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Clima organizzativo: conclusioni

Conclusioni

Foto di Bob Dmyt da Pixabay

“Trova un lavoro che ti piace e aggiungerai alla tua vita cinque giorni a settimana” – H. Jackson Brown Jr.

In questo lavoro ho trattato il tema del clima organizzativo poiché, mai come oggi, nella gestione delle risorse umane e nelle prassi manageriali delle imprese più attente ai propri dipendenti, emerge forte l’esigenza di cogliere sentimenti e sensazioni delle persone nelle organizzazioni.

Il fattore umano è l’elemento in grado di fare la differenza all’interno del mercato: le persone, infatti, possiedono una pluralità di conoscenze, competenze e capacità fondamentali per lo sviluppo delle organizzazioni, le quali hanno il compito non facile di gestire al meglio le proprie risorse umane per tradurre in valore il loro potenziale.

Ma le persone sono anche portatrici di sentimenti ed aspettative che le organizzazioni non possono trascurare: per loro il lavoro individua un tassello importante della loro vita. Diventa quindi fondamentale per un’organizzazione avere la capacità di riconoscere e soddisfare bisogni e necessità dei singoli individui, poiché godere di risorse umane motivate, che nutrono sentimenti positivi verso l’organizzazione e che vivono il proprio lavoro con positività ed entusiasmo, significa avere maggiori possibilità di raggiungere performance di eccellenza.

In conclusione, a mio parere l’obiettivo che le imprese dovrebbero perseguire nel contesto economico italiano attuale, dovrebbe essere quello di sviluppare pratiche e strumenti di gestione delle risorse umane che permettano loro di ascoltare sempre meglio i propri dipendenti. E’ solo in presenza di azioni che incoraggiano sentimenti positivi verso l’organizzazione ed il proprio lavoro che ogni persona può sentirsi bene con se stessa e tradurre questo sentimento nella capacità di creare valore per l’azienda.

BIBLIOGRAFIA

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  • INNOCENTI L., Clima organizzativo e gestione delle risorse umane. Unire persone e performance, Franco Angeli, 2013
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  • LEWIN K., LIPPITT R., WHITE R.K., Patterns of aggressive behavior in experimentally created “social climates”, Journal of Social Psychology, 1939
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  • MASLACH C., JACKSON S.E., MBI: Maslach Burnout Inventory. Consulting Psychologists Press, Palo Alto, CA, 1993, traduzione italiana a cura di Sirigatti S., Stefanile S.
  • MASLACH C., JACKSON S.E., The Measurement of Experienced Burnout, Journal of occupational behavior, 1981
  • MORAN E.T., VOLKWEIN J.F., The cultural approach to the formation of organizational climate. Human relations” – Articolo di ricerca pubblicato il 01.01.1992
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  • SOBRERO R., L’importanza delle risorse umane: focus sul welfare aziendale, CSR Piemonte, Regione Piemonte ed Unioncamere Piemonte, 2012
  • THOMAS M.E., FREDERICKS V.J., The cultural approach to the formation of organizational climate, Rivista Human Relations, 1992


© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri


Elenco di item sul clima organizzativo

Appendice-Elenco di item di tre strumenti di misura del clima

Di seguito sono elencati alcuni item di esempio di tre questionari sul tema del Clima organizzativo: QCE (Questionario sulla Competenza Emotiva), WES (Work Environment Scale = Questionario sull’Ambiente di Lavoro) e IMPC (Inductive Measurement of Psychological Climate = Misura Induttiva del Clima Psicologico).

ALCUNI ITEM QCE

  1. Il mio lavoro è chiaramente definito
  2. La mia azienda è aperta al progresso sociale
  3. Le informazioni circolano spesso secondo modalità confidenziali
  4. Il mio lavoro mi permette di utilizzare tutte le mie capacità e conoscenze
  5. Nel mio lavoro dispongo di una certa autonomia
  6. Nella mia azienda le persone possono esprimere liberamente i propri sentimenti
  7. Questa azienda ha la reputazione di essere retrograda da un punto di vista sociale
  8. I tempi del mio lavoro (o i traguardi del mio lavoro) sono stabiliti senza la mia partecipazione
  9. Qui si incoraggiano le idee innovative e originali
  10. In questa azienda si discute regolarmente con il personale dell’avanzamento professionale
  11. Le promozioni si concedono sulla base delle relazioni personali
  12. Le informazioni importanti circolano sempre agli stessi livelli
  13. Viene incoraggiato il lavoro di gruppo
  14. Nel mio reparto vige la regola “ciascun per sé …”
  15. Mi viene lasciata libertà nell’esecuzione del mio lavoro
  16. I locali dove lavoro sono confortevoli
  17. Nel mio reparto le persone sono solidali
  18. Qui è difficile che le decisioni siano prese velocemente
  19. Io posso parlare facilmente dei miei problemi personali con i superiori
  20. Ho un ruolo più importante nelle mie attività extra-lavorative che non qui
  21. Qui si incoraggiano le persone ad adottare prospettive a lungo termine
  22. Solo i quadri dirigenti sono informati degli obiettivi e dei risultati dell’azienda
  23. In questa azienda c’è un buon clima
  24. Nel mio reparto le ambizioni personali di ciascuno prevalgono sullo spirito di gruppo
  25. Le comunicazioni dai vertici alla base consistono essenzialmente nel trasmettere direttive

