a termine, e i tempi di realizzazione dei progetti si allungarono. Il risultato economico dell’Azienda registrò un calo del 30% in un anno e mezzo. Alcuni contrasti personali degenerarono, due persone chiesero il trasferimento in altra unità operativa. Per alcuni mesi persino le assenze per malattia aumentarono sensibilmente” .

Un colloquio tra due nostri Consulenti e i Responsabili di Reparti e H.R., seguito da un Assessment sul personale, ha evidenziato diverse criticità e consentito di concordare due interventi Formativi, appositamente costruiti su precisi obbiettivi, e poi erogati al Personale Dipendente e ai Managers di Reparti e Risorse Umane.

Abbiamo riscontrato molta curiosità, e disponibilità da parte di quasi tutti. Chiedendo loro di mettersi in gioco (a volte letteralmente) abbiamo “mescolato le carte” e portato i partecipanti a considerare anche il punto di vista dell’altro.  Attraverso l’utilizzo di  esercitazioni pratiche abbiamo portato in aula tecniche efficaci di comportamento, e suggerito come prevenire e risolvere i conflitti fornendo sia strumenti di riflessione  che  di applicazione.  Il nostro operato si è focalizzato sul miglioramento del benessere psicologico quale presupposto di una maggiore produttività del personale con conseguente implementazione del fatturato aziendale. In ultimo migliorando la comunicazione, a tutti i livelli, abbiamo ottenuto un clima aziendale sereno ed una nuova capacità di collaborare – facendo squadra – agli obbiettivi comuni a tutti: il benessere psicologico e il risultato economico dell’Azienda.

Grazie al Follow-Up, tornati in Azienda a distanza di tempo, abbiamo verificato che il nuovo approccio relazionale si è stabilizzato nei comportamenti delle persone, ed è da queste percepito come utile anche nella vita privata.

 

© Relazione tra reparti – Psicologiadellavoro.org

Le attività e le competenze del selezionatore

Le attività e le competenze del selezionatore

Definizione

Il selezionatore è una figura professionale che svolge una serie di attività che hanno per obiettivo l’acquisizione di risorse umane contribuendo a costituire lo stock di professionalità di cui ha bisogno un’organizzazione.

Premesso che il Selezionatore può essere un lavoratore autonomo o dipendente, di seguito elenco alcune attività, competenze e attitudini di questa professione.

 

Le attività

    • Individua i fabbisogni dell’impresa o del cliente
    • Analizza le posizioni vacanti e il fabbisogno di risorse umane
    • Definisce le caratteristiche del profilo richiesto tracciando in tal modo un Profilo Ideale che comprenda competenze tecniche, soft skills e caratteristiche personali richieste dalla funzione)
    • Ricerca il personale potenziale utilizzando diverse fonti informative (agenzie, internet, consulenti, ecc.)
    • Analizza le candidature interne ed esterne e le classifica per caratteristiche
    • Effettua una scrematura dei candidati sulla base dei curricula ricevuti e dei criteri di selezione stabiliti
    • Contatta i candidati da sottoporre a colloquio
    • Intervista i candidati
    • Utilizza strumenti di assessment (test, assessment center, ecc)
    • Stabilisce la corrispondenza tra le caratteristiche dei candidati e quelle del profilo ideale
    • Individua tra i candidati valutati quelli idonei a ricoprire le posizioni lavorative.

 

Quali sono le Competenze e attitudini che deve avere?

Competenze tecniche

    • Competenze in psicologia del lavoro
    • Capacità di effettuare analisi dei fabbisogni professionali
    • Capacità di costruire Job Description e Job Analisys
    • Capacità di applicare le tecniche di ricerca del personale
    • Capacità di utilizzare i sistemi di reclutamento del personale
    • Capacità di svolgere colloqui di selezione
    • Conoscenza e capacità di utilizzare strumenti come Test psicologici (attitudine, personalità, ecc.), Assessment center
    • Capacità di effettuare un bilancio di competenze
    • Capacità di individuare candidati idonei a ricoprire le posizioni lavorative scoperte.

Competenze trasversali

    • Capacità organizzative
    • Capacità di ascolto
    • Capacità di analisi
    • Capacità relazionali (empatia)
    • Capacità di gestione e sviluppo delle risorse umane
    • Raccolta e gestione delle informazioni
    • Autonomia
    • Capacità decisionali

 

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© Le attività e le competenze del Selezionatore – Andrea Castello

 

 