ALCUNI ITEM WES

  1. Il mio lavoro è veramente una sfida continua
  2. Si fa tutto il possibile per facilitare l’inserimento di un nuovo assunto
  3. Quando parlano ai dipendenti, i superiori tendono ad adeguarsi al loro livello
  4. Sono pochi i dipendenti che hanno responsabilità importanti
  5. Il personale porta a termine il proprio lavoro con molta attenzione
  6. C’è una costante pressione affinché si mantenga un certo ritmo di lavoro
  7. Talvolta c’è una certa disorganizzazione
  8. Si pone molta enfasi sulla rigida osservanza di regole e ordini
  9. Si apprezza chi esegue il proprio lavoro con originalità
  10. Talvolta fa troppo caldo
  11. Non c’è abbastanza spirito di gruppo
  12. Talvolta l’atmosfera è troppo fredda
  13. Di solito i superiori si congratulano con chi ha svolto bene il proprio lavoro
  14. Ognuno ha la possibilità di svolgere il proprio lavoro come preferisce
  15. Molto tempo viene sprecato per varie inefficienze
  16. Tutto sembra sempre urgente
  17. Le attività sono pianificate bene
  18. Ognuno sul lavoro può vestirsi come preferisce
  19. Le nuove e diverse idee vengono sempre messe alla prova
  20. L’illuminazione è ottimale
  21. La maggior parte del personale sembra puntuale
  22. C’è un interessamento reciproco tra colleghi
  23. I superiori tendono a scoraggiare le critiche da parte del personale
  24. Il personale è incoraggiato a prendere le proprie decisioni in modo autonomo
  25. Raramente si rimanda qualcosa a domani
  26. Non c’è un attimo di relax
  27. Regolamenti e norme sono talvolta ambigui e confusi
  28. Il personale è tenuto ad osservare determinate regole nello svolgere il proprio lavoro

 

ALCUNI ITEM IMPC

  1. Nella mia azienda le persone si aiutano attivamente l’una con l’altra
  2. Quando sono a casa qualche volta temo di sentir suonare il telefono perché può essere qualcuno che chiama per problemi di lavoro
  3. I miei superiori non fanno favoritismi
  4. Lavorare in questa azienda è stressante
  5. I miei superiori conoscono le mie capacità e fanno in modo che anche io le riconosca
  6. Posso contare sulla lealtà dei miei superiori
  7. È improbabile che i miei superiori mi facciano ingoiare bocconi amari
  8. Nella mia azienda i dipendenti pensano solo al proprio tornaconto individuale
  9. I miei superiori sono pronti a riconoscere una buona prestazione lavorativa
  10. Molto spesso sento commenti positivi sul mio operato
  11. I miei superiori promuovono continuamente nuovi modi di fare le cose
  12. Mi sento molto legato ai dipendenti della mia azienda
  13. Mi sembra di non avere mai una giornata libera
  14. Posso confidarmi con i miei superiori
  15. C’è un forte spirito di squadra tra i dipendenti della mia azienda
  16. È improbabile che i miei superiori mi diano consigli sbagliati
  17. È facile parlare con i superiori di problemi legati al mio lavoro
  18. Sono ragionevoli gli obiettivi di lavoro stabiliti dai miei superiori
  19. I miei superiori hanno una grande integrità personale
  20. I miei superiori sono persone con cui posso confrontarmi
  21. Vengo gratificato dai superiori se eseguo bene il mio lavoro

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Clima organizzativo: Follow up

Follow up

La capacità dell’intervento formativo di incidere concretamente sui risultati di impresa si concretizza al meglio affiancando i partecipanti anche nei day after. L’efficacia della formazione sarà verificata nel tempo, ed i professionisti che la realizzano saranno presenti in azienda, collaborando con la Direzione, in diversi momenti successivi di verifica e/o affiancamento delle risorse.

I risultati vengono presentati al management attraverso la stesura di un report che tiene conto di tutte le informazioni, quantitative e qualitative, raccolte durante la diagnosi di clima, unitamente a quanto emerso dalle riunioni coi diversi gruppi aziendali nel momento del feedback.

Il management viene supportato per l’attività di comunicazione interna degli stessi dati da professionisti esperti in materia. E’ possibile concordare diversi momenti di verifica e/o di affiancamento delle risorse, ed ottenere da queste un feedback collaborativo utile a raggiungere lo scopo degli interventi.

Fig. 21 – L’importanza del follow-up – https://www.bing.com/images/search?view=detailV2&ccid=dUxKO3DB&id=C283C30DF0724BFE6A480119A79E686E738064EB&thid=OIP.dUxKO3DBQBoTirzzXjjrOgHaGu&q=action+plan+e+follow+up&simid=608001039894249679&selectedIndex=41&ajaxhist=0

Le nuove competenze e i comportamenti virtuosi acquisiti nel corso del tempo necessitano di allenamento costante per potersi consolidare. Il follow-up ha lo scopo di garantire un’applicazione metodica nel tempo, fino al punto in cui il singolo operatore è in grado di gestire il cambiamento autonomamente, senza più l’intervento esterno dei consulenti.

Al termine della formazione vengono avanzate proposte di miglioramento e prospettati gli sviluppi futuri. Inoltre, si misurano: la consapevolezza del ruolo; l’assunzione di responsabilità rispetto ai comportamenti espressi, lontani dai valori aziendali individuati; il livello di impegno nei confronti dell’azienda (commitment); l’attivazione di una motivazione spontanea verso l’integrità aziendale.

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Clima organizzativo: Piano di Intervento

Piano di Intervento

L’assessment produce spunti da scegliere ed adattare per organizzare un buon intervento formativo. Il risultato viene analizzato insieme alla dirigenza ed orienta ed ispira il successivo programma.

L’obiettivo, per la Direzione dell’azienda ma anche per i consulenti che intervengono, è incidere sulla produttività economica, e su ciò si deve valutare l’efficacia del progetto.

Gli spunti di seguito elencati costituiscono il layout dell’intervento formativo. Contenuti e argomenti sono da scegliere e adattare sul risultato dell’assessment.  L’esito dei test verrà analizzato insieme alla dirigenza, e orienterà il successivo sviluppo del programma. L’obiettivo finale, per la direzione dell’azienda e per i consulenti che intervengono, è di incidere positivamente sulla qualità della vita aziendale e sulla sua produttività economica.