Selezione e Assessment center

L’analisi a priori: la selezione e l’assessment center

In questo caso, le leve operative proposte, hanno la finalità di analizzare la motivazione che un determinato soggetto ha a priori, ossia prima di iniziare la sua esperienza lavorativa, o di intraprendere una nuova attività o responsabilità. Un’analisi di questo tipo, condotta con tecniche preventive come la selezione e le sedute di assessment (insieme di tecniche basate su colloqui motivazionali e test situazionali), è utile nel momento in cui si voglia fare una previsione sul grado di accettazione dell’attività proposta al soggetto, e sul livello di competenze che “potenzialmente” sarà in grado di mettere in pratica sul campo. Il manager, fin dalla in fase di selezione e di pianificazione della prestazione, gode pertanto di una straordinaria opportunità: quella di stimolare il collaboratore a mettere in campo o modificare (nel caso di una risorsa già operante) certi comportamenti. L’accordo iniziale sulla prestazione è determinante ai fini del risultato, in quanto il collaboratore deve sapere su cosa e come sarà valutato. Il valore attribuito al risultato finale può rappresentare uno degli input motivazionali, che vanno evidenziati in una sorta di “patto iniziale” con se stessi e richiamati nei momenti di caduta della motivazione.

Una volta condivisi gli obiettivi il valutatore deve stimolare e verificare i cambiamenti e miglioramenti nell’anno con interventi di assessment, ma non è raccomandabile arrivare alla fine dell’anno per valutare quei comportamenti. In sede di assessment è importante esplicitare al dipendente qual è il risultato e il vantaggio, in termini di gratificazione, che lo sviluppo della competenza consentirà di conseguire. Secondo differenti indagini aziendali, infatti, sembra che la più comune causa di prestazioni insoddisfacenti da parte dei collaboratori non sia legata alle scarse competenze, o alla scarsa volontà del collaboratore, bensì alla poca chiarezza sugli obiettivi e sulle aspettative che i superiori hanno dai collaboratori stessi. Sempre riferendosi al modello prima esposto della prestazione, la selezione e altri strumenti come l’assessment sono finalizzati a capire anche se, per una data posizione, l’inadeguatezza di un soggetto sia da imputare ad un difetto di capacità o di motivazione. Ciò risponde ad almeno due necessità. In primo luogo orientare la formazione iniziale verso l’elemento che sia risultato carente, qualora tale elemento non sia da considerarsi strategico e per ciò stesso imprescindibile per lo svolgimento della specifica mansione. Inoltre, in questa maniera, è possibile rendere coerenti le valutazioni fatte a posteriori con quelle fatte a priori, così che misurino l’eventuale superamento del gap di quell’aspetto specifico precedentemente misurato. Questo lavoro di ancoraggio  tra competenza e risultato atteso (che ricorda le già esposte tecniche di PNL), può emergere dal processo di rilevazione del gap, in un processo che nella prassi viene definito mappatura delle competenze collegate alla performance di eccellenza, attraverso la diagnosi del gap individuale e la predisposizione di un piano di sviluppo, secondo una logica di “performance improvement”. Non bisogna quindi terminare l’intervista di valutazione senza stabilire chiaramente quali sono gli obiettivi di sviluppo per il prossimo periodo, ed il piano di azione per raggiungerli. Le sedute di assessment, costituiscono inoltre una sistematica verifica del grado di apprendimento ed integrazione nell’azienda, due variabili chiavi nel predire il livello di motivazione attuale e prospettico del lavoratore.

Come già anticipato questa fase dovrà concentrarsi su competenze di natura generica, che essendo tali possono adattarsi a qualsiasi attività lavorativa (sistemi di skill evaluation). Fra queste si hanno principalmente le intelligenze cognitive  (percezione ambientale, creazione di aspettative, progettazione comportamentale, etc), e le intelligenze emotive , che creano meccanismi di repulsione/attrazione classificando i fenomeni in piacevoli e dispiacevoli, e così via. In accordo con il fine di indagine del presente lavoro, si ritiene utile approfondire le caratteristiche dell’intelligenza emotiva, come dimensione della competenza più strettamente legata alla motivazione. L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere, capire ed utilizzare con efficacia il potere delle emozioni trasformandolo in energia, empatia, informazione, affidabilità e creatività per arrivare ad un certo risultato. A questo riguardo è doveroso fare alcune precisazioni, che si ritengono importanti da un punto di vista manageriale. Il fatto di vedere soddisfatti i propri bisogni, o viceversa di incontrare degli ostacoli nel perseguire i propri scopi, suscita nel lavoratore delle emozioni. Pur essendo emozione e motivazione due processi fra loro interdipendenti, spesso il manager li confonde. Lo studio della motivazione cerca di spiegare il perché di un comportamento, lo studio dell’emozione descrive la reazione ad un cambiamento. Quindi non sempre un lavoratore che non manifesta in modo evidente una dose di emotività o empatia non ha motivazioni. Avrà delle motivazioni che si esternano con altre modalità. Simmetricamente se un lavoratore non reagisce a degli incentivi, non vuol dire che non è coinvolto o che il lavoro non gli da emozioni, ma può aver bisogno di altri tipi di incentivi, o ha delle motivazioni incoerenti con il tipo di incentivi che gli si sta proponendo per attivare il suo comportamento. Sempre in riferimento alla motivazione ed all’emozione bisogna fare ulterioriormente chiarezza. Tradizionalmente la motivazione viene considerata una “eccitazione organizzata”, ossia un’attività programmata e consciamente orientata alla realizzazione di un determinato scopo . L’emotività, invece, si ritiene a torto essere una forma di “eccitazione disorganizzata”, nel senso che non è funzionale ad un particolare obiettivo. In realtà esistono motivazioni non conosciute o non controllabili e persone che conoscono e controllano perfettamente il proprio stato emotivo. Nel lavoro, l’esperienza delle emozioni positive produce un valore che le organizzazioni devono essere pronte ad apprezzare ed utilizzare, in quanto rappresentano delle vere e proprie energie da incanalare, disporre e armonizzare in vista di mete, budget e obiettivi predefiniti. Fino a poco tempo fa essere emotivo sul lavoro era un segno di debolezza. Oggi le cose stanno cambiando, e le aziende ricercano sempre di più gente creativa, gente che apporti, ossia assertiva, né passiva, né aggressiva. Se prima era visto come un segnale di debolezza, adesso è visto come un segnale di forza. La motivazione, quindi, è una parte delle competenze personali dell’intelligenza emotiva. Le emozioni di un lavoratore, inoltre, accompagnano la sua esperienza cognitiva e anzi svolgono spesso una funzione adattiva, rappresentando, tra l’altro, una fonte propulsiva di altissimo valore. Gli effetti dannosi che talvolta si osservano, vanno più che altro imputati a inefficienze del processo di regolazione emozionale del soggetto. Essere emotivi non vuol dire dare briglia sciolta alle emozioni, vuol dire, invece, avere un’autoconsapevolezza, sapere che cosa si sente e, nel momento in cui si riesce a capire, imbrigliare questa energia e usarla nel migliore dei modi.

Le emozioni poi vengono ancora viste come appartenenti al mondo privato o comunque a quello del “non-lavoro” e la loro manifestazione è ben accetta, purché avvenga altrove rispetto all’ambiente produttivo. L’equilibrio, invece, tra lavoro e vita richiede che s’investa in emozioni per favorire l’apprendimento emotivo e recuperare un’educazione alla gestione delle emozioni. Ci si riferisce in particolare alle emozioni positive come l’entusiasmo, la sorpresa, la gioia, l’affetto, il sentirsi vitali, peculiari della motivazione. Educare alla gestione ed al riconoscimento delle competenze emozionali, significa per l’organizzazione migliorare le sue basi per il conseguimento degli obiettivi di crescita e per favorire la produzione di un benessere soggettivo e collettivo.

Tra gli approcci di nuova generazione nell’analisi della motivazione attraverso le competenze, hanno un grande rilievo i metodi “esperienziali” volti a capire quali elementi si presentano combinati nei casi di successo, raffrontati a quelli che si presentano o non si presentano nei casi di insuccesso. La tecnica utilizzata è un tipo di intervista che richiede di ricostruire e descrivere situazioni di successo e di insuccesso esplicitando ciò che si è fatto e con quali risorse. In quest’area lo strumento più affermato è il behavioral event interview (BEI) o “intervista del comportamento di evento”, realizzato da David McClelland , che fa parte dei più generici Competency Assessment Methods e delle più generiche “tecniche proiettive”, in cui si chiede all’intervistato quale comportamento metterebbe in atto in situazioni e circostanze simili a quelle del ruolo specifico . L’intervista narrativa o le altre tecniche di proiezione simulata del ruolo come il role playing e il business game, si basano sul presupposto che il comportamento umano ha modelli che si ripetono , per cui, attraverso un osservazione a ritroso, cerca di analizzare gli eventi critici nella vita e nella carriera di una persona, al fine di trarre alcuni fattori come gli atteggiamenti, le motivazioni, le intenzioni, l’immagine di sé, rilevabili in una determinata situazione lavorativa. L’idea è che il comportamento attuale, ma soprattutto quello passato, forniscono il migliore modello predittivo di quale sarà il comportamento futuro, a differenza delle normali interviste basate esclusivamente sulla formazione, sull’esperienza e sulle conoscenze, tutte informazioni già rilevabili nel documento curriculare. Quindi non solo quali competenze ha un candidato, ma “come” e “perchè” li mette in pratica. In questa maniera è possibile comprendere quali sono le abilità trasversali che qualificano le competenze tecniche del soggetto, le aree che maggiormente lo motivano, dal momento che hanno portato a risultati di successo e le aree che invece non gli procurano alcuna soddisfazione .