Le persone giuste al posto giusto

Conoscere i propri collaboratori, saperli scegliere e posizionare nei ruoli più adatti alle loro capacità è difficile, ma riuscire a farlo porta grandi risultati, in termini di qualità del lavoro e di business. Ogni risorsa, se sta facendo quello per cui è più portata, darà il meglio di sé e collaborerà veramente al risultato economico dell’intera azienda. Di norma, invece, sono molti coloro che – demotivati e convinti di essere incompresi – applicano nel lavoro il minimo sforzo indispensabile. Per non parlare di conflitti, assenteismo, ecc.  Mettere le persone al posto giusto crea autostima, disinnesca problemi, aumenta la produttività in senso qualitativo e quantitativo.

La collaborazione

La collaborazione di per sé è un concetto astratto. In realtà le persone si muovono insieme solo se sentono di avere lo stesso obiettivo e lo stesso interesse, se no non lo fanno. Devono sentire come propria la mission aziendale, avere senso di appartenenza ad una realtà importante e riconosciuta, un’organizzazione che fa qualcosa di utile, e lo fa bene.

Per collaborare bisogna soprattutto sapersi mettere nei panni dell’altro, capirne il modo di comunicare, il punto di vista, e capire il valore della diversità, perché è proprio grazie alla diversità che un’azienda funziona. Collaborare implica avere fiducia nei colleghi, e saper delegare problemi e soluzioni. Questo è strettamente legato alla comprensione profonda del ruolo degli altri in una organizzazione complessa. Per impegnarsi a fare questo servono però le giuste motivazioni personali.

Oltre alle diversità potenzialmente critiche fra singoli individui, è da considerare quella che esiste fra diverse “mentalità tipiche”. In un’azienda esistono reparti operativi, come quello tecnico, quello amministrativo/gestionale, quello commerciale, ecc. I reparti raggruppano persone che presentano generalmente un certo modo comune di ragionare; ad esempio, un approccio molto razionale per i tecnici, uno flessibile e orientato alla relazione per i commerciali, quello affidabile ma a volte puntiglioso degli amministrativi, ecc.  Questa diversità è evidentemente un valore per l’organizzazione nel suo complesso, ma spesso nei rapporti fra reparti genera forti incomprensioni e conflitti che si ripercuotono pesantemente sui risultati.

La leadership

Le persone, anche se spesso non lo ammettono, hanno bisogno di essere guidate e quindi di avere un leader. Un leader riconosciuto, non solo eletto dall’alto. La differenza fra autorità e autorevolezza è fondamentale per motivare i propri collaboratori e farsi seguire con convinzione ed efficacia. Essere considerati capaci e credibili non è la stessa cosa che essere obbediti “per forza”. Tutto questo è tanto più vero in un contesto organizzato e complesso quale un’azienda.

Una leadership autorevole è in grado di trattenere le risorse migliori e di influire concretamente sulla loro motivazione, sviluppare al meglio i talenti potenziali, trasmettere efficacemente ai collaboratori strategie, modi e ritmi di lavoro.

D’altro canto, non è da sottovalutare il ruolo reale dei leader negativi. Anche se involontariamente, alcuni collaboratori sono in grado, se non vivono bene la loro situazione, di danneggiare gravemente le dinamiche di relazione. Disinnescare le potenzialità negative è un aspetto delicato e difficile, e riguarda le competenze di un vero leader.

La comunicazione efficace

Argomento che sembra riguardare più tipicamente le reti di vendita, la comunicazione è in realtà alla base di tutti i ruoli in azienda, ed è il lubrificante delle relazioni fra i singoli individui. Tutti i livelli di collaborazione possono beneficiare della capacità di comunicare efficacemente.

La comunicazione orizzontale, fra colleghi di pari grado, e quella verticale tra livelli diversi, richiedono sensibilità e accorgimenti che pochi, nella pratica quotidiana, conoscono ed utilizzano. Tecniche come PNL (Programmazione Neuro Linguistica), utilizzo di parole chiave, conoscenza della comunicazione non verbale consentono agli individui un salto di qualità nell’efficacia delle relazioni e nel raggiungimento degli obiettivi. In particolare, esistono ruoli non tipicamente commerciali, dove la capacità di comunicare efficacemente fa la differenza, e a volte determina l’immagine stessa che l’azienda offre di sé, quali centralinisti, ruoli di segreteria, ricambi e customer care. Anche questi ruoli possono trarre grande vantaggio da una formazione specifica.

Fig. 21 – La scala della comunicazione efficace – https://www.schenck.de/wp-content/uploads/2013/06/225_evaluation_climb.jpg

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L’assessment center

L’assessment center

L’assessment center è una metodologia utile ad individuare il possesso delle capacità necessarie a svolgere ogni tipo d’attività professionale; capacità fondate su comportamenti che consentono di raggiungere risultati in collaborazione con altre persone, di presidiare ed affrontare specifiche situazioni complesse, di tenere sotto controllo tensioni interpersonali, di innovare.

L’Assessment Center si avvale di simulazioni di situazioni organizzative che consentono la rilevazione, da parte degli osservatori, dei comportamenti fondamentali che dovranno essere messi in atto dalle persone valutate. Si tratta di un insieme di diversi test situazionali che richiedono alla persona di eseguire uno o più compiti e che si propongono di misurare gli aspetti emotivi del comportamento. Tali esercitazioni, richiamando il più possibile la realtà aziendale, agiscono da stimolo per attivare i comportamenti che si vogliono osservare e valutare.

Le esercitazioni possono essere individuali o di gruppo, e possono simulare situazioni e finalità diverse quali: analizzare e risolvere uno o più problemi; valutare alternative; prendere delle decisioni; organizzare delle attività; impostare un progetto; presentare dati e proposte.

Tra le esercitazioni di gruppo è molto utilizzata la dinamica di gruppo: è una discussione in gruppo di un caso aziendale, oppure di situazioni uniche quali la sopravvivenza nel deserto o il naufragio, ed ha una durata fra i 45 e i 90′. Se ci sono più esercizi di gruppo i valutatori devono ruotare fra i vari esercizi in modo da non osservare mai gli stessi candidati. A conclusione della dinamica è utile far compilare al partecipante una scheda in cui egli esprime le sue percezioni della performance propria e del gruppo.