E’ però possibile una verifica a priori della rispondenza del candidato alla posizione, solo nella misura in cui, ancora prima dell’intervista, si è stabilito quali reazioni sarebbero da considerare performanti e quali comportamenti si ritiene che rivelino una forte motivazione al lavoro nei casi specifici che si chiederà di descrivere. Verrà quindi operato un confronto tra il modello teorico previsto e il racconto del candidato. Inoltre la tecnica dell’intervista sul comportamento di evento consente a posteriori di verificare quasi sul campo se, effettivamente, il candidato ha delle forti motivazioni al lavoro che lo spingono a profondere maggiore impegno, qualora gli si presentino situazioni analoghe a quelle che aveva descritto ed in cui ha la possibilità di dimostrare la sua coerenza di fondo. Infatti uno dei problemi maggiori di questo tipo di tecnica è quello delle così dette “vite inventate”. Il fatto cioè che, essendo ormai sempre più diffuso questo tipo di intervista, si corre il rischio che i candidati si preparino delle situazioni ipotetiche ad hoc per ogni tipologia di domanda, simulandole perfettamente durante il racconto, o, quantomeno, esagerando situazioni reali. Ciò succede intanto in conseguenza di un sempre più diffuso utilizzo dei media (soprattutto di internet) per promozionare l’immagine ed i valori aziendali. Questo fa sì che, il potenziale candidato, ha la possibilità di inventare delle situazioni da cui traspare l’idea di candidato ideale per una data società, o comunque, “aggiustando il tiro” di un’esperienza effettivamente avuta, orientandola verso l’idea di un’esperienza di successo, in conformità con le informazioni apprese su internet o con altri mezzi. Inoltre, soprattutto in ambito anglosassone, sia gli uffici di orientamento al lavoro di alcune università come quella di “Law and Economics”, sia le società specializzate in outplacement , allenano il candidato sulle più frequenti caratteristiche ricercate dai datori di lavoro e sulle tipologie di domande che verranno fatte durante l’intervista. Ma c’è di più. Non è infrequente, infatti, trovare dei forum o delle newsletter su internet in cui ex-candidati sottoposti ad intervista, abbiano avuto la pazienza e la bontà di pubblicare le domande che di solito vengono fatte nelle maggiori società come Hewlett-Packard, Nike, Microsoft, Intel, etc., dove vengono fatti centinaia di colloqui al giorno. Sono quindi necessarie delle contromisure per evitare di cadere in tranelli o lasciarsi affascinare da racconti fittizi. In primo luogo la semplice consapevolezza del problema (che non è così diffusa come si può pensare) mette in allerta l’intervistatore nel cercare evidenti segnali di bluff. Ad esempio, il fatto che non faccia neanche un secondo di pausa di riflessione prima di rispondere alla domanda, o che ha uno sguardo sicuro e diretto durante il racconto (quando invece di solito quando si parla pensando al passato si guarda altrove) è un indice del fatto che ha preparato quella domanda . In secondo luogo, per confermare l’autenticità della storia e degli esempi del candidato, gli intervistatori devono scendere nei particolari e richiedere aspetti specifici della storia, esibendo però un tono di curiosità e non da indagatore, cosa che altrimenti potrebbe bloccare il candidato. Un altro modo può essere quello di chiedere non solo cosa ha fatto, ma anche cosa ne pensava di quello che stava facendo, e cosa ne pensa ora a mente fredda. Diverse ricerche, infatti, dimostrano che è difficile per un falsificatore mantenere una coerenza costante fra tutti e tre i livelli di racconto. Inoltre il fatto che abbia preso una posizione di giudizio sia al tempo in cui stava svolgendo l’attività, sia al momento del racconto, indica che l’esperienza è effettivamente avvenuta, poiché ha lasciato un segno, tanto da indurre il soggetto ad una sua revisione critica.

Un’altra tecnica si basa sul principio che i candidati che sostengono di aver avuto dei successi significativi, devono imparare qualcosa dalle loro esperienze. Se può essere facile fabbricare un successo, lo è molto meno inventare esempi di che cosa si è imparato da un successo. Per cui domande tipo “cosa le ha insegnato l’esperienza” o “come applichi quello che hai imparato da allora” possono servire a individuare il candidato simulatore. Per concludere l’intervistatore puòfare alcune domande che richiedono al candidato di dimostrare quello che conosce, in tempo reale, e non evincendolo dalla descrizione delle cose di successo che ha fatto in passato. Alternativamente si può sempre prendere spunto da situazioni già raccontate, ma cambiando alcuni fattori interagenti o le variabili di azione, per vedere se la sua competenza di successo è ancora tale anche “cambiando il finale”. Questo tipo di domande, infatti, devono essere risposte sul momento, e non possono essere preparate .

Il vantaggio principale di questo metodo è la capacità di cogliere gli aspetti delle competenze specifici ad un particolare compito, aspetto importante sia ai fini della  formazione e dello sviluppo, sia per ricompensare le capacità e le competenze che hanno particolare valore in quel compito e che non sarebbero rilevanti in un approccio standardizzato, basato su metodologie classiche di intervista uguali per tutti. Uno svantaggio è il carattere statico, orientato al passato e poco evolutivo di un’analisi centrata sulle competenze che hanno mostrato di generare comportamenti efficaci, ma che nulla dice su quali altre combinazioni di competenze sarebbero state possibili e forse più efficaci, né quali altri comportamenti si sarebbero potuti generare con le stesse competenze. Un altro forte svantaggio, come si è detto, è la possibilità di comportamenti opportunistici. L’intervista basata sul comportamento, continua pertanto ad essere uno strumento efficace per selezionare i candidati che devono avere certe competenze e attitudini, tra cui la capacità di automotivarsi e la motivazione verso quella specifica mansione, ma le tecniche su cui si fonda dovranno evolversi, per tenere conto della maggiore preparazione dei candidati e della necessità di rilevare la dinamicità nel riformulare e ricombinare continuamente il proprio asset di competenze, in risposta ad un’elevata competitività. Ancora più complesso il caso in cui si utilizzino test strutturati allo stesso modo. In questi casi, l’appropriatezza della prestazione, come si evince dall’analisi del test, non costituisce un indicatore preciso o scientifico della presenza di motivazione. Come nel caso dell’istruzione programmata, in cui ciascuna conoscenza è distribuita in un piccolo gruppo di domande all’interno di test di verifica dell’apprendimento, se la risposta data dal soggetto è corretta, la medesima ricompensa, sarà attribuita anche a chi ha individuato la risposta giusta per caso, tirando ad indovinare, il che, tra l’altro, può finire per indebolire anche la motivazione estrinseca del candidato. L’ottenimento di quel posto, cioè, non costituisce più una sfida (vedasi la parte teorica in cui si è parlato di automotivazione).

 

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo

 

 

Strumenti di Assessment

Gli strumenti di assessment che proponiamo al momento sono:

 

    • Matrix® – sistema di “Valutazione delle Risorse Umane“, si fonda su principi di Psicologia, Neuroscienze e sulla “Individuazione delle Competenze“, e consente di gestire in modo uniforme il collegamento tra i comportamenti delle persone (Profili reali) e gli obiettivi aziendali (Profili attesi), fornendo reports sul profilo delle risorse, su come gestirle, su come comunicare con esse, sulle esigenze formative, sulle affinità, omogeneità ed aree critiche. Questo strumentopuò essere utilizzato per:

 

  1. La Valutazione ed il monitoraggio del personale (valutare le competenze trasversali)
  2. La selezione (individuazione del profilo ideale)
  3. La formazione (analisi dei gap formativi)

 

Per utilizzare Matrix® si deve andare nella sezione “Strumenti e Servizi On Line” e seguire le relative istruzioni

Per approfondire Matrix® cliccare QUI

 

 

Articolo 9 – Lo stress lavoro correlato: Prospettive di intervento – Valutare l’organizzazione – Questionari

Questionari rivolti all’identificazione delle sorgenti di stress da lavoro e alla valutazione dell’organizzazione del lavoro:

 

Rispetto a questa prima classificazione l’autore identifica:

    • L’Occupational Stress Indicator (OSI) il questionario sviluppato da Cooper (1988) che, come dalla tabella riportata, è disponibile anche in italiano. Si tratta di uno strumento voluminoso, la cui auto-somministrazione richiede circa un paio d’ore. Le sue dimensioni fanno sì che esso sia frequentemente applicato in modo parziale. Il questionario indaga oltre ai fattori intrinseci al lavoro (fonti dello stress: relazione con altre persone, carriera e riuscita, interfaccia casa lavoro,…), le caratteristiche dell’individuo (stato di salute, locus of control,…) le strategie di capitolo quarto coping (supporto sociale, orientamento al compito, relazione casa lavoro,…) e gli effetti dello stress (soddisfazione per il lavoro, soddisfazione per l’impostazione e la struttura organizzativa,…). Gli elementi di disagio vissuto sono considerati possibili indicatori di criticità organizzativa.
    • Il questionario sui fattori di stress da lavoro (QFSL). Si tratta di uno strumento composto da 40 domande, a ciascuna delle quali la risposta è fornita mediante una scala Likert in 5 punti; fornisce un  punteggio complessivo, espressione del complessivo “strain” occupazionale, e sei sub-scale, corrispondenti a ciascuna delle classi di fattori di stress a cui fa riferimento. Tale strumento si basa sulla classificazione dei fattori di stress proposta da Raja Kalimo (1980) e riferita ai precedenti studi di Cooper et al. (1976), in sei categorie: fattori legati al ruolo nell’organizzazione, fattori intrinseci al lavoro, rapporti con gli altri, clima e struttura organizzativa, carriera, interfaccia con l’esterno. Il questionario fornisce una rappresentazione esaustiva dei fattori di stress professionale e si è rivelato efficace per identificare ed elencare tutti i fattori di stress potenzialmente presenti in una determinata situazione lavorativa.