Le esercitazioni individuali più utilizzate sono: in-basket, un vero caso aziendale che richiede di affrontare problemi e prendere decisioni in merito a problemi trovati sulla scrivania sotto forma di posta in arrivo, memo e messaggi telefonici; case presentation: caso di strategia aziendale da elaborare individualmente e successivamente esporre in pubblico, che prevede cambiamenti inaspettati per verificare capacità di flessibilità e gestione del cambiamento; check-list autovalutativa, che presenta una serie di quesiti comportamentali basati sulle competenze da indagare.

L’Assessment center è oggi uno degli strumenti più utilizzati in azienda per la valutazione del potenziale e la valutazione delle attitudini dei dipendenti, cioè le sue possibilità di crescita e di sviluppo che quindi possono permettere di valutare la possibilità di ricoprire una posizione organizzativa più complessa. Obiettivo è infatti quello di scoprire e valutare le caratteristiche a disposizione di un individuo, aldilà di quelle richieste per soddisfare gli obiettivi del ruolo già ricoperto.

Gli strumenti dell’assessment center, cioè le prove ed i test, devono simulare la realtà, quindi richiamare contenuti aziendali, e devono avere un obiettivo esplicito. E’ importante che il valutatore non decida a priori e quindi non comunichi al gruppo chi deve guidare il gruppo nella prova: è una cosa che deve emergere dal gruppo e di cui poi il valutatore deve tenere nota.

I campi d’applicazione dell’Assessment Center sono:

  • verifica del grado di copertura del ruolo nell’organigramma aziendale;
  • verifica e possibilità di un adeguamento rispetto ad un ruolo, o diversi ruoli, di medesima o maggiore complessità;
  • valutazione del potenziale;
  • analisi estemporanea delle risorse disponibili per la verifica del possesso di determinate capacità in momenti di forte e improvvisa necessità di copertura di nuovi ruoli o di ruoli critici;
  • individuazione dei bisogni formativi in modo mirato;
  • verifica del possesso delle capacità necessarie per ricoprire posizioni diverse (orientamento, sviluppo, piani di carriera, rotazioni);
  • processi di selezione interni/esterni;
  • processo di verifica dell’architettura organizzativa dell’impresa;
  • audit a seguito d’esigenze derivanti da ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni, collocazione di personale ed esuberi.

 

Fig. 20 – L’assessment ed i suoi valori – http://salescoach.us/wp-content/uploads/2015/07/Assessment-1.jpg

 

 

© Chiedimi se sono felice:Analisi del Clima Organizzativo e del suo effetto sulle risorse umane – Dott.ssa Sonia Barbieri

 

Riorganizzazione interna

Riorganizzazione interna

 

“…. un’azienda di servizi (trasporti pubblici) stava operando una riorganizzazione interna, con l’obiettivo di sostituire alcuni manager con un team di gestione e coordinamento di tutte le attività aziendali.

In tal modo si evitava di accentrare tutte le funzioni, operatività e responsabilità su alcune persone riducendo il rischio di accentrare il potere e snellendo le decisionie le attività (leadership diffusa).

Le persone del team furono scelte in funzione del ruolo, delle capacità e delle competenze possedute anche se non avevano l’esperienza di gestione e coordinamento richiesta.

Esigenza: creare squadra (coesione, condivisione e collaborazione), fornire formazione, supporto e sostegno sia individualmente sia come team.

Soluzioni e azioni attuate:

1. Assessment

somministrazione di un test ai componenti del team allo scopo di individuare le aree di miglioramento individuali in relazione alla posizione ricoperta e ai compiti del ruolo e restituzione individuale.

2. Team building

semiresidenziale durante un week end allo scopo di creare squadra, stabilire obiettivi aziendali (budget aziendali, di team e individuali) e condividere il percorso stabilito.

3. Incontri con il team – con cadenza quindicinale allo scopo di:

a. Creare squadra.
b. Fornire supporto e sostegno al cambiamento.
c. Individuare, affrontare e risolvere le criticità interne.
d. Definire azioni di miglioramento.
e. Definire e condividere obiettivi.
f.  Definire e condividere l’operatività.
g. Stimolare la collaborazione.
h. Fornire strumenti e chiavi di lettura per gestire le relazioni sia interne che esterne al team.

4. Incontri individuali – con cadenza quindicinale allo scopo di:

a. Individuare criticità e difficoltà soggettive.
b. Fornire supporto e sostegno al cambiamento.
c. Definire azioni di miglioramento.

Risultati ottenuti:

1.    Senso di squadra, condivisione e collaborazione.
2.    Miglioramento delle performance lavorative.
3.    Miglioramento clima interno al team.

Selezione e inserimento di nuove figure

Selezione e inserimento di nuove figure

 

“…. un’azienda commerciale dopo attente valutazioni aveva inserito nuove figure commerciali e figure di coordinamento dall’esterno (Capi area),

Dopo poco tempo iniziarono incomprensioni, tensioni e conflitti proprio nelle aree dove erano avvenuti gli inserimenti.

L’omeostasi socio/organizzativa si era rotta e il conflitto tra gruppi di persone di diversa attitudine, formazione, esperienza e ruolo si è aggravato in conflitto d’interessi, come se il risultato positivo per l’Azienda, non fosse un obbiettivo comune e utile a tutti.

In pochi mesi, le incomprensioni fra i diversi reparti è degenerato fino a atteggiamenti generalizzati di chiusura, diffidenza, maldicenze e boicottaggio.

Le vendite dell’Azienda registrarono un calo consistente già nel primo anno, ci fu un peggioramento del clima aziendale  e l’aumento del turn over. Questi  furono solo alcuni dei sintomi di un aumento del disagio lavorativo.

Il nostro intervento ha messo in atto le seguenti azioni:

1. Assessment

Somministrazione di un test ai componenti del team allo scopo di individuare le aree di miglioramento individuali in relazione alla posizione ricoperta e ai compiti del ruolo e restituzione individuale.