Magnavita (2007) ha condotto uno studio allo scopo di verificare i risultati dell’applicazione del questionario. Il questionario è stato somministrato a 371 lavoratori della sanità. I risultati mostrano che la consistenza interna del questionario, che esprime la capacità di spiegare correttamente la varianza dei fattori di stress occupazionali rispetto all’ipotetica varianza reale di tutti i fattori di stress presenti nel luogo di lavoro, misurata mediante il coefficiente alfa di Cronbach, è risultata molto buona, cioè largamente superiore al livello convenzionale dell’80%, alfa=0,9284.

Tuttavia, l’autore sostiene che le categorie di fattori di rischio presentano evidenti sovrapposizioni e la lunghezza del questionario ne limita l’applicazione congiunta con altri strumenti di misura.

L’autore propone inoltre, sempre all’interno di questa categoria, alcuni questionari utili alla valutazione dell’organizzazione del lavoro, quali:

    • Il Questionario per la Valutazione dell’Organizzazione del Lavoro (WOAQ – Work Organisation Assessment Questionnaire) è uno strumento che è stato sviluppato dai ricercatori dell’Università di Nottingham nel quadro di un progetto per la valutazione e la riduzione dei rischi da lavoro nel settore dell’industria. Il WOAQ è costituito da 28 domande relative ai possibili rischi inerenti al design e al management del lavoro, ciascuna associata a cinque possibili risposte. Agli addetti viene richiesto di indicare, sulla base della propria esperienza e conoscenza, quanto sia problematico (o soddisfacente) ciascun aspetto del proprio lavoro, mediante una scala a cinque punti tipo Likert. La formulazione delle domande è di tipo situazionale più che psicologico. Ad esempio, si chiede “quanto pensa che questo aspetto del suo lavoro sia buono (o cattivo)?” piuttosto che “quanto è stressato da questo aspetto del suo lavoro?”. La direzionalità delle scale è stata variata al fine di ridurre la probabilità di risposte perseveranti. Nella versione originale inglese, l’esame della struttura fattoriale non ruotata ha indicato che una percentuale significativa della varianza del questionario è spiegata da un singolo fattore; viceversa, mediante rotazione Varimax sono stati identificati cinque fattori, relativi rispettivamente: alla qualità delle relazioni con il management; a ricompense e riconoscimenti; al carico di lavoro; alla qualità delle relazioni con i colleghi; alla qualità dell’ambiente fisico. La versione italiana del WOAQ conserva le caratteristiche dell’originale e manifesta relazioni coerenti con variabili correlate all’organizzazione del lavoro, come il sostegno sociale (col quale si correla positivamente), lo stress da lavoro e il malessere psico-fisico dei lavoratori (con i quali si correla in senso negativo). Il WOAQ si conferma quindi, per l’autore, uno strumento utile per la valutazione dell’organizzazione del lavoro.
    • Il questionario M_DOQ10 (Majer_D’Amato Organizational Questionnaire_10), è composto da 70 item su scala Likert a 5 punti e misura 10 dimensioni centrali dei fenomeni organizzativi: comunicazione, autonomia, coerenza, chiarezza dei ruoli, coinvolgimento nel lavoro, equità, relazioni e comunicazioni con i superiori, innovatività, dinamismo. Il questionario viene elaborato per via informatica mediante un programma dedicato. Il questionario indaga le caratteristiche dell’organizzazione aziendale e si è rivelato, più propriamente, un valido strumento di misura del clima organizzativo.

Tangredi et al., (2007) hanno condotto uno studio, allo scopo di sperimentare e validare un criterio per l’identificazione delle cause dello stress lavoro correlato, mettendo a punto un modello di valutazione del rischio, basato sul raffronto della rilevazione delle caratteristiche dell’organizzazione del lavoro, effettuata attraverso un questionario somministrato al responsabile e, la rilevazione della percezione soggettiva attraverso un questionario specifico somministrato al gruppo degli esposti. Il modello di valutazione del rischio, oggetto del presente studio, è stato sperimentato in un campione composto 268 lavoratori di 13 Amministrazioni Comunali appartenenti a categorie note per il rischio stress appartenenti a 23 strutture organizzative omogenee (agenti di polizia locale ed educatrici di asilo nido).