2. Incontri individuali allo scopo di:

a. Gestire e superare le criticità soggettive emerse dall’assessment.
b. Definire azioni di miglioramento.
c. Fornire strumenti, supporto e sostegno.

3. Incontri con il gruppo di commerciale ed il relativo area manager allo scopo di:

a. Creare squadra.
b. Definire azioni di miglioramento.
c. Definire e condividere obiettivi di vendita.
d. Stimolare motivazione e collaborazione.
e. Fornire strumenti e chiavi di lettura per gestire le relazioni interne.

4. Supporto alla Direzione allo scopo di:

a. Stabilire se vi fossero i presupposti per mantenere le persone inserite.

E ha permesso di ottenere i seguenti risultati:

1.    Aumento della motivazione.
2.    Senso di squadra, condivisione e collaborazione.
3.    Miglioramento clima interno al team.
4.    Incremento delle vendite.

 

© Relazione tra reparti – Psicologiadellavoro.org

Relazione tra reparti

Relazione tra reparti

 

“  …la divisione Italiana di un’Azienda Multinazionale, che progetta e vende macchine per l’industria, lamentava difficoltà nel coordinare il lavoro tra alcuni reparti dell’organizzazione. Gli Agenti venditori, pur efficaci nella loro azione commerciale, trascuravano spesso le procedure burocratiche, compilavano male i documenti…  mettendo così in difficoltà i colleghi Amministrativo-Gestionali, che se ne lamentavano continuamente.  Il reparto tecnico – gli Ingegneri progettisti – si vedevano trascurati dalla Direzione Aziendale a favore dei Commerciali, i quali procurando grossi contratti venivano dai Manager portati ad esempio come artefici del successo aziendale. Quando poi il migliore dei venditori fu promosso A.D. della divisione, si trovò a coordinare tutti gli altri, compresi gli Ingegneri che già percepivano il proprio lavoro come sottovalutato, in un clima pesante e con una leadership non riconosciuta.

Si erano creati gli stereotipi del Tecnico, preparato ma noioso e intrattabile, del Commerciale, bravo nelle relazioni ma inaffidabile e approssimativo, e dell’addetto di Amministrazione-Gestione, preoccupato solo di controllare l’esattezza dei documenti e far quadrare i conti, incapace di cogliere altrui bisogni di maggior flessibilità.

Il conflitto tra persone di diversa attitudine, formazione, esperienza e ruolo era diventato conflitto d’interessi. Come se il risultato positivo per l’Azienda, non fosse un obbiettivo comune e utile a tutti.

In pochi mesi, le incomprensioni fra i diversi reparti divennero chiusura, diffidenza, invidia, maldicenze, boicottaggio. Si moltiplicarono gli errori, procedure che richiedevano collaborazione e fiducia reciproca divennero impossibili da portare a termine, e i tempi di realizzazione dei progetti si allungarono. Il risultato economico dell’Azienda registrò un calo del 30% in un anno e mezzo. Alcuni contrasti personali degenerarono, due persone chiesero il trasferimento in altra unità operativa. Per alcuni mesi persino le assenze per malattia aumentarono sensibilmente” .

Un colloquio tra due nostri Consulenti e i Responsabili di Reparti e H.R., seguito da un Assessment sul personale, ha evidenziato diverse criticità e consentito di concordare due interventi Formativi, appositamente costruiti su precisi obbiettivi, e poi erogati al Personale Dipendente e ai Managers di Reparti e Risorse Umane.

Abbiamo riscontrato molta curiosità, e disponibilità da parte di quasi tutti. Chiedendo loro di mettersi in gioco (a volte letteralmente) abbiamo “mescolato le carte” e portato i partecipanti a considerare anche il punto di vista dell’altro.  Attraverso l’utilizzo di  esercitazioni pratiche abbiamo portato in aula tecniche efficaci di comportamento, e suggerito come prevenire e risolvere i conflitti fornendo sia strumenti di riflessione  che  di applicazione.  Il nostro operato si è focalizzato sul miglioramento del benessere psicologico quale presupposto di una maggiore produttività del personale con conseguente implementazione del fatturato aziendale. In ultimo migliorando la comunicazione, a tutti i livelli, abbiamo ottenuto un clima aziendale sereno ed una nuova capacità di collaborare – facendo squadra – agli obbiettivi comuni a tutti: il benessere psicologico e il risultato economico dell’Azienda.

Grazie al Follow-Up, tornati in Azienda a distanza di tempo, abbiamo verificato che il nuovo approccio relazionale si è stabilizzato nei comportamenti delle persone, ed è da queste percepito come utile anche nella vita privata.

 

© Relazione tra reparti – Psicologiadellavoro.org

Le attività e le competenze del selezionatore

Le attività e le competenze del selezionatore

Definizione

Il selezionatore è una figura professionale che svolge una serie di attività che hanno per obiettivo l’acquisizione di risorse umane contribuendo a costituire lo stock di professionalità di cui ha bisogno un’organizzazione.

Premesso che il Selezionatore può essere un lavoratore autonomo o dipendente, di seguito elenco alcune attività, competenze e attitudini di questa professione.

 

Le attività

    • Individua i fabbisogni dell’impresa o del cliente
    • Analizza le posizioni vacanti e il fabbisogno di risorse umane
    • Definisce le caratteristiche del profilo richiesto tracciando in tal modo un Profilo Ideale che comprenda competenze tecniche, soft skills e caratteristiche personali richieste dalla funzione)
    • Ricerca il personale potenziale utilizzando diverse fonti informative (agenzie, internet, consulenti, ecc.)
    • Analizza le candidature interne ed esterne e le classifica per caratteristiche
    • Effettua una scrematura dei candidati sulla base dei curricula ricevuti e dei criteri di selezione stabiliti
    • Contatta i candidati da sottoporre a colloquio
    • Intervista i candidati
    • Utilizza strumenti di assessment (test, assessment center, ecc)
    • Stabilisce la corrispondenza tra le caratteristiche dei candidati e quelle del profilo ideale
    • Individua tra i candidati valutati quelli idonei a ricoprire le posizioni lavorative.