Il modello di valutazione del rischio sperimentato è basato sulla identificazione di “aree chiave” (possibili fonti di pericolo) nella organizzazione del lavoro, rilevate attraverso la somministrazione di un’intervista semistrutturata per la rilevazione degli elementi caratterizzanti l ’organizzazione del lavoro, al responsabile dell’organizzazione dell’attività lavorativa, accompagnata dalla verifica della relativa documentazione (procedure, mansionario, schede di autovalutazione,…) presente presso il luogo di lavoro. Le criticità rilevate nell’organizzazione del lavoro (es. poca chiarezza nelle mansioni, assenza di procedure operative e dell’autocontrollo sull’attività svolta, scarsa possibilità di chiarimenti da parte dell’organizzazione, …) sono, secondo il modello proposto, riconducibili alle cosiddette “aree chiave” (possibili fonti di pericolo per stress) per la determinazione dei gradi di probabilità di rischio.

La valutazione del rischio è stata completata con la rilevazione della percezione soggettiva del clima organizzativo nel gruppo degli esposti, attraverso la somministrazione del questionario MDOQ_10 (Majer_D’Amato Organizational Questionnaire_10). I fattori dell’organizzazione indagati con i due strumenti di rilevazione (fase 1: intervista e MDOQ_10) sono gli stessi: team, comunicazione, coerenza, valutazione della soddisfazione del lavoratore, valutazione della soddisfazione dell’azienda, carichi di lavoro, orari di lavoro, retribuzione e carriera, mansioni e procedure, autonomia, responsabilità, innovatività, formazione. Pertanto,il questionario MDOQ_10, complessivamente analizzato nel gruppo, è stato integrato nel modello di valutazione, con le rispettive variabili appaiate per analogia ai fattori caratterizzanti l’organizzazione del lavoro e riconducibili alle quattro aree chiave individuate (relazioni con il lavoro, vita lavorativa, processi di gestione, cambiamento).

Così come per gli aspetti dell’organizzazione del lavoro rilevati con l’intervista al responsabile, anche per gli aspetti della percezione del clima organizzativo da parte del gruppo degli esposti, le criticità emerse sono state considerate come campi di interventi correttivi specifici della realtà lavorativa presa in esame.

La valutazione del rischio (fase 2) è stata parallelamente integrata da un’indagine epidemiologica (fase 3) sugli effetti che il clima organizzativo può avere determinato sui lavoratori (intesi come vissuto personale di condizioni stressogene), attraverso la somministrazione di:

    • un questionario per la valutazione dello stress occupazionale (OSI) che, come abbiamo osservatosopra, indaga i fattori intrinseci al lavoro. Gli elementi di disagio vissuto sono considerati possibili indicatori di criticità organizzativa.
    • un questionario per la raccolta dei disturbi somatiformi (stress correlabili. L’indagine epidemiologica dei disturbi somatiformi costituisce un’utile integrazione al monitoraggio dello stato di benessere psico-fisico nel gruppo degli esposti.

In questa fase di indagine la Valutazione del rischio stress è stata caratterizzata dall’attività integrata del medico competente, della psicologa e del tecnico della prevenzione.

Per entrambe le categorie l’analisi delle aree chiave ha portato a risultati complessivamente concordanti, anche a conferma della corrispondenza dei fattori organizzativi presi in esame dai due strumenti di rilevazione utilizzati (intervista e questionario MDOQ_10).

Lo studio ha evidenziato come, sia pur a fronte di organizzazioni lavorative strutturate e di una percezione generalmente positiva del clima organizzativo, nei due gruppi emerga un vissuto di tensione relativamente ad alcuni aspetti dell’attività lavorativa (“relazioni con altre persone” e “ruolo manageriale” per le educatrici e “carriera e riuscita e “clima e struttura organizzativa” per gli agenti di polizia locale).

Gli autori con presente studio hanno inteso promuovere l’utilità di un modello integrato nella valutazione dei rischi che prevede la valutazione dell’organizzazione e valutazione della percezione del singolo.

Inoltre, i risultati hanno evidenziato che una valutazione integrata permette di rilevare più facilmente “aree di criticità”, anche quando apparentemente l’organizzazione è ben strutturata; o viceversa rilevare una buona percezione del clima organizzativo da parte dei lavoratori anche quando dall’analisi dell’organizzazione (intervista al responsabile) emergono invece criticità.

Gli autori ritengono che il metodo utilizzato abbia raggiunto gli obiettivi prefissati rivelandosi un buon modello da proporre ai soggetti coinvolti nella prevenzione e tutela del benessere psicofisico dei lavoratori, soddisfacendo esigenze di rilevazione sia oggettiva ché soggettiva.

Sottolineano, inoltre, l’utilità dell’approccio multidisciplinare (tecnico, medico, psicologo) sia nella fase di impostazione degli strumenti di studio, sia nelle fasi di valutazione e adozione dei provvedimenti, oltre che per un migliore controllo dello stato di salute dei lavoratori.

Concludendo gli autori auspicano per la valutazione dei fattori di rischio spico-sociali e dello stress lavoro correlato, nella pratica, l’uso di metodi integrati ed un approccio multidisciplinare.

Nella rassegna proposta da Magnavita (2008) non viene incluso un questionario che merita di essere citato:

    • Il questionario multidimensionale della salute organizzativa MOHQ inserito invece nella tabella proposta da Tabanelli et al. (2008). Il questionario consente di definire “lo stato di salute” dell’organizzazione e di individuare le aree sulle quali intervenire per promuovere migliori condizioni di lavoro. Si basa sul costrutto di “salute organizzativa” definita come “l’insieme dei nuclei culturali e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative”  (Avallone e Paplomatas, 2005). Come si può desumere dalla definizione l’oggetto di misurazione diventa la salute dell’organizzazione e dell’intera comunità lavorativa. L’obiettivo, infatti, nell’impiego di questo strumento è quello di desumere, attraverso l’analisi della relazione indivio-contesto, elementi di salute organizzativa piuttosto ché individuale.

Rispetto a molti altri strumenti presi in esame l’MOHQ dedica poca attenzione a variabili di tipo individuale, riservando un’unica scala, quella dei disturbi psicosomatici, tesa a cogliere le conseguenze sulla salute dell’individuo. Il questionario si costituisce di nove parti, ognuna della quali indaga diverse dimensioni:

    1. dati socio anagrafici
    1. costituita da otto item per valutare il “confort dell’ambiente di lavoro” (es. temperatura, silenziosità) percepito dai lavoratori
    1. costituita da quaranta item volti ad indagare dieci differenti dimensioni della salute organizzativa (es. chiarezza degli obiettivi, valorizzazione delle competenze, relazione interpersonali collaborative, fattori di stress, equità organizzativa ecc..)
    1. costituita da una scala composta da nove item valuta la “sicurezza del lavoro”
    1. costituita da scala composta da dieci item valuta le caratteristiche del lavoro e la “tollerabilità dei compiti assegnati”
    1. composta da dieci item relativi agli “indicatori positivi” (es. fiducia nel management) e quattordici item relativi ad “indicatori negativi” (es. insofferenza nell’andare al lavoro) per la valutazione delle sensazioni vissute nell’ambiente di lavoro
    1. composta da nove item relativi ad una sola scala quella dei disturbi psicosomatici
    1. costituita da una scala di nove item per indagare “l’apertura all’innovazione”
    1. costituita da un elenco di suggerimenti migliorativi.

Gli item sono formulati sotto forma di affermazioni sulle quali i soggetti esprimono il loro parere circa la frequenza, da mai a spesso, su scala Likert, con cui la situazione descritta nella frase si verifica all’interno della propria organizzazione.

Questo questionario è stato utilizzato all’interno di un ampia ricerca condotta, fra il 2002 ed il 2003, nella pubblica amministrazione (otto comuni e due ministeri e l’Inpdap) ed è stato somministrato ad oltre tremila soggetti. I risultati hanno mostrato, in sintesi, delle differenze nelle percezioni del campione indagato fra addetti comunali e ministeriali. L’organizzazione “comunale” si è configurata come un ambiente tendenzialmente positivo dal punto di vista della salute organizzativa indicando come dimensioni di criticità e possibile miglioramento l’area dell’equità organizzativa e la percezione di “sovraccarico lavorativo” che conduce spesso alla percezione da parte degli addetti di stress lavorativo. L’organizzazione “ministeriale” invece ha presentato una percezione globale di salute organizzativa critica anche se, rispetto all’organizzazione comunale, le percezioni degli intervistati rispetto alle dimensioni di tollerabilità dei compiti e di percezione di stress si sono rivelate tendenzialmente positive. Il basso livello di stress percepito dagli addetti ministeriali potrebbe essere messo in relazione e spiegato dal profilo dei compiti descritto dagli stessi come eccessivamente monotoni e noiosi a causa della rigidità di norme e procedure, questo però non sembra compensare lo scarso senso di coinvolgimento emotivo e cognitivo nel proprio lavoro ed il basso livello di salute organizzativa che tali caratteristiche dei compiti contribuiscono a determinare. Rispetto all’intero campione la soddisfazione per le relazioni personali costruite sul lavoro e vissute come fonte di supporto sembrano costituire il maggior collante organizzativo (Avallone e Paplomatas, 2005).

Come si può evincere da questi dati il questionario consente l’esame dell’insieme dei processi e delle pratiche organizzative che incidono sul benessere della comunità lavorativa. Nel modello di valutazione proposto dal MOHQ, infatti, l’attenzione è principalmente all’organizzazione, ai processi ed alle relazioni che contribuiscono alla sua definizione ed il rischio è connesso al tipo di convivenza che si realizza all’interno dell’organizzazione stessa.

LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: PROSPETTIVE DI INTERVENTO A PARTIRE DAL DECRETO LEGISLATIVO DEL 9 APRILE 2008, N°81 – © Serena Molari