 

Quali sono le Competenze e attitudini che deve avere?

Competenze tecniche

    • Competenze in psicologia del lavoro
    • Capacità di effettuare analisi dei fabbisogni professionali
    • Capacità di costruire Job Description e Job Analisys
    • Capacità di applicare le tecniche di ricerca del personale
    • Capacità di utilizzare i sistemi di reclutamento del personale
    • Capacità di svolgere colloqui di selezione
    • Conoscenza e capacità di utilizzare strumenti come Test psicologici (attitudine, personalità, ecc.), Assessment center
    • Capacità di effettuare un bilancio di competenze
    • Capacità di individuare candidati idonei a ricoprire le posizioni lavorative scoperte.

Competenze trasversali

    • Capacità organizzative
    • Capacità di ascolto
    • Capacità di analisi
    • Capacità relazionali (empatia)
    • Capacità di gestione e sviluppo delle risorse umane
    • Raccolta e gestione delle informazioni
    • Autonomia
    • Capacità decisionali

 

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© Le attività e le competenze del Selezionatore – Andrea Castello

 

 

Selezione e Assessment center

L’analisi a priori: la selezione e l’assessment center

In questo caso, le leve operative proposte, hanno la finalità di analizzare la motivazione che un determinato soggetto ha a priori, ossia prima di iniziare la sua esperienza lavorativa, o di intraprendere una nuova attività o responsabilità. Un’analisi di questo tipo, condotta con tecniche preventive come la selezione e le sedute di assessment (insieme di tecniche basate su colloqui motivazionali e test situazionali), è utile nel momento in cui si voglia fare una previsione sul grado di accettazione dell’attività proposta al soggetto, e sul livello di competenze che “potenzialmente” sarà in grado di mettere in pratica sul campo. Il manager, fin dalla in fase di selezione e di pianificazione della prestazione, gode pertanto di una straordinaria opportunità: quella di stimolare il collaboratore a mettere in campo o modificare (nel caso di una risorsa già operante) certi comportamenti. L’accordo iniziale sulla prestazione è determinante ai fini del risultato, in quanto il collaboratore deve sapere su cosa e come sarà valutato. Il valore attribuito al risultato finale può rappresentare uno degli input motivazionali, che vanno evidenziati in una sorta di “patto iniziale” con se stessi e richiamati nei momenti di caduta della motivazione.

Una volta condivisi gli obiettivi il valutatore deve stimolare e verificare i cambiamenti e miglioramenti nell’anno con interventi di assessment, ma non è raccomandabile arrivare alla fine dell’anno per valutare quei comportamenti. In sede di assessment è importante esplicitare al dipendente qual è il risultato e il vantaggio, in termini di gratificazione, che lo sviluppo della competenza consentirà di conseguire. Secondo differenti indagini aziendali, infatti, sembra che la più comune causa di prestazioni insoddisfacenti da parte dei collaboratori non sia legata alle scarse competenze, o alla scarsa volontà del collaboratore, bensì alla poca chiarezza sugli obiettivi e sulle aspettative che i superiori hanno dai collaboratori stessi. Sempre riferendosi al modello prima esposto della prestazione, la selezione e altri strumenti come l’assessment sono finalizzati a capire anche se, per una data posizione, l’inadeguatezza di un soggetto sia da imputare ad un difetto di capacità o di motivazione. Ciò risponde ad almeno due necessità. In primo luogo orientare la formazione iniziale verso l’elemento che sia risultato carente, qualora tale elemento non sia da considerarsi strategico e per ciò stesso imprescindibile per lo svolgimento della specifica mansione. Inoltre, in questa maniera, è possibile rendere coerenti le valutazioni fatte a posteriori con quelle fatte a priori, così che misurino l’eventuale superamento del gap di quell’aspetto specifico precedentemente misurato. Questo lavoro di ancoraggio  tra competenza e risultato atteso (che ricorda le già esposte tecniche di PNL), può emergere dal processo di rilevazione del gap, in un processo che nella prassi viene definito mappatura delle competenze collegate alla performance di eccellenza, attraverso la diagnosi del gap individuale e la predisposizione di un piano di sviluppo, secondo una logica di “performance improvement”. Non bisogna quindi terminare l’intervista di valutazione senza stabilire chiaramente quali sono gli obiettivi di sviluppo per il prossimo periodo, ed il piano di azione per raggiungerli. Le sedute di assessment, costituiscono inoltre una sistematica verifica del grado di apprendimento ed integrazione nell’azienda, due variabili chiavi nel predire il livello di motivazione attuale e prospettico del lavoratore.

Come già anticipato questa fase dovrà concentrarsi su competenze di natura generica, che essendo tali possono adattarsi a qualsiasi attività lavorativa (sistemi di skill evaluation). Fra queste si hanno principalmente le intelligenze cognitive  (percezione ambientale, creazione di aspettative, progettazione comportamentale, etc), e le intelligenze emotive , che creano meccanismi di repulsione/attrazione classificando i fenomeni in piacevoli e dispiacevoli, e così via. In accordo con il fine di indagine del presente lavoro, si ritiene utile approfondire le caratteristiche dell’intelligenza emotiva, come dimensione della competenza più strettamente legata alla motivazione. L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere, capire ed utilizzare con efficacia il potere delle emozioni trasformandolo in energia, empatia, informazione, affidabilità e creatività per arrivare ad un certo risultato. A questo riguardo è doveroso fare alcune precisazioni, che si ritengono importanti da un punto di vista manageriale. Il fatto di vedere soddisfatti i propri bisogni, o viceversa di incontrare degli ostacoli nel perseguire i propri scopi, suscita nel lavoratore delle emozioni. Pur essendo emozione e motivazione due processi fra loro interdipendenti, spesso il manager li confonde. Lo studio della motivazione cerca di spiegare il perché di un comportamento, lo studio dell’emozione descrive la reazione ad un cambiamento. Quindi non sempre un lavoratore che non manifesta in modo evidente una dose di emotività o empatia non ha motivazioni. Avrà delle motivazioni che si esternano con altre modalità. Simmetricamente se un lavoratore non reagisce a degli incentivi, non vuol dire che non è coinvolto o che il lavoro non gli da emozioni, ma può aver bisogno di altri tipi di incentivi, o ha delle motivazioni incoerenti con il tipo di incentivi che gli si sta proponendo per attivare il suo comportamento. Sempre in riferimento alla motivazione ed all’emozione bisogna fare ulterioriormente chiarezza. Tradizionalmente la motivazione viene considerata una “eccitazione organizzata”, ossia un’attività programmata e consciamente orientata alla realizzazione di un determinato scopo . L’emotività, invece, si ritiene a torto essere una forma di “eccitazione disorganizzata”, nel senso che non è funzionale ad un particolare obiettivo. In realtà esistono motivazioni non conosciute o non controllabili e persone che conoscono e controllano perfettamente il proprio stato emotivo. Nel lavoro, l’esperienza delle emozioni positive produce un valore che le organizzazioni devono essere pronte ad apprezzare ed utilizzare, in quanto rappresentano delle vere e proprie energie da incanalare, disporre e armonizzare in vista di mete, budget e obiettivi predefiniti. Fino a poco tempo fa essere emotivo sul lavoro era un segno di debolezza. Oggi le cose stanno cambiando, e le aziende ricercano sempre di più gente creativa, gente che apporti, ossia assertiva, né passiva, né aggressiva. Se prima era visto come un segnale di debolezza, adesso è visto come un segnale di forza. La motivazione, quindi, è una parte delle competenze personali dell’intelligenza emotiva. Le emozioni di un lavoratore, inoltre, accompagnano la sua esperienza cognitiva e anzi svolgono spesso una funzione adattiva, rappresentando, tra l’altro, una fonte propulsiva di altissimo valore. Gli effetti dannosi che talvolta si osservano, vanno più che altro imputati a inefficienze del processo di regolazione emozionale del soggetto. Essere emotivi non vuol dire dare briglia sciolta alle emozioni, vuol dire, invece, avere un’autoconsapevolezza, sapere che cosa si sente e, nel momento in cui si riesce a capire, imbrigliare questa energia e usarla nel migliore dei modi.

Le emozioni poi vengono ancora viste come appartenenti al mondo privato o comunque a quello del “non-lavoro” e la loro manifestazione è ben accetta, purché avvenga altrove rispetto all’ambiente produttivo. L’equilibrio, invece, tra lavoro e vita richiede che s’investa in emozioni per favorire l’apprendimento emotivo e recuperare un’educazione alla gestione delle emozioni. Ci si riferisce in particolare alle emozioni positive come l’entusiasmo, la sorpresa, la gioia, l’affetto, il sentirsi vitali, peculiari della motivazione. Educare alla gestione ed al riconoscimento delle competenze emozionali, significa per l’organizzazione migliorare le sue basi per il conseguimento degli obiettivi di crescita e per favorire la produzione di un benessere soggettivo e collettivo.

Tra gli approcci di nuova generazione nell’analisi della motivazione attraverso le competenze, hanno un grande rilievo i metodi “esperienziali” volti a capire quali elementi si presentano combinati nei casi di successo, raffrontati a quelli che si presentano o non si presentano nei casi di insuccesso. La tecnica utilizzata è un tipo di intervista che richiede di ricostruire e descrivere situazioni di successo e di insuccesso esplicitando ciò che si è fatto e con quali risorse. In quest’area lo strumento più affermato è il behavioral event interview (BEI) o “intervista del comportamento di evento”, realizzato da David McClelland , che fa parte dei più generici Competency Assessment Methods e delle più generiche “tecniche proiettive”, in cui si chiede all’intervistato quale comportamento metterebbe in atto in situazioni e circostanze simili a quelle del ruolo specifico . L’intervista narrativa o le altre tecniche di proiezione simulata del ruolo come il role playing e il business game, si basano sul presupposto che il comportamento umano ha modelli che si ripetono , per cui, attraverso un osservazione a ritroso, cerca di analizzare gli eventi critici nella vita e nella carriera di una persona, al fine di trarre alcuni fattori come gli atteggiamenti, le motivazioni, le intenzioni, l’immagine di sé, rilevabili in una determinata situazione lavorativa. L’idea è che il comportamento attuale, ma soprattutto quello passato, forniscono il migliore modello predittivo di quale sarà il comportamento futuro, a differenza delle normali interviste basate esclusivamente sulla formazione, sull’esperienza e sulle conoscenze, tutte informazioni già rilevabili nel documento curriculare. Quindi non solo quali competenze ha un candidato, ma “come” e “perchè” li mette in pratica. In questa maniera è possibile comprendere quali sono le abilità trasversali che qualificano le competenze tecniche del soggetto, le aree che maggiormente lo motivano, dal momento che hanno portato a risultati di successo e le aree che invece non gli procurano alcuna soddisfazione .

E’ però possibile una verifica a priori della rispondenza del candidato alla posizione, solo nella misura in cui, ancora prima dell’intervista, si è stabilito quali reazioni sarebbero da considerare performanti e quali comportamenti si ritiene che rivelino una forte motivazione al lavoro nei casi specifici che si chiederà di descrivere. Verrà quindi operato un confronto tra il modello teorico previsto e il racconto del candidato. Inoltre la tecnica dell’intervista sul comportamento di evento consente a posteriori di verificare quasi sul campo se, effettivamente, il candidato ha delle forti motivazioni al lavoro che lo spingono a profondere maggiore impegno, qualora gli si presentino situazioni analoghe a quelle che aveva descritto ed in cui ha la possibilità di dimostrare la sua coerenza di fondo. Infatti uno dei problemi maggiori di questo tipo di tecnica è quello delle così dette “vite inventate”. Il fatto cioè che, essendo ormai sempre più diffuso questo tipo di intervista, si corre il rischio che i candidati si preparino delle situazioni ipotetiche ad hoc per ogni tipologia di domanda, simulandole perfettamente durante il racconto, o, quantomeno, esagerando situazioni reali. Ciò succede intanto in conseguenza di un sempre più diffuso utilizzo dei media (soprattutto di internet) per promozionare l’immagine ed i valori aziendali. Questo fa sì che, il potenziale candidato, ha la possibilità di inventare delle situazioni da cui traspare l’idea di candidato ideale per una data società, o comunque, “aggiustando il tiro” di un’esperienza effettivamente avuta, orientandola verso l’idea di un’esperienza di successo, in conformità con le informazioni apprese su internet o con altri mezzi. Inoltre, soprattutto in ambito anglosassone, sia gli uffici di orientamento al lavoro di alcune università come quella di “Law and Economics”, sia le società specializzate in outplacement , allenano il candidato sulle più frequenti caratteristiche ricercate dai datori di lavoro e sulle tipologie di domande che verranno fatte durante l’intervista. Ma c’è di più. Non è infrequente, infatti, trovare dei forum o delle newsletter su internet in cui ex-candidati sottoposti ad intervista, abbiano avuto la pazienza e la bontà di pubblicare le domande che di solito vengono fatte nelle maggiori società come Hewlett-Packard, Nike, Microsoft, Intel, etc., dove vengono fatti centinaia di colloqui al giorno. Sono quindi necessarie delle contromisure per evitare di cadere in tranelli o lasciarsi affascinare da racconti fittizi. In primo luogo la semplice consapevolezza del problema (che non è così diffusa come si può pensare) mette in allerta l’intervistatore nel cercare evidenti segnali di bluff. Ad esempio, il fatto che non faccia neanche un secondo di pausa di riflessione prima di rispondere alla domanda, o che ha uno sguardo sicuro e diretto durante il racconto (quando invece di solito quando si parla pensando al passato si guarda altrove) è un indice del fatto che ha preparato quella domanda . In secondo luogo, per confermare l’autenticità della storia e degli esempi del candidato, gli intervistatori devono scendere nei particolari e richiedere aspetti specifici della storia, esibendo però un tono di curiosità e non da indagatore, cosa che altrimenti potrebbe bloccare il candidato. Un altro modo può essere quello di chiedere non solo cosa ha fatto, ma anche cosa ne pensava di quello che stava facendo, e cosa ne pensa ora a mente fredda. Diverse ricerche, infatti, dimostrano che è difficile per un falsificatore mantenere una coerenza costante fra tutti e tre i livelli di racconto. Inoltre il fatto che abbia preso una posizione di giudizio sia al tempo in cui stava svolgendo l’attività, sia al momento del racconto, indica che l’esperienza è effettivamente avvenuta, poiché ha lasciato un segno, tanto da indurre il soggetto ad una sua revisione critica.

Un’altra tecnica si basa sul principio che i candidati che sostengono di aver avuto dei successi significativi, devono imparare qualcosa dalle loro esperienze. Se può essere facile fabbricare un successo, lo è molto meno inventare esempi di che cosa si è imparato da un successo. Per cui domande tipo “cosa le ha insegnato l’esperienza” o “come applichi quello che hai imparato da allora” possono servire a individuare il candidato simulatore. Per concludere l’intervistatore puòfare alcune domande che richiedono al candidato di dimostrare quello che conosce, in tempo reale, e non evincendolo dalla descrizione delle cose di successo che ha fatto in passato. Alternativamente si può sempre prendere spunto da situazioni già raccontate, ma cambiando alcuni fattori interagenti o le variabili di azione, per vedere se la sua competenza di successo è ancora tale anche “cambiando il finale”. Questo tipo di domande, infatti, devono essere risposte sul momento, e non possono essere preparate .

Il vantaggio principale di questo metodo è la capacità di cogliere gli aspetti delle competenze specifici ad un particolare compito, aspetto importante sia ai fini della  formazione e dello sviluppo, sia per ricompensare le capacità e le competenze che hanno particolare valore in quel compito e che non sarebbero rilevanti in un approccio standardizzato, basato su metodologie classiche di intervista uguali per tutti. Uno svantaggio è il carattere statico, orientato al passato e poco evolutivo di un’analisi centrata sulle competenze che hanno mostrato di generare comportamenti efficaci, ma che nulla dice su quali altre combinazioni di competenze sarebbero state possibili e forse più efficaci, né quali altri comportamenti si sarebbero potuti generare con le stesse competenze. Un altro forte svantaggio, come si è detto, è la possibilità di comportamenti opportunistici. L’intervista basata sul comportamento, continua pertanto ad essere uno strumento efficace per selezionare i candidati che devono avere certe competenze e attitudini, tra cui la capacità di automotivarsi e la motivazione verso quella specifica mansione, ma le tecniche su cui si fonda dovranno evolversi, per tenere conto della maggiore preparazione dei candidati e della necessità di rilevare la dinamicità nel riformulare e ricombinare continuamente il proprio asset di competenze, in risposta ad un’elevata competitività. Ancora più complesso il caso in cui si utilizzino test strutturati allo stesso modo. In questi casi, l’appropriatezza della prestazione, come si evince dall’analisi del test, non costituisce un indicatore preciso o scientifico della presenza di motivazione. Come nel caso dell’istruzione programmata, in cui ciascuna conoscenza è distribuita in un piccolo gruppo di domande all’interno di test di verifica dell’apprendimento, se la risposta data dal soggetto è corretta, la medesima ricompensa, sarà attribuita anche a chi ha individuato la risposta giusta per caso, tirando ad indovinare, il che, tra l’altro, può finire per indebolire anche la motivazione estrinseca del candidato. L’ottenimento di quel posto, cioè, non costituisce più una sfida (vedasi la parte teorica in cui si è parlato di automotivazione).

 

© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